BITE [in revisione]

By leavesofwilde

90.2K 3.8K 3.6K

Harry Styles ha deciso che la vita non ha piรน alcuna importanza. Rinnega le emozioni, concedendo tutto se ste... More

Prologo
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
14
15
16
17
18
19
20
21
22
23
24
25
26
28
29
30
Epilogo

27

1.9K 83 31
By leavesofwilde

Mother – John Lennon
-
Harry affronta il passato.

Harry non aveva ricordi davvero felici della sua infanzia. Non quando era stato costretto a trasferirsi e suo padre era diventato un alcolizzato violento. Non quando se n'era andato con un'altra donna, non quando sua madre l'aveva abbandonato. Non quando a soli tredici anni aveva cominciato a fumare ed ubriacarsi, e non quando era caduto nel mondo della cocaina al liceo. Non aveva ricordi davvero felici perché, semplicemente, erano stati trasportati lontano, come una trave di legno in un mare in tempesta, che viene lentamente portata via, in balia della corrosione e delle onde crudeli, che la divorano, la ribaltano, la rendono polvere.

Eppure, nel tremendo caos del passato, Harry aveva una memoria piacevole.

Al suo quinto compleanno, sua madre gli aveva regalato una piccola bicicletta. Una di quelle adatte ai bambini, con tanto di rotelle e di nastri appesi ai manubri. Al posto del campanellino aveva un piccolo coniglietto di gomma, che squittiva se premuto. La vernice era di un azzurro acceso, brillante, che lo faceva sorridere al solo pensiero. I nastri erano dorati e i manubri morbidi come mani calde.

Durante l'estate, quando le strade erano soleggiate e serene, Harry pregava sua madre di accompagnarlo fuori, tirandole il lembo della maglietta o picchiettando il suo fianco finché lei non si voltava, sorridendo dolcemente e dicendogli che – sì. L'avrebbe accompagnato fuori. Lo portava al piano di sopra, obbligandolo ad indossare ginocchiere e casco, nonostante al bambino non piacesse. Diceva che non avrebbero fatto altro che ostacolarlo, ma Anne sorrideva, sfiorandogli la punta del naso e portandolo in strada, stringendo la piccola manina paffuta.

Quando saliva sulla bicicletta, Harry si sentiva leggero come una piuma.

Sua madre stringeva il retro del sellino per aiutarlo a muoversi, spingendolo in avanti ed incitandolo a pedalare, sempre più veloce, sempre più sicuro. Quando Harry riusciva finalmente a trovare l'equilibrio, sua madre lo lasciava andare, incrociando le braccia al petto e sorridendo nel vedere il bambino sfrecciare lontano. Solitamente non si rendeva nemmeno conto che Anne l'avesse lasciato andare, realizzandolo solo una volta fermo, quando si voltava per dirle: "Hai visto, mamma?" ridacchiando allegramente.

Poi però Harry crebbe.

La bicicletta divenne troppo piccola per lui.

E sua madre cominciò lentamente a svanire dalla sua vita.

All'inizio soffrì. Soffrì per tutte le carezze mancate, per i sorrisi persi, per gli sguardi d'intesa dimenticati e per tutte le volte che era stato costretto ad addormentarsi da solo. Soffrì per i racconti che non poté mai farle, per le esperienze che non condivise mai, per il fatto che fosse stato costretto a crescere troppo in fretta e lei non fosse riuscita a far parte del suo presente. Soffrì perché non poté mai aiutarla, perché Harry, ormai, non aveva più nulla da fare. Soffrì perché sua madre smise di considerarlo, come se – beh.

Come se non esistesse.

Fu quando il riccio lo capì che cominciò a disprezzarla. Si chiese se avesse bisogno di tramutare tutto l'amore che aveva provato in passato in un sentimento altrettanto forte, ma non capiva come o in che cosa. In fondo, Harry aveva imparato a distaccarsi a tal punto da non sentire più nulla.

Però Anne l'aveva abbandonato. Se l'era lasciato alle spalle come nulla fosse, senza nemmeno ripensarci. L'aveva deluso così tanto che non sarebbe nemmeno mai stato in grado di quantificare il dolore nel suo petto. L'aveva ferito a tal punto da cominciare a pensare di non meritarsi nulla di buono nella vita e, in particolare, l'amore.

E forse Louis ebbe ragione, quando pensò che il riccio si fosse appena trovato davanti ad un ricordo che non avrebbe dovuto vedere.

Perché Anne prendeva la forma del suo male.

Eppure, ora era lì, ed Harry era pietrificato.

"Mamma," mormorò con voce tremante. Fu come se, nel suo corpo, si fosse improvvisamente rotta una vena, ed il sangue ne fosse colato fuori a fiotti, scaldando qualsiasi cosa incrociasse il suo cammino, arrivando fino ad ogni estremità ed immobilizzandola completamente. Lo sentì arrivare al viso, alle guance, alle labbra, che si schiusero come boccioli vermigli, ed infine agli occhi, spezzandoli, incrinandoli, obbligandoli a chiudersi nel disperato tentativo di poter allontanare dalla vista qualsiasi ricordo troppo doloroso per essere assimilato.

Al suo fianco, Louis reagì allo stesso modo. Scoprì di non poter muoversi quando sentì le forze abbandonare i suoi arti, ma il suo braccio non si spostò mai dal ventre del riccio, ancora teso, nel disperato tentativo di proteggerlo. Batté le palpebre velocemente, incapace di comprendere cosa stesse succedendo e, soprattutto, per quale motivo.

Perché se quello che Harry gli aveva raccontato era vero, sua madre sarebbe dovuta essere ovunque, fuorché lì.

"Ciao," sibilò la donna accennando un triste sorriso, arricciando le labbra in maniera così soffice che il minore sentì il proprio cuore farsi piccolo, fino a sparire. Chiuse gli occhi un istante, prendendo un lungo sospiro, le braccia ancora saldamente incrociate sul petto, come stesse cercando di tenere insieme i pezzi, altrimenti prossimi ad una violenta caduta in direzione del suolo. Mosse una mano solo per scostare i lunghi capelli scuri dietro l'orecchio, imbarazzata, mortificata, dondolandosi su se stessa.

"Cosa ci fai qui?" domandò Harry con voce così sottile da perdersi nell'aria.

"Io..." cominciò lei, avanzando di un passo, ma il riccio indietreggiò, schiacciandosi contro la porta dell'ingresso. Senza nemmeno rendersene conto, Louis fece lo stesso, spostandosi per ripararlo ancora di più. Anne sospirò ancora, rumorosamente, chinando il capo e rialzandolo subito dopo con uno scatto, sorridendo al meglio delle sue capacità. "Volevo vederti," fu quello che disse.

"Stronzate," soffiò Harry, acido, cattivo, impassibile, come se la faccenda non lo sfiorasse neanche lontanamente. "Cosa vuoi? Perché sei venuta?" domandò quindi, cominciando a respirare affannosamente, dilatando le narici e schiacciando le unghie nei palmi delle mani, ora chiuse in un pugno saldo e silenzioso. Lei scosse la testa, schiacciando le labbra in una linea sottile.

"Mi ha chiamato l'ospedale, due mesi fa," spiegò. Harry alzò le spalle.

"E allora?"

"Mi hanno detto che sei stato aggredito."

"Per quale motivo avrebbero chiamato te?" domandò improvvisamente Louis, confondendo Anne, che si voltò in sua direzione, osservandolo con lo sguardo più vuoto che il castano avesse mai visto. Alzò un sopracciglio, inclinando il capo da un lato e battendo velocemente le palpebre. "C'eravamo noi in ospedale con lui," disse secco. "C'ero io," disse ancora, tendendo le spalle e la schiena a tal punto da temere di potersi spezzare in due.

"Avevano l'obbligo di chiamare un genitore," tentò lei, spiegandosi. "Non è stata una mia scelta."

"Questo migliora le cose," sputò Harry sarcastico, scuotendo la testa e alzando gli occhi al cielo, sorridendo di un ghigno così ironico e malefico che, nonostante Louis non potesse vederlo, se lo sentì sulla pelle, strisciante come una biscia, appiccicoso come il suo veleno.

"Sai che non è quello che intendevo dire," disse lei facendo cadere le braccia lungo i fianchi.

"Lo so?" disse lui ironicamente, incrociando le braccia e fissandola con gli occhi spalancati. "Dimmi, come potrei esserne sicuro?"

