BITE [in revisione]

By leavesofwilde

90.3K 3.8K 3.6K

Harry Styles ha deciso che la vita non ha più alcuna importanza. Rinnega le emozioni, concedendo tutto se ste... More

Prologo
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
14
15
16
17
18
20
21
22
23
24
25
26
27
28
29
30
Epilogo

19

2K 94 77
By leavesofwilde

Green Eyes - Coldplay
-
I Tomlinson ospitano Harry.

I giorni che seguirono il risveglio di Harry non furono diversi dal primo. I ragazzi si alternavano pazientemente per fare in modo che il ragazzo non rimanesse mai solo, tenendogli compagnia di giorno e sorvegliandolo con occhi stanchi la notte. Liam arrivava sempre a tarda sera, partendo nuovamente nel pomeriggio, quando Niall ed Alice lo raggiungevano. Elle e Timmy si fermavano durante la pausa pranzo e intorno all'ora di cena, mentre Louis finì per rimanere con Liam la maggior parte delle nottate, dal momento in cui aveva ripreso a lavorare al pub.

Si svegliava sospirando pesantemente, tastando nel letto una figura invisibile, alzandosi lentamente e preparandosi alla meno peggio. Aveva avvisato il titolare del pub della pessima situazione che si era ritrovato per le mani e, fortunatamente, l'uomo gli aveva concesso del tempo libero per riassestarsi. Così, quando il suo turno terminava, Louis correva all'ospedale senza guardarsi indietro, senza nemmeno passare da casa per cambiarsi. Una volta raggiunta la stanza di Harry sapeva che avrebbe trovato Timmy, Niall e le sue sorelle, e sarebbe stato con loro fino all'arrivo di Liam. I giorni in cui il pub si faceva troppo impegnativo, il castano rientrava semplicemente a casa, fiondandosi nel letto e aspettando che il sonno calasse su di lui, portandolo in un mondo lontano.

Un mondo in cui Harry lo guardava come prima.

Perché avrebbe mentito se avesse detto che non fosse cambiato nulla. Non era stato l'unico a notare quanto il riccio fosse silenzioso, cupo e stanco, e non era stato l'unico a notare quanto fosse diverso il modo in cui guardava lui ed il resto del gruppo. Pensò fosse normale, nonostante tutto. Pensò fosse normale perché era stato vittima di un'aggressione, rischiando la vita, e pensò fosse normale perché sapeva che sarebbe dovuto rimanere pulito. Pensò che Harry fosse il primo ad essere consapevole di tutta la merda che lo stava aspettando, proprio lì, appostata dietro l'angolo in attesa di piombargli addosso come una belva feroce.

Ma Harry era sempre stato triste. E il gruppo l'aveva aiutato a distrarsi. Louis l'aveva aiutato a pensare ad altro e, Dio, aveva persino risvegliato in lui quelle emozioni dormienti che l'avevano abbandonato per anni. L'aveva coinvolto e l'aveva reso parte di qualcosa di speciale. Sapeva che avrebbe potuto farlo una seconda volta, ed una terza, ed una quarta e così fino all'infinito.

Perché Louis amava Harry, con ogni fibra del suo essere.

Eppure, questa volta, qualcosa era diverso.

E nessuno riuscì a capire cosa.

Non smisero di pensarci fino alla domenica successiva, quando il riccio venne dimesso dall'ospedale. Aveva indossato il cambio d'abiti che Louis e Liam gli avevano portato la settimana prima, composto da un nuovo paio di skinny neri e un maglione dello stesso colore. Niall gli portò una giacca – che aveva probabilmente rubato a Greg, viste le dimensioni – e disse che Richard li avrebbe portati fino a casa Tomlinson. Harry aveva annuito in silenzio, vestendosi sbrigativamente e passandosi una mano tra i folti ciuffi spettinati. Quando uscì dalla propria stanza con la giacca sottobraccio, Louis non poté fare a meno di notare il modo in cui il maglione gli cadesse sulle spalle così magre.

Gli indirizzò comunque un mezzo sorriso, tanto incerto quando sincero, facendogli cenno di seguire Niall lungo il corridoio. Harry strinse le labbra in una linea sottile, annuendo lievemente e facendo quanto indicato. Elle si avvicinò a lui, caricandosi lo zaino in spalla ed aiutandolo a reggersi in piedi nei momenti in cui pareva fare più fatica. Nel complesso stava bene, decisamente meglio di quanto avessero anticipato, ma era comunque ancora debole e stanco.

Richard caricò parte del gruppo, mentre gli altri lo seguirono a bordo dell'auto di Timmy. Per tutto il viaggio, Harry non fiatò, scegliendo invece di appoggiare il mento al palmo della mano e osservare il mondo muoversi a scatti fuori dal finestrino. Evitò gli sguardi preoccupati di Elle e le parole vuote di Niall, chiudendo il mondo fuori dalla sua percezione, rimanendo solo in un silenzioso borbottio di pensieri.

Raggiunsero casa Tomlinson poco dopo, scendendo dalle varie auto ed aiutando Harry ad entrare. Una volta nell'atrio, Niall fece un cenno a Richard, dandogli istruzioni circa quello che avrebbe dovuto fare una volta tornato a Villa Horan. Se i suoi genitori glielo avessero chiesto, l'uomo avrebbe dovuto dire che Niall si sarebbe fermato a dormire a casa di un compagno di scuola per terminare un progetto importante. Timmy ed Elle si affrettarono in direzione della cucina per preparare la cena, mentre Louis prese lo zaino di Harry e seguì lui ed Alice, che lo stava ora aiutando a salire le scale stringendogli la mano dolcemente.

