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By leavesofwilde

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Harry Styles ha deciso che la vita non ha più alcuna importanza. Rinnega le emozioni, concedendo tutto se ste... More

Prologo
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Epilogo

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By leavesofwilde

All I Want – Kodaline
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A Louis non importa.

Era buio quando Harry si svegliò nel proprio letto. Ancora prima di poterlo pensare, sentì il suo corpo scivolare alla disperata ricerca delle lenzuola per coprirsi le spalle infreddolite, mentre il suo sguardo vagava fino alla finestra spalancata, cullato dal sospiro del vento fresco del mattino. Batté le palpebre finché la stanza non si fece vivida davanti a lui, osservando come, oltre la propria casa, il cielo fosse ancora nero e il mondo addormentato, silenzioso come non ci fosse. Le stelle cominciavano a sbiadire, probabilmente dando spazio ad un'alba ancora lontana, ma prossima. Gli uccellini avevano iniziato a cinguettare, riempiendo la notte di una melodia paradossale, che Harry trovò quasi inquietante.

Portò le mani sul proprio viso, coprendosi gli occhi con i palmi e facendo strisciare la punta delle dita tra i ricci spettinati, sparsi sul cuscino. Sospirò debolmente, quasi come non ne fosse in grado, lasciando che l'aria gelida proveniente dalla finestra pizzicasse il suo corpo intorpidito e perdendosi nel suo tocco, incapace di muoversi o fare qualsiasi altra cosa. Odiava svegliarsi nel bel mezzo della notte. Lo faceva sentire ancora più solo di quanto già non fosse.

Fu quando le mani sul suo volto parvero diventare pesi insopportabili che Harry le fece scivolare lontano, spalancando le braccia e stendendole sul materasso, fissando il soffitto e ascoltando distrattamente il cinguettio del mattino. Continuò a perdere lo sguardo nell'intonaco finché non sembrò quasi rimanerne accecato, come se si fosse concentrato a tal punto da annullare l'esistenza di qualsiasi altra cosa. Era sicuro che, se avesse continuato, molto probabilmente, il suo mondo si sarebbe tinto di nero, così come il cielo, fino a non lasciare altro che il nulla più vuoto e silenzioso, al cui interno si sarebbe trovato soltanto lui.

Si risvegliò dai propri pensieri di soprassalto quando la porta si chiuse all'improvviso, probabilmente a causa della corrente. Ascoltò il tonfo espandersi nell'aria, permeandola di un eco distante, fino a sparire nel silenzio più totale. Continuò ad osservare la porta per quelle che parvero ore, analizzando lo stipite in legno e la maniglia malandata, i graffi e i segni del tempo e la piccola crepa proprio nel mezzo.

Fu strano, per Harry, notare quella crepa. Erano passati anni dall'ultima volta in cui l'aveva vista e, forse, persino dal momento in cui si era ricordato della sua esistenza. Fu strano realizzarlo, e non solo perché era raro che il ragazzo dimenticasse simili particolari. Fu strano perché si rese conto di quanto, all'epoca, cose come quella crepa fossero all'ordine del giorno, pura quotidianità. Fu strano perché Harry si rese conto di quanto per lui fosse normale.

Era stato suo padre, a rovinare la porta, anni prima. Era tornato a casa nel bel mezzo della notte, così ubriaco che l'odore dell'alcol aveva perforato le pareti, arrivando fino al corpo del riccio, steso nel letto terrorizzato. Non seppe mai per quale motivo, ma l'uomo aveva preso a bussare alla porta della sua stanza ininterrottamente, chiamando il suo nome e farfugliando parole sconnesse ed incomprensibili. Harry non si era mosso, consapevole che avrebbe fatto meglio a pretendere di dormire, piuttosto che sfidarlo. Ma non era servito, perché suo padre aveva cominciato a colpire la porta con così tanta forza da rompere il legno, dando vita alla crepa silenziosa. Aveva borbottato qualcosa e si era allontanato, dimenticandosi completamente di Harry e del motivo per il quale aveva deciso di importunarlo.

Pensò a suo padre, guardando quella porta. Pensò a quanto fosse diverso prima dell'alcol. A quanto non fosse mai stato affettuoso o gentile nei suoi confronti, ma mai violento, mai scorbutico, mai crudele. Pensò alla sua figura sulla poltrona nel salone, una figura che ancora lo tormentava nelle ore piccole, quando il cielo era ancora nero e le stelle scoppiettavano indisturbate. Pensò a quanto avesse paura anche solo di uno sguardo, di una parola in più, di una domanda nel momento sbagliato. Pensò a quanto avesse rovinato ogni cosa.

La loro famiglia, sua madre, quella casa. Lo stesso Harry.

Perché a causa di suo padre, il ragazzo dagli occhi verdi era finito a vivere una vita non sua. A causa di suo padre, Harry era diventato un riflesso invisibile in uno specchio triste. A causa di suo padre, si era arreso ad una dipendenza che, anziché salvarlo, non aveva fatto che ucciderlo ogni giorno, sempre di più.

Solo in quel momento si rese conto di quanto stesse diventato esattamente come lui. Vuoto, triste, solo. Alla disperata ricerca di qualcosa in grado di lenire il dolore, trovando una soluzione nel posto peggiore, l'unico in grado annientare un cuore malandato ancora di più. E si odiò per questo. Si odiò per essere stato debole come suo padre, per essersi comportato esattamente come lui. Si odiò così tanto da desiderare di poter tornare indietro ed aggiustare le cose.

E fu questione di un attimo, davvero. Non dovette nemmeno pensarci eccessivamente.