"Harry –"

"No," la bloccò lui. "Rispondimi e basta. Perché sei qui?" domandò ancora, questa volta con più decisione, avanzando di un passo. Cominciò a scuotere la testa quasi convulsivamente, senza mai smettere di sogghignare. "Dimmi, ti ascolto," continuò sfilandosi la giacca, lanciandola sul divano con così tanta forza da farla sussultare. "Hai forse bisogno di soldi?" chiese incrociando nuovamente le braccia. "O forse, fammi pensare... cibo? Un letto? Un posto in cui stare?"

"No, Harry, io –"

"Oppure – no. No, non credo che tu sia qui perché ti senti sola," disse con una smorfia, la peggiore che la donna avesse mai visto. Per un istante, un solo, dannatissimo istante, rivide negli occhi di Harry l'espressione di suo padre. "Preferiresti che il mondo si dimenticasse di te, piuttosto che stare con me."

"Smettila!" esclamò improvvisamente lei, facendolo tacere. "Smettila di aggredirmi!" continuò con voce così triste e sconfitta che persino il cuore di Louis si sciolse, sparendo lontano. I due continuarono a fissarsi, senza pronunciare una parola, preferendo parlarsi con gli sguardi, divorandosi vivi ed osservandosi l'un l'altro sanguinare fino a svenire.

Era la prima volta che Louis vedeva Harry così. O forse – no. Forse l'aveva già visto ribellarsi contro il mondo. Forse l'aveva già visto digrignare i denti come fosse una belva pronta a strangolare la sua preda. Forse l'aveva già visto obbligarsi a chiudere gli occhi per non osservare la realtà in volto, temendo di non poter sopportarla. Pensandoci, fu ovvio. L'aveva visto il giorno in cui avevano litigato, dopo l'incidente e, più recentemente, nel periodo della sua ricaduta. Sapeva cosa succedeva perché, semplicemente, l'aveva visto accadere con i propri occhi.

Harry si chiudeva in se stesso fino a svanire, e non perché fosse una sua scelta. No, affatto. Harry si chiudeva perché non aveva idea di come affrontare le proprie emozioni e le proprie reazioni. Si chiudeva perché non aveva ancora imparato a conoscersi, e la sola idea di sbandare, abbandonando il percorso sicuro che aveva costruito nel corso degli anni, lo spaventava a tal punto da annullarlo, così, come una folata di vento che trascina con sé le foglie, separandole dal loro letto d'erba.

Per questo motivo sospirò.

"Qual è la vera ragione?" domandò improvvisamente, facendo scattare gli occhi di lei su di sé, mentre Harry si voltava sopraffatto. "Qual è la vera ragione per cui sei qui?" chiese ancora, infilando le mani nelle tasche della propria giacca, incapace persino di pensare di toglierla a causa del caldo presente all'interno della casa. "Sono sicuro che sia quello che Harry ha bisogno di sapere," aggiunse poi, spostando velocemente lo sguardo in sua direzione. La donna sospirò ancora, chinando il capo e battendo tristemente le palpebre, quasi come stesse cercando di far sparire il mondo davanti ai suoi occhi.

"Io..."

"Penso che abbiate bisogno di parlare. Con calma," constatò Louis guardando i due. "Vi lascio soli."

"No!" esclamò Harry corrucciandosi. Ma Louis si fece dolce, arricciando le labbra quanto bastava per emulare un sorriso di rassicurazione, avvicinandosi a lui e sfiorando la sua mano, coccolandone il palmo con la punta delle dita.

Sapeva di star facendo la cosa giusta. Perché Harry faceva fatica, e non avrebbe mai smesso. Questa era la triste realtà delle cose, ma Louis poteva aiutarlo. Poteva essere la sua ancora di salvezza e sicurezza, ma, per farlo, doveva lasciargli spazio a sufficienza per poter pensare e trovarsi a proprio agio con le sue emozioni e le sue sensazioni. Non poteva permettersi di influenzare la sua vita in nessun modo. Non poteva permettersi di annullare i suoi pensieri.

In fondo, l'Harry che amava era quello che aveva deciso di accettare se stesso e la vita.

"Va tutto bene," disse quindi, tranquillo. "Sarò di sopra, per qualsiasi cosa. Okay?" domandò infine, inclinando il capo da un lato e scaldando il cuore del riccio, che annuì lentamente.

"Okay," mormorò, quasi come servisse più a sé che al maggiore.

"Okay," ripeté lui facendogli l'occhiolino. Si voltò un'ultima volta in direzione di Anne, stringendo le labbra in una linea sottile e rivolgendole un veloce cenno del capo, prima di voltarsi per raggiungere le scale e salire al piano superiore. Schiacciò i piedi contro il pavimento freddo, raggiungendo la stanza di Harry, entrando lentamente. Avvicinò appena la porta, quanto bastava per fare in modo che i due potessero sentirla cigolare, ma non chiudersi. Sapeva, in cuor suo, che questo avrebbe rassicurato l'animo del minore.

Così fu.

Quando Louis sparì dalla stanza, Harry si ritrovò ad affrontare un senso di solitudine mai provato prima. E per quanto ne fosse terrorizzato, non fu negativo e, soprattutto, non gli fece desiderare di sparire come nebbia finissima. Al contrario, fu una solitudine forte, le cui basi fecero in modo che il riccio potesse raddrizzare la schiena, facendosi improvvisamente più alto, più imponente. Rese le spalle più larghe e decise. Fu una solitudine solo apparente, pensò. Perché nonostante non potesse vedere Louis, Harry sapeva che sarebbe stato al suo fianco.

Una sensazione così effimera, ma allo stesso tempo così dolce e rassicurante.

"Posso chiederti un bicchiere d'acqua?" chiese tutt'un tratto Anne, risvegliando il ragazzo dai pensieri caldi e soffici. Batté velocemente le palpebre, voltandosi in sua direzione e abbassando il capo quanto necessario per incrociare il suo sguardo. Schiacciò un sospiro troppo profondo, assottigliando le labbra e annuendo silenziosamente. Fece cenno alla donna di prendere posto sul divano, allontanandosi dal salone per dirigersi in cucina, le mani fredde e le braccia tremanti distese lungo i suoi fianchi. Riempì un bicchiere nel lavabo, tornando nel soggiorno lentamente, concentrato sul tremolio dell'acqua all'interno del cristallo.

"Tieni," mormorò posandolo sul tavolino da caffè. Anne accennò un sorriso.

"Grazie," sussurrò con un filo di voce, portando il bicchiere alle labbra e sorseggiando in silenzio, come temesse di disturbare il riccio. Con la coda dell'occhio, lo vide sedersi sulla poltrona, divaricando le gambe e schiacciando i gomiti sulle ginocchia, unendo le mani e fissandole come se al loro interno potesse trovare la risposta ad ogni domanda mai posta.

"Allora," cominciò lui mordendosi il labbro inferiore. Anne sussultò appena, colta alla sprovvista, appoggiando il bicchiere sul tavolo e sfregandosi la bocca con la manica del maglioncino che indossava. Infilò le mani tra le proprie cosce, come volesse nasconderle, lasciando che i capelli corvini cadessero sul suo viso senza tregua. Quando Harry alzò lo sguardo, la donna si fece piccola come una formica. "Ti lascerò parlare," disse lui, schiacciandosi contro lo schienale della poltrona, esausto. "Immagino che ci sia una spiegazione dietro la tua visita improvvisa."

"Sì," azzardò lei prima che potesse continuare. "Ovviamente c'è."

"Allora dimmi," disse lui alzando le spalle. "Ti ascolto."

Ci fu un momento, solo per alcuni secondi, durante il quale ad Harry parve di non aver mai visto sua madre prima di quel giorno. Come fossero stati separati alla nascita e non sapesse che aspetto avesse o come suonasse la sua voce. Come fosse un'estranea, una sconosciuta, un'ombra perenne nella sua mente, presente durante tutto il corso della sua vita. E se quelli erano i pensieri di Harry, Anne non era da meno. Perché suo figlio era cresciuto, ed era diverso dal giorno in cui l'aveva lasciato. Perché era più alto e più bello e più grande, ed i suoi ricci erano più ordinati rispetto a come li ricordasse, la sua voce più profonda, le sue gambe più snelle. Non poteva neanche fare a meno di notare di come si fosse seduto nella vecchia poltrona, proprio come faceva suo padre.

Si chiese se sarebbe stato altrettanto spietato.

"Harry," disse scuotendo la testa lievemente, passandosi una mano tra i lunghi capelli scuri. "Non so neanche da dove cominciare."