"Ti fa male?" domandò controllando attentamente i suoi passi. Il riccio inclinò la testa da un lato.

"Non troppo," mormorò leggermente, quasi in un sospiro. "Mi sento solo molto affaticato."

"Ci siamo quasi," lo rassicurò lei indirizzandogli un sorriso che venne immediatamente ricambiato.

Alle loro spalle, Louis fissò il proprio sguardo sulle lunghe ed esili gambe di Harry, osservando come si muovessero scoordinate, ma allo stesso tempo così elegantemente leggiadre da renderlo della stessa sostanza di una piuma. Delicata, soffice e leggera, che volteggia nell'aria e lascia che il mondo la soffi lontana. Si sentì quasi sorridere, solo per un istante, ma si riprese quando raggiunsero la cima delle scale ed Harry dovette chiedere ad Alice di fermarsi.

"Solo un secondo," le chiese piegandosi appena e alzando una mano per scusarsi.

"Non c'è fretta, Harry," sorrise gentilmente lei, facendo poi correre lo sguardo in direzione del fratello. Schiacciò leggermente le labbra tra loro prima di fargli un cenno con la mano. "Dammi lo zaino, Lou," disse avvicinandosi, senza aspettare che il castano potesse rispondere. "Intanto lo porto in camera," concluse, allontanandosi in silenzio e lasciandosi alle spalle un Louis stordito ed un Harry esausto.

Nascose le mani nelle tasche della felpa, aspettando alcuni istanti in modo tale che il riccio potesse prendere fiato. Osservò come le sue labbra si schiudessero leggermente, morbide, l'una contro l'altra, e così rosse, come le ciliegie mature, le gote colorate come i petali delle rose più rosa, affaticate e magre. Vide le sue palpebre battere lentamente come in balia della melodia più rilassante, la mani stendersi dolcemente lungo i suoi fianchi quando parve riprendersi. Quando deglutì un'ultima volta, raddrizzandosi e sospirando profondamente, Louis salì gli ultimi gradini, avvicinandosi a lui e sorridendo leggermente.

"Tutto bene?" domandò inclinando il capo. Harry annuì.

"Sì," mormorò sottovoce, senza mai alzare lo sguardo dalla punta delle proprie scarpe. E per quanto questo colpisse il cuore di Louis come la pallottola più gelida, non poté fare altro che cominciare ad incamminarsi in direzione della stanza degli ospiti nella quale avrebbe dormito. Si accertò che Harry lo stesse seguendo, lasciandogli abbastanza spazio per evitare che si sentisse soffocare. Voltando l'angolo, per poco non si scontrò con Alice, che sussultò sul posto.

"Scusatemi," ridacchiò portandosi le mani al petto. "Non vi avevo visti. Ti ho messo lo zaino in camera, Harry. Ci vediamo più tardi," disse in un sorriso, avvicinandosi al riccio e pizzicandogli dolcemente la guancia. Il ragazzo arricciò le labbra in risposta, stringendo le palpebre e seguendola con lo sguardo. Louis fece lo stesso, prima di allontanarsi per poter aprire la porta e permettere ad Harry di entrare.

Nonostante la stanza non fosse particolarmente grande, era decisamente più spaziosa di quella del riccio, e una grande finestra dagli infissi bianchissimi filtrava le deboli luci dei lampioni del cortile, definendo gli angoli e accentuando le ombre. Il letto aveva un aspetto fresco e accogliente, e gli occhi di Harry si fecero improvvisamente più dolci. Un'enorme libreria costeggiava la parete e, sotto la finestra, una poltrona dai ricami azzurri sedeva nella penombra. Il suo zaino era stato appoggiato lì, ma il riccio non ci fece troppo caso. Si sfilò la giacca, appendendola all'attaccapanni vicino alla porta, per poi passarsi una mano tra i capelli e sospirare debolmente.

"Grazie," mormorò sottovoce, ma Louis lo sentì. Si sentì sorridere ancora prima di pensarlo.

"Non devi ringraziare," disse allora, superando la figura esile e slanciata di Harry per avvicinarsi alla poltrona e prendere il suo zaino. Quando glielo porse, la presa sulla stoffa nera delle dita del minore parve eccessivamente stretta. Mantenne il capo chino, quasi come non osasse ricambiare lo sguardo del castano.

"Fidati," sussurrò poi debolmente, facendo battere il cuore di Louis senza controllo. "Devo," fu tutto quello che disse, per poi allontanarsi e portare lo zaino con sé, privando le mani di Louis della stoffa ruvida, la quale scivolò sotto i suoi polpastrelli così lentamente da farli tremare. Osservò Harry distogliere lo sguardo dalla scena, dirigendosi verso il letto e sfilandosi le scarpe delicatamente, prima di spingerle sotto il materasso e sedersi.

"Elle e Timmy stanno preparando da mangiare," disse improvvisamente Louis rispondendo ad una domanda mai posta. Il pensiero di lasciare che il silenzio controllasse la stanza a suo piacimento lo spaventava a tal punto da spingerlo a riempire il vuoto con ogni cosa, qualsiasi cosa. Che fosse un sospiro, una risata, una parola di troppo. Persino uno sguardo avrebbe potuto fare al caso suo.