Si alzò dal letto di scatto, scostando le lenzuola e lanciandole lontane, come volesse dimenticarsi del loro peso sul suo corpo stanco. Schiacciò i piedi nudi sul pavimento, camminando a passo svelto e dettando un ritmo deciso e continuo, esattamente come il battito del suo cuore, improvvisamente così forte, così sicuro. Non lo sentiva così da tempo. Probabilmente, non lo sentiva così dalla notte di fine anno, quando la ragione della sua emozione era stata Louis.

Il pensiero lo fece muovere ancora più velocemente.

Spalancò la porta della propria stanza con tale forza che temette di romperla definitivamente, ma non si preoccupò troppo. Si diresse verso le scale, cominciando a scendere al piano inferiore quasi freneticamente, stringendo il corrimano e concentrando lo sguardo sul movimento delle proprie gambe. Una volta nel salone, Harry osservò l'ambiente circostante, individuando le bottiglie abbandonate sul tavolino da caffè. Si affrettò in loro direzione, afferrandole una ad una ed incastrandone alcune sotto al braccio, altre fra le dita sottili. Aprì la porta d'ingresso e percorse il portico, scendendo i pochi scalini e raggiungendo la strada. Una volta lì, si guardò intorno prima di trovare un cassonetto. Si avvicinò, alzò il coperchio e gettò le bottiglie vuote al suo interno.

Poi tornò dentro casa, correndo in cucina e aprendo ogni cassetto, ogni sportello, il frigorifero e persino il forno – per accertarsi di star facendo le cose correttamente. Ogni volta che rinveniva una bottiglia contenente dell'alcol, Harry, semplicemente, svitava il tappo e rovesciava il contenuto nel lavabo, osservando come il liquido denso abbandonasse il vetro e scivolasse silenzioso lontano dal suo sguardo.

Lo fece sentire così bene.

Continuò finché le bottiglie non furono finite e l'alcol dimenticato. Finché non sentì un velo pesante sollevarsi dal proprio petto e volare via, oltre la finestra della propria stanza, fondendosi nel cielo e trasformandosi in polvere di stelle, illuminando una distesa di nero che Harry non avrebbe mai pensato di poter trovare così bella.

Pensò di essere ancora in tempo. Perché non importava più cosa fosse successo. Non importava quali mali avesse dovuto subire, quali ferite avesse dovuto guarire e quante notti avesse dovuto passare in bianco. Non importava perché Harry non era suo padre, e non lo sarebbe mai stato. Non importava perché aveva già perso ogni cosa, persino ciò in cui non aveva mai sperato, ma che era stato così fortunato da ottenere e che si era lasciato scivolare dalle mani, come uno stupido. Non importava perché aveva ferito l'unica persona che avesse mai amato, ma no. Harry non sarebbe comunque stato come suo padre.

Harry avrebbe reagito.

Quindi non esitò quando fece cadere lo sguardo sulle bustine che teneva fra le mani tremanti. Osservò quella contenente la polvere bianca, e tutte quelle piene di pillole dai mille colori, allegre ed invitanti, ma perfide e subdole. Non esitò quando chiuse gli occhi. Non esitò quando cominciò ad aprirle una ad una, facendo scivolare il contenuto lontano, gettandolo nel gabinetto di fronte a lui e beandosi della scena, che rendeva ora quella sua via di fuga così impotente, superficiale, priva di senso. Non esitò quando sospirò lentamente, sentendo il proprio petto farsi leggero, il suo cuore più vivo, le mani più soffici, le labbra più rosse. Non esitò quando gli parve di sentire le catene ai suoi polsi e alle sue caviglie sfumare come fossero sabbia trascinata via da un vento che, finalmente, tirava a suo favore. Non esitò quando tirò lo sciacquone, fissando il modo in cui il turbinio d'acqua spingeva lontana la droga di cui si era cibato fino ad uccidersi.

Non esitò quando sentì il bisogno di sorridere. Così lo fece.

Perché Harry non era come suo padre.

Harry era libero.

E, da quella notte, respirò di nuovo.

-

Non prese mai sonno. Aspettò che la luce dell'alba leccasse il suo viso di un raggio debole e timido, mentre sedeva alla propria scrivania, di fronte alla finestra. Non fece nulla se non rimanere lì, fermo, rivolgendo lo sguardo così lontano da perderlo definitivamente, rendendo la realtà nulla di più che un ricordo sbiadito. Quando sentì il mondo cominciare a svegliarsi lentamente, anche Harry parve farlo. Si strofinò il viso più volte, sospirando lentamente e alzandosi dalla propria postazione, raggiungendo la giacca appesa alla maniglia della porta e frugando nelle tasche alla ricerca del pacchetto di sigarette. Lo trovò e scese al piano di sotto, uscendo nel portico e abbandonandosi sugli scalini in legno, appoggiando il gomito al ginocchio e il viso al palmo della mano.

Fumò per quelle che parvero ore. Osservò il fumo arricciarsi nel cielo, ora più chiaro, nascosto dalle nuvole limpide, mentre svaniva, poco a poco, fino ad amalgamarsi alla distesa di grigio. Non badò ad altro, nemmeno alle macchine che sfrecciarono di fronte a lui lungo la strada, o ai passanti rumorosi avvolti nei loro cappotti primaverili. Non badò nemmeno al vento che cominciò a bruciare la sigaretta al suo posto, concentrandosi, al contrario, sull'anello infiammato che andava a crearsi sulla carta, arrossandosi sempre di più e sbriciolandosi in cenere finissima. Gettò l'ultima sigaretta solo quando sentì il calore pizzicargli le dita.

Una volta rientrato in casa, Harry decise che avrebbe fatto colazione. Si avviò quindi in direzione della cucina, bloccandosi sui propri passi solo quando si ricordò del proprio cellulare, abbandonato su uno dei banconi e dimenticato dalla sera prima. Sospirò lentamente, avvicinandosi quasi come ne fosse terrorizzato. La verità era che sapeva che avrebbe trovato dei messaggi, ma non era sicuro di volerli leggere.