"Non devi farlo," disse lui battendo velocemente le palpebre. "L'unica cosa che mi interessa sapere è perché sei qui oggi," disse corrucciandosi prepotentemente, bloccando il respiro della donna nella sua gola. "Risparmiami le scuse. Non me ne farei nulla."

"Non è stata una decisione impulsiva, Harry," controbatté.

"Vuoi dire come il giorno in cui sei tornata ad Holmes Chapel?" domandò inarcando un sopracciglio. La donna sospirò, chiudendo gli occhi e tentando di fare ordine nei mille pensieri urlanti e confusi. Quando fu pronta, schiacciò le labbra in una linea sottile, focalizzando lo sguardo sul figlio – sempre che lo fosse ancora.

"So che quello che ho da dire non cambierà le cose," disse facendosi improvvisamente seria. "Non sono una stupida. E non sono nemmeno convinta che possa in un qualche modo sistemare il disastro che ho combinato," continuò accavallando le gambe e sporgendosi in sua direzione. "Ma tu hai il diritto di sapere. Te lo devo," disse alzando le spalle. "Questo è l'unico motivo."

Ed era vero, non è così? Anne doveva una spiegazione ad Harry da quasi tre anni. Non aveva mai saputo la vera motivazione per la quale sua madre aveva deciso di andarsene, dal momento in cui, apparentemente, suo padre non era stata l'unica ragione. Qualsiasi cosa fosse, Anne aveva il diritto di parlarne, ed Harry di essere messo al corrente della situazione.

"Okay," sospirò quindi. Alzò nuovamente le spalle. "Okay."

"Okay," ripeté lei, come stesse tentando di mettersi a proprio agio. "Io... Io non avrei mai voluto –" si bloccò, alzando lo sguardo in direzione del soffitto, in balia delle emozioni e della confusione. Scosse la testa. "Io non avrei mai voluto fare quello che ho fatto. Ho sbagliato, lo so. Non pretendo che tu accetti le mie scuse," disse guardandolo tristemente. "Non avrebbe senso."

"Corretto," affermò lui incrociando le braccia.

"Esattamente," mormorò lei alzando le sopracciglia. "Ma... dopo che tuo padre se n'è andato, io... non lo so, Harry," continuò fissando qualsiasi cosa fuorché suo figlio. "Io non ero più io. Non c'ero più. Non c'ero più da anni. E sono sicura che tu questo già lo sappia," tentò guardandolo per un istante. Quando lo vide annuire quasi impercettibilmente, schiacciò le labbra, rassegnata. "Non avrebbe avuto senso rimanere. A che scopo? Solo per farti soffrire ancora di più?"

"Avresti potuto portarmi con te," disse lui acido. "Non fare la vittima. Tu sei stata crudele tanto quanto lui," sputò con una smorfia cucita sul viso, sentendo le proprie guance arrossarsi e le proprie mani tremare per la rabbia. Quando Anne abbassò lo sguardo, Harry fece fatica a compatirla.

"Lo so," sussurrò allora. "Lo so. Hai ragione. Non sono stata migliore di lui, anzi," si lasciò sfuggire una risata ironica e contorta, quasi raccapricciante. "Dio. Forse sono stata anche peggio," continuò scuotendo la testa. "Ma me ne rendo conto. E mi dispiace. Ho sbagliato e me ne pento. Non passa un giorno senza che io non ci pensi. Ma... questo non importa, adesso," disse guardandolo come fosse in attesa di una risposta che, però, non sarebbe mai arrivata. "Ho agito d'impulso. Soffrivo e dovevo andarmene. E tu..." l'osservò a lungo prima di sospirare appena. "Tu mi ricordavi troppo ogni cosa."

"Questo già lo so," disse lui. "Esattamente come tu lo ricordavi a me. Ma io non ti ho abbandonata," continuò, tingendo le proprie labbra di un ghigno furioso e ferito, un ghigno che l'avrebbe protetto da un mare di lacrime troppo vecchie per essere versate. "E forse tu l'hai fatto ancora prima di tornare ad Holmes Chapel. Quando sei sparita dalla mia vita all'improvviso. Persino nelle piccole cose. Quando hai smesso di parlarmi e hai cominciato a disprezzarmi."

"Però tu ci sei sempre stato."

"Esattamente."

"Ma nemmeno tu eri più tu," disse lei e, quando Harry notò i suoi occhi farsi lucidi, sentì il proprio cuore perforarsi delle spine più affilate.

"Oh, no," sogghignò cattivo, come un cane con la coda in mezzo alle gambe. "Io ero completamente fottuto. Sai, dalla cocaina e tutte le stronzate sulle quali mi sono lanciato a peso morto per dimenticare tutta la merda con cui avrei dovuto aver a che fare una volta tornato a casa."

"Non pensavo fosse così grave."

"Cosa, la droga?" domandò lui inarcando un sopracciglio. Timidamente, Anne annuì, ed Harry si lasciò sfuggire una risata sorpresa. "Dio," scosse la testa passandosi una mano tra i capelli. "È stata grave dal primo giorno," disse allibito. "Non c'era bisogno che diventasse una dipendenza, sai? Il solo fatto che io l'abbia reputata una soluzione dovrebbe farti accapponare la pelle."

"Io non –" si bloccò ancora, la voce spezzata in una gola in fiamme. "Io non avevo idea."

"Lo so," la bloccò lui schiacciando le labbra in una linea sottile. "Nessuno ha mai avuto idea. Ma non è di questo che voglio parlare," disse incrociando nuovamente le braccia. "Ora non è più un problema," pensò a voce alta, chinando il capo e sospirando profondamente. "Sto meglio."

"Davvero?" domandò Anne, incapace di trattenere un sorriso. Harry annuì.

"Sì... sì, ora sto meglio."

"È la cosa importante," tentò lei, guardandolo dolcemente. "Mi dispiace così tanto. E so che non ha senso dirtelo ora, ma... sono sincera. Mi dispiace davvero. E se potessi tornare indietro cambierei ogni cosa," tentò sporgendosi ancora di più. "Spero che te ne renda conto," lo pregò fissandolo attentamente. Il riccio alzò le spalle.

"Non mi hai ancora risposto," disse cambiando argomento. Alzò lo sguardo, concentrandolo in quello della donna così improvvisamente che, nel momento in cui le iridi verdi sembrarono entrare in collisione, entrambi sentirono una scarica gelida risvegliare i loro corpi. Harry rabbrividì, stringendo le braccia ancora di più ed inclinando il capo da un lato. "Perché sei qui? Non credo che sia solo per chiedermi scusa."

"No, è vero," confermò lei, spostandosi le ciocche corvine dal viso. "Un paio di mesi fa ho ricevuto una chiamata dall'ospedale di Doncaster. Mi dissero che eri stato aggredito," si spiegò. Scosse la testa. "Cos'è successo?"

"Quello che ti hanno detto," disse lui secco.

"Sì, ma per quale motivo?"

"È una lunga storia. Al momento non ci interessa," disse spostando lo sguardo altrove, fissandolo sui vari particolari del salone. Per un istante, gli parve di sentire il rumore delle assi di legno cigolare al piano di sopra. "Ti hanno chiamata perché avevano l'obbligo di avvisare un genitore, quindi," domandò indirettamente. Anne annuì.

"Sì. Mi dissero cosa ti era successo e cos'avevi. Io..." cominciò, perdendosi sul viso del proprio figlio. "Mi sono sentita così impotente. E so che la cosa non riguardava me. Nemmeno lontanamente. Eppure... ho pensato a come potrebbero essere state diverse le cose, se solo..." si bloccò ancora, scuotendo la testa. "Se solo non avessi combinato un disastro."

"Fortunatamente non ho avuto bisogno di nessun aiuto," controbatté Harry senza nemmeno guardarla, unendo le mani tra loro ed osservandole distrattamente. "C'erano i miei amici con me. C'era Louis," si ritrovò a mormorare, il cuore improvvisamente coccolato da un'ondata di calore. Non poté vederla, ma Anne sorrise.

"Louis. Si chiama così," disse tra sé e sé. "È un bel nome. È il tuo ragazzo?" domandò teneramente. Ed Harry avrebbe voluto risponderle male, avrebbe voluto dirle di non impicciarsi, che non fossero affari suoi, eppure. Perché quando si parlava di Louis, il riccio non poteva fare altro se non addolcirsi. 

Ovviamente. Lui lo amava.

"Sì," annuì quindi. "Sì, stiamo insieme."

"E sei felice?" chiese ancora la donna, arricciando le labbra. Harry annuì di nuovo.

"Più di quanto immaginassi," si ritrovò a rispondere.