Così guardò Harry, la sua schiena curva e le mani giunte, strette insieme, ancorate come scogli, le gambe magre piegate e le ginocchia sporgenti, i piedi coperti dai calzini scuri, le clavicole visibili oltre la scollatura del maglione troppo largo, i lunghi ciuffi arricciati sulla sua fronte a coronare un viso di pallore e di occhiaie scure, gli occhi languidi e lucidi, così stanchi, così persi. Dovette trattenere un sussulto quando, d'improvviso, Harry alzò lo sguardo, incatenandolo nel suo in una danza fatta di niente di più se non domande senza risposta. Lo vide annuire debolmente, chinando il capo subito dopo.

"Va bene," mormorò grattandosi il viso. "Io – uhm. Credo che mi riposerò," continuò prendendo il proprio zaino e cominciando a frugare al suo interno. Louis si chiese se stesse cercando qualcosa o se stesse semplicemente facendo finta di apparire impegnato. "È un problema se non ceno con voi?" domandò poi, ed il castano per poco non trasalì.

"No, assolutamente," esclamò alzando le mani, come turbato dal tono troppo serio che macchiò la voce di Harry. "Possiamo portarti da mangiare. Così eviti di fare le scale," tentò quindi, osservando attentamente la reazione del riccio, il quale, però, non parve reagire. Bloccò i movimenti lenti, per poi fissare lo sguardo su un punto indefinito sulla moquette davanti a sé, annuendo leggermente.

"Va bene," disse, distante. "Grazie mille," concluse, riprendendo a frugare nel proprio zaino, dal quale estrasse il cellulare insieme al carica batterie ed una maglietta bianca pulita. Louis annuì tra sé e sé per poi dirigersi verso la porta, deciso a lasciare la stanza.

Era normale, pensò, che Harry avesse bisogno di passare del tempo da solo. Era normale che non avesse voglia di parlare – senza menzionare il fatto che, molto probabilmente, la gola ancora faceva male. Era normale che non avesse voglia di stare con il resto del gruppo, dopo l'accaduto. Era normale che fosse giù di morale ed era normale che si sentisse spaesato. Era normale perché, nonostante tutto, si trattava sempre di Harry. Lo stesso Harry che non si rendeva conto di essere una persona importante per i Tomlinson, lo stesso Harry che non aveva mai pensato che Liam e Niall tenessero davvero a lui come amico. Lo stesso Harry che pensava che Louis lo usasse semplicemente perché era convinto di non avere altro da offrire, quando, in realtà, c'era sempre stato così tanto di più. Lo stesso Harry che non si considerava mai all'altezza di nulla, ma che era, allo stesso tempo, così forte e determinato. Lo stesso Harry che aveva sempre lottato.

Era normale, pensò, che in quel momento fosse esausto.

"Louis?" lo chiamò poi all'improvviso e, quando il castano si voltò, gli parve quasi di notare, solo per un istante, quello stesso fuoco che aveva illuminato i suoi occhi ed il suo viso la sera dell'ultimo dell'anno. Lo guardò e gli sembrò di bruciare nelle fiamme così rosse e così vive, come le sue labbra piene e le gote rosee.

"Sì?" domandò voltandosi completamente, sfilando le mani dalle tasche della felpa e facendole cadere lungo i fianchi, senza forze, in attesa, trepidanti. Vide la bocca di Harry schiudersi lentamente, gli occhi farsi verdi come l'edera, incatenati nei suoi, così blu, e sembrò tutto così normale.

Louis non avrebbe voluto fare altro che stringerlo tra le sue braccia fino alla fine dei tempi.

Quando Harry batté velocemente le palpebre, il castano si sentì morire.

"Potresti..." cominciò senza mai distogliere lo sguardo. Louis si sentì avvicinarsi di un passo, ma si bloccò quando il rossore sul viso di Harry si accese, colorando ogni suo particolare. Deglutì lentamente, per poi stringere delicatamente gli occhi. "Potresti mandarmi una canzone?"

E Louis avrebbe mentito se avesse detto che quelle parole non l'avevano colpito nel cuore. Avrebbe mentito se avesse detto che non aveva voluto piangere, sentendo la voce di Harry così debole e tenera allo stesso tempo. Avrebbe mentito, perché quella semplice frase si aggrappò ai suoi vestiti trascinandolo al suolo, azzannandolo alla gola, macchiando i suoi occhi di lacrime ed il suo petto di spine di sangue. Avrebbe mentito, perché, in quel momento, ogni fibra del suo essere si fece polvere di stelle, liberandosi nell'aria solo per raggiungere quell'esile figura curva su un letto troppo grande per una sola persona, depositandosi sulla pelle pallida ed illuminandola di una luce più forte persino dell'alba.

Non riuscì nemmeno a sorridere.

"Ma certo," mormorò quindi. Ed Harry annuì, lanciando un'ultima occhiata in sua direzione prima di alzarsi lentamente dal letto e dirigersi verso l'enorme finestra, incrociando le braccia ed appoggiando una spalla contro il vetro, fissando lo sguardo nel cortile buio, lontano dal resto della casa.

Louis lo prese come un segnale.

Senza aggiungere altro, semplicemente, lo lasciò solo.