Ovviamente, aveva ragione. Ed erano tutti da parte di Elle.

'Louis è tornato a casa. Ti aspetto' diceva il primo.

'Harry?' era il secondo.

'Si sta facendo tardi. Tutto okay?'

'Harry?'

'Spero vada tutto bene'       

'Louis è andato a dormire. Scrivimi appena puoi. x' diceva l'ultimo.

Harry sapeva che avrebbe dovuto dirle qualcosa, ma cosa? Cosa, quando nemmeno lui sapeva con esattezza cosa stesse succedendo? Avrebbe forse dovuto dirle che Louis non si meritava le sue scuse, perché non avrebbero fatto altro che ferirlo ancora di più? A che scopo, se Harry se ne sarebbe poi andato, sparendo dalla sua vita una volta per tutte? Per quale motivo avrebbe dovuto continuare a colpirlo, ancora e ancora, come fosse una tortura sadica e contorta e provasse piacere nel vedere Louis dimenarsi nel tentativo di non soffrire? Non aveva senso, e lo sapeva.

Però, allo stesso tempo, desiderò piangere. Desiderò piangere perché Louis era riuscito ad aiutarlo, ancora una volta. E nonostante Harry sapesse che le persone non possono che salvarsi da sole, non poteva negare che il ragazzo dagli occhi più blu del blu l'avesse indirizzato per un percorso di cui aveva ignorato l'esistenza fino a quel momento. Perché era solo grazie a Louis che Harry aveva provato le emozioni. E si era innamorato, come un folle, come non avesse nulla da perdere, come se non esistessero altro se non quelle mani così soffici, quelle labbra così buone, quella voce così melodica, quegli occhi così intensi. E l'aveva soccorso di nuovo, persino senza saperlo. Perché quando l'aveva visto piangere, piegandosi su se stesso e annegando nei palmi delle proprie mani, Harry aveva sentito qualcosa risvegliarsi nel suo petto. Qualcosa di forte, mai provato prima di quel momento.

Harry ebbe la forza di reagire.

E allora aveva buttato la droga e l'alcol e qualsiasi altra cosa ne conseguisse. Si era sbarazzato dell'unica cosa che l'aveva condannato a tal punto da fargli perdere il senno, ed era stato bravo, cazzo, ne andava fiero. Ma sapeva anche che, se non fosse stato per Louis, molto probabilmente non l'avrebbe mai fatto.

Sarebbe stato diverso. Harry non aveva mai tenuto a se stesso, e non si era mai preoccupato di concedersi al mondo. Non aveva mai fatto entrare nessuno, in quel suo debole cuore, pensando ingenuamente che vivere una vita di solitudine, protetto da una facciata disinteressata, potesse in un qualche modo aiutarlo a farsi scivolare il peso del mondo addosso. Ma Louis gli aveva fatto capire che non ne valeva la pena. Che non ne era mai valsa la pena. Louis gli aveva fatto capire che ci sarebbe sempre stato così tanto di più, e che se ne sarebbe innamorato. Che sarebbe stato lui stesso, un giorno, a desiderare di vivere.

E ci aveva provato, fallendo e ricadendo nei soliti vecchi vizi. Per quale motivo? Perché Harry aveva avuto paura. Come una creaturina notturna che fugge dalle minacce della foresta e si rintana, decidendo di non uscire mai più allo scoperto, solo per scoprire di essersi persa il luccichio delle stelle, il pallore brillante della luna, la vasta distesa di cielo nero, gli alberi alti e i loro sussurri segreti, le lucciole che illuminano i sentieri. E se ne era reso conto solo quella sera, e aveva gettato tutto, abbandonandosi ogni cosa alle spalle.

Non voleva più scappare. Harry voleva fermarsi e guardare il cielo.

Ed era solo grazie a Louis.

Lo stesso Louis che aveva ferito. Lo stesso Louis che aveva visto infrangersi il giorno prima. Lo stesso Louis che piangeva a causa sua. Pensò che se gli avesse parlato, se gli avesse anche semplicemente rivolto le sue scuse, il ragazzo dagli occhi blu sarebbe crollato definitivamente. Perché non avrebbe fatto altro che continuare a girare il coltello nella piaga e, no. Non era quello che Harry voleva. Non doveva più avere paura, questo lo sapeva, ma era consapevole di dover compiere un passo alla volta. In questo modo, il mondo non sarebbe caduto nuovamente sulle sue spalle così deboli.

Avrebbe aspettato. Avrebbe aspettato che i giorni di euforia passassero e avrebbe cercato un sostegno per quando le crisi d'astinenza avrebbero cominciato a torturargli la mente. Avrebbe aspettato di stabilizzarsi, e avrebbe aspettato che Louis cambiasse aria. Gli avrebbe dato il tempo di dimenticarsi di lui, di ogni cosa e, solo in quel momento, l'avrebbe rivisto. Si sarebbe scusato e Louis non avrebbe provato altro che sollievo nell'aver trovato rispose a domande ancora aperte. Niente di più. Solo memorie passate e svanite nello scorrere del tempo.

Louis si meritava di voltare pagina.

E poi, Harry non poteva mentire. Voleva ricordare quegli occhi blu sorridenti, non in lacrime. Li voleva ricordare lesti e vivaci, soffici e dolci, allegri e spensierati, blu come la notte, come gli oceani più belli, come i fiori più colorati. Nessun dolore, nessuna rassegnazione.

Solo quel blu.

Niente di più.

