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By leavesofwilde

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Harry Styles ha deciso che la vita non ha più alcuna importanza. Rinnega le emozioni, concedendo tutto se ste... More

Prologo
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Epilogo

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By leavesofwilde

Kids – Current Joys
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Louis non ha scelta.

Era notte fonda quando Harry si svegliò di soprassalto da un incubo che non riuscì a ricordare, alzandosi di scatto e stringendo i pugni intorno alle coperte sgualcite. Respirò schiudendo le labbra, annaspando alla ricerca di aria fresca e pulita nella confusione totale che ancora pesava sulle sue spalle. Chiuse gli occhi, come se l'improvviso risveglio avesse avuto la forza necessaria per tramortirlo, facendo spazio nel buio e nella debole luce che sembrava infiltrarsi attraverso le sue ciglia, scivolando fino alle iridi verdi e cullandole serenamente.

Quando riuscì a rilassare le palpebre, Harry sentì il brivido dell'incubo sul proprio corpo, nel gelo nelle sue dita, nelle perle di sudore che si erano andate a formare sulla sua fronte e nelle braccia intorpidite. Si portò disperatamente le mani sul viso, sfregandolo fino ad arrossarlo leggermente, per poi farle scorrere nei propri capelli, spettinandoli ancora di più e aggrappandovisi come potessero dargli sostegno. Sospirò silenziosamente, cercando, in un qualche modo, di riprendere il contatto con la realtà presente delle cose, battendo dolcemente le palpebre e passandosi la lingua sulle labbra screpolate.

Quando le mani caddero prive di peso sul suo grembo, il riccio osservò la propria camera invasa dal buio più cupo. Ai piedi del letto, le lenzuola sedevano aggrovigliate come un mucchio di serpi, pronte a stritolare le sue gambe e la sua gola, soffocandolo silenziosamente, senza che nemmeno lui potesse fermarle. D'istinto, si ritrovò a spingerle ancora più lontano, facendole cadere sul pavimento con un tonfo ovattato. Proprio lì, sparsi alla rinfusa, Harry vide i suoi abiti e, poco lontano, dalla parte opposta, quelli di Louis.

Louis.

Si chiese se l'avesse svegliato.

Senza pensarci eccessivamente, il riccio si ritrovò a voltarsi nel letto, stropicciandosi gli occhi con il dorso della mano libera, l'altra abbandonata priva di peso sulla gamba scoperta. Si corrucciò ancora prima di rendersene conto quando scoprì il posto al suo fianco completamente vuoto, il cuscino sgualcito e la sagoma invisibile ad occupare il posto del ragazzo dagli occhi blu. Tremò quando un leggero brivido percorse la sua spina dorsale, sottile e affilato, e spostò la mano come agisse di sua spontanea volontà. Affondò le dita nel materasso, lasciandosi rassicurare dal leggero calore che andò a sfiorare i suoi polpastrelli, baciandoli dolcemente e cullandoli di quel profumo che continuava ad inebriare i suoi sensi senza sosta.

Louis doveva essersi alzato da poco.

Normalmente avrebbe lasciato perdere. Il sonno leccava ancora il suo viso, e le palpebre cadevano pesanti, rilassando i suoi occhi. Sapeva che, ci avesse provato, sarebbe riuscito a riaddormentarsi in una manciata di minuti. Il letto era invitante, e le coperte crudeli erano state cacciate dal materasso. Inoltre, molto probabilmente, Louis si era alzato per andare in bagno, oppure per andare a bere un bicchiere d'acqua al piano di sotto.

Eppure l'incubo sconosciuto ancora gravava nel suo sguardo, come se le voci distanti continuassero a riempire le sue orecchie e il buio incatenasse i suoi polsi e le sue caviglie, costringendolo nel letto contro la sua volontà. Per un attimo, Harry ebbe l'impressione che, fosse rimasto seduto sul materasso, avrebbe rischiato di essere divorato in un sol boccone, venendo completamente annullato da quello che avrebbe preso la forma di una belva affamata, pronta a dilaniare le carni e beffarsi della povera vittima indifesa.

Senza riflettere, il riccio si ritrovò ad alzarsi, schiacciando i piedi contro il pavimento fresco e dandosi la spinta necessaria per mettersi in piedi. L'improvviso movimento gli fece girare la testa, costringendolo ad appoggiare una mano contro la parete per potersi sorreggere. Sospirò leggermente, sfregandosi nuovamente gli occhi e battendo velocemente le palpebre per mettere a fuoco la stanza di fronte a sé.

La porta era ancora chiusa, silenziosa, ed i vestiti sparsi per il pavimento. Di fronte al letto, Harry riconobbe le inconfondibili vans di Louis, una capovolta, l'altra slacciata. Scosse la testa schiacciando un debole e dolce sorriso, avvicinandosi per poterle raccogliere e riposizionarle correttamente, spingendole delicatamente in direzione del letto, nascondendone la punta sotto il materasso. Sospirò, afferrando la propria maglietta accartocciata al suolo e raddrizzandosi. La indossò velocemente per ripararsi dal fresco e, non appena rialzò lo sguardo, si ritrovò a corrucciarsi non appena vide un riccio di fumo proveniente dalla finestra spalancata levarsi in direzione del soffitto.

Si chiese se fosse reale o se fosse semplicemente confuso a causa del sonno profondo. Ripensandoci, non gli parve nemmeno reale. Molto probabilmente non si era trattato di altro che di un illusione, e non avrebbe dovuto preoccuparsene troppo.

Ma quando una seconda nuvola scivolò all'interno della stanza, Harry aggrottò le sopracciglia.

Lentamente, per evitare che il pavimento cigolasse, il ragazzo cominciò ad avvicinarsi alla finestra, stendendo la pianta del piede e dandosi una spinta silenziosa, rilassando le braccia lungo i fianchi e facendosi improvvisamente serio. Si sporse appena, i lembi della maglietta troppo larga a sfiorare fastidiosamente la pelle scoperta delle cosce, la brezza notturna che si insinuava nella camera da letto e scorreva leggiadra tra i suoi ciuffi arricciati. Batté ancora le palpebre non appena raggiunse il davanzale, sporgendosi ulteriormente solo per vedere una terza nube di fumo levarsi alta nel cielo.

Confuso, Harry lanciò un'occhiata in direzione della sedia di fronte a sé, spostandola da un lato per potersi arrampicare sulla scrivania situata sotto la finestra. Schiacciò le ginocchia sulla superficie in legno, raddrizzando la schiena per poter osservare oltre la finestra, rilassando la propria espressione non appena riconobbe la figura di Louis, silenziosamente seduto sul tetto con una sigaretta tra le mani.

"Lou?" lo chiamò facendolo sussultare. Il castano si voltò di scatto, portandosi una mano al petto e lasciandosi sfuggire un sospiro non appena riconobbe il riccio. Arricciò leggermente le labbra prima di chinare il capo.

"Harry," sussurrò sorpreso. "Mi hai spaventato."

"Cosa stai facendo sul tetto?" domandò il minore confuso. Louis alzò lo sguardo, prima di farlo ricadere sulla propria sigaretta, ormai quasi finita. La avvicinò in direzione del riccio come volesse mostrargliela, senza mai smettere di sorridere.

"Fumo."

"Sul tetto?" insistette Harry sgranando gli occhi. "A quest'ora?"

"Non riuscivo a dormire," si giustificò il castano spegnendo la sigaretta su una delle tegole, per poi stringere il mozzicone tra il dito indice ed il pollice e lanciarlo lontana. Harry lo osservò sparire oltre il buio, per poi scuotere la testa ed aggrapparsi saldamente agli infissi. Fece scivolare le gambe fuori dalla finestra, preferendo sedersi sul davanzale piuttosto che sul tetto scivoloso. Nascose le mani tra le cosce calde, dondolandosi come farebbe un bambino su di giri.

"Avresti potuto svegliarmi," si lamentò osservando la sagoma di Louis, leggermente ricurva, ma sempre decisa e determinata, le gambe piegate contro al petto e le braccia allacciate intorno alle ginocchia. Sorrise inclinando il capo da un lato quando lo vide voltarsi in sua direzione, arricciando le labbra a sua volta.

"Mi pare di averti già detto quanto sei bello mentre dormi," disse facendogli l'occhiolino, ed Harry ridacchiò dolcemente. "Non volevo disturbarti," aggiunse tastando le tegole al suo fianco, alla ricerca del pacchetto di Marlboro. Una volta trovato, ne porse una al minore.