-

Quella sera, dopo che Niall egli ebbe portato da mangiare e tenuto compagnia per un paio d'ore, Harry si ritrovò da solo, avvolto nelle calde coperte di un letto così comodo da dargli l'impressione di annegarvi all'interno. Appoggiò la schiena contro la pila di cuscini, stringendo le mani intorno alle lenzuola per tirarsele fin sotto il mento, riparandosi dal freddo e nascondendo il viso contro il tessuto soffice. Si lasciò cullare dal profumo delle coperte pulite, così dolce e rassicurante, fresco ed avvolgente, un profumo che fece tornare Harry bambino, e gli fece desiderare di addormentarsi del sonno più profondo e silenzioso.

Eppure il suo petto si contorse comunque.

Si contorse perché si rese conto di aver già sentito quel profumo, in passato, quando era tutto più semplice e lui aveva deciso di godersi i momenti, concedendo a se stesso sorrisi ed emozioni. Si contorse perché riconobbe il profumo e, quando i suoi occhi si chiusero, la mente viaggiò indisturbata fino a meno di un mese prima, quando i ragazzi avevano festeggiato il compleanno di Louis in ritardo. Si contorse perché realizzò che quel profumo fosse lo stesso del letto di Louis.

Fu come venir pugnalato da mille coltelli, da tutte le parti, senza poter prevenire la ferita. Incapace di fare altro, Harry si ritrovò a percorrere una serata che mai avrebbe pensato di poter rimpiangere così tanto. Si ricordò del momento in cui Louis l'aveva trovato, in cima alle scale, di quando l'aveva raggiunto e di come l'avesse baciato contro la parete bianchissima. Si ricordò di come l'avesse portato nella sua stanza per mostrargli il suo regalo di compleanno e di come aveva reagito il castano, della lacrima che aveva rigato il suo viso e delle parole che aveva condiviso con lui. Si ricordò della sua storia, delle smorfie sulle sue labbra, del buio nei suoi occhi. Si ricordò anche come si fossero poi sostenuti, come avevano sempre fatto, e di come si fossero baciati, ancora e ancora, e poi spogliati. Si ricordò di come si fossero stesi insieme, pelle nuda contro pelle nuda, soffice e morbida e profumata, come le lenzuola che li avevano avvolti mentre sospiravano l'una nella bocca dell'altro, mentre si stringevano, promettendosi parole mute, mentre si amavano, senza fine, senza paura.

Quelle lenzuola portavano il profumo dell'amore che Harry provava, ma a cui non poteva concedersi. Portavano il profumo delle parole che avrebbe voluto confessare, ma che non avrebbe mai detto. Portavano il profumo delle fiamme nel suo petto, che ancora ardevano vivaci, ma che stava tentando, a poco a poco, di spegnere lentamente.

Quelle lenzuola portavano il profumo di Louis.

Louis.

Con i suoi occhi blu e le labbra così buone e morbide e gentili. Ed Harry non avrebbe voluto fare altro che baciarle di nuovo, senza mai smettere. Non avrebbe voluto fare altro se non permettergli di prendersi qualsiasi cosa, perché lo amava così tanto da provare dolore. Non desiderava altro che vederlo irrompere nella sua stanza, sbattendo violentemente la porta e avvicinandosi a lui senza troppe pretese, stringendolo a sé fino al mattino, baciando il suo viso e asciugandolo dalle lacrime.

Ma Harry sarebbe stato esattamente l'egoista che era sempre stato per tutta la propria vita se gliel'avesse permesso. Sarebbe stato egoista se avesse guardato Louis più a lungo del necessario, se gli avesse sorriso, se gli avesse detto la verità. Se l'avesse baciato e coccolato nel proprio letto. Se avesse condiviso con lui quei fuochi così deboli nel suo petto.

Semplicemente, non poteva. Non poteva perché lo amava così tanto che avrebbe preferito lasciarlo andare piuttosto che ferirlo. Esattamente come l'aveva amato a tal punto da essere disposto a soffrire pur di stare con lui. E probabilmente suonava smielato, ma dannazione, Louis gli faceva desiderare di esserlo.

Il problema continuava a persistere.

Harry non avrebbe mai permesso a se stesso di far soffrire Louis.

Non quando non aveva idea di come aggiustarsi.

Così chiuse gli occhi, rilassando la testa sul cuscino e sperando che il mondo cadesse in un silenzio assordante, in modo tale da abbandonarlo ancora, un'ultima volta.

Dovette risvegliarsi dai propri pensieri, però, quando il cellulare vibrò sul comodino alla sua destra. Si voltò di scatto, spaventato dal rumore improvviso, per poi sospirare debolmente, facendo strisciare il braccio fuori dalle coperte calde per raggiungerlo. Sfiorò lo schermo gelido, rabbrividendo al tocco, prima di sbloccarlo e leggere la notifica.

Sentì gli occhi riempirsi di spine quando vide il nome di Louis.

E la canzone che gli aveva appena inviato.

Pensò che avrebbe potuto concedersi quell'ultima carezza. Non sarebbe mai più capitato. Non gli avrebbe mai più chiesto di inviargli della musica, come era solito fare e, se l'avesse ricevuta, non l'avrebbe mai più ascoltata. Quella volta, però, sentì il bisogno di far scorrere il dito sullo schermo per leggerne il titolo. Si rintanò sotto le coperte, appoggiando il viso caldo contro uno dei due cuscini, abbandonando il cellulare sull'altro, al suo fianco, quasi come fosse una seconda persona presente insieme a lui, una persona che aveva deciso di cullarlo fino al sonno.

