𝐋'𝐔𝐎𝐌𝐎 𝐃𝐀𝐆𝐋𝐈 𝐎𝐂𝐂...

By angydevil_

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«A quanto pare la vita non è stata gentile con nessuno dei due.» «La vita non è gentile con nessuno, ragazzin... More

𝑷𝒓𝒆𝒇𝒂𝒛𝒊𝒐𝒏𝒆
𝐂𝐀𝐒𝐓
𝑫𝒆𝒅𝒊𝒄𝒂
𝐏𝐫𝐨𝐥𝐨𝐠𝐮𝐞
𝟎
𝐀𝐓𝐓𝐎 𝐈
𝟏
𝟐
𝟑
𝟒
𝟓
𝟔
𝟕
𝟖
𝟗
𝟏𝟎️
𝟏𝟏
𝟏𝟐
𝟏𝟑
𝟏𝟒
𝟏𝟓
𝟏𝟔
𝟏𝟕
𝟏𝟖
𝟏𝟗
𝐀𝐓𝐓𝐎 𝐈𝐈
𝟐𝟎
𝟐𝟏
𝟐𝟐
𝟐𝟑
𝟐𝟒
𝟐𝟓
𝟐𝟔
𝟐𝟖
𝟐𝟗
𝟑𝟎.𝟏
𝟑𝟎.𝟐
𝟑𝟏

𝟐𝟕

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By angydevil_

"True"
Lucas King

...

Era ormai buio.
Nicholas era uscito già da un paio di giorni e la casa era improvvisamente sprofondata nel silenzio.
Nonostante si trattasse concettualmente di poco tempo, da quella mattina così movimentata sembrava essere già passata un’eternità, in un certo senso era persino sfumata la paura iniziale.

Le uniche cose che non se n'erano mai andate, erano i dubbi di Erika. Durante quei giorni non aveva fatto altro che rimuginare e rimuginare su ciò che Lux le aveva rivelato in quel bagno, ma non avevano più toccato l'argomento da allora e dubitava che Lux sarebbe stato disposto a rispondere a qualche altra domanda. Era ritornato nel suo perenne stato di segretezza.

Alla ragazza mancava già la presenza rassicurante di Nicholas, perché al contrario quella del moro la metteva in estremo disagio. I due si limitavano ad ignorarsi, ma Lux l'aveva fissata a lungo, osservando con quello sguardo gelido ogni suo singolo movimento in maniera maniacale.
Persino su quel logoro divano letto nel quale era costretta a dormire percepiva ancora sulla pelle la sensazione bruciante di quegli occhi grigi come la nebbia. Era frustrante.

Si girò e rigirò su quel materasso per ore, eppure non riusciva proprio a prendere sonno, l'unica cosa che voleva era saperne di più sulla nonna e su quella maledettissima spilla.
La rossa passò tutta la notte ad osservarla, a studiarne ogni singolo dettaglio, cercando di capire in che modo fosse correlata a lei, alla nonna, e a quell'ospedale psichiatrico in cui era stato rinchiuso Lux.

Ricordava che tempo prima le aveva rivelato che dopo la morte di sua madre si era ritrovato da solo per strada a soli dodici anni, e Nicholas disse di averlo trovato mezzo morto proprio fuori da casa sua, pieno di lividi e ferite.
Erika allora si alzò a sedere, riflettendo tra sé e sé. Che Lux fosse scappato dall'ospedale?

Avrebbe avuto senso dopotutto, lui le aveva detto che la clinica era stata chiusa proprio a causa di episodi di violenza sui pazienti, ma c'erano ancora dei tasselli che non riusciva a congiungere fra di loro.
Perché Lux era finito in quell'ospedale? Dov'era sua madre e perché è morta? La nonna era a conoscenza degli abusi? E se lo era, per quale assurdo motivo non aveva fatto nulla per impedirlo?

Tutta quella situazione era ancora un gigantesco punto interrogativo nella testa della ragazza, e in tutto ciò ancora non sapeva che cosa voleva Lux da lei, e che ruolo avesse nel suo macabro gioco.
Quanto avrebbe voluto chiedergli altre cose, ma quell'uomo parlava solo quando gli andava comodo e si divertiva a giocare, compiaciuto dalla sua completa ignoranza dei fatti.

Prima o poi l'avrebbe scoperto, su questo non c'era alcun dubbio, la domanda era quando?
A quel punto, Erika decise di alzarsi dal letto e uscire dalla stanza, nel tentativo di cercare qualcosa, o nel peggiore dei casi semplicemente prendere sonno.

Si diresse perciò in cucina, aggirandosi nel buio corridoio mantenendosi con una mano alla parete.
Per un attimo sentì il fiato mancarle, quando in un lampo di adrenalina si domandò se Lux stesse dormendo, e se magari fosse il caso di cercare immediatamente una via d'uscita per scappare.

Avanzò incerta, cercando di ricordarsi dove si trovasse la porta d'ingresso, e quando finalmente riuscì ad individuarla, il magone che aveva in gola si fece improvvisamente più pressante.
La tensione le premeva sulle spalle come un incombente macigno, e il cuore batteva così forte che sembrava quasi stesse per schizzarle fuori dal petto.

Se fosse uscita da quella porta, tutto sarebbe finito. Avrebbe cercato aiuto, avrebbe corso veloce senza voltarsi indietro, avrebbe trovato un modo per contattare la polizia, e quel macabro gioco di cui era divenuta protagonista si sarebbe concluso con la sua vittoria.