Fu strano, ammetterlo ad alta voce. E non perché non ci credesse o non fosse convinto. No, Harry sapeva fin troppo bene cosa provava, e aveva accettato le emozioni nel suo petto come si accetta un giorno di pioggia, quando, invece che rattristarsi per le nuvole, si apprezza il suono delle gocce che si infrangono contro i pannelli di vetro delle finestre. Quello che sembrò coglierlo alla sprovvista, infatti, fu come le sensazioni di quel momento fossero contrastanti tra loro. Da un lato, Harry pensò a Louis, buono e innamorato, al piano di sopra, pronto a sostenerlo ed ascoltarlo. Invece, proprio lì, di fronte a lui, sua madre, una delle persone che più l'aveva ferito.

Come fossero il bianco e il nero, il giorno e la notte.

Harry si chiese se fossero nate per non essere mai separate, bensì per far parte di un'unica cosa, insieme, nello stesso momento.

"Mi fa davvero piacere," mormorò dolcemente la donna, risvegliando il riccio dai propri pensieri. "So che non ho alcun diritto di dirtelo, ma... te lo meriti. Ti meriti di essere felice," fu quello che disse, lasciando Harry senza parole. Si morse l'interno della guancia, incerto, intimorito, chinando il capo e torturando i lembi della propria maglietta.

"Ti ringrazio," disse quindi con un filo di voce, ma non osò aggiungere altro. La donna sorrise di nuovo, per poi sospirare.

"Me l'avevano detto. I medici. Mi avevano detto che non eri da solo."

"Ti hanno detto altro?" domandò lui senza mai alzare lo sguardo.

"Sì," annuì tra sé e sé. "Che ti saresti rimesso, ma che era stato un brutto incidente. Il polmone e le contusioni... io non sapevo cosa dire," mormorò scuotendo la testa. "Quando ho chiesto se avessi bisogno mi hanno detto che i tuoi amici non ti avevano lasciato nemmeno un istante," sorrise tristemente. Lo guardò a lungo, forse sperando che il ragazzo ricambiasse il suo sguardo, e sospirò quando capì che non l'avrebbe fatto. "Ho pensato che sarebbe stato egoista da parte mia ripresentarmi, così all'improvviso," spiegò schiacciando le labbra in una linea sottile. "Non credo fosse quello di cui avevi bisogno."

"Forse no," rispose Harry, tirando un filo fuori posto dalla cucitura della maglietta, spezzandolo con un gesto secco. "Non sapevo nemmeno ti avessero chiamata. Non mi sarei comunque aspettato una visita," disse inarcando un sopracciglio. Quando alzò il capo, la sua bocca si trasformò in un sorriso ironico e ferito, di chi non ha alcuna intenzione di esprimere cosa sta pensando realmente. "Eppure eccoti qui."

"Avrei dovuto avvisarti, lo so," disse lei portandosi una mano al petto. "Ma se l'avessi fatto tu non mi avresti mai dato la possibilità di spiegarmi," spiegò, ma quando lo vide inspirare profondamente, spalancando gli occhi e alzando le sopracciglia, la donna lo bloccò. "Non fare quella faccia. So che è così."

"Non lo nego."

"Qualsiasi cosa avessi deciso di fare sarebbe stata comunque quella sbagliata, non è vero?" domandò sarcastica, rilassandosi contro lo schienale del divano. Harry alzò le spalle.

"Forse."

"Forse," ripeté lei. "Ma come ti ho già detto, non sono qui per pretendere che tu accetti le mie scuse o capisca le mie motivazioni. Credimi, al posto tuo non lo farei nemmeno io."

"Su questo siamo d'accordo," rispose lui schiacciando le labbra. "Quello che non capisco è perché adesso. Perché così. Per quale motivo ti sei presentata a casa mia?" domandò scuotendo la testa. "Voglio dire," cominciò bloccandosi, cercando di fare ordine nei mille pensieri, ora confusi come due soffi di fumo che, incrociandosi, si arricciano fino al cielo, sparendo nel nulla. "Tu te ne sei andata. Non ti sei mai più fatta sentire. Non capisco per quale motivo avresti improvvisamente deciso di spuntare fuori dal nulla," pensò a voce alta. Per la prima volta in quella sera, Harry parve stranamente vulnerabile, più del solito. Più onesto.

Sua madre lo capì dal colore dei suoi occhi.

"Perché sto meglio. E... immagino di essere un'egoista a tutti gli effetti, non è così?" ridacchiò tristemente tra sé e sé. "Ma le cose sono cambiate. E non pensavo che tu avessi intenzione di rivedermi –"

"Precisamente."

"Non pensavo che tu avessi intenzione di rivedermi," ripeté lei guardandolo seccata. "Ma... Ricevere quella chiamata ha cambiato le cose. Ho pensato... non lo so. Che forse avrei potuto fare qualcosa, in un qualche modo."

"E sentiamo," disse lui incrociando le braccia. "Cos'avresti potuto fare?" domandò. Lei scosse la testa, chinando il capo.

"Essere una persona diversa," fu quello che rispose, spegnendo le parole nascoste tra le pieghe delle labbra del ragazzo, mettendo a tacere il suo sguardo e colorando le sue guance del rosso più triste. Alzò le spalle, passandosi una mano tra i capelli. "Ma non si può tornare indietro. Vedi," cominciò, spostando lo sguardo su un punto indefinito alle spalle del figlio. "A Holmes Chapel ho avuto la possibilità di ricominciare da capo. Nuova casa, nuovo lavoro, nuove persone," continuò giocherellando con le maniche del maglione. "E le cose sono andate bene. Davvero."

"Buon per te," mormorò Harry spostandosi per mettersi più comodo. Anne si morse il labbro inferiore.

"Non te lo sto dicendo per infastidirti."

"Non preoccuparti," la rassicurò lui. "Non ha alcuna influenza su quello che penso."

"Mi dispiace," ripeté lei.

"L'hai già detto."

"Ma ho bisogno che tu lo capisca davvero," insistette inclinando il capo da un lato. "Non ho potuto fare nulla per te. Mai. Nemmeno quando ne avevi davvero bisogno. Al contrario, ho deciso di lasciarti da solo. E ho sbagliato. Non mi importa se non mi credi, Harry," disse più seria. "È la verità, indipendentemente dal fatto che tu ne sia convinto o meno."

"Okay," tagliò corto lui.

"Harry..." mormorò rassegnata la donna. "Io voglio aiutarti."

"Come?" la incalzò il ragazzo. "Avanti. Dimmi. Sono curioso."

"Ho dei soldi. Dei soldi che potrebbero aiutarti."

"Ah!" esclamò lui ridendo ironicamente. "Dei soldi! Solo perché così potrai rinfacciarmelo in futuro? No, grazie."

"Ascoltami, per una volta," disse schiacciando le palpebre, come fosse spazientita. L'unica reazione che riuscì ad ottenere fu un sospiro esausto. Scosse la testa, chinando il capo. "Ma non capisci? Non ho pensato neanche per un istante che qualsiasi cosa potessi fare aggiustasse le cose. Neanche nei miei sogni più remoti. So cos'ho fatto, e me ne pento. E soprattutto capisco il tuo rancore nei miei confronti."

"Sai," disse lui sfiorandosi il mento, come perso nei suoi pensieri. "Non sono neanche sicuro di poterlo chiamare rancore," ammise mordendosi il labbro inferiore. "A volte penso che forse sia stato meglio così. In fondo," mormorò incrociando lo sguardo della donna. "È come hai detto tu. Noi non eravamo più noi."

E fu triste, ma vero. Non potevano mentirsi. Harry non poteva pretendere di essere stato irreparabilmente ferito, e Anne di non aver commesso un errore inaccettabile. E non erano più madre e figlio da anni, nonostante, forse, in cuor loro, entrambi avrebbero desiderato aggiustare le cose. Ma non sarebbe mai stato possibile. Per quel motivo la donna annuì tristemente, schiacciando le labbra e distogliendo lo sguardo.

"È per questo che voglio aiutarti, Harry," confessò la donna, rammaricata, triste. "Mi rendo conto di aver sbagliato. Ma posso fare qualcosa. Ho dei soldi e... a Holmes Chapel ci sarà sempre un posto per te," continuò chinando il capo, mentre il riccio si irrigidì piano piano, sempre di più. "E so che non è giusto piombare nuovamente nella tua vita e pretendere di farne parte, ma –"

"Farne parte?" domandò il ragazzo corrucciandosi. Un calore indescrivibile prese possesso del suo petto, scuotendolo violentemente e prepotentemente, come desiderasse farlo cadere al suolo, inerme. E proprio mentre i battiti del suo cuore acceleravano senza controllo, fu il gelo a controllare i suoi arti, sbriciolandoli in polvere finissima, pronta ad essere trascinata via. "Fare parte della mia vita?" ripeté con un ghigno ferito. "Ti senti quando parli?"