Con dita tremanti, fece partire la canzone.

Era Green Eyes, dei Coldplay.

Ed il suo viso non poté fare a meno di contorcersi.

Forse cantò anche lui, sottovoce, il sospiro ovattato dal tessuto morbido del cuscino. Forse chiuse gli occhi, facendo finta che, al suo fianco, ci fosse proprio Louis. Forse strinse le labbra, trattenendo un mugolio addolorato. E forse pianse, bagnando le lenzuola che si portò sul volto, macchiando le proprie guance di lacrime amare.

"Honey, you are a rock upon which I stand."

Ed Harry singhiozzò, perché pensò non fosse vero.

"The green eyes, the spotlight shines upon you."

Ed Harry desiderò di poter gridare, perché pensò che quei deboli fuochi nel suo petto si fossero spenti, uno ad uno, senza lasciare traccia.

"And how could anybody deny you?"

Ed Harry pianse ancora, finché la voce non smise di cantare e la musica di suonare, perché pensò che fosse segnato a rimanere solo. Perché pensò a tutti gli sforzi fatti, e a dove lo avessero condotto. Perché pensò non ne valesse la pena.

Perché pensò che Louis sarebbe stato meglio senza di lui.

E quindi pianse nel silenzio.

Quella notte, forse, si spensero anche le stelle.

-

Il giorno successivo, Niall era tornato a casa insieme ad Alice, dopo la scuola, e la prima cosa che aveva fatto era stata quella di abbandonare lo zaino pesante ai piedi della rampa di scale, correre al piano di sopra ed irrompere nella stanza del riccio.

"Harry," aveva detto chiudendosi la porta alle spalle, non badando minimamente all'amico, il quale aveva sussultato per lo spavento, portandosi una mano al petto e sgranando gli occhi.

"Cristo, Niall," sbuffò scuotendo la testa, senza però riuscire a trattenere un debole sorriso. Un sorriso che tentò di schiacciare immediatamente.

"Come ti senti oggi?" domandò il biondo sfilandosi la giacca della divisa ed allentandosi il nodo della cravatta, lanciandosi sulla poltrona ed osservando la figura di Harry, il quale sedeva a gambe incrociate sopra le coperte morbide, una tisana fumante sul comodino e lo schermo del cellulare che teneva tra le mani acceso. Lo bloccò prima di lanciarlo lontano, stendendosi sul letto e rilassando le braccia dietro la testa.

"Sto bene," disse schiacciando le labbra e guardandosi intorno. Niall non distolse lo sguardo, seguendo, al contrario, quello confuso ed incerto dell'amico, che pareva soffermarsi su ogni particolare come lo stesse vedendo per la prima volta. "Mi sento meglio," continuò distrattamente, e Niall sospirò.

"Sei riuscito a dormire?" chiese quindi, rilassandosi contro lo schienale della poltrona e appoggiando il mento al palmo della mano, osservando attentamente l'amico.

La verità era che Niall era turbato. Non solo dallo stato attuale delle cose, ma anche dal modo in cui sapeva sarebbero cambiate. Perché, come aveva detto il medico, Harry non avrebbe potuto fumare e bere e, ovviamente, questo comportava che non avrebbe potuto fare uso di sostanze. Il che era ovvio, e l'aveva sempre saputo, nonostante non ci avesse immediatamente dato il peso necessario. Per questo motivo, negli ultimi giorni, non aveva fatto altro che informarsi sui sintomi delle crisi d'astinenza, cercando, in un qualche modo, di attutire l'eventuale caduta. Sapeva che Harry avrebbe fatto fatica a dormire, che sarebbe stato irritabile e, molto probabilmente, particolarmente depresso.

E nonostante Niall avesse visto Harry nei suoi periodi più bui, qualcosa gli diceva che, questa volta, le cose sarebbero andate peggio del solito. Ne aveva discusso con Louis, e anche lui pensava la stessa cosa. Senza vie con le quali contrastare la dipendenza, Harry avrebbe fatto fatica, più di quanta potessero anche solo immaginare.

Voleva solo aiutarlo al massimo delle sue capacità.

Così sospirò quando vide Harry alzare le spalle.

"Sì," rispose distrattamente. "Diciamo che ho avuto nottate migliori," mormorò sorridendo appena, cominciando a giocherellare con i lembi della propria maglietta. Niall annuì tra sé e sé, senza mai distogliere lo sguardo. Sospirò ancora, chinando il capo e concentrandosi sulla punte delle scarpe eleganti.

"So che non dev'essere semplice," disse improvvisamente, facendo scattare il volto del riccio in sua direzione. "E so che sarà una rottura di palle inimmaginabile," continuò sospirando una risata ironica. "Ma noi siamo qui, okay? Tutti. Non che tu debba parlare con noi – voglio dire. Puoi farlo se vuoi. Ma non devi sentirti obbligato," disse distogliendo lo sguardo. "Voglio solo che tu sappia che non cambierà nulla."

Harry continuò ad osservarlo per quelle che parvero ore. Sentì i suoi occhi annebbiarsi improvvisamente, come macchiati dai mille pensieri che cominciarono a volteggiare nella sua mente come le foglie in autunno, che scivolano nel vento senza controllo. Sentì la presa sulla propria maglietta farsi più salda, ma solo per alcuni istanti.

La verità era che Niall non aveva idea di cosa stesse accadendo.

E non avrebbe dovuto.