"Grazie," mormorò, ed il castano annuì distrattamente. Il riccio si sporse alle proprie spalle per prendere l'accendino abbandonato sulla scrivania, accendendo la sigaretta e sbuffando il fumo silenziosamente, quasi come temesse di interrompere qualsiasi cosa Louis stesse facendo. Incrociò la gambe sul davanzale, appoggiando le braccia ai propri lati per sorreggersi e lasciando che la sigaretta dondolasse liberamente fra le labbra arrossate. "A cosa pensi?" domandò improvvisamente, sorprendendo persino sé stesso. Eppure, nonostante il maggiore sembrasse distratto, scosse immediatamente la testa, come stesse già aspettando la domanda.

"A tante cose," rispose prima di voltarsi verso il riccio. "Vieni qui," disse picchiettando il posto vuoto al suo fianco.

"Ho paura di scivolare."

"Ti assicuro che non scivolerai," lo rassicurò Louis ridacchiando. "Basta puntare i piedi così," gli diede istruzioni mostrandogli come bloccasse i piedi sulle tegole per darsi supporto. Harry sorrise a sua volta, alzando leggermente gli occhi al cielo e stringendo la sigaretta tra le labbra con più forza, per poi di alzarsi cautamente. Si tenne stretto al davanzale, piegando le gambe e sedendosi al fianco del castano, il quale circondò immediatamente le sue spalle con il braccio.

"Se cado ti uccido."

"Improbabile, ma ne prendo nota," scherzò Louis, ed il minore scosse la testa soffocando un sorriso. Si rilassò contro il corpo del castano, soffiando il fumo lontano e passandogli la sigaretta, in modo tale che potessero condividerla. Quando anche Louis ebbe preso un tiro, sospirò rumorosamente. "È bello qui, vero?"

"È anche freddo."

"Ehi," lo riprese il maggiore pizzicandogli la punta del naso e facendolo ridacchiare dolcemente. "Non insultare così la mia ingegnosa scoperta."

"Chiedo scusa, messere."

"Così mi piaci," rise a sua volta Louis, ed Harry non poté fare a meno di pensare a quanto fosse bello il rumore della sua risata, coronata dalla notte silenziosa e dalla luna pallida, dalla fresca brezza estiva e dalle stelle scoppiettanti nel cielo lontano. Alzò lo sguardo in sua direzione solo per poter osservare il suo profilo illuminato dai lampioni oltre i tetti delle case, gli occhi blu brillanti e opachi allo stesso tempo, come fossero dipinti, come non fossero altro che l'immaginazione perversa di un artista con un nome troppo complesso da ricordare. La melodia inconfondibile di una di quelle canzoni che vengono trasmesse in radio nelle ore più piccole, che sentiranno solo i viaggiatori e tutte quelle persone troppo perse nei loro pensieri per prendere sonno.

Sorrise senza nemmeno rendersene conto.

Per questo motivo si sporse quanto bastava per poter baciare la sua guancia. Anche Louis sorrise, chiudendo dolcemente le palpebre per lasciarsi cullare dal tocco, per poi voltarsi e abbassare lo sguardo in direzione del minore. Si avvicinò per far collidere le loro labbra in un bacio lento e scoordinato, ma tenero e sincero. Fu come una carezza inaspettata, una carezza di cui non si pensa di aver bisogno. Eppure, una volta ricevuta, ci si rende conto di non aver atteso altro per tutto il giorno.

Così, quando si staccarono, Harry baciò la sua spalla, prima di guardarlo nuovamente negli occhi, abbastanza profondamente da essere sicuro di poter intravedere uno spiraglio della sua anima.

"A cosa stavi pensando, Lou?" richiese dolcemente, alzando una mano in direzione del suo viso per accarezzarne i lineamenti. Il maggiore sorrise, affondando ancora di più nel tocco e sospirando il respiro più soffice che il minore avesse mai sentito negli ultimi giorni.

"A Niall," fu la triste risposta e, senza nemmeno rendersene conto, il minore ritirò la propria mano, lasciando la guancia di Louis fredda e spoglia. "Non riesco a credere che nonostante tutto quello che sia successo i suoi lo porteranno via comunque," disse scuotendo la testa. Harry si allontanò, raddrizzando la schiena per poterlo vedere meglio. Sospirò a sua volta, accettando la sigaretta che Louis gli passò e schiacciando le labbra in una linea sottile.

"Avevi dei dubbi?" domandò ironicamente.

"Purtroppo no," alzò le spalle Louis. "Ma penso di aver sperato in un finale diverso."

"Lo so," lo rassicurò Harry. "Anche io. Niall... c'è sempre stato, sai? Sempre," disse osservando il cielo scuro, desiderando che potesse inglobarli in un solo istante. "Non riesco ad accettare il fatto che se ne andrà davvero. Soprattutto quando non è quello che vuole."

"È quello che ha detto Alice," mormorò improvvisamente Louis, facendo voltare il riccio. "Ha detto... ha detto che se fosse stata una sua scelta, allora – beh. Le sarebbe ovviamente dispiaciuto. Ma l'avrebbe accettato," spiegò schiacciando le labbra tra loro. "Ma dal momento in cui i sui genitori lo stanno obbligando... no. No, non vuole accettarlo," continuò scuotendo la testa. "Ma è Alice. È testarda," sorrise tra sé e sé. "Adesso è da Zayn. Ricordi?" chiese lanciandogli una veloce occhiata, ed il minore annuì.

Alice era andata da Zayn pochi giorni dopo il ricovero di Niall. Louis aveva chiamato l'amico, mettendolo al corrente della situazione e spiegandogli che, molto probabilmente, la minore delle sorelle avrebbe avuto bisogno di un po' di tempo lontano da tutto e tutti. Così era stato, e Zayn l'aveva accolta nella propria casa con piacere, come aveva sempre fatto, promettendo di riportarla a casa nel giro di un paio di settimane.

Harry non riusciva a fare a meno di pensarci.

"Pensi che... voglio dire – pensi che starà bene?" domandò quindi preoccupato. Un brivido lo scosse fino alle estremità delle dita quando vide Louis alzare lentamente le spalle.

"Non lo so," sospirò combattuto. "Sai, per gli attacchi di panico e tutto il resto," disse alzando tristemente le sopracciglia. Harry annuì, prendendo un ultimo tiro dalla propria sigaretta prima di lanciarla lontano. "Almeno Niall è fuori pericolo," constatò improvvisamente.

"Vero," si ritrovò d'accordo il minore. "Stupido idiota," sbuffò scuotendo la testa.

La verità, era che Harry sapeva che non poteva davvero arrabbiarsi con Niall. Non quando si era comportato allo stesso modo per anni. Non quando il suo passatempo era staato quello di spaccarsi il naso sulla cocaina fino a non capire più niente. Non quando non si ricordava nemmeno la metà delle feste alle quali era stato a causa di tutto l'alcol e di tutta la droga che aveva assunto. Non quando, anche lui, era finito in ospedale dopo essersi intossicato a tal punto da perdere i sensi. E sapeva che per aver evitato coma o overdose doveva sicuramente essere stato graziato da qualsiasi cosa avesse silenziosamente e sporadicamente vegliato su di lui. 

Eppure.

Eppure Niall era finito all'ospedale, e quando era stato trovato era in fin di vita. Si era spinto troppo oltre, e la verità era che Harry non riusciva a fare a meno di essere furioso a riguardo. Aveva ingenuamente pensato che qualsiasi persona a lui vicina avrebbe attentamente evitato di trovarsi in situazioni del genere, sapendo benissimo e avendo vissuto in prima persona il modo in cui le sostanze l'avevano ridotto. E pensare che, tra tutti, fosse stato proprio Niall quello a finire nei guai, non aveva fatto altro che tormentare il suo sonno da settimane.

Dopo essersi svegliato, il biondo era riuscito a parlare da solo con Greg, che era stato in grado di procurargli un telefono all'insaputa dei loro genitori. Aveva contattato Harry e Alice, e loro l'avevano subito chiamato. A detta di Niall, la ragazza dai capelli mori non aveva fatto altro che piangere e urlare fino all'ultimo respiro, sgridandolo e imprecando ogni insulto esistente, per poi calmarsi e ripete quanto fosse grata che stesse bene. Harry gli aveva chiesto quando si sarebbero potuti vedere, ma Niall era sicuro che i suoi genitori avrebbero fatto in modo di chiuderlo in casa fino al giorno del trasloco.