"Harry, per favore –"

"No!" esclamò lui stringendo le dita intorno alle proprie braccia, schiacciando i polpastrelli nella carne e desiderando dilaniarla. "No, Anne. No. È per questo che vuoi darmi i tuoi soldi? Che mi stai proponendo di venire con te ad Holmes Chapel? Hm?" domandò alzando le sopracciglia. "Vuoi aiutarmi così sarò per sempre in debito con te? Pensi che facendo così io tornerò a parlarti e a chiederti di bere un fottutissimo tè insieme?!"

"Harry, ascoltami –"

"NO!" tuonò lui, facendola sussultare per lo spavento. Si lanciò in piedi, urtando il tavolino da caffè con così tanta forza che il bicchiere d'acqua della donna si mosse, rischiando di cadere. Furioso, schiacciò la suola delle scarpe contro il pavimento, stringendo i pugni così violentemente da lasciare il segno delle unghie nei palmi arrossati per il calore. Ansimò rumorosamente, le labbra schiuse, rosa e martoriate, ferite, arrabbiate. "Non puoi farlo," disse con tono più calmo. "Non puoi farlo. Tu... tu mi hai rovinato," sussurrò con la più addolorata delle smorfie.

"Harry," balbettò la donna sottovoce, e lui non la sentì.

"Mi hai rovinato in ogni singola fottutissima cosa," mormorò digrignando i denti. Cominciò a scuotere la testa, come non se ne rendesse conto. "Tu," sputò acido puntandole il dito contro. "Tu hai perso tuo figlio così tanto tempo fa che non sono nemmeno sicuro te lo ricordi. Sai com'era? Hm?" continuò, quando i suoi occhi parvero farsi improvvisamente lucidi, e il viso della donna si contorse nella tristezza. "Gli piaceva andare in bicicletta. E gli piaceva anche la televisione. Ti ricordi? Tutti quei programmi del cazzo in vecchio stile," disse ancora, le lacrime pronte a fuggire dalle palpebre stanche. "Gli piaceva il gelato e gli piaceva andare al parco. E quando è cresciuto gli è cominciata a piacere la musica. I dipinti. La fotografia," la guardò truce, le labbra strette tra loro, come temessero di vomitare più parole del dovuto. "Ma tu questo non puoi saperlo," disse all'improvviso, mentre l'espressione cadeva dal suo volto. "Non puoi saperlo perché non te ne è mai fregato un cazzo."

"Non è vero," disse lei, la voce rotta dal pianto. "Non è vero, Harry."

"E allora qual era il problema?" domandò lui, il viso ora rosso come fuoco, gli occhi piccoli, la prima lacrima libera sulle guance morbide e bollenti. "Dov'eri quando avevo bisogno di te? Quando avevo bisogno di mia madre?!" chiese ancora, i lineamenti addolorati, il suo equilibrio precario, le labbra tremanti, tristi e rassegnate. "Perché?!" mormorò scuotendo la testa. "Perché a me?! Dimmelo!" insistette colpendo il proprio petto con i pugni chiusi e crudeli, ma lei chinò il capo, la schiena percossa dai singhiozzi. "Io..." balbettò subito dopo, alzando lo sguardo e battendo velocemente le palpebre, tentando di impedire alle lacrime di continuare a colorare il suo viso. "Io avevo solo bisogno di te," fu quello che riuscì a sussurrare. Prima ancora che Anne potesse rispondere, Harry si voltò, aumentando il passo in direzione del cortile sul retro e allontanandosi da lei e dal suono del suo pianto. Sbatté la porta finestra con così tanta forza che l'acqua nel bicchiere parve tremare.

Era così ferito. Come se quella visita avesse nuovamente lacerato una ferita ormai rimarginata o, per lo meno, in via di guarigione. Perché aveva già fatto pace con il suo passato, forse non accettandolo, ma tentando di comprenderlo e vivere una vita normale. Non avrebbe avuto senso attaccarvisi come aveva fatto fino a pochi mesi prima, ed ora che sentiva di avercela finalmente fatta, ecco che Anne ripiombava nel suo salone, riportandolo ad un'epoca che avrebbe soltanto voluto dimenticare, pretendendo di aiutarlo senza nemmeno conoscere la persona che fosse diventata.

Era come fare l'elemosina ad uno sconosciuto incrociato per strada.

Ed Harry non era pronto ad accettare la sua pietà.

Per quel motivo si rintanò nel cortile, sedendosi sui gradini e chiudendo il mondo fuori dalla sua realtà. Respirò a bocca aperta, chiudendo le palpebre e lasciando che le ultime lacrime scivolassero indisturbate dai suoi occhi, segnando le guance e ammorbidendole intorno agli zigomi. Quando sembrò essersi calmato, Harry si asciugò il viso con il lembo della manica, sfregando la pelle umida e tirando su col naso, imperturbato. Frugò nelle tasche dei pantaloni per estrarre il pacchetto di Marlboro, accendendosi una sigaretta e lasciando che il sapore pungente del tabacco pizzicasse la bocca impastata dal pianto.

Non si accorse della figura silenziosa di Louis, gobba e triste, che fece capolino dal piano superiore. Scese le scale lentamente, stringendo le dita intorno al corrimano e facendole scivolare come non avessero peso. Fissò lo sguardo sulla donna seduta sul divano, curva su se stessa, in balia di singhiozzi muti, percepibili solo dalle scosse che sembravano attraversare la sua schiena come fossero elettriche. Quando la vide alzare lo sguardo, passandosi le mani sul viso per asciugare le lacrime, Louis si bloccò sulle scale, trattenendo il respiro. Nonostante gli sforzi di rendersi invisibile, Anne si voltò, guardandolo esausta e arricciando le labbra debolmente, come stesse cercando di sorridergli.

"Ciao," biascicò sottovoce. Il castano le fece un cenno con il capo. "Harry mi ha detto che ti chiami Louis," continuò inclinando la testa da un lato. Annuì.

"Sì," rispose. "E tu sei Anne."

"Sì," disse schiacciando le labbra. "Suppongo che tu abbia sentito storie tremende sul mio conto," mormorò poi frugando all'interno della propria borsetta alla ricerca di quelli che Louis pensò fossero fazzoletti. Alzò le spalle, nonostante la donna non potesse vederlo.

Forse avrebbe dovuto lasciar perdere. Forse avrebbe dovuto continuare per la sua strada e raggiungere Harry nel cortile, baciando via le sue lacrime e coccolando le spalle martoriate. Forse avrebbe dovuto evitare di scambiare persino la più innocua delle parole con la donna di fronte a lui, ma Louis non riusciva ad esserle indifferente.

Perché lei aveva ferito Harry come mai nessuno aveva fatto. L'aveva abbandonato in quella casa troppo grande e silenziosa per una sola persona, rendendolo piccolo e triste, strisciante come il peggiore degli insetti, impotente. L'aveva annullato a tal punto da costringerlo a chiudersi in sé stesso, a desiderare di non esserci, a pensare di non essere niente di più che la misera ombra di un corpo morto. Ed Anne aveva fatto proprio come Alfred. Perché anche lui si era dimenticato dei propri figli per puro egoismo, condannandoli ad una solitudine dalla quale raramente ci si riprende, e con la quale è ancora più difficile imparare a convivere.

Per quel motivo scosse la testa.

"Come biasimarlo," fu il commento che si lasciò sfuggire. Ma la donna continuò a fissare un punto indefinito di fronte a sé, il fazzoletto ora sgualcito nelle mani morbide. Si morse il labbro inferiore, e Louis non riuscì a distogliere lo sguardo.

"Ho sbagliato tutto, vero?" domandò improvvisamente. Alzò le spalle. "Ho sbagliato a venire qui," sussurrò così lievemente che la voce quasi si sciolse nell'aria. Ma Louis non si mosse di un passo, stringendo le dita intorno al corrimano e continuando ad osservarla come non fosse altro che frutto della sua immaginazione.

Perché non era vero. Anne non era Alfred. Non ci assomigliava nemmeno lontanamente.

Perché Anne era stata sincera.

Ed Anne aveva capito quali fossero stati i suoi errori.

Così sospirò.