-

Erano quasi le dieci quando Harry decise di chiamare Liam. Pensò che passare il resto della giornata in completa solitudine non avrebbe fatto altro che portare dei guai, obbligandolo a rimuginare su ogni cosa a costo di distrarsi. Era ovvio che ci fossero alcune cose che avrebbe preferito evitare, come le crisi d'astinenza e quel paio di occhi profondi e silenziosi.

No, avrebbe dovuto distrarsi. Quindi tirò un sospiro di sollievo quando sentì l'amico rispondere al terzo squillo.

"Harry!" esclamò allegro, ed il riccio si sentì sorridere.

"Ehi, Lì," lo salutò chinando il capo e osservando la punta delle proprie scarpe.

"Cosa mi racconti, amico?" disse dall'altra parte del telefono. La domanda fu seguita da una serie di rumori sconnessi tra loro, che fecero corrucciare Harry, confuso. Scosse la testa e si schiarì la gola.

"Uhm, niente di particolare. Ti ho disturbato?" domandò quindi.

"Oh, no," rispose Liam ridacchiando. "Scusami. Mi sto preparando – esco a prendere le sigarette," spiegò. Il riccio annuì tra sé e sé, pensando di chiedergli se avesse voglia di compagnia, ma il ragazzo sembrò anticipare la sua mossa. "Vuoi venire con me?" domandò, come leggesse nella sua mente.

"Okay, certo."

"Bene. Ci troviamo davanti a Sainsbury's," disse distrattamente. "Dopo possiamo fermarci a prendere un caffè, se ti va."

"Ho tutto il tempo del mondo," sorrise Harry alzando le spalle.

"Perfetto. Ci vediamo tra venti minuti, allora," continuò Liam, ed Harry annuì, chiudendo la chiamata ed infilando il telefono nella tasca dei propri jeans. Tornò al piano di sopra per recuperare il pacchetto di sigarette e l'accendino, scendendo le scale di fretta e afferrando la giacca che aveva appeso alla fine del corrimano. La infilò distrattamente prima di uscire di casa quasi freneticamente, accelerando il passo non appena si trovò in strada.

Si rese conto di sentirsi bene. Non bene come chi non ha nulla a cui pensare. No, Harry aveva fin troppe riflessioni a piede libero nella propria mente, e sfrecciavano da ogni lato senza mai fermarsi, impedendogli persino di concentrarsi sulla più sottile ed insignificante. Nonostante questo, però, si rese conto di sentirsi bene come chi percepisce la leggerezza sfiorargli le spalle e cullare il proprio petto. Si sentì bene come avesse appena preso una boccata d'aria fresca, la più fresca che esistesse. Si sentì bene come se i suoi piedi si fossero improvvisamente sollevati da terra e stesse ora fluttuando nell'aria, come una piuma.

Come un aeroplanino di carta.

Chinò il capo, sconfitto, ma non ripercorse nessun tipo di pensiero, nessun tipo di ricordo. Non badò al ciondolo ancora appeso alla catenina intorno al collo, e non sospirò quando lo sentì pizzicare la sua pelle. Al contrario, prese una sigaretta dal proprio pacchetto e la incastrò tra le labbra arrossate dal vento fresco, accendendola e osservando il fumo salire in direzione dell'ignoto.

Non fece altro finché non raggiunse Sainsbury's e, quando arrivò, trovò Liam ad aspettarlo con una mano in tasca, l'altra stretta intorno al proprio cellulare. Sorrise in sua direzione quando lo vide avvicinarsi, ed Harry ricambiò, buttando il mozzicone dall'altra parte della strada con un gesto secco.

"Niente beanie, oggi," disse Liam indicando l'amico, che si portò subito una mano tra i ricci spettinati, ridacchiando timidamente ed inclinando il capo.

"No," sorrise scuotendo la testa. "Mi hanno un po' stancato."

"Era ora," scherzò il ragazzo alzando le sopracciglia. "I ricci sono troppo belli per essere nascosti," continuò spettinandogli i capelli ancora di più, cosa che fece brontolare Harry allegramente. Si tirò la giacca sulla testa per coprirsi, lasciando fuori solo il viso arrossato e facendo ridere Liam di gusto. Gli strinse amichevolmente la spalla prima di entrare all'interno del negozio.

Entrambi comprarono un pacchetto di sigarette, uscendo dal negozio sorridenti ed incamminandosi in direzione del Costa Coffee che si trovava solo a pochi passi. Presero posto davanti al bar, sedendosi ad uno dei gelidi tavolini di metallo e facendo strisciare le sedie contro il cemento del marciapiede per avvicinarle. Liam domandò ad Harry cosa volesse – un caffè ghiacciato, non importava quando freddo facesse – e annuì tra sé e sé prima di sparire oltre la porta di vetro. Quando tornò con i due bicchieri di plastica e due biscotti, il riccio sorrise.

"Grazie, Lì."

"Nessun problema," rispose solare, sedendosi al suo fianco. Come fossero la stessa persona, entrambi cercarono il pacchetto di Marlboro nelle tasche delle rispettive giacche, accendendo le sigarette e sospirando la nebbia di fumo. "Niall mi ha detto che sei andato dai Tomlinson, ieri sera," ruppe improvvisamente il silenzio, ed Harry per poco non si strozzò nel caffè. "Com'è andata?" chiese osservandolo.

Dire che non fosse preparato per una domanda del genere sarebbe stato un eufemismo. Non aveva idea che Niall e Liam ne avessero parlato, ma, in fondo, come biasimare il biondo? Harry era il primo a rendersi conto di quante cose fossero cambiate nell'ultimo mese. Era più che normale che Niall tentasse di aiutare, in un qualche modo. Non se ne preoccupò nemmeno, anzi. Gli fu quasi grato di averne parlato con Liam, dal momento in cui, fosse dipeso da lui, sapeva che non l'avrebbe mai fatto. Il problema era che Harry non aveva idea di cosa rispondere. Cosa avrebbe detto? Come si sarebbe giustificato? Come avrebbe reagito Liam? E se anche Louis lo fosse venuto a sapere? Cosa avrebbe dovuto fare?