Erano passate due settimane dalla sua dimissione dall'ospedale, ed il biondo si sarebbe dovuto trasferire ad Oxford nel giro di pochi giorni.

Nulla avrebbe potuto impedire ai ragazzi di raggiungerlo al college, lo sapevano. Eppure, l'idea che partisse senza prima vederli, che non potessero aiutarlo a preparare gli scatoloni pieni di tutte quelle stronzate che si sarebbe sicuramente portato appresso e che non potessero salutarsi un'ultima volta sul ciglio della strada, di fronte al camion dei traslochi, rammaricava il cuore di ognuno dei membri del gruppo.

Non sarebbe mai stata Doncaster senza Niall.

"Pensi che ci sia ancora una speranza?" domandò improvvisamente Louis, risvegliando Harry dai suoi pensieri. Si voltò in sua direzione, scoprendolo intento ad osservarlo teneramente. Ancora prima che il minore potesse rispondere, il castano alzò una mano per accarezzare il suo viso, coprendogli la guancia con il palmo caldo.

"Non lo so," sussurrò Harry perdendosi nei suoi occhi. "I suoi genitori dovrebbero sparire."

"O lui dovrebbe scappare."

"E molto probabilmente noi con lui."

"Già," commentò Louis schiacciando le labbra in una linea sottile. Sospirò rumorosamente, per poi scuotere la testa. "Perché i nostri genitori ci hanno rovinato la vita?" chiese sottovoce, tristemente, nonostante il minore sapesse che non glielo stesse domandando direttamente. Era sicuro che si trattasse più di una preghiera disperata che di un dubbio, uno di quei gridi rivolti al cielo, pieni di rabbia e lacrime e sangue. Uno di quei gridi che graffiano la gola per giorni, e che echeggiano fino al confine del mondo, per poi spegnersi nel silenzio.

Scosse la testa.

"Vorrei saperlo anche io," si ritrovò a rispondere. Guardandolo attentamente, il castano sospirò nuovamente, prima di accennare un sorriso vuoto, indicando la finestra alle loro spalle con un cenno del capo.

"Rientriamo? Hm?" disse accarezzando la sua guancia con il pollice. "Proviamo a dormire un po'?" gli propose inclinando la testa da un lato. Harry arricciò le labbra e annuì leggermente.

"Sì," mormorò. "Ascoltiamo un po' di musica, prima?"

"Certo," rispose Louis sorridendo dolcemente, per poi di avvicinarsi per far collidere le loro labbra un'ultima volta, alzandosi subito dopo ed aiutandolo a rientrare.

Una volta nel letto, con le coperte dimenticate sul pavimento e i cuscini ormai freddi a causa dell'aria scivolata all'interno della stanza dalla finestra, Harry si fece piccolo al fianco del maggiore. Fece scivolare una mano intorno ai suoi fianchi, appoggiando la testa sul suo petto, mentre Louis circondò le sue spalle con il braccio, attirandolo a sé come fossero fatti dell'unica cosa. Il minore strinse i pugni intorno al tessuto della maglietta profumata del castano, mentre questi depositò dolci baci silenziosi tra i suoi ricci nel tentativo di rassicurarlo e cullarlo fino ad un sonno sereno.

Le cuffiette suonarono Idle Town finché entrambi non si addormentarono stringendosi l'un l'altro.

-

"Questa libreria puzza di muffa."

"Louis."

"Che c'è? È vero," commentò il castano incrociando le braccia al petto e scostando i ciuffi spettinati dalla fronte con un movimento del capo, alzando lo sguardo in direzione degli scaffali pieni fino all'orlo di volumi impolverati. Al suo fianco, Harry scosse la testa arricciando timidamente le labbra.

"È proprio un posto da Elle," disse appoggiando le mani sui fianchi. Louis lanciò un'occhiata in sua direzione.

"Sei già venuto altre volte?"

"Hmhm," rispose il minore annuendo. "E devo ammettere che mi abbia affascinato subito."

"Cosa? La puzza di muffa?"

"Oh mio dio, sei così fastidioso," brontolò Harry ridacchiando e alzando gli occhi al cielo, prima di colpirlo sulla spalla e voltarsi, schiacciando un sorriso quando lo sentì lamentarsi alle proprie spalle. "Quando finisce il turno?" disse girando l'angolo per osservare Elle dietro al bancone, intenta a servire un cliente. Aveva i lunghi capelli rossi raccolti in una coda alta, le guance rosa e le labbra cordialmente arricciate verso l'alto, dolci ed educate. Salutò la signora che aveva appena comprato un paio di libri porgendole un sacchetto di cartone e congiungendo le mani per ringraziarla, per poi tornare ad occuparsi della cassa. Louis raggiunse il fianco di Harry e la osservò a sua volta.

"Uhm," mormorò sfilando il cellulare dalla tasca dei pantaloni per controllare l'orario. "In teoria – adesso?" constatò alzando nuovamente lo sguardo, solo per vederla sfilarsi il grembiule per appenderlo ad un gancio alle proprie spalle. Il riccio ricambiò quando la vide sorridere nella loro direzione.

"Vado a prendere la borsa e vi raggiungo!" disse alzando un mano e sparendo dietro ad una piccola porticina di fianco al bancone, così i ragazzi uscirono dal negozio. Louis sfilò una Marlboro dal pacchetto, passandola ad Harry, prima di prenderne una seconda per sé.

"Zayn ed Alice?" chiese il minore quando il castano gli accese la sigaretta incastrando la propria tra le labbra. Si corrucciò concentrato prima di sbuffare la solita nebbiolina di fumo.

"Dovrebbero tornare questa sera. Non so con esattezza a che ora," spiegò alzando le spalle. "Tu rimani a dormire, vero?"

"Avevo una scelta?" domandò Harry inarcando il sopracciglio e sogghignando tra sé e sé.

"No, in effetti no," sorrise Louis a sua volta dondolandosi sui talloni. Il minore lo osservò farsi stranamente serio, i lineamenti silenziosi e le sopracciglia corrucciate, le guance scavate intorno al filtro della Marlboro. "Sai qualcosa di Liam?" chiese poi, ed Harry trattenne un respiro strozzato.

La verità era che Liam era sparito da alcuni giorni. Nulla di allarmante, i ragazzi sapevano dove trovarlo e, soprattutto, erano a conoscenza del motivo per il quale aveva dovuto abbandonare Doncaster, solo per alcuni giorni, per assicurarsi che le cose non andassero a complicarsi.

In seguito all'aggressione di Harry di così tanti mesi prima, Liam era riuscito a scendere a patti con Sean, il capo del giro di spaccio nel quale avevano lavorato insieme a Niall. Con l'aiuto di Zayn, l'uomo aveva garantito a Liam che non sarebbe più stato un problema, e che non aveva alcuna intenzione di mettersi contro alle varie, misteriose conoscenze dal ragazzo dai capelli corvini. Dopo aver comunicato il trasferimento di Niall a Londra, Liam aveva deciso di abbandonare a sua volta il giro. Nonostante fosse più che certo che non avrebbe avuto problemi a riguardo, aveva comunque preferito abbandonare Doncaster per assicurarsi che filasse tutto liscio. Zayn controllava il panorama generale, e aveva promesso di metterlo al corrente di qualsiasi particolare risultasse poco convincente.

"Niente," rispose quindi Harry alzando le spalle, e Louis annuì tra sé e sé. "L'unica cosa che so è che Zayn gli ha detto di evitare di tornare per un po'," aggiunse subito dopo. "Per precauzione."

"Pft," fu tutto ciò che il castano riuscì a rispondere. "Dopo quello che hanno fatto a te? Dio," sbuffò scuotendo la testa. "Grazieranno Niall solo perché hanno paura della sua famiglia. Liam farebbe decisamente meglio a rimanere ovunque si sia nascosto," rifletté a voce alta, ed Harry sospirò tristemente.

"Odio il fatto che tu abbia ragione," rispose velocemente, voltandosi poi in direzione della porta d'ingresso del negozio quando Elle uscì, raggiungendoli e fermandosi di fronte a loro.

Si era sciolta i lunghi capelli rossi, facendoli cadere sulle spalle senza peso, come fossero fatti di dolci sospiri color fiamma. Aveva gli occhi blu stanchi e le palpebre scure, segno che avesse faticato a dormire, nell'ultimo periodo. Eppure Harry non poté non illuminarsi a sua volta quando la vide sorridere, sempre così tranquilla e brillante, vivace ed energica. La osservò quando fece cenno al fratello di passare una sigaretta anche a lei e, una volta l'ebbe accesa, espirò il fumo inclinando la testa all'indietro, come avesse appena goduto della pietanza più prelibata e il sapore avesse pervaso i suoi sensi. Nel momento in cui i suoi occhi parvero riaprirsi lentamente, il riccio aspettò le sue parole pendendo dalle sue labbra.