"Non lo so," rispose scendendo gli ultimi gradini e avvicinandosi al divano. "L'unica cosa di cui sono certo è che vorrei che anche mio padre mi desse delle spiegazioni," fu quello che disse. La donna alzò lo sguardo, incrociando gli occhi blu del castano, che strinse delicatamente le labbra, prima di annuire impercettibilmente. Quando la donna tentò di sorridergli, Louis infilò le mani nelle tasche della solita vecchia giacca, chinando il capo. Afferrò la giacca del minore dallo schienale del divano e si diresse verso la portafinestra del cortile, aprendola silenziosamente ed individuando la figura rannicchiata di Harry.

Era curvo e solo e, solo per un istante, il maggiore si chiese se fosse proprio questo l'aspetto che aveva avuto il giorno in cui sua madre se n'era andata. Silenzioso e abbandonato a se stesso, come si fosse fatto improvvisamente di pietra, una scultura solitaria in un giardino dimenticato, mentre i rampicanti strisciavano sulle sue gambe fino a nasconderlo persino agli occhi del cielo. Il vento leggero soffiava i ciuffi arricciati dolcemente, e il fumo della sigaretta accesa coronava la sua sagoma come fosse un dipinto.

Sospirò profondamente, chinando il capo ed osservando il movimento delle proprie scarpe, avanzando in direzione di Harry per avvicinarsi e sentire il suo profumo. Quando raggiunse gli scalini, si fece cadere al suo fianco, fissando lo stesso punto indefinito che pareva aver catturato l'attenzione del minore. Quando gli passò la giacca, il ragazzo la infilò, prima di portarsi la sigaretta alle labbra, prendendo un lungo tiro, per poi passargliela ed abbassare lo sguardo sulle proprie gambe piegate contro il petto. Nel momento in cui Louis accettò l'offerta, imitando il gesto, il riccio si schiarì la gola.

"Grazie per la giacca," biascicò sottovoce.

"Di niente," rispose con lo stesso tono il maggiore. Ci fu un momento di silenzio, attraversato solo dalla brezza fresca e dal rumore della notte che incombeva sulle loro ombre rannicchiate, prima che il minore si schiarisse la gola.

"Quanto hai sentito?" domandò improvvisamente. Il castano si morse il labbro inferiore, assaporando ogni particella del fumo appena inspirato e lasciando che inebriasse la propria bocca. Non distolse mai lo sguardo, scegliendo, al contrario, di prendere un secondo tiro.

"Cosa intendi dire?" chiese tentando di apparire il più calmo possibile.

"Avanti," lo canzonò Harry con un mezzo sorriso. "Sai meglio di me che le pareti di questa casa sono inesistenti," disse sfregandosi gli occhi, forse nel tentativo di giustificare il loro rossore. Sospirò profondamente, alzando nuovamente lo sguardo in direzione del piccolo cortile. "Immagino che tu abbia sentito tutto," disse serenamente, respirando lentamente. "Non è così?" domandò voltandosi verso di lui, inclinando il capo da un lato. Louis annuì quasi impercettibilmente.

"Sì," rispose. Passò di nuovo la sigaretta ad Harry, ricambiando il suo sguardo. "Sì, ho sentito. Ma non importa cosa penso io."

"Forse," mormorò il minore alzando le spalle. "Ma mi interesserebbe comunque saperlo."

"Perché?" domandò Louis battendo dolcemente le palpebre, prima di allungare una mano per spostare un ciuffo ribelle dietro all'orecchio del riccio. Quando vide i suoi occhi farsi più densi e cupi, il castano approfondì il tocco, sfiorando i capelli con le dita, prima di scendere sul suo viso e coccolarlo lentamente. Harry sospirò tristemente, abbandonandosi nella carezza schiacciando la guancia sul palmo caldo del maggiore.

"Perché non so cosa pensare," fu la semplice, ma in realtà complessa risposta.

Louis non riuscì ad evitare che la sua mano si pietrificasse sul volto del riccio, bloccando il respiro e il lento e dolce movimento delle sue palpebre.

"Pensi di tornare ad Holmes Chapel con lei?" domandò titubante.

"No," sussurrò Harry. "Dio, no. Non avrebbe avuto senso che lo facessi nemmeno se Anne fosse rimasta," pensò a voce alta, alzando le spalle e scuotendo impercettibilmente la testa. "Però... non lo so."

"Qualcosa non ti convince?"

"Non nello specifico," mormorò perdendo lo sguardo sulla giacca di jeans del maggiore. Allungò una mano, cominciando a giocherellare con i lembi del tessuto. "Tutto, Lou. Mi confonde tutto. Improvvisamente si presenta qui e mi offre dei soldi... mi chiede scusa. Capisci? Come se bastasse."

"Forse non sa cosa fare."

"Oh, ma questo è chiaro," disse Harry sbuffando. "Non l'ha mai saputo."

"Eppure è tornata," constatò Louis, e le mani del minore parvero immobilizzarsi.

"Sì," sussurrò tra sé e sé. "Non penso di poterlo sopportare."

"Cosa?" domandò il castano aggrottando leggermente le sopracciglia. Harry scosse la testa.

"Non penso di poter affrontare tutto quanto, nel caso capitasse una seconda volta," ammise tremante, come se l'ossigeno fosse improvvisamente sparito dai suoi polmoni. "E se mi prendesse in giro di nuovo, Lou? Cosa farei dopo?" sospirò pesantemente. Fece cadere le spalle sopra un peso invisibile che il maggiore avrebbe voluto frantumare fino all'ultimo chicco. "Ho paura di non poterlo sopportare."

"Harry," lo fermò allora Louis, portando anche la mano libera sul suo viso e coccolando dolcemente le sue guance arrossate. Alzò il suo capo, facendo in modo che incrociasse il suo sguardo, sorridendo lievemente non appena si perse nelle iridi verdi. "Questa volta è diverso," gli confessò. Arricciò ancora di più le labbra quando il viso del più piccolo si schiacciò tra i suoi palmi, come quello di un bambino. "Questa volta non sei solo. E sei più forte," disse alzando le sopracciglia. "Devo ricordarti quanti progressi hai fatto in queste ultime settimane?"

"Hai ragione, ma –"

"Nessun ma," lo interruppe lui. "Nessun ma," ripeté sottovoce, avvicinandosi quanto bastava per baciare la punta del suo naso, facendolo ridacchiare silenziosamente. "So cosa succede qui dentro," continuò indicando la testa del riccio. "Ma non è vero. Nulla di quello che ti fa paura è vero. Perché non possiamo saperlo, magari hai ragione. Magari Anne non è altro che un'egoista del cazzo che spera di riparare i conti con un po' di denaro. E allora?" disse scuotendo la testa. "Prendilo e chiudila fuori dalla tua vita. E nel caso le sue scuse fossero sincere, beh... allora lo capiresti," mormorò con un mezzo sorriso.

"E come?" domandò Harry in un sussurro. Louis sospirò teneramente.

"Perché ti sentiresti più leggero. Perché il pensiero non ti farà più così tanto male," mormorò guardandolo negli occhi. "Perché sarebbe tutto finito, e tu lo sapresti," continuò. Prese un secondo, lungo sospiro, senza mai smettere di fissare le iridi color della primavera. "Se mio padre facesse quello che Anne ha fatto con te... io non –" si bloccò, scuotendo la testa alla ricerca delle parole migliori. "Non credo che lo perdonerei. O non del tutto. Esattamente come suppongo farai tu."

"Probabile."

"Esattamente," sorrise Louis. "Ma... in un qualche modo riuscirei a mettere un punto ad un capitolo della mia vita che ancora mi tormenta. Che ancora mi fa pensare e che mi preoccupa. Se lui mi chiedesse scusa... forse servirebbe solo per farmi dormire di un sonno tranquillo e nulla di più," disse alzando le spalle. "Eppure sarebbe già qualcosa. Meglio di niente, no?" sorrise ancora, più dolcemente di prima, ed Harry non poté fare a meno che ricambiare.

"Hai ragione," mormorò portando le mani sui polsi del maggiore, stringendoli delicatamente e facendo correre la punta delle dita sulla pelle calda. "Come sempre."

"Lo so," scherzò il castano con un cenno del capo, riordinandosi i ciuffi spettinati e facendo ridacchiare il riccio. "E per quanto riguarda la questione dei soldi... so che potrebbe sembrare impulsivo, ma... io ti consiglio di accettarli."

"Davvero?" domandò Harry confuso, ma il maggiore annuì.