Troppe domande, troppi pensieri.

Abbassò lentamente il bicchiere trasparente, stringendo la sigaretta nella mano libera e rigirandosela fra le dita, concentrando lo sguardo sul tavolino in metallo e mordendosi il labbro inferiore, pensieroso. Alzò le spalle quando si rese conto di non dover fare nulla se non essere onesto.

"Non ci sono mai andato," disse quindi, evitando gli occhi attenti di Liam.

"Cosa?" domandò confuso. "Perché?" continuò avvicinando la propria sedia e corrucciandosi leggermente. Harry scosse la testa, alzando le spalle una seconda volta e sospirando lentamente, la sigaretta ormai un ricordo lontano, dimenticata nella mano tremante.

"Non credo che Louis abbia bisogno che io continui a tenerlo sulle spine. È complicato, Lì. Non so nemmeno io cosa pensare," mormorò debolmente, la voce decisa e presente, ma la mente lontana, in un luogo sperduto in cui nessuno avrebbe potuto trovarlo. Si schiarì la gola prima di prendere un lungo tiro e sbuffare la nebbiolina di fumo fuori dalle labbra arrossate. "E poi è successa una cosa."

"Cosa?" domandò Liam.

Quando Harry alzò lo sguardo in direzione del suo viso, lo trovò stranamente calmo, interessato, per nulla turbato. Si chiese se fosse un modo per farlo sentire a proprio agio, ma, anche fosse stato, stava funzionando, e di conseguenza decise di non pensarci troppo. Una parte di sé ringraziò che non avesse insistito con le domande per quanto riguardava l'ipotetica visita a casa Tomlinson. E che non stesse pretendendo che Harry spiegasse qualcosa che, ovviamente, nemmeno lui aveva del tutto chiaro.

Così strinse le labbra in una linea sottile, socchiudendo le palpebre e lasciando che il sapore del caffè sulla punta della lingua cullasse la sua mente fino a calmarla in un sussurro. La sigaretta continuò a bruciarsi, soffiando il fumo scuro sul suo viso, nascondendo i suoi occhi, fattisi improvvisamente così chiari, così cristallini.

"Ho buttato tutto," fu quello che disse. Liam si corrucciò confuso.

"Tutto?"

"Sì," mormorò. "Tutto. Ho buttato tutta la droga," continuò in quello che parve un sibilo, non azzardandosi ad aprire gli occhi nemmeno per un istante. Avvicinò la sigaretta alle proprie labbra, prendendo un lungo tiro e lasciando che il fumo pizzicasse la sua gola, permeando la sua bocca fino a strisciare per il palato, per poi riversarlo nel mondo in un lungo ed agognato sospiro. "Basta," sussurrò più a se stesso che a Liam. "Mi ha preso tutto," proseguì aprendo lentamente le palpebre, fissando lo sguardo negli occhi castani dell'amico. "Non voglio che accada più."

Il silenzio che seguì parve non terminare mai. Come si prolungasse nel tempo con tale intensità da dilatarlo a suo piacimento, rendendolo nullo, insignificante, come un orologio privo di lancette. I suoni si ammutolirono, le voci divennero mute, il vento smise di soffiare, il mondo di girare. Solo Harry, con il suo immenso fardello di cui aveva deciso di liberarsi, e Liam, i cui occhi sembravano brillare come la superficie di uno stagno in un caldo giorno di agosto.

Nel momento in cui spense la sigaretta nel posacenere, il riccio quasi non se ne accorse.

"Quando?" domandò.

"Questa notte," rispose Harry. Sembrò bloccarsi, chinando il capo e facendo correre lo sguardo su ogni particolare che trovasse degno di attenzione, senza mai fermarsi. Scosse la testa. "Questa notte ho visto una crepa nella porta di camera mia. La fece mio padre," alzò le sopracciglia, sospirando pesantemente. "E... non lo so. Mi – mi ha fatto pensare," continuò rivolgendo gli occhi verdi al cielo, schiacciando le labbra tra loro. "Non voglio diventare come lui. Non voglio prosciugarmi fino a non... a non esserci più, suppongo," rifletté a voce alta. Rise di una risata ironica, abbassando nuovamente lo sguardo e facendosi improvvisamente serio. "La droga si è presa ogni cosa. Me, la mia vita, i miei amici. E ora..." si fermò, mordendosi il labbro a tal punto che temette di farlo sanguinare. Chiuse gli occhi. "E ora anche Louis."

Non provò nemmeno a guardare Liam. Si limitò ad ascoltare il suono del suo respiro.

"Non è così," sussurrò piano, facendo scattare il viso di Harry in sua direzione. Quando incrociò i suoi occhi castani, il riccio li trovò sereni. Li trovò felici. Trattenne un sospiro strozzato quando vide un sorriso nascere sul suo volto. "È vero. Si è presa tanto. Ma non tutto," continuò avvicinandosi all'amico, per poi stringergli dolcemente la spalla. "Perché non saresti qui a dirmi questo se si fosse presa anche te."

Ed era semplice, davvero. Erano parole spontanee, nessuna poesia, nessuna filosofia. Niente di più che la pura verità, ed Harry lo realizzò solo in quel momento. Perché Liam aveva ragione. Cazzo, se l'aveva. Non si sarebbe mai trovato proprio lì, seduto in quel preciso tavolino, quell'esatto giorno, se la droga fosse arrivata a togliergli ogni cosa.

Harry c'era ancora.

E voleva continuare ad esserci.

"Grazie," sussurrò, incapace di dire altro. Liam sorrise di nuovo.