Quindi sorrise debolmente, abbassando lo sguardo.

"Certo," mormorò appena. "Me ne ricorderò."

E quando Niall sorrise, Harry non desiderò altro che sprofondare nel suolo.

"Ho pensato ad una cosa," disse poi il biondo, alzandosi dalla poltrona per raggiungere la fine del letto, prima di abbandonarvisi sopra senza troppe cerimonie. Harry ridacchiò leggermente alla scena, osservando come la sua figura rimbalzasse sul materasso in maniera quasi preoccupante, le mani giunte sul grembo e l'espressione impassibile.

Fu proprio come ai vecchi tempi.

"Spara," disse con un sorriso, passandosi una mano tra i ricci arruffati.

"E se organizzassimo una festa? Ascolta," disse voltandosi sullo stomaco, piantando i gomiti nel materasso in modo da potersi alzare quanto bastava per guardare Harry negli occhi. Sospirò appena. "So che probabilmente sarà molto diversa dal solito, come so che potresti non sentirtela, ma..." si perse, gesticolando a tal punto da dover obbligare il riccio a trattenere un sorriso. "Penso che potrebbe essere la cosa migliore. Per passare una serata in compagnia e divertirsi e ricordarsi che sia tutto... normale."

Harry osservò l'amico a lungo, senza proferire parola. Non aveva nemmeno idea di come sentirsi. Niall gli stava proponendo di organizzare una festa per distrarsi e divertirsi, ma ancora di più per metterlo a proprio agio. Per tentare di aiutarlo discretamente, senza sotterrarlo con parole inutili e gesti troppo drammatici. Niall stava tentando di essere se stesso, perché solo così Harry sarebbe stato bene. Stava tentando di essere se stesso perché voleva fargli capire che non sarebbe cambiato niente.

Questo lo rese triste.

Lo rese triste perché non era assolutamente così. Ma lo rese triste soprattutto perché Niall stava tentando di fare del suo meglio, e gli parve quasi di mettergli i bastoni tra le ruote di proposito. Come lo avesse già deluso in partenza, ancora prima di dargli una possibilità.

Non sapendo cosa fare, Harry si limitò ad alzare le spalle.

"Mi sembra un'ottima idea," disse con un leggero sorriso, senza mai distogliere lo sguardo dall'amico, avendo la sensazione che, se l'avesse fatto, avrebbe dato vita alla prima crepa in quel suo cuore così buono. "Mi troverai in cucina a sorseggiare succo alla mela con un filo d'erba tra i denti."

"Harry, non voglio che –"

"Niall," lo fermò il riccio mettendogli una mano sulla spalla. "Va bene così. Sul serio. Sto solo facendo il coglione," sorrise leggermente. "So come funziona. Non voglio che la situazione pesi a nessuno. Non ce n'è bisogno," disse poi, e Niall sospirò, un lieve sorriso ad arricciargli le labbra sottili.

"Quindi pensi davvero sia una buona idea?"

"Direi ottima," sorrise Harry, e Niall fece lo stesso.

"Perfetto," esclamò il biondo alzandosi di scatto. "Ti lascio riposare. Devo tornare a casa tra poco," disse alzando gli occhi al cielo, ed Harry sorrise. "Ci vediamo domani, amico," lo salutò alzando la mano in sua direzione, ed il riccio fece lo stesso per battergli il pugno. Gli strinse l'occhio e lo guardò uscire dalla porta di fretta, senza mai smettere di sorridere. Quando vide la maniglia scattare, le sue labbra si fecero improvvisamente serie.

Spostò lo sguardo sulla finestra davanti a lui, osservando il cielo annuvolato oltre i pannelli di vetro. Così scuro, ma allo stesso tempo luminoso, quasi accecante. Un filo di vento silenzioso faceva tremare le punte degli alberi del cortile, e le nuvole si muovevano lentamente nella distesa di grigi.

Non sarebbe mai riuscito ad allontanarsi, non è così? Lo realizzò solo dopo aver parlato con Niall. Non sarebbe mai riuscito a separarsi da lui e da Liam, i migliori amici che avesse mai avuto. Non sarebbe mai riuscito a deluderli così e, nel caso l'avesse mai fatto, non avrebbe potuto fare altro se non lasciare che il senso di colpa lo divorasse. Perché ora era tutto diverso. Perché ora, Harry faceva parte del mondo e, come lui, così le sue emozioni. Non sarebbe nemmeno mai riuscito a dire addio alla quotidianità che erano diventati Timmy, Elle ed Alice. Gli sarebbero mancati i commenti fuori luogo di lui, l'euforia e le risate della ragazza dai capelli rossi e le battute sarcastiche e la sfacciataggine di Alice. Non sarebbe riuscito a separarsi da nulla di tutto quello che aveva conosciuto e costruito negli ultimi mesi.

Una sola cosa era certa.

Non sarebbe mai riuscito a fare del male a Louis.

Perché Louis non era solo un amico. Non era solo una persona di passaggio, della quale Harry avrebbe potuto fare a meno. Non era una distrazione e non era un divertimento.

Louis era il sole dopo settimane di pioggia, il rumore delle onde che fa addormentare, il sapore del tabacco sulla punta della lingua, la giacca di jeans per coprire le spalle infreddolite, la voce che sovrasta la musica delle casse, le luci dei colori più accesi che fanno brillare gli occhi nelle discoteche più rumorose. Louis era l'aria fresca che si respirava quando si usciva dopo una festa, il tocco della mano della persona che si era riusciti a trovare anche nella folla più confusa.