"Avete notizie di Niall?" fu quello che disse.

Così in contrasto con la sua persona ed i suoi movimenti. Harry si chiese se fosse una particolarità comune a tutti i Tomlinson. Ne fu ancora più convinto quando vide Louis scuotere la testa e sbuffare leggermente, lanciando lontano la sigaretta ormai terminata.

"Niente," rispose. "Harry si tiene in contatto con Greg, ma nemmeno lui è riuscito a dire molto."

"Quando dovrebbe partire?" domandò la ragazza voltandosi verso il riccio, lo sguardo visibilmente scosso e triste, ma sempre attento, sempre sotto controllo.

"Tra due o tre giorni," spiegò alzando le spalle. "Nemmeno Greg era sicuro."

"È meglio che ci sappia dire qualcosa per tempo," si ritrovò a mormorare Elle incrociando le braccia e cominciando ad incamminarsi in direzione della fila di taxi parcheggiati lungo il ciglio della strada. "Non ho intenzione di lasciarlo partire senza prima averlo salutato," continuò accennando un sorriso triste. Quando si voltò, dando le spalle ai ragazzi, il maggiore sospirò appena.

"Vorrei poter avere metà della sua sicurezza," disse sottovoce, ed Harry annuì.

"Anche io, Louis," sussurrò il riccio, quasi più a se stesso che al castano al suo fianco. "Anche io."

-

Arrivarono a casa Tomlinson a bordo del primo taxi libero che fu disposto a portarli ai colli, scendendo dall'auto in silenzio e facendo scivolare i piedi fino al cancello, strisciando la suola delle scarpe sulla ghiaia scaldata dal sole e alzando la polvere leggera che si andò a depositare sulla punta delle scarpe.

"Questo mal di testa mi sta uccidendo," ringhiò improvvisamente Louis portandosi le mani alle tempie e schiacciando le dita sulla pelle fino a rendere i polpastrelli di un bianco inquietante. Elle inserì le chiavi nella serratura del portone principale, mentre Harry sfiorò dolcemente la spalla del castano.

"Perché non vai a riposarti un po'?" gli propose. "Io ed Elle possiamo pensare alla cena. Ti vengo a chiamare prima che arrivino Zayn ed Alice, sì?" disse ancora inclinando dolcemente la testa, e Louis sorrise con gli occhi chiusi e il capo chino.

"Va bene," rispose teneramente. "Mi vieni a svegliare tu?" domandò facendogli l'occhiolino. Harry ridacchiò silenziosamente, ed Elle si voltò puntando la chiave in loro direzione dopo aver aperto la porta.

"Non con me in salone, ragazzi," disse seria. "Non con me in salone."

Risero tutti di gusto, entrando all'interno della casa e sfilandosi le scarpe per evitare di sporcare i pavimenti immacolati. Come previsto, Alfred se n'era andato una manciata di giorni prima, ed ora avrebbero avuto la villa a loro completa disposizione per un paio di settimane.

Si vedeva quando loro padre se ne andava, pensò Harry.

I muri sembravano stranamente meno bianchi ed opprimenti, i soffitti più alti e spaziosi. I pavimenti erano puliti e splendenti, ma mai imponenti. Alle volte, quando Alfred era a casa, sembrava quasi che fossero stati creati su misura per intimidire chiunque mettesse piede all'interno della sua dimora. Sempre lindi, sembravano quasi uno specchio disposto in modo tale da obbligare il visitatore a rivedersi nelle mattonelle, trovando terribilmente fuori luogo il proprio riflesso. Eppure ora le loro scarpe giacevano serene nei pressi del portone, e nessun particolare sembrava aver intenzione di metterli a disagio. Nemmeno l'enorme scalinata dal corrimano intricato aveva l'aria di voler sembrare così raffinatamente indisponente. Quando Louis cominciò a salire i primi gradini per raggiungere la propria stanza, ad Harry non parvero altro che normalissime scale.

"Vuoi qualcosa da bere?" domandò Elle distraendolo dai suoi pensieri. Il riccio si voltò di scatto verso di lei, annuendo con un sorriso timido. La ragazza ricambiò  e si allontanò in direzione della cucina, mentre Harry fece scivolare nuovamente lo sguardo sulla figura di Louis, ora in cima alla scalinata. Arricciò dolcemente le labbra quando lo vide voltarsi velocemente per mandargli un bacio, ricambiando e dirigendosi verso il salone.

Prese posto su uno dei tanti divani, sfilando il pacchetto di Marlboro dalla tasca dei pantaloni e prendendo una sigaretta per sé, preparandone una seconda per Elle ed appoggiandola al tavolino da caffè. Sorrise ancora di più quando la vide arrivare con un vassoio dorato, due bicchieri dalle decorazioni elaborate colmi fino all'orlo di quella che sembrò essere coca-cola perfettamente in equilibrio, uno spicchio di limone incastrato sul bordo, il ghiaccio tintinnante all'interno del cristallo finissimo.

"Che servizio," scherzò Harry inarcando un sopracciglio, piacevolmente sorpreso.

"Questo è il minimo per te, mio riccio amico," sorrise Elle a sua volta, appoggiando il vassoio e prendendo la sigaretta offertagli dal ragazzo, ringraziandolo con un veloce bacio sulla guancia. Si sedette al suo fianco, piegando aggraziatamente le gambe da un lato ed appoggiando il gomito sullo schienale del divano, il viso dolcemente rilassato sul palmo della mano. Con il calice e la sigaretta stretti fra le dita sottili, Elle sembrava l'incarnazione vivente di un dipinto antico di secoli.

"Dov'è Timmy?" domandò prendendo a sua volta il bicchiere ed espirando la sottile nebbiolina di fumo. La ragazza dai lunghi capelli rossi sospirò dolcemente.

"Turno serale," spiegò brevemente. "Dovrebbe finire intorno alle due di notte. Gli ho detto di venire qui non appena finisce di lavorare," continuò prendendo un sorso. Harry annuì tra sé e sé.

"Lui cosa pensa della situazione?"

"Parli di Niall?" chiese Elle, ed il riccio annuì. Scosse la testa sbuffando pensierosa. "Ovviamente gli dispiace, come a tutti noi. Credo sia anche leggermente frustrato. Vorrebbe fare qualcosa, ma... non lo so. Reputo che sia pressoché impossibile," disse tristemente, facendo correre la punta del dito indice sul bordo del calice, percorrendo la sagoma del limone quando bloccava il passaggio. Alzò le spalle quasi senza accorgersene. "Sai com'è, Timmy."

"Completamente pazzo?"

"Esattamente," ridacchiò lei. "Non lo so, Harry. Mi sembra di essere arriva alla fine del libro. Come se mi mancassero solo poche pagine, ma avessi ancora tante domande. Troppe. Come se sapessi che non avrò mai la risposta che cerco," disse tra sé e sé. "Ed ora che ho quasi finito... non sono sicura di essere soddisfatta."

Fu una metafora così tanto da Elle che, solo per un istante, il riccio si sentì quasi sorridere senza nemmeno potersi controllare. Eppure capì quanto avesse ragione, quanto, in realtà, le sue parole avessero un peso completamente diverso dall'apparenza. Perché aveva ragione. Aveva ragione ed Harry lo sapeva. Perché Niall stava per partire contro la sua volontà, e loro, i suoi amici, non avrebbero potuto fare niente per aiutarlo. Perché era stato male e non erano riusciti ad impedirlo. Perché Alice avrebbe sofferto, e perché tutti temevano ciò che avrebbe comportato.

Perché Harry avrebbe perso il suo migliore amico.

"Capisco quello che dici," disse quindi chinando il capo. "Vorrei... non lo so neanche io," si ritrovò a mormorare, completamente sconfitto. "Vorrei ricominciare tutto da capo."