"Lo penso davvero," disse. "E sono così felice per te, Harry. Ti meriti di stare bene più di quanto tu creda," continuò dolcemente, ed il riccio arricciò le labbra così tanto da far male, portando le mani sul proprio viso per coprirsi gli occhi, scuotendo leggermente la testa, senza riuscire a smettere di sorridere.

"Così mi fai piangere," mormorò sospirando, e la voce gli si spezzò in gola, riversandosi in un lamento strozzato e piegando la sua schiena. Quando Liam se ne accorse, non dovette fare altro che avvicinarsi e stringere Harry fra le proprie braccia. Lo abbracciò finché il riccio non fece scivolare il viso nell'incavo della sua spalla, portando le mani intorno al tessuto del cappotto di Liam e aggrappandovisi.

E forse pianse davvero, ma nessuno disse niente. Il ragazzo continuò ad accarezzare la sua schiena, senza fermarsi, nemmeno un istante, rendendosi conto che Harry avesse bisogno proprio di quello. Quando sembrò essersi calmato, il riccio si allontanò leggermente, asciugandosi gli occhi ora arrossati con la manica della propria giacca, sospirando e tirando su con il naso.

"Mi dispiace," mormorò ridacchiando imbarazzato, ma Liam scosse la testa.

"Non devi. Non dirlo più. Va tutto bene," lo rassicurò sorridendo.

Ed era proprio così.

Per la prima volta, Harry non ebbe dubbi a riguardo.

-

Il riccio passò il resto della giornata in compagnia di Liam, pranzando da Subway e abbandonandosi su una delle panchine nel parco più vicino, con le guance rosse e le pance piene. Si passarono sigaretta dopo sigaretta, ridendo sguaiatamente tra loro e colpendosi sul braccio a vicenda. Quando cominciò a farsi buio, Liam riaccompagnò Harry a casa – rigorosamente a piedi – salutandolo con un ultimo abbraccio.

"Sono fiero di te," gli disse prima di sorridergli e allontanarsi, incamminandosi oltre il vialetto e, infine, lungo la strada. Quando la sua figura si fece così piccola da non essere più distinguibile, Harry si sedette sui gradini di casa, appoggiando il mento al palmo della mano e osservando il suo  respiro fondersi con l'aria gelida. Non fumò nemmeno, troppo concentrato sul calore che abbandonava il suo corpo e si condensava in riccioli soffici e dolci, volando lontano dalle sue labbra e dal suo sguardo.

Era stata una bella giornata. Sentì il suo petto scaldarsi e un sorriso formarsi sul suo viso al solo pensiero.

Durante il pomeriggio, Harry aveva domandato a Liam se avrebbe visto Zayn nei giorni successivi. Quando l'amico gli aveva risposto che, sì, l'avrebbe incontrato quella sera, il riccio gli disse di chiedergli se fosse possibile procurargli gli stessi farmaci del mese prima. L'avrebbero aiutato con le crisi d'astinenza, dandogli abbastanza energia da permettergli di vivere una vita pressoché normale. E questa volta avrebbe funzionato, si disse, perché le cose erano diverse. Questa volta, Harry voleva davvero stare bene.

Pensò che avrebbe potuto cominciare da quella sera.

Si alzò quindi dalla sua postazione sugli scalini, affrettandosi dentro casa e chiudendosi la porta alle spalle. Si sfilò il cappotto, appendendolo al corrimano delle scale, per poi far scivolare le mani sui fianchi, osservando il salone di fronte a sé. Si diresse verso il tavolino da caffè, afferrando il posacenere e portandolo in cucina, svuotandolo nella spazzatura e riportandolo al suo posto. Lavò i piatti, riordinò gli scaffali e pulì ogni angolo della sala, preparando poi una lista della spesa che avrebbe dovuto fare. Quando salì al piano superiore, Harry si occupò di entrambe le stanze, cambiando le lenzuola e pulendo i pavimenti, dando la polvere e piegando i vestiti abbandonati sulla sedia della propria scrivania. Riordinò qualsiasi cosa pensasse ne avesse bisogno, spalancando infine le finestre per far entrare l'aria pulita.

Si fece la doccia, lanciando gli abiti nel cesto della biancheria e sfregandosi il viso con l'acqua fresca, insaponando i capelli e sospirando sollevato. Una volta uscito, il corpo delicatamente avvolto in un asciugamano bianco, Harry dovette bloccarsi quando incrociò il proprio riflesso nello specchio.

Gli parve diverso. Non del tutto presente, ma comunque visibile. Pensò fosse un inizio. Che potesse farselo bastare per poter, un giorno, sperare in un particolare in più.

Si passò le mani tra i capelli bagnati, ora cadenti intorno al suo viso e sulle sue spalle, scuri e soffici al tocco. Incastrò le dita nei boccoli più evidenti, osservandoli attraverso lo specchio. Quando improvvisamente ebbe un'idea, non ci pensò eccessivamente. Fece scivolare la mano in direzione di uno dei cassetti del mobile, aprendolo ed estraendo un paio di forbici. Forse era stupido, ma, nell'ultimo mese, Harry non aveva curato particolarmente il suo aspetto. Tagliando i capelli ribelli, riportandoli alla lunghezza che da sempre preferiva, avrebbe preso una posizione.

Fu quello che fece.

Tagliò e tagliò finché non fu soddisfatto, passandovi l'asciugamano più e più volte e raccogliendo i ricci abbandonati sul pavimento. Una volta che ebbe pulito il bagno e si fu completamente asciugato, si guardò allo specchio un'ultima volta. Schiacciò le labbra, annuendo fra sé e sé, sollevato, sereno, leggero.