Non poteva ferirlo. E l'avrebbe fatto in ogni caso, ma la sola idea di condannarlo a trascorrere con lui i prossimi mesi martellava le sue tempie e stritolava il suo cuore fino a renderlo uno straccio zuppo di sangue sporco. L'avrebbe ferito lasciandolo andare. L'avrebbe ferito rendendolo libero.

Era quello che pensava.

E anche lui avrebbe sofferto. Dannazione, sarebbe stata la ferita più profonda. Perché, da mesi, ormai, Harry aveva capito che nessuna droga e nessun passato di merda avrebbe mai potuto competere con il sentimento che derivava dall'assenza di Louis nella sua vita.

Ma avrebbe sofferto per fare in modo che Louis fosse felice.

L'aveva già fatto una volta, dopo tutto.

O forse più di una. Forse era capitato una terza volta, in passato, quando sua madre aveva deciso di trasferirsi ad Holmes Chapel senza di lui. Era capitato quando Harry aveva pensato che la scelta migliore fosse quella di lasciarla andare, di non impedirle di abbandonarlo, convinto di essere la causa dei suoi problemi e delle sue sofferenze. Era sicuro che, senza di lui, sua madre sarebbe stata bene. E così non aveva fatto altro se non guardarla andarsene per non tornare mai più.

In quel momento, Harry sentì di amare sua madre come non aveva mai fatto prima.

Il solo pensiero lo sfiancò.

Perché nonostante tutte le litigate, tutte le grida, tutto quello che era successo e tutte le colpe che le aveva addossato, sua madre gli mancava. Tanto quel pomeriggio quanto negli ultimi due anni. Gli mancava perché avrebbe voluto fare di più. Avrebbe voluto esserci per lei quando aveva bisogno di lui, e avrebbe voluto aiutarla al massimo delle sue capacità. Avrebbe voluto parlare con lei del più e del meno e renderla partecipe della propria vita, ma non l'aveva mai fatto. Non ci aveva nemmeno mai provato.

Non si accorse nemmeno della lacrima muta che percorse la sua guancia.

In un solo istante, Harry ripercorse ogni attimo del giorno in cui sua madre preparò i bagagli e se ne andò di casa. Rivide la luce che filtrava dalle finestre, sentì l'odore della propria casa e quello del profumo di lei, il solito, forte ed elegante allo stesso tempo. Ascoltò il rumore dei tacchi delle sue scarpe abbattersi sul pavimento, i suoi capelli scuri danzare sulle spalle, la camicia bianca e i braccialetti tintinnanti gli uni contro gli altri. Rivide il taxi e sentì di nuovo il rumore del motore che rimbomba, sempre più lontano, fino a sparire.

Poi si ricordò di come il mondo si fosse fatto improvvisamente di nebbia. Di come avesse smesso di sentire qualsiasi suono, qualsiasi rumore, qualsiasi profumo e persino qualsiasi sensazione. Di come ogni cosa avesse iniziato a girare su se stessa, come una giostra macabra e morbosa, di come il suo corpo sembrasse sgretolarsi in sabbia finissima, destinato a volare nel vento violento per il resto dei suoi giorni.

Si ricordò di come si fosse sentito morto. E di come avesse desiderato esistere di nuovo.

E pensò che, ancora una volta, aveva smesso di esserci. Perché aveva tentato di vivere nel presente e non aveva funzionato. Perché aveva tentato di provare le emozioni che tanto temeva e non avevano fatto altro che condurlo all'ennesima condanna. Perché aveva tentato di concedersi e non aveva portato altro che guai. Perché aveva deciso di reagire e il suo stesso fardello gli era nuovamente caduto sulle spalle, questa volta rompendolo irreparabilmente.

Si fece buio, il mondo, in quell'istante.

Prima che potesse rendersene conto, Harry cominciò a singhiozzare, piegandosi su se stesso e nascondendo il viso tra le mani, schiacciando le dita nella carne a tal punto da lasciare il segno, per poi farle scivolare fino ai ricci spettinati ed aggrapparvisi quasi come volessero strapparli freneticamente. Sentì la sua schiena abbattersi sotto il peso del pianto, i suoi arti farsi gelidi, le sue labbra tremanti, le guance rosse come il fuoco. Vide la stanza farsi sempre più opaca, fino a sparire, lasciandolo in un mare di nulla e di silenzio.

Questa volta non era stato Harry a decidere di smettere di esistere. No, questa volta era stato obbligato a farlo contro la propria volontà.

Questa volta, Harry era stato ucciso dai suoi stessi pensieri, cadendo a peso morto tra le braccia di un mondo che gli aveva voltato le spalle, distogliendo lo sguardo e abbandonandolo a se stesso.

Si sentì così solo che gli parve di sparire.

Continuò a piangere, senza sosta, sdraiandosi su quel letto troppo grande e annegando sotto le sue coperte, schiacciando il viso nel cuscino e soffocando i singhiozzi come meglio poteva, nel tentativo di non farsi sentire, né dal resto dei presenti nella casa, né da se stesso. Pianse ogni lacrima finché il sonno non prese possesso del suo corpo, addormentandolo con le gote arrossate e gli occhi gonfi, le lacrime ancora tiepide che continuarono a scivolare sulla sua pelle in silenzio, senza svegliarlo, i pugni stretti intorno alle lenzuola.

