ᑕᗩᑭITOᒪO 17 |ᔕTEᖴᗩᑎ - IO TI ᐯEᗪO!|

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Era passato il mese di novembre e stava per finire anche quello di dicembre, ma Stefan non si era accorto nemmeno del loro arrivo. Si era rintanato in casa, sfruttando le sue ferie accumulate negli anni.

Khatrine insisteva sempre chiedendogli di prendersi una pausa e riposare, ma c'era sempre una revisione in cementeria alla quale non poteva mancare o un collega che puntualmente era malato e bisognava sostituire oppure semplicemente voleva essere presente alle riunioni a suo parere molto importanti. Così ora aveva talmente tante ore di disagio che avrebbe potuto prendersi un anno sabbatico e nessuno avrebbe avuto nulla in contrario.

Avrebbe potuto scappare via da questa casa, la casa che lei aveva insistito a comprare per via del giardino immenso e della soffitta illuminata. Lì si isolava quando era in fase costruttiva: dipingeva, scriveva con la musica a palla e ballava sotto le note della stessa canzone, "Shake it" di Jake Miller, ma solo quando la tristezza non la conquistava attirandola a sé come un uragano attira le macerie portandole nel vortice della disperazione.

Ballava facendo movimenti buffi con i fianchi quando sapeva di non essere osservata. Lui la guardava invece, eccome se la guardava. La spiava da dietro il muro e rideva sotto la barba folta. Lei era se stessa solamente quando era sola. Quando invece sapeva di essere osservata si sentiva sempre sotto giudizio e cercava di essere la miglior versione che si sarebbero aspettati da lei.

Lui la convinceva che non ce n'era bisogno perché era convinto che la gente l'avrebbe amata persino più di quanto faceva lui, se solo l'avessero conosciuta per davvero, ma ora si chiedeva se era lui a non conoscerla
abbastanza.

Perché non hai lottato? Aveva domandato al soffitto sentendosi ridicolo. Perché ti sei arresa? Cosa ti ha portata a fare una cosa del genere? Si domandava se avesse dovuto assecondarla quando si informava se c'era in zona uno psicologo o uno psichiatra invece di riderle in faccia dicendole che lei non era pazza.

Ora si pentiva di non averla nemmeno ascoltata quando cercava di aprirsi, durante i viaggi lunghi in tutto il mondo. Lei ci aveva provato a parlare del passato, ma lui era convinto che il passato andava lasciato dov'era e che contava solo il presente. Così cambiava discorso facendola sprofondare nel silenzio.

Ora, sdraiato sul tappeto nero della soffitta, disteso e spossato come un naufrago alla deriva, guardava la notte trapassare il lucernario e colpirlo dritto in faccia.

La luna era piena, ma oscurata da nuvole traballanti che sembravano deriderlo. Era finalmente riuscito a tagliarsi la barba insipida e aveva persino sfoltito le spesse sopracciglia, come gli aveva insegnato lei. Passava la maggior parte del tempo lassù, tra le cose che non ci stavano nella bara. Attendeva come se da un momento all'altro gli sarebbero piovute le risposte addosso illuminandolo sul perché.

La notifica di una mail illuminò il piccolo schermo del Mac e dovette alzarsi controvoglia dal pavimento. Era la dottoressa Sylass che gli ricordava per l'ennesima volta di inviargli i documenti firmati.

Aveva smesso di andarci dopo la volta che si era sentito giudicato persino dalla guardia, ma più che altro evitava di firmare le carte per paura di superare il lutto troppo in fretta.

Quanto tempo bisognava far passare affinché non venisse giudicato, si chiedeva! Erano passati solo sei mesi ed era palese che fossero pochi, ma del resto non aveva nessuna intenzione di risposarsi. Voleva solo non sentire più la sua presenza ovunque.

Ogni cosa in quella casa era meticolosamente studiata e sistemata secondo il piacere della sua defunta moglie e persino la posizione dei piatti nella credenza gli ricordava lei.

Aveva deciso: domani sarebbe andato alla banca e avrebbe venduto la casa; avrebbe cercato da subito un appartamento non lontano dal lavoro e sicuramente avrebbe superato la cosa.

99 TᕼIᑎGᔕ I - ᖇITOᖇᑎO ᗩᒪᒪE OᖇIGIᑎIWhere stories live. Discover now