"Forse anche Anne sta tentando di chiudere un capitolo della sua vita. Accettando quei soldi potresti aiutarla a farlo," pensò a voce alta. "Lei ti avrà aiutato e avrà condiviso con te quel poco che aveva da condividere, e tu... beh. Tu l'avrai affrontata di persona," annuì tra sé e sé. "E sarai stato finalmente sincero. Perché c'è da considerare anche questo," disse con un sorriso così luminoso da rischiarare il cielo notturno. "Oggi hai detto ogni cosa. Tutto, Harry. La dura e cruda verità. So quanto può essere difficile, eppure," arricciò le labbra ancora di più. "Eppure ci sei riuscito."

E aveva ragione. Perché Harry non aveva fatto altro che fuggire dalla realtà dei fatti per tutta la sua vita. Per un periodo, l'aveva fatto anche con Louis. Si era coperto gli occhi come farebbe un bambino impaurito, nascondendosi sotto le coperte perché il mostro nell'armadio minaccia di uscire e tormentare il suo sonno. Aveva preteso di essere distaccato da tutto e da tutti perché, semplicemente, non aveva idea di come reagire ed affrontare la verità. E la verità era che i suoi genitori l'avevano odiato, che sua madre l'aveva abbandonato, che era diventato un tossicodipendente e che era rimasto completamente solo.

Ma le cose erano cambiate.

Perché ora, Harry stava meglio. Non aveva più paura, anzi. Si ritrovava a desiderare di cascare nelle braccia dell'imprevedibilità per poter sentire il brivido percuotere la sua schiena, il gelo sollevare i suoi ricci, le emozioni colorare le sue guance. Era riuscito a voltare pagina per quanto riguardava la droga e, nonostante non fosse semplice ed il percorso da affrontare sarebbe stato lungo e tortuoso, non poteva negare di stare facendo progressi. Inoltre, questa volta, Harry non sarebbe stato solo. Perché ora aveva degli amici che gli volevano bene e un ragazzo che lo amava con ogni fibra del suo essere. E anche lui lo amava, come non aveva mai amato prima di allora. Lo amava ed ogni volta che ci pensava sentiva il suo cuore rimarginare le proprie ferite sempre più velocemente, salendo lentamente in direzione di un paradiso fatto di mani dolci, pelle soffice e occhi blu.

"Hai ragione," disse quindi. "È vero," continuò annuendo tra sé e sé, senza mai smettere di accarezzare i polsi del castano. "Ti ringrazio."

"Non devi," lo bloccò Louis immediatamente. "Ti amo, stupido," sorrise facendo ridacchiare il minore. "Ti amo e non ti sbarazzerai di me così facilmente."

"Oh, credimi, questo lo so."

"Cosa vorresti insinuare?"

"Niente, Lou," rise Harry di gusto. "Ti amo anche io."

"Sarà meglio."

"Sei così romantico."

"Ti porto un mazzo di fiori del cazzo, se vuoi."

Il riccio rise ancora, e così fece Louis, scontrando le proprie fronti l'una sull'altra e stringendosi dolcemente, baciandosi lentamente e assaporando le proprie labbra come se ogni orologio avesse smesso di ticchettare. Quando si staccarono, il maggiore continuò a coccolarlo, non più perché temeva che potesse infrangersi in mille pezzi, ma perché sapeva di aver bisogno di una spinta.

"Sei pronto a rientrare?" domandò quindi baciando la sua fronte. Il riccio annuì.

"Hmhm," mugolò. Si alzarono in piedi, pulendosi i pantaloni ed aggiustandosi le giacche. "Ma rimani con me, sì? Per favore?"

"Certo," sorrise dolcemente Louis, prima di far scivolare la propria mano in direzione di quella di Harry e stringerla dolcemente, allacciando le loro dita e fondendo i loro palmi come fossero nati unica ed inseparabile cosa. "Hey," gli disse coccolandolo lentamente. "Va tutto bene," mormorò inclinando il capo da un lato. Ed il minore annuì, sorridendo leggermente, prima di chinarsi quanto bastava per depositare un bacio veloce sulle labbra arrossate del castano.

"Sì," sussurrò sorridente. "Va tutto bene."

-

Erano quasi le tre del mattino quando le porte di casa Styles si aprirono un'ultima volta. La prima ad uscire fu Anne, un giacchetto nero leggero tirato sulle spalle, una mano persa nei lunghi capelli corvini, l'altra stretta saldamente intorno al manico della borsa. Scese i gradini dell'ingresso con lo sguardo rivolto al suolo, prima di voltarsi in direzione dei ragazzi, in piedi alle sue spalle davanti alla soglia della porta, illuminati da una piccola lampadina dalla luce fioca e distante.

Quando sorrise in direzione di Harry, il ragazzo strinse le labbra, annuendo lievemente.

"Non posso pretendere che non sia mai successo nulla," le aveva detto quando era rientrato dal cortile. "Non posso neanche obbligarmi a perdonarti quando non credo di essere davvero in grado di farlo," aveva poi continuato, mentre la donna lo osservava col fiato sospeso. "Ma... non mi sarei mai aspettato di rivederti, tantomeno di ricevere delle scuse. Quindi suppongo sia un inizio," aveva poi provato a scherzare, grattandosi la nuca imbarazzato.

"L'ultima cosa che voglio fare è mancarti di rispetto," aveva risposto Anne. "Ma dovevi sapere la verità. E dovevi sapere che le cose ora vanno meglio. Che se mai dovessi avere bisogno... questa volta io ci sarò."

"Non fare promesse che non potrai mantenere," l'aveva bloccata Harry, ma lei aveva scosso la testa.

"No. No, credimi. Ho imparato la lezione, in un modo o in un altro. Se te lo dico è perché so con certezza che sarò all'altezza delle aspettative," aveva ammesso con un debole sorriso. "Non devi sentirti obbligato. L'importante è che tu sappia che... non sei da solo," aveva detto alzando le spalle. Ed Harry aveva sentito una coccola di calore sfiorargli la schiena, ravvivando il fuoco nel suo cuore e colorando le sue guance.

"Lo so," aveva sorriso sinceramente, voltandosi in direzione di Louis, che gli aveva fatto l'occhiolino, arricciando le labbra a sua volta. "Non mi sarei mai aspettato di sentire questa frase da te. Eppure eccoci qui."

"Mi dispiace, Harry," aveva mormorato la donna scuotendo la testa e chinando il capo.

"Già," aveva sussurrato lui. "Dispiace anche a me."

Poi, come fosse improvvisamente passato il temporale e il cielo si fosse di nuovo scoperto, il velo di ansia ed angoscia che sembrava aver ricoperto la stanza ed i suoi presenti si era sollevato tutt'un tratto, permettendo loro di respirare e muoversi più liberamente. Harry aveva nuovamente preso posto nella poltrona, mentre Louis si era seduto sul bracciolo, facendo scivolare un braccio intorno alle spalle del minore e coccolandolo delicatamente, quasi come non volesse farsi sentire. Anne gli aveva fatto alcune domande, ed il castano aveva sorriso con tono sicuro, ma sereno.

Prima di andare, la donna aveva lasciato una busta straripante sul tavolino da caffè, picchiettandovi le dita sopra come volesse metterla a proprio agio, alzando poi lo sguardo in direzione del figlio.

"Qui c'è tutto," aveva detto con un mezzo sorriso. "E forse qualcosa in più."

"Non devi –"

"Invece sì," l'aveva bloccato lei. "L'aprirai quando ne avrai bisogno. Sei sempre stato molto preciso. Saprai cosa fare," aveva detto inclinando il capo da un lato, mentre il riccio aveva alzato le spalle, pretendendo che quel piccolo ricordo non avesse scaldato debolmente il suo cuore.

Ed ora si trovavano nel cortile, Anne a pochi passi da loro, le mani nelle tasche della giacca e la borsa penzolante dal suo polso. Nonostante fosse primavera inoltrata, il vento gelido soffiava ancora imperturbato nella notte, spettinando i lunghi ciuffi corvini della donna e annebbiando il suo sospiro, che si levava dalle sue labbra come fumo.

"Eccoci qui," disse con un lieve sorriso, battendo velocemente le palpebre subito dopo. "Ti ringrazio, Harry. Per avermi accolto nella tua casa e per avermi ascoltata."

"Non devi ringraziarmi," disse lui con le braccia incrociate al petto, alzando il mento e distogliendo lo sguardo, concentrandolo su qualsiasi cosa che non fosse la donna di fronte a lui. "Ma..." si ritrovò a mormorare tra sé e sé, alzando una mano per grattarsi la punta del naso, come stesse pensando a cosa dire e se dirla. "Suppongo di doverti ringraziare anche io. Per essere stata comprensiva."