Dopo essersi cambiato, indossando la sua maglietta bianca preferita e il solito, vecchio paio di skinny jeans, scese le scale, dirigendosi verso la cucina alla ricerca di qualcosa da mangiare. Non essendo troppo affamato decise di prendere una vaschetta di gelato alla vaniglia, estraendo un cucchiaio dal cassetto, per poi spostarsi nel salone, facendosi cadere sul divano e accendendo il televisore.

Solo in quell'istante, Harry si rese conto che fosse passato tempo dall'ultima volta in cui aveva deciso di prendersi una serata dedicata a se stesso. L'ultimo mese era ovviamente stato un disastro, e non poteva negarlo. Non aveva fatto altro che sballarsi e ubriacarsi fino a perdere i sensi, quasi ogni giorno. Ma prima della sua ricaduta, Harry non aveva tempo per rilassarsi e, semplicemente, fermare il tempo per una manciata d'ore.

Il pensiero gli scaldò il petto, pensando che, finalmente, quella sera avrebbe potuto fare esattamente quello che voleva, quando voleva e come voleva. Si schiacciò nel divano soffice ancora di più, come potesse in un qualche modo cullarlo e coccolarlo dolcemente. Prese la prima cucchiaiata abbondante di gelato, portandolo alle labbra e facendolo sciogliere sulla punta della lingua, gustandosi ogni momento. Perse lo sguardo nel televisore e cominciò a guardare un film di cui ignorò il titolo, concentrandosi, al contrario, sui colori accesi e vivaci, quasi palpabili.

Pensò che fosse quello il mondo in cui avrebbe desiderato vivere. Un mondo dai colori così vividi da poterli quasi toccare, così sinceri da poter arrivare fino al cuore di chi fosse stato in grado di vederli. Un mondo in cui le foglie degli alberi cadevano al suolo in un turbinio di arancione e di rosso, caldi come il fuoco, un mondo in cui il cielo era sempre blu, profondo e silenzioso, e in cui il bianco e il nero venivano tralasciati, abbandonati, dimenticati.

Un mondo che avrebbe voluto condividere.

Fu così che passò il resto della serata. Quando il gelato lo stancava, Harry si alzava e lo riportava in cucina, tornando nel salone per accendere sigaretta dopo sigaretta, fumando distrattamente con lo sguardo concentrando nel televisore e in quei colori così vivi. E quando anche il tabacco non riusciva più a soddisfarlo, il riccio si preparava una tazza di tè, tenendo alto il volume del film per continuare ad ascoltarlo, incapace di separarsi dal suono delle voci dei protagonisti.

Fu così bello che, solo per un istante, si chiese se fosse reale.

Pensò di essersi addormentato quando riaprì gli occhi di scatto, trasalendo leggermente. Si guardò intorno, scoprendo i titoli di coda srotolarsi nello schermo del televisore, una leggera musica a riempire la stanza, sebbene fosse così sottile da ricordare un sussurro. Il tè sul tavolino di fronte a lui aveva smesso di fumare e, quando si piegò leggermente per prendere la tazza tra le mani, la scoprì fredda. Bevve un sorso distrattamente, gettando uno sguardo sul posacenere straripante di sigarette bruciate fino al filtro, solitarie. Fuori dalla finestra, la notte era calata sulla strada, e i lampioni illuminavano le case del quartiere.

Per un attimo, ci fu così tanto silenzio che Harry ne fu quasi terrorizzato.

Poi, improvvisamente, un rumore.

Debole. Ma presente.

Tuonò nelle tempie ancora addormentate del riccio come fosse un eco, e gli parve così conosciuto, così familiare, che si domandò se fosse stato proprio quello a svegliarlo. Bloccò i suoi movimenti per poter ascoltare meglio, aspettando che il suono si presentasse una seconda volta.

Quando lo fece, l'espressione sul suo viso cadde, infrangendosi in mille pezzi come il più delicato dei cristalli.

Perché Harry riconobbe il rumore.

E si voltò in direzione della porta.

Ancora prima di pensarlo, sentì le proprie gambe muoversi, obbligando il suo corpo ad alzarsi in piedi, osservando l'ingresso come non l'avesse mai visto prima e dovesse esserne spaventato. Quando anche i suoi piedi decisero di reagire, cominciando ad incamminarsi in direzione dell'entrata, Harry non poté fare altro che trattenere il respiro. Gli parve quasi di attendere un colpo in grado di distruggerlo, senza sapere quando sarebbe arrivato. Fu quello che provò anche quando avvicinò la dita alla maniglia, bloccandosi violentemente e trasalendo nell'esatto istante in cui il rumore si presentò di nuovo.

Qualcuno stava bussando.

E quando Harry riuscì a stringere la maniglia, facendola scattare e aprendo la porta, pensò che il suo cuore si fosse improvvisamente sbriciolato, fino a sparire, non lasciandosi nulla alle spalle se non un buco nel petto, sanguinante e disperato, urlante. E mentre svaniva, volando via come un foglio di carta, Harry non riuscì a muoversi, come paralizzato, respirando così piano, battendo le palpebre e sentendo gli occhi farsi luminosi come le stelle, ma tristi come le notti senza luna.

Perché vide Louis.

Louis.

Con gli occhi dolci e le iridi blu. Con le labbra leggermente schiuse e rosa, soffici. Con i capelli castani spettinati, come avesse corso per ore, senza fermarsi. Con i ciuffi di seta, sulla fronte, sulla pelle morbida e supplicante di un tocco, uno solo. Con il respiro affannato e il nasino all'insù. Con gli zigomi taglienti e le guance scavate. Con la giacca di jeans che profumava d'amore e di sere di baci e di silenzi confortevoli e di parole mai dette e di lacrime versate e di preghiere al cielo. Con le mani tenere e le dita sottili, tremanti, come stessero dimenandosi per liberarsi dalle catene che gli impedivano di muoversi, come se stessero lottando per non avvinghiarsi alla maglietta di Harry e riversarvi il loro pianto segreto. Con il petto ora gonfio, ora rilassato, ora in movimento, ora fermo, ansimante. Con i polsi tatuati, con l'inchiostro nero e i disegni complessi, con quelli semplici, con quelli divertenti, con quelli importanti.