"Lo faresti davvero?" domandò Elle prendendolo alla sprovvista. Quando alzò lo sguardo in direzione della ragazza, trovò sul suo viso lacrime che non sarebbero mai state versate, le labbra contorte, le guance scavate, bui solchi di stanchezza intorno ai grandi occhi blu. Quando scosse la testa, gli parve quasi che le sue iridi fossero fatte di vetro. "Perché ci ho pensato, sai? A come sarebbe se potessi ricominciare tutto. Se potessi cambiare le cose che – beh. Che non sono andate come avrebbero dovuto," continuò fissando il liquido scuro all'interno del calice. "E chiamami egoista, perché saprei di esserlo, ma..." si perse, ed Harry si sentì ancora di più divorato dal suo sguardo. "A volte penso che, forse... forse le cose dovevano andare così," aggiunse poi. Alzò nuovamente le spalle. "Forse non sarei qui con te, se cambiassi le cose. E questo non lo vorrei."

"Penso," disse Harry bloccandosi immediatamente, ascoltando uno ad uno i pensieri che scivolarono nella sua mente come gocce d'acqua su un vetro appannato. "Penso che ne abbiamo tutti passate tante. E... non lo so. Molto probabilmente sarebbe stato tutto più semplice se avessimo avuto una famiglia diversa. Se non avessimo dovuto affrontare tutto quello che abbiamo affrontato e se non ci fossimo fatti forti di conseguenza," rifletté. Si lasciò sfuggire una risatina ironica, sospirando delicatamente. "Ma non avremmo mai avuto quello che abbiamo oggi," concluse, ed Elle sorrise a sua volta.

"Ma il tuo difetto non fu mai di sapere poco della vita, bensì di saperne troppo," pronunciò solennemente, chinando il capo imbarazzata quando Harry la guardò affascinato. "Oscar Wilde," chiarì immediatamente. "È una citazione di una lettera che ha scritto al suo amante durante la sua incarcerazione. Anche lui ha sofferto. Sofferenze inimmaginabili, Harry," disse scuotendo tristemente la testa. "Eppure... non si pentì mai di aver amato. E non smise certamente di farlo una volta fuori dal carcere."

"E a che scopo?" rispose Harry alzando distrattamente le spalle. "Alice non si pentirà di aver amato Niall, e nemmeno lui, nonostante non potranno vedersi e saranno lontani," pensò a voce alta. "Perché pentirsene? Perché se non si fossero amati non avrebbero sofferto?" chiese retoricamente. "Cazzate," sbuffò subito dopo.

"Sono d'accordo," sorrise Elle. "Forse doveva solo succedere."

"Se le cose fossero andate diversamente," si ritrovò a riflettere il riccio. "Io non abiterei nemmeno in questo schifo di città," confessò schiacciando le labbra in una linea sottile. Si stupì quando vide Elle inclinare il capo da un lato, sorridendo dolcemente.

"Non sarebbe Doncaster senza Harry Styles," disse teneramente, ma il riccio scosse la testa.

"Non lo sarà più senza Niall."

Elle non rispose. Si limitò a picchiettare la punta del dito contro il cristallo, quasi come avesse bisogno di ricordarsi dello scandire del tempo per poter rimanere a contatto con il presente. Guardò Harry senza muoversi, battendo le palpebre per tenere lontane tutte quelle emozioni contrastanti che stavano macchiando le iridi oceano. Si morse il labbro, scuotendo impercettibilmente la testa. Il riccio si chiese a cosa stesse pensando, e desiderò saperlo immediatamente.

Proprio quando Elle schiuse la bocca arrossata per parlare, lo scatto della serratura del portone principale attirò la sua attenzione, bloccandola e facendola voltare in direzione dell'entrata alle sue spalle. Sospirò leggermente, appoggiando il bicchiere al tavolino da caffè e prendendo un tiro dalla sigaretta stretta fra le lunghe dita. Si girò nuovamente, tornando a guardare Harry negli occhi. Sembrò sorridere come per rassicurare entrambi, ma il riccio non poté esserne certo.

"Alice, siamo in salone!" gridò per farsi sentire all'entrata. Harry fumò a sua volta, spegnendo la Marlboro malandata nel posacenere di vetro, appoggiandosi allo schienale e puntando lo sguardo sull'entrata della sala. Elle, al contrario, continuò a dare le spalle all'ingresso e, lanciando una veloce occhiata in sua direzione, il riccio pensò che lo stesse facendo di proposito, come non avesse cuore di vedere la sorella minore sbucare dall'ingresso.

Ben presto, Harry comprese che avrebbe dovuto fare lo stesso.

Perché non vide ciò che avrebbe dovuto.

"Non sono Alice," disse la voce tuonante dell'uomo fermo sulla soglia del salone.

Prima ancora che il riccio potesse pensare a qualsiasi cosa e ricongiungere i pezzi, si ritrovò a sussultare non appena vide l'esile figura di Elle scattare in piedi nel giro di un istante, voltandosi completamente in direzione dell'ingresso e respirando affannosamente. Non ci fu bisogno di tempo per pensare, ed Harry capì immediatamente di chi si trattasse.

Ne fu sicuro quando un debole sospiro abbandonò le labbra di Elle.

"Alfred."

Non appena il nome si sparse per la stanza, permeando l'aria ed i suoi rumori, strisciò fino alla pelle del ragazzo, incendiandola di un fuoco affilato ed obbligandolo ad alzarsi a sua volta, a pochi passi da Elle, lo sguardo fisso sull'uomo di fronte a loro.

L'aveva già visto, una volta. Quando lui e Louis ancora non si parlavano e si limitavano a ferirsi l'un l'altro, giorno dopo giorno. Quando era stato invitato a casa Tomlinson e aveva visto l'uomo uscire di casa e, per non farsi vedere, si era nascosto dietro i rami di una delle siepi nel cortile.

Si ricordò di aver osservato la sua espressione, il suo passo, il suo atteggiamento. Si ricordò di aver pensato a quanto sembrasse burbero e severo, quasi cattivo, arrogante, spavaldo. Si ricordò della smorfia sul suo viso, della cattiveria impressa nel suo sopracciglio, della rabbia racchiusa nel pugno stretto steso lungo i suoi fianchi, di come il completo costoso calzasse alla perfezione le sue spalle ed il suo busto, e di come sembrasse possedere qualsiasi cosa avesse avuto il coraggio di farsi illuminare dalla luce del sole.

Eppure, ora sembrava così diverso.

La cravatta linda e ordinata che avrebbe dovuto rendere il personaggio ancor più terrificante, sedeva ora completamente sfatta, sgualcita e slacciata, un lembo sulla camicia madida fino all'ultimo filo di sudore, una macchia rossastra sul petto, probabilmente di quel vino che non aveva fatto in tempo a raggiungere la sua bocca. Harry pensò che fosse stato a causa della scarsa presa delle sue dita, e ne fu certo quando vide le sue mani tremare senza potersi controllare.

È ubriaco, pensò immediatamente.

Sul suo viso regnava la solita smorfia, un tempo così intimidatoria, ora così brutta e sconfitta, senza alcuna speranza. Le sopracciglia corrucciate rendevano il suo volto tremendo come quello dei mostri nei racconti per bambini, di quelli di cui ci si ricorda anche una volta cresciuti, e che non si smette mai di temere. Aveva gli occhi grandi e sgranati, le pupille minuscole, quasi indistinguibili dalla sclera pallida e, solo per un attimo, sembrarono essere completamente bianchi, come fossero fatti di fumo.

Eppure, esattamente come la prima volta, non fu quello a far rabbrividire Harry.

Perché, nonostante sapesse quanto avrebbero preferito il contrario, Elle ed Alice possedevano aspetti di lui completamente identici. La maggiore delle due aveva i capelli del rosso più vivo, esattamente come Alfred, i ciuffi corti e ora completamente spettinati brillanti come scintille, proprio come quelli di Elle. Ed Alice aveva gli occhi grandi color delle nocciole, la stessa tremenda tonalità presente nelle iridi crudeli di lui. E nonostante lo sguardo della più piccola fosse fatto di sole e di risate e di sarcasmo, Harry non poté fare a meno di riconoscerlo in quello dell'uomo.

E poi c'era Louis.

Ma lui, di Alfred, non possedeva proprio nulla.

Improvvisamente, senza neanche rendersene conto, Harry ripensò alla foto di sua madre. Si chiama Johanna, gli aveva detto il ragazzo. Quella donna bellissima dai capelli mori e lunghi e splendidi, soffici e luminosi, dai grandi occhi blu, profondi e mozzafiato, misteriosi come l'oceano e affascinanti come la notte. Quella donna dal viso morbido e dagli zigomi sporgenti, dal sorriso contagioso, con tutto quell'amore che solcava i suoi lineamenti e colorava la sua pelle di un rosso tenero e dolce.