"È giusto così," disse lei chinando il capo. "In fondo, sono stata io a commettere un errore," disse scuotendo la testa, facendo scivolare le mani fuori dalle tasche solo per torturarsi le dita tra loro. Il riccio alzò le spalle, tirando su col naso e sospirando rumorosamente.

"Non ha più importanza," disse abbassando lo sguardo. "Uhm... grazie per l'aiuto," biascicò con un cenno del capo, riferendosi alla busta contenente i soldi. "Ci... ci vediamo. Suppongo," mormorò mordendosi il labbro inferiore, nascondendo le mani nelle tasche dei jeans e voltando le spalle alla donna, strisciando le suole degli stivali sulle assi di legno fino alla porta, entrando in casa e abbandonandosi la scena alle spalle.

Quando Anne sospirò, Louis la guardò attentamente, ma non gli parve turbata. Al contrario, sembrò quasi che si fosse alleggerita di quintali di peso insostenibile, e che stesse ora respirando dell'aria pulita per la prima volta dopo tanti anni.

Forse, pensò, fu proprio così.

"Grazie, Anne," disse quindi annuendo tra sé e sé. "Non è facile, lo so. Ma... credo tu abbia fatto la cosa giusta," continuò con un mezzo sorriso. "Sono convinto che lo pensi anche lui," concluse battendo dolcemente le palpebre, il cuore caldo al solo pensiero di raggiungere Harry dentro casa e stringerlo fra le sue braccia tutta la notte.

"Tu dici?" domandò la donna spostandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio. Louis annuì.

"Credo di sì. Penso che ne avesse bisogno," alzò le spalle, concentrato. "Sai. Per chiudere la questione una volta per tutte."

"Certo," sussurrò lei chinando il capo. Il castano la vide dondolarsi sui talloni, esattamente com'era solito fare Harry, le mani nascoste nuovamente nella giacca. Quando alzò improvvisamente il volto, incrociando il suo sguardo, per un solo istante, a Louis parve di rivedere il ragazzo dai capelli ricci. "Pensi che vorrà rivedermi?" domandò con voce così lieve da sembrare quasi quella di un fantasma. Louis prese un lungo sospiro, scuotendo la testa.

"Non lo so," sussurrò. "Credo che abbia solo bisogno di tempo. Non possiamo biasimarlo."

"Oh, no," si affrettò lei. "Non mi aspetto nulla, sai? E in ogni caso, so di non meritarmelo. Solo..." cominciò, alzando gli occhi al cielo alla ricerca delle parole giuste. "Mi farebbe piacere rivederlo. Prima o poi," disse scuotendo la testa e nascondendo un sorriso. "È troppo?" chiese inclinando il capo. Ma Louis arricciò le labbra, battendo velocemente le palpebre.

"No," mormorò in un sospiro. "Non quando si tratta di Harry," continuò voltandosi in direzione della porta d'ingresso. "Non quando è la persona che è," sussurro ancora, incapace di smettere di sorridere o di far rallentare il battito del suo cuore. Quando riportò lo sguardo sulla donna, trovò la stessa espressione innamorata sul suo viso. Annuì velocemente, cominciando ad indietreggiare in direzione della strada, il castano ancora sulla soglia, le mani in tasca e i capelli soffici spettinati sulla fronte.

"Grazie, Louis," mormorò lei. Il ragazzo le indirizzò un cenno del capo, prima di osservarla voltarsi e raggiungere il viale principale, incamminandosi nel vialetto e sparendo dietro la curva.

Si chiese se l'avrebbe rivista. Si chiese se Harry l'avrebbe rivista.

Poi, però, si chiese se questo fosse quanto. Se le cose andassero bene così.

Pensò che fosse giusto. Che Harry si meritasse una spiegazione e delle scuse. Che si meritasse chiarezza. Che si meritasse di chiudere un capitolo della sua vita ancora aperto, e al quale non sarebbe mai stato in grado di mettere un punto da solo. Non perché non ne fosse in grado, Louis non pensava questo. Pensava, al contrario, che non volesse farlo. Come quando ci si sveglia da un sogno meraviglioso e per i primi minuti lo si crede realtà. Il solo pensiero di scoprirlo falso non fa altro che far sospirare il sognatore indifeso. E, forse, Harry aveva paura di svegliarsi e trovarsi di fronte ad una realtà che non era sicuro sarebbe stato in grado di affrontare.

Nonostante tutto, però, eccolo lì.

Seduto sulla poltrona con una sigaretta traballante tra le labbra, le gambe divaricate e i gomiti piantati sulle ginocchia, le mani unite tra loro, immobili, come fossero di marmo. I ciuffi cascavano sul suo viso come l'edera sui muri, e gli occhi brillavano come cristalli. Quando Louis chiuse la porta di casa, il ragazzo alzò lo sguardo, osservandolo per alcuni istanti. Fece scivolare lentamente una mano in direzione della propria bocca, estraendo la sigaretta e stringendola come temesse potesse frantumarsi in mille pezzi. La puntò in direzione del maggiore, indicandolo e trattenendo il respiro.

"Sai," mormorò. Scosse la testa. "Quando succedono queste cose... non lo so. Non so neanche io come faccia a gestirle. O quando abbia imparato a farlo," pensò a voce alta. "Però lo faccio. E, credimi. Non mi è mai successo. È sempre stato più facile fare finta di niente. Ho sempre preteso che le cose andassero bene. E comunque," disse con un mezzo sogghigno, prendendo un tiro dalla sigaretta. "Non ne facevo mai parola con anima viva. Perché non mi è mai piaciuto espormi, suppongo," continuò senza mai smettere di guardarlo. Improvvisamente, poi, sorrise. "Quindi... è quando succedono queste cose che capisco di essere fottutamente innamorato di te," mormorò, facendo arricciare le labbra del castano. "Perché l'idea che tu mi veda davvero... non mi spaventa. Non mi spaventa più," sussurrò spegnendo la sigaretta nel posacenere.

"Non devi nasconderti," alzò le spalle Louis. "Non da me. Perché anche io sono fottutamente innamorato di te," disse portandosi una mano al cuore e accentuando il tono della propria voce in maniera drammatica, facendo ridacchiare il minore.

"Coglione."

"Il tuo preferito," sorrise ancora. "Che dici? Andiamo di sopra e ci dormiamo su? Ti abbraccio tutta la notte?" chiese inarcando un sopracciglio. Harry sorrise a sua volta, annuendo dolcemente.

"Sì," sussurrò. "Credo di averne bisogno," disse alzandosi e avvicinandosi a lui, sfiorando dapprima il palmo della sua mano, per poi stringerla nella propria e coccolarla teneramente. Louis accarezzò il suo viso, prima di sporgersi leggermente per poter far collidere le loro labbra.

"Sono così fiero di te," mormorò guardandolo negli occhi. "Così tanto fiero."

Ed Harry sorrise, perché la notte era più luminosa e il silenzio meno spaventoso.

"Sì," sussurrò baciandolo di nuovo. "Sono fiero anche io."

-

S

Continue Reading

You'll Also Like

20.9K 1K 9
โ˜€๏ธŽ๏ธŽ| ๐—Ÿ๐—ผ๐˜‚๐—ถ๐˜€ ๐—ง๐—ผ๐—บ๐—น๐—ถ๐—ป๐˜€๐—ผ๐—ป ๐˜… ๐—›๐—ฎ๐—ฟ๐—ฟ๐˜† ๐—ฆ๐˜๐˜†๐—น๐—ฒ๐˜€ โ˜€๏ธŽ๏ธŽ| ๐—ฆ๐—ต๐—ผ๐—ฟ๐˜ ๐—ฐ๐—ต๐—ฎ๐—ฝ๐˜๐—ฒ๐—ฟ๐˜€ Dove Harry e Louis durante la sera di capodanno vengon...
354K 10.2K 31
Madrid, 2017. Louis รจ uno studente di medicina di Parigi che ha appena sepolto dietro di sรจ tutti i suoi sogni. Si ritrova in Spagna per fuggire da u...
75.5K 2.6K 29
Harry รฉ gay. Louis รฉ etero ed ha una ragazza. Almeno, questo รฉ quello che Harry pensa fino a quando Liam non inizia a parlare della vita sessuale di...
12.6K 730 6
[Quarto racconto per la raccolta Sign Of The Times] [Primo, Secondo e Terzo racconto disponibile sul profilo] [Appendice disponibile sul profilo] Nia...