Non si rese mai conto del sole che aveva cominciato a calare, né del caldo che cominciò a sentire a causa delle coperte troppo pesanti. Non si rese conto della pioggia che cominciò a cadere, abbattendosi contro i pannelli di vetro della finestra della propria stanza, né dei lampioni nel cortile che si accesero. Non si accorse del sonno che leccò la sua pelle e, soprattutto, non si accorse mai della presenza di Louis, proprio lì, fuori dalla sua stanza.

Perché Louis gli aveva portato la cena, ma non era nemmeno riuscito a stringere le dita sottili intorno alla maniglia della porta. Ci aveva provato, ma era stato costretto a fermarsi nel momento in cui aveva sentito il pianto soffocato provenire dalla parte opposta. Aveva sentito i rantoli e singhiozzi, le grida soffocate, le mani che erano andate a coprire quella bocca troppo bella per soffrire, le palpebre serrate, le lacrime affilate come lame. Aveva sentito il corpo del ragazzo farsi piccolo e le coperte avvolgerlo, così come le urla soffocate nel cuscino, il pianto strozzato nella sua gola.

Pietrificato, Louis non aveva potuto fare altro che bloccarsi. E mano a mano che i singhiozzi permeavano la stanza sempre di più, il castano era lentamente crollato a sua volta. Aveva appoggiato il piatto sul pavimento, cadendo al suo fianco e schiacciando la schiena contro il muro. Aveva stretto le gambe al petto e nascosto il viso, lasciandosi colpire ad ogni istante da quel pianto così disperato, così lontano, ma allo stesso tempo così vicino.

Avrebbe forse potuto fare qualcosa.

Eppure.

Eppure nemmeno Louis aveva mai sentito una persona soffrire così. E quindi era scivolato contro la parete, cadendo a terra, incapace di alzarsi, nascondendosi e chiudendosi in se stesso ed impazzendo, cullato dal suono delle lacrime e dei rantoli, che avevano riempito la sua mente come l'eco di un grido nella vallata più vuota e più triste.

Pianse anche Louis, quella sera.

Non poté fare altro.

Fu solo quando i singhiozzi si placarono che il castano alzò la testa, realizzando che si fosse fatta notte e che Harry si fosse probabilmente addormentato. Si passò una mano sul viso, asciugando le guance dalle lacrime amare, per poi avvicinarsi lentamente alla porta ed ascoltare attentamente, nel tentativo di capire cosa stesse succedendo.

Ma non ci fu nulla.

Così si alzò da terra, si lisciò la stoffa della felpa per aggiustarla, chinando il capo e sospirando pesantemente, le labbra ancora tremanti. Strinse le dita intorno alla maniglia, facendola scattare il più silenziosamente possibile per evitare che Harry se ne accorgesse. Non entrò subito, decidendo di assicurarsi che il riccio stesse effettivamente dormendo. Lanciò un'occhiata veloce all'interno della stanza solo per vedere la figura del ragazzo avvolta dalle coperte, stesa nel letto caldo, la luce proveniente dalla dai lampioni fuori dalla finestra ad illuminare il suo profilo. Fece un passo, poi un altro, entrando di soppiatto e chiudendosi la porta alle spalle delicatamente.

Si avvicinò quanto bastava solo per sentire il proprio cuore sprofondare di nuovo.

Si sentì crollare ancora una volta, il proprio corpo troppo pesante da sopportare. Si rannicchiò lentamente sulla moquette, di fronte ad Harry, le ginocchia premute contro il pavimento, le mani a correre disperate sulle lenzuola fino ad arrivare alla sagoma del riccio, che decise, però, di non toccare.

Perché vide Harry in un modo così diverso, quella notte. Lo vide così piccolo e rotto, così solo, così triste, con quei suoi occhi ora gonfi e martoriati, i capelli spettinati, le guance arrossate, le labbra piene e leggermente schiuse. Si sentì tremare quando sentì il suo respiro, ora così diverso dal solito, da quei dolci sospiri che aveva sentito quando avevano dormito insieme e l'aveva stretto fra le proprie braccia.

Sentì i suoi occhi farsi nuovamente lucidi.

"Harry..." sussurrò sottovoce, incapace di dire altro.

Forse pianse, o forse no. Forse rimase immobile nel silenzio, o forse riuscì a sfiorare la figura di Harry. Forse gli cantò le parole della canzone, o forse gli parlò.

Una sola cosa fu certa.

Louis sperò che gli occhi di Harry potessero riaprirsi e che, al loro interno, potesse ritrovare quel verde che tanto amava.

-

S

Continue Reading

You'll Also Like

12.6K 730 6
[Quarto racconto per la raccolta Sign Of The Times] [Primo, Secondo e Terzo racconto disponibile sul profilo] [Appendice disponibile sul profilo] Nia...
136K 3.6K 77
perché ho gli occhi molto più cechi del cuore e non sono mai riuscita a vederci amore... rebecca chiesa, sorella di federico chiesa, affronta la sua...
322K 23.7K 50
Louis Tomlinson é un diciannovenne bello, ricco e popolare, ma anche altrettanto arrogante e superficiale. Harry Styles è sempre pieno di tagli e liv...
27.3K 1K 15
Trama: Harry faceva parte della più grande boy band del mondo. Era anche una metà della migliore (o peggiore, dipende dai punti di vista) relazione s...