Louis, al contrario, possedeva ogni cosa di sua madre.

Si chiese se fosse proprio quello il motivo per cui Alfred l'aveva disprezzato, dopo la sua morte. Si chiese se l'avesse in un qualche modo turbato, se gliel'avesse ricordata a tal punto da farglielo detestare. Si chiese se fosse il motivo per il quale aveva cominciato a bere, e per il quale l'aveva aggredito, quella notte di tanti anni fa.

Ritrovandoselo davanti, Harry avrebbe desiderato sparire.

Un calore indescrivibile chiuse la bocca del suo stomaco quando lo vide muoversi lentamente. Si sporse, incrociando direttamente il suo sguardo ed incendiandolo nel giro di un istante. Fece una smorfia raccapricciante, lanciando un'occhiata ad Elle e facendo un cenno del capo per indicarlo.

"E lui chi sarebbe?" domandò, la voce roca e spietata come quella di un assassino. Non riuscì a vederla, ma il riccio poté giurare che le labbra della ragazza di fronte a sé fossero completamente serrate, e che non avessero alcuna intenzione di aprirsi per parlare.

"Sono Harry," disse quindi, ma Alfred nemmeno lo guardò. Sogghignò prepotentemente.

"È il tuo fidanzato?" chiese inarcando un sopracciglio, per niente impressionato.

"Non il mio," rispose lei prendendo coraggio, e lo sguardo di Harry cadde sulle sue spalle, improvvisamente più forti e determinate, pronte a riempire il silenzio e a farla scattare in avanti nel caso ci fosse stato il bisogno. "Perché sei qui?" domandò rimanendo completamente immobile. "Non dovevi essere a Manchester?"

"Pft," fu quello che disse lui. "Il mio cliente si è ammazzato," biascicò barcollando violentemente in avanti, come fosse sul punto di collassare a causa dell'alcol. Si aggrappò saldamente allo stipite dell'entrata del salone, stringendo le dita intorno al legno con così tanta forza da rischiare di incrinarlo. Borbottò parole incomprensibili tra sé e sé, prima di mettere un piede davanti all'altro e dirigersi verso una delle tante poltrone. Dopo quelli che parvero secoli si lasciò cadere a peso morto sui comodi cuscini, rilassando le mani sui braccioli ed accavallando le gambe. Sospirò spostando uno dei ciuffi rossicci dalla fronte sudata. "Figlio di puttana," sibilò violento.

Harry deglutì rumorosamente.

Sembrava così povero, ora, al contrario di tanti mesi prima. Sembrava davvero sull'orlo di un burrone, pericolante e incapace di reggersi in piedi, come se ogni certezza gli fosse crollata sulle spalle tramortendolo prepotentemente. Non aveva un briciolo dell'ombra di rispettabilità ed arroganza che l'avevano tanto contraddistinto l'anno precedente, quando Harry l'aveva visto per la prima volta. 

Ora ricordava un sacco di carne privato di qualsiasi cosa lo rendesse umano.

Il riccio si chiese se questa non fosse la realtà delle cose.

"Quando sei tornato?" domandò Elle fissandolo seria.

"Ovviamente questa sera, tesoro," biascicò lui con la stessa antipatia di un bambino capriccioso. "Sto aspettando che mi riportino le valigie," aggiunse poi massaggiandosi la fronte. Quando fece nuovamente cadere la mano sul bracciolo, l'uomo aprì gli occhi, stabilizzando lo sguardo sui ragazzi di fronte a lui. "Che ne dite di farvi un giro, hm? Vorrei riposare."

"Hai una stanza per quello," azzardò Elle, nessuna espressione sul suo viso. Alfred si raddrizzò all'improvviso, schiacciando i gomiti sulle ginocchia e fissandola con un sogghigno terrificante, un sogghigno che si insinuò sotto gli abiti di Harry facendolo rabbrividire come fosse gelo d'inverno.

"Stai parlando con me?" domandò scandendo ogni parola.

"Con chi dovrei parlare?" ringhiò lei digrignando i denti. Si corrucciò improvvisamente, e l'espressione che calzò il suo viso fu così diversa da quella di soli pochi minuti prima, quando si erano ritrovati lei ed Harry da soli a chiacchierare, che il riccio si sentì debole. La vide scuotere la testa ed il suo respiro si fece corto. "Sei entrato e non hai nemmeno chiesto dove fossero Louis ed Alice."

Quando ebbe finito di parlare, Alfred scoppiò improvvisamente a ridere, genuinamente divertito, battendo le mani sulle gambe e alzandosi in piedi di scatto, coprendosi il volto con le mani come cercasse di calmarsi. Passo dopo passo, si fece più vicino alla figlia, che tentò di indietreggiare, ma fu costretta a fermarsi quando il divano alle sue spalle bloccò il suo cammino.

"Tesoro," disse lui quando le fu di fronte e si fu finalmente ripreso. Appoggiò le mani alle sue spalle con un tonfo, ed Elle trasalì, inspirando violentemente e stringendo le palpebre. "Non me ne frega un cazzo," fu quello che disse.

Ed Harry non riuscì più a controllarsi.

"La lasci in pace," disse avvicinandosi e stringendo le dita intorno al polso della ragazza. "Adesso ce ne andiamo, okay? La lasciamo riposare," tentò di farlo ragionare. Pensò che avrebbe funzionato. In fondo, sapeva come gestire le persone ubriache a tal punto da diventare violente. Eppure Alfred non lasciò la presa, limitandosi a voltare il capo in direzione del ragazzo per poter far affondare lo sguardo nella sua carne, dilaniandola come una bestia.

"Tu ti devi farti gli affari tuoi," disse facendosi improvvisamente serio, il macabro sogghigno ormai un lontano ricordo. Serrò la bocca sovrappensiero, cominciando ad annuire impercettibilmente tra sé e sé. "Non il suo ragazzo, eh? Fammi indovinare," disse leccandosi il labbro inferiore come farebbe una serpe. "Sei troppo silenzioso per essere la dolce metà di Alice. Immagino che non mi rimangano molte atre opzioni, hm?" continuò insistentemente, ed ogni sillaba, ogni lettera pesò sul cuore di Harry con tanta forza da riempirlo di crepe poco a poco.

Come poteva anche solo pensare a Louis in quel modo?

"Alfred –"

"No, Elle," la bloccò lui. "Dimmi. Harry," sibilò il suo nome fino a distruggerlo. Ed il ragazzo non avrebbe voluto pensare a suo padre. Non avrebbe voluto risentire lo stesso tono di voce e lo stesso modo in cui una semplice parola veniva incrinata, obbligata a piegarsi al suolo come schiava di un sospiro. Eppure non poté trattenere una smorfia crudele. "Ti scopi mio figlio?"

Harry ne ebbe abbastanza.

"Ce ne stiamo andando, okay? La lasciamo in pace."

"No, no," lo interruppe Alfred spostando velocemente una mano dalla spalla di Elle al braccio di lui, serrando la presa intorno al suo polso con così tanta forza da farlo sussultare. "Rispondimi. Ti scopi quel frocio di mio figlio?"

"BASTA!" gridò Elle improvvisamente, con così tanta forza che la sua voce tuonò per tutto il salone, arrivando a spettinare i capelli dell'uomo ancora di più. Harry lo osservò stringere gli occhi violentemente, voltandosi nuovamente in direzione della figlia, così dannatamente lentamente da fargli desiderare di urlare di terrore.

"Non puoi parlarmi così."

"Altrimenti?" lo minacciò lei alzando il mento. "Altrimenti cosa fai?"

E forse non avrebbe dovuto chiederlo.

Perché Alfred le tirò uno schiaffo in pieno viso con così tanta forza che la ragazza cadde all'indietro, a peso morto sul divano, la guancia già arrossata, i capelli sparsi sul viso e la bocca spalancata dalla paura.

"EHI!" gridò allora Harry, attirando l'attenzione dell'uomo. Incapace di controllarsi, il riccio serrò il pugno con tutta la rabbia che era scivolata negli ultimi minuti sulla pelle gelida, scagliandolo in direzione del volto dell'uomo e colpendolo sul naso, catapultandolo all'indietro. Lo fissò cadere al suolo, dove prese a rantolare terribilmente stringendosi il viso. Un brivido di piacere scorse nelle sue vene quando vide un rigolo di sangue scivolare tra le fessure delle dita arrossate. "Elle, andiamo via," disse appoggiando le mani sulle sue spalle per provare ad aiutarla a mettersi in piedi.