Con quel suo modo che aveva di guardare Harry, perché Harry era tutto.

E, Dio.

Harry nemmeno lo sapeva.

"Louis?" mormorò con voce così bassa che nemmeno lui parve sentirsi. Quando vide le iridi del maggiore tremare al suono di quella semplice parola, così melodica e nata per i sussurri, il riccio si riscoprì in balia di fuochi a cui non sarebbe mai riuscito a dare un nome. E anche lui schiuse le labbra, corrucciandosi e scuotendo la testa. "Louis, cosa –"

"Non me ne frega un cazzo," fu quello che disse il ragazzo dagli occhi blu.

Il vento sibilò, accarezzando i suoi capelli e muovendoli dolcemente.

"Cosa?" gli fece eco il minore.

"Non me ne frega un cazzo, Harry," mormorò con voce strozzata. Scosse la testa. "Di niente," sussurrò con occhi brillanti. "Non mi importa della droga. Non mi importa delle crisi d'astinenza. Non mi importa se non riesci a farne a meno. Non mi importa  di tutta la merda che sarai costretto ad affrontare."

Quando le iridi di cristallo di Harry si fecero più verdi, Louis lo notò.

Le sue labbra tremarono.

"Non mi importa se sei triste. Non mi importa se non ti vuoi bene e per questo decidi di non meritarti nulla. Non mi importa di quello che dici, perché ti sbagli. Non mi importa se hai ragione, perché non voglio crederti. Non mi importa se ti senti solo. Non mi importa se non senti nulla. Non mi importa se pensi di farmi del male e non mi importa se pensi che io non abbia bisogno di te."

"Louis..." si ritrovò a sussurrare il riccio.

Una lacrima macchiò la guancia del castano, tingendo i suoi occhi di un blu così intenso da spegnere la notte.

"Non mi importa se pensi che avrò paura e che me ne andrò. Non mi importa se ti spaventerai. Non mi importa se mi allontani e non mi importa se mi ferisci. Non mi importa di niente, Harry, perché le persone sperano di sentirsi come mi sento io per tutta la vita, e alcune di loro non trovano mai quello che cercano. Non mi importa, perché c'è chi non saprà mai cosa si prova, e mi dispiace per loro. Non mi importa, perché alcuni di noi sono destinati a rimanere soli per sempre, ma Dio, Harry, non tu. Non io. Non noi."

Quando cominciò a singhiozzare, anche le guance del minore vennero solcate da lacrime silenziose.

"Non mi importa, Harry," ripeté quando il vento lo colpì di nuovo, questa volta con più forza. Ed il respiro di Harry si fermò quando vide le sue labbra arricciarsi come il fumo che sale in direzione del cielo, tristi, ma così sincere.

Ti prego, sussurrò una voce dentro di lui. Dillo.

E allora Louis lo fece.

"Perché io ti amo, Harry."

E fu come svegliarsi.

Fu come l'alba.

Come il cielo chiaro dopo la pioggia.

Come respirare.

Come scoprirsi vivi.

"Io ti amo," ripeté nel pianto, stringendo le labbra e gli occhi e lasciando che le lacrime colorassero il suo viso, ora così rosso, paradossalmente perfetto con quei suoi occhi blu come l'infinito. "Io ti amo e l'ho sempre fatto. Ti ho amato anche quando ho avuto paura. Ti amato ad ogni momento. Ti ho amato in ospedale, a casa, quando c'eri, quando sei andato via. Ti ho amato quando non ti ho visto, ti ho amato quando ti ho riportato a casa. Ti ho amato ogni giorno e, cazzo, Harry," si bloccò scuotendo la testa. "Ti amo anche se sei triste. Ti amo anche se non mi vuoi. Ti amo anche se non mi credi. Ma ti prego," sospirò affannato, esausto. "Ti prego. Credimi."

E quando anche il minore cominciò a singhiozzare, incapace di impedire al suo corpo di tremare come percosso da una minaccia inarrestabile, Louis si avvicinò, sfiorando dapprima il suo palmo, poi il suo polso, stringendo dolcemente la pelle morbida e pallida e alzando la sua mano, portandosela al petto.

Il cuore di Louis batteva così tanto.

E quando anche lui portò le sue dita sul corpo del riccio, tremanti sul tessuto della sua maglietta, Harry pianse ancora più forte. Strinse il tessuto della giacca del maggiore, tirandoselo più vicino senza nemmeno rendersene conto.

"Ti amo," ripeté Louis nelle lacrime. "Ti meriti di saperlo. Ti meriti di saperlo perché sei ogni cosa. Sei tutto."

Tutto, gli fece eco il suo cuore.

Quando ogni cosa parve prendere fuoco, illuminandosi senza mai spegnersi, Harry non poté fare altro se non attirare Louis a sé, fondendosi nel suo corpo come fossero uno.

Non servirono parole.

Semplicemente, il castano fece scivolare le braccia intorno ai fianchi del minore, nascondendo il viso nel suo petto quando lo sentì avvinghiarsi alle sue spalle, inglobandolo nel suo abbraccio. Si strinsero come non si erano mai stretti, cullandosi come non si erano mai cullati, piangendo l'uno le lacrime dell'altro come non avevano mai osato fare.

Si strinsero.

E non si lasciarono.

Forse, quella sera, la Luna li guardò.

E sorrise.

-

S

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