Tremante, la ragazza si strinse intorno ai suoi polsi, dandosi la spinta necessaria ed alzandosi in piedi. Il riccio la prese subito per i fianchi, sorreggendola immediatamente e senza pensare a nulla che non fosse abbandonare la stanza il prima possibile. Inspirò profondamente quando vide una singola lacrima abbandonare i suoi grandi occhi blu, e si morse violentemente il labbro inferiore quando la sentì sospirare, la voce traballante, incerta ed instabile.

"Non l'aveva mai fatto prima," sussurrò quasi più a se stessa che ad Harry. "Non mi aveva mai colpito."

"È completamente fuori di sé," tentò di rassicurarla il riccio. "Andiamo via, okay? Potete stare da me," continuò, fermandosi soltanto una volta che raggiunsero l'enorme atrio silenzioso. Elle si staccò lentamente dalla presa dell'amico, avvicinandosi al corrimano delle scale e stringendo le dita intorno al legno laccato.

"LOUIS!" gridò più forte che poté, nel tentativo di farsi sentire dal fratello. "SCENDI, LOUIS!" urlò ancora, questa volta cominciando a piangere seriamente, la schiena curva e i brividi completamente visibili, liberi e veloci lungo la sua spina dorsale. Si aggrappò con ancora più forza al corrimano. "LOUIS!" tentò di nuovo, ma niente.

"Lo vado a chiamare io," disse Harry immediatamente, consapevole che la ragazza non sarebbe riuscita a salire le scale in tempo. Aspettò un qualsiasi segnale da parte sua, ma quando Elle spostò lo sguardo per incrociare il suo, i suoi si fecero grandi come crateri, concentrandosi su un particolare indefinito alle sue spalle.

"HARRY!"

Fece giusto in tempo a voltarsi per riconoscere la figura di Alfred correre in sua direzione, le braccia spalancate e un ringhio feroce incastonato come gemme crudelmente preziose sulle sue labbra. Per un solo istante, poté giurare di scoprire zanne insanguinate al posto dei denti, e una lingua biforcuta pronta a tagliare la sua gola.

Gli fu addosso ancora prima che potesse reagire.

Sebbene ubriaco, l'uomo riuscì a stringere Harry nella sua presa, ribaltandolo contro il gelido pavimento di marmo e costringendolo a terra, sedendosi sul suo bacino e bloccandolo al suolo. Il ragazzo portò le braccia in avanti, pronto ad afferrare i suoi polsi, deciso a fermare la sua furia, ma Alfred sembrava non volersi dare per vinto.

Il sangue che scivolava da suo naso sgocciolò fino al viso del ragazzo, macchiandolo senza pietà.

"COME OSI?!" gridò violentemente con tutta l'aria nei suoi polmoni, riuscendo a divincolarsi dalla presa di Harry e colpendolo sullo zigomo.

L'urto lo fece rimbalzare contro il marmo, ed il respiro si fece improvvisamente corto.

"TU NON SAI CHI SONO IO!" gridò ancora, come se avesse desiderato far crollare il soffitto su di loro. Fu cattivo, spietato, così crudelmente violento che il ragazzo desiderò piangere. Si parò il volto nel disperato tentativo di placare i suoi colpi, ma invano. Alfred riuscì ad oltrepassare la barriera e a ferirlo di nuovo, una seconda volta, poi una terza.

Fu sicuro che il suo naso avesse preso a sanguinare quando sentì il sapore del ferro scivolare fino alle sue labbra, poi nella sua bocca, pizzicando la lingua e obbligandolo a tossire.

"SMETTILA!" tentò Elle, ma quando si avvinò a loro per cercare di fermali, l'uomo la spinse con forza, facendola cadere all'indietro a sua volta. Sembrò non preoccuparsene eccessivamente, tornando, al contrario, ad avventarsi su Harry. Nonostante fosse ancora bloccato al suolo, Alfred era stato distratto, e questo diede al ragazzo tempo a sufficienza perché potesse riprendersi. Lo afferrò per le spalle, spingendolo contro il pavimento e ribaltandolo completamente, finendo su di lui e provando a bloccarlo.

Quando l'uomo gridò ferocemente, Harry rivide suo padre.

"FERMATI!" urlò tuonando, ma la voce tremò comunque.

Non era più Alfred, non è così?

Questo era Des.

"TU NON SEI NESSUNO!" gridò lui di nuovo, stringendosi intorno al ragazzo e scaraventandolo al suo fianco, bloccandolo ancora Salì di peso su di lui, immobilizzandolo completamente, per poi avvicinarsi pericolosamente al suo viso. "Non lo vuoi vedere un uomo da vicino?" ringhiò ad un palmo di distanza, come volesse mostrargli di cosa fosse davvero capace. Lo colpì di nuovo quando si allontanò, con abbastanza forza da obbligarlo a stringere le palpebre. La vista si fece offuscata, ed Harry soffocò un rantolo. Si riscoprì incapace di muoversi, la testa dolorante, le spalle immobili.

Tutt'un tratto, però, smise di colpirlo.

Si limitò a far scivolare le lunga dita crudeli intorno al suo collo, stringendo la presa e rubandogli ogni sospiro.

Completamente senza forze, il riccio tentò comunque di stringere i suoi polsi, poi le sue braccia, affondando i polpastrelli e le unghie nella carne fino a farlo rantolare dal dolore, ma Alfred non si staccò. Continuò a soffocarlo, ed Harry sentì il proprio viso farsi di fuoco, rosso come la lava, come il sole ustionante. Prima ancora che potesse rendersene conto, le sue dita cominciarono a farsi gelide intorno alla figura dell'uomo, sempre più deboli.

Non respirava.

Combatté contro la necessità di chiudere gli occhi.

Quando cominciò a non vedere altro che nero, Harry perse ogni forza.

Louis, fu quello che pensò.

Perché era sempre Louis.

Però chiuse gli occhi.

E si chiese se avrebbe sentito dolore.

Poi, improvvisamente, un rumore metallico svegliò i suoi pensieri.

Subito dopo, un tonfo secco.

E aria.

Si sollevò da terra di scatto, ora libero da ogni ostacolo, portandosi le mani al collo e cominciando a tossire senza controllo, stringendo le palpebre e inspirando così violentemente che ogni sospiro parve ferirlo come mille coltelli. Tossì ancora, e ancora, e respirò tutta l'aria che gli era mancata per quelle che erano sembrate ore.

Quando trovò la forza di aprire gli occhi, il corpo di Harry si fece gelido come la morte.

Davanti a lui, in mezzo all'atrio, il corpo di Alfred giaceva privo di sensi sul marmo silenzioso, le braccia distese e addormentate. Al suo fianco, a pochi passi di distanza, Louis stava ansimando crudelmente, il viso contorto nella più triste e disperata delle smorfie, le sopracciglia corrucciate, gli occhi grandi e spenti carichi di lacrime, il ringhio in posa, le vene lungo le braccia forti sporgenti e pulsanti, la statura decisa.

Nella mano destra, stringeva una lampada capovolta.

Ed Harry non ci mise molto a capire cosa fosse successo.

Louis l'aveva colpito, non è vero?

Quando tentò di mettersi in piedi, desiderando allontanarsi, cadde all'indietro e si ritrovò a sbattere contro il mobile alle proprie spalle. Si aggrappò al legno freddo per reggersi in equilibrio, non badando ai quadri e alle decorazioni che caddero a causa dei suoi movimenti scomposti. Respirò più affannosamente quando le suole delle scarpe continuarono a scivolare sul pavimento lucido, minacciandolo di costringerlo a terra una seconda volta.

"Lou..." tentò per attirare la sua attenzione, ma il castano non si mosse. Poco lontano, in direzione delle scale, Elle sedeva a terra, le mani a coprire la bocca, gli occhi sgranati e le lacrime straripanti. Confuso, il riccio spostò nuovamente lo sguardo su Alfred, e solo in quel momento capì.

Un sottile rigolo di sangue aveva cominciato ad espandersi sul marmo, partendo dalla base della testa dell'uomo. Respirava ancora, il petto in costante movimento, quasi come stesse tentando di riprendersi per tornare all'attacco.

Eppure sanguinava.

Harry lo fissò terrorizzato, incapace di fare altro se non sussultare ad ogni secondo, riuscendo finalmente a reggersi in piedi, senza però azzardarsi a staccare la presa dal mobile che l'aveva tenuto in equilibrio fino a quel momento. La testa non smise mai di girare, e perfide macchie nere continuarono ad offuscare la sua vista.

"Non ho avuto scelta," disse improvvisamente Louis. Quando il riccio spostò lo sguardo su di lui, lo vide indietreggiare mortificato, facendo scivolare dalle proprie dita la lampada ammaccata, che cadde al suolo con un rumore secco. Si portò le mani ai capelli, tirandoli con forza. "Non ho avuto scelta," ripeté in preda al panico. "Ti stava uccidendo," mormorò distante.

"Louis," fu pronto Harry, che si diede una spinta per poter avvicinarsi a lui. Ma il maggiore sembrava aver perso il senno, e continuò ad indietreggiare persino quando il riccio riuscì a sfiorare il più dolcemente possibile le sue spalle.

'Non lo vuoi vedere un uomo da vicino?', era quello che aveva ringhiato Alfred prima di colpirlo.

Si chiese se fosse proprio ciò a cui aveva appena assistito.

"Ti stava uccidendo," ripeté Louis senza controllo.

"Non l'ha fatto, okay? Mi hai salvato," disse tentando di accennare un mezzo sorriso, nonostante le lacrime minacciassero di sciogliere il suo volto. "Okay, Lou? Mi hai salvato la vita," ripeté rafforzando la presa sulle sue spalle, stringendole teneramente e cercando di farlo calmare. "Hai fatto l'unica cosa che avrebbe potuto fermarlo," continuò, e la sua voce si fece più sottile quando Louis riuscì finalmente a ricambiare lo sguardo. Il minore spostò le dita soffici dalle sue spalle alle sue guance. "Hai capito?"

"Non ho avuto scelta," ripeté disperatamente, ed il suo viso si contorse, così come il cuore di Harry. La prima cosa che pensò di fare fu quella di attirare il maggiore a sé, riparandolo tra le proprie braccia.

Fu quello che fece.

Lo strinse contro il proprio petto, circondando i suoi fianchi e facendo sparire una mano nei suoi capelli per accarezzarli dolcemente, tentando con ogni fibra del suo essere di tranquillizzarlo. Baciò la sua tempia amorevolmente quando lo sentì tremare contro il proprio corpo.

"Lo so," sussurrò. "Lo so, Lou. Starà bene, okay?" continuò, spostando poi lo sguardo sulla figura di Elle. "Ora chiamiamo un'ambulanza, va bene?" disse, facendo subito cenno alla ragazza di prendere il cellulare dalla tasca dei propri pantaloni. Lei annuì velocemente, facendo quanto richiesto. "Chiamiamo un'ambulanza e ce ne andiamo di qua."

"Sono in linea," borbottò Elle con il telefono premuto contro l'orecchio. Harry la vide masticarsi nervosamente le unghie, le lacrime a sgorgare silenziosamente dai grandi occhi blu. Non riuscì a capire a cosa stesse pensando nemmeno quando lei lo guardò come volesse affondare nella sua anima. "999, sono Elle Tomlinson," disse immediatamente quando l'operatore rispose alla chiamata.

"Lou?" sussurrò Harry attirando l'attenzione del maggiore, facendo scivolare le mani sul suo viso e guardandolo attentamente, lasciando che la ragazza gestisse la telefonata. "Lou, hai capito cosa ti ho detto?" chiese ancora, ma il castano non sembrò voler rispondere.

Al contrario, avvicinò le dita tremanti al collo del minore, sul quale si stavano ora andando a formare le impronte violacee delle mani dell'uomo che l'aveva strangolato. Fece scorrere i polpastrelli sui lividi ora evidenti, trattenendo un sospiro addolorato.

"Ho capito," disse in un sussurro. "Il problema –" mormorò soffocando in una triste risata ironica, la più tremenda che il riccio avesse mai avuto il coraggio di sentire. "Il problema è che penso di aver voluto ucciderlo davvero."

Ed Harry avrebbe mentito se avesse detto di non averlo capito.

Non disse niente. Si limitò a stringerlo di nuovo e, questa volta, Louis lo strinse a sua volta, risvegliandosi da qualsiasi panico avesse incatenato i suoi arti fino a quel momento. Fece scivolare le mani sotto il tessuto della sua maglietta, nascondendo le dita contro la pelle bollente della schiena del minore, che si ritrovò a schiacciare il viso nell'incavo della sua spalla.

Respirò il suo profumo, dimenticandosi di ogni cosa.

Persino in quel momento, ci furono solo loro.

"Sta arrivando l'ambulanza," disse Elle chiudendo la telefonata e rimettendo il cellulare in tasca. Si voltò in direzione dei ragazzi, che si staccarono lentamente, senza però smettere di stringere l'uno la mano dell'altro. Quando incrociarono lo sguardo della ragazza, lei si asciugò le guance bagnate dalle lacrime. "Propongo di prendere le nostre cose e chiamare Zayn, potremmo –"

Si bloccò.

Perché la serratura del portone principale scattò per la seconda volta quella sera.

Ad entrare, però, fu Alice.

Si bloccò sulla soglia dell'entrata, facendosi subito pallida.

Il silenzio che seguì divorò il blu negli occhi di Louis.

"Cosa cazzo..." sussurrò quasi senza farsi sentire. "Cosa cazzo è successo?" biascicò con gli occhi spalancati, facendo cadere lo sguardo sul corpo privo di sensi di Alfred, ancora steso sul pavimento in marmo.

Quando Harry fu sul punto di aprir bocca, dicendole che avrebbero dovuto a sparire da lì, la porta si spalancò di più e, alle spalle di Alice, fece la sua entrata Zayn, le chiavi della propria auto ancora tra le mani, i capelli corvini spettinati e un unico ciuffo solitario a cadere sulla sua fronte.

Non disse niente.

Si limitò ad osservare la scena, per poi alzare lo sguardo su Louis.

"Via di qui," fu quello che disse. "In fretta."

Non ci fu bisogno di aggiungere altro.

Quella notte, Zayn diede istruzione ai fratelli di preparare un borsone con il minimo indispensabile, suggerendo ad Harry di far sparire qualsiasi cosa potesse essere riconducibile a lui. Una volta fatto quando indicato, Alice ed Elle si diressero a passo svelto in direzione dell'uscita, senza mai guardarsi all'indietro. La ragazza dai lunghi capelli rossi sembrava essersi ripresa dopo l'arrivo della sorella, e fu organizzata ed attenta. Harry aiutò Louis il più velocemente possibile, scendendo le scale di corsa e raggiungendo il cortile, correndo fino all'enorme cancello, oltre il quale li aspettava Zayn con la sua macchina, le ragazze già a bordo.

Fu tutto molto svelto. Non si presero nemmeno un istante per ripensare agli eventi della serata, forse sperando di non farlo affatto, forse perché, molto semplicemente, le cose non sarebbero potute andare diversamente. Perché Harry aveva tentato di aiutare Elle e Louis non aveva fatto altro che salvare la vita al minore quando Alfred era stato sul punto di strangolarlo.

L'unico pensiero fu quello di sparire il prima possibile. Avrebbero cercato una soluzione una volta al sicuro, una volta lontani.

E nonostante tutto il panico e tutta la fretta, Louis si bloccò davanti al cancello scuro, voltandosi verso la villa un'ultima volta.

"Louis?" lo chiamò Harry, ma il maggiore non rispose. Lanciò un'occhiata in direzione dell'auto, facendo cenno a Zayn di aspettarli pazientemente, indietreggiando e cominciando ad avvicinarsi al ragazzo dagli occhi blu, ancora fermo sul sentiero di ghiaia. "Louis?" ripeté quando gli fu di fianco. "Tutto okay?" domandò.

Il castano sospirò, annuendo impercettibilmente. Abbassò il capo, portando la propria mano intorno a quella di Harry e alzandola per baciarne dolcemente il dorso, stringendola subito dopo. Sorrise quando incrociò il suo sguardo.

"Sono solo contento che tu stia bene," disse con occhi tristi.

Harry arricciò debolmente le labbra a sua volta, avvicinandosi quanto bastava per schiacciare un bacio sulla sua tempia. Sperò, in cuor suo, che quel gesto potesse mettere a tacere i fantasmi che avevano cominciato a bisbigliare negli angoli della mente del maggiore.

Poi, semplicemente, se ne andarono, chiedendosi se avrebbero mai più rivisto casa Tomlinson.

Sempre che avessero mai potuto chiamarla casa.

-

S

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