Afferrò delicatamente la maniglia, stringendosi nelle spalle dal nervosismo, e cercando di non fare rumore la abbassò con lentezza, cercando di aprire la porta. Non successe nulla, rimase chiusa.
Erika ritentò un’altra volta, ma ottenne lo stesso risultato, così alla terza volta si rese conto che la porta era chiusa dall'interno, e che senza una chiave era impossibile da aprire.

Non riuscì nemmeno a sbuffare, che all'improvviso una lieve risata dietro di lei la gelò sul posto, facendola impallidire.
«Se volevi farti una passeggiata al chiaro di luna bastava chiedere.» Mormorò sarcasticamente Lux, con voce roca.
La rossa si voltò lentamente verso di lui, cercando di abituare la sua vista in quell'oscurità così accecante.

L'uomo era appoggiato al muro con rilassatezza, come se stesse assistendo a uno spettacolo. Aveva le braccia incrociate e l'espressione dura, ma al tempo stesso quasi divertita.
«N-non è come pensi...» Balbettò Erika, saettando lo sguardo in tutte le direzioni.
«Non è come penso, dici? — Ripeté Lux, sospirando — Quindi non stavi affatto tentando di scappare, giusto?» Lei rimase in silenzio, e il moro sorrise, distendendo i muscoli del viso.

«Vieni con me.» Ordinò inaspettatamente, cogliendo la ragazza in contropiede.
Erika aggrottò le sopracciglia e lo guardò disorientata, poi annuì lentamente, e Lux girò i tacchi, invitandola a seguirlo.
La rossa, ancora confusa, gli andò dietro con ancora la paura che le divorava lo stomaco, mantenendo una certa distanza.

Era così strano quell'uomo, non riusciva a comprendere certi suoi comportamenti.
A volte, Erika si chiedeva quali pensieri passassero per la sua mente, e come facesse a passare dall'essere una persona al trasformarsi completamente in un’altra con un niente.

Sembrava ovviamente il risultato delle sue patologie, legate ad un quadro psicologico molto complesso. Eppure, nonostante questo, Lux sembrava perfettamente consapevole di se stesso e di ciò che faceva. Era di un equilibrio mostruoso che oscillava tra la fredda razionalità all'impulso più violento, e questo lo rendeva imprevedibile.

I due raggiunsero la cucina, e Lux tirò fuori dal frigo una bottiglia di vino.
Erika rimase a guardarlo sull'uscio della porta, mentre si apprestava a versarsi un bicchiere e sedersi al tavolo.
L'uomo poi si rivolse a lei.
«Ne vuoi un po’?» Domandò piatto, alzando il bicchiere nella sua direzione.
La ragazza deglutì nervosa e scosse velocemente la testa.

«Siediti.» Ordinò ancora lui, indicando la sedia di fronte. Erika gli rivolse uno sguardo diffidente, e di contro arretrò di un passo.
«Guarda che non ti mangio.» Insistette placidamente, tirando giù un altro sorso.
La rossa sospirò rassegnata e, capendo di non avere scampo, si affrettò a raggiungere il posto davanti a lui.

Rimasero in silenzio per qualche minuto, ed Erika si concentrò sui lineamenti duri dell'uomo, illuminati soltanto dalla fioca luce della luna che penetrava dalla finestra. Da lì, i suoi occhi grigi apparivano persino più cupi del solito, velati di qualcosa che la ragazza non comprendeva fino in fondo. Era come ammirare una creatura feroce, nella sua forma più calma, terrorizzante e affascinante al tempo stesso.

E qui, la ragazza si rese conto che, nonostante la situazione in cui si trovasse, provava ancora una curiosità morbosa nei confronti di Lux. Voleva conoscere il suo passato, i suoi pensieri, i suoi desideri, voleva comprenderlo fino in fondo e non ne capiva neanche il motivo.

«Come mai eri sveglia?» Domandò l'uomo, guardandola fisso.
La rossa deglutì ancora e abbassò lo sguardo.
«Pensavo.» Gli rispose soltanto. Lux alzò un sopracciglio e inclinò la testa al lato.
«A cosa pensavi?» Chiese ancora.
«A tante cose...» Mormorò la giovane.

Di nuovo silenzio. I due si fissarono con intensità senza dire nulla, o dicendosi tutto.
«E tu come mai eri sveglio?» Se ne uscì Erika all'improvviso, attirando nuovamente la sua attenzione.
«Pensavo.» Rispose Lux.
«A cosa pensavi?»
«A tante cose.»

«Che tipo di cose?» Domandò ancora la rossa.
«Cose a cui forse non dovrei pensare.» Lux piantò i suoi occhi su di lei, scrutandone ogni dettaglio, ogni lembo di pelle. Quando la guardava in quel modo, Erika non sapeva cosa pensare. Si sentiva vulnerabile sotto il suo sguardo, nuda di fronte a quelle iridi grigie.
Eppure, non riusciva ancora a comprendere se ne fosse spaventata, oppure...

«Non mi punirai per aver tentato di scappare?» Chiese Erika con un filo di voce, facendosi piccola nelle sue spalle come una bambina.
Lux ammorbidì lo sguardo.
«No, — Disse — io più di tutti capisco cosa significa voler scappare da una prigione.»

A quel punto, la rossa attizzò le orecchie.
«Sei scappato dall'ospedale psichiatrico?» Domandò a bruciapelo, e perse un battito quando l'uomo annuì lentamente.
«Non avevo scelta.» Mormorò.
«Cosa intendi con ‘non avevo scelta’?»

L'uomo prese un profondo respiro.
«I giorni passati in quell'ospedale si dividevano tra le sedute di riabilitazione e i castighi corporali. Bastava poco per far infuriare i medici, ed anche pronunciare una lamentela di troppo significava arrivare a sera ricoperto di lividi. Pensavano fosse il modo migliore per...sai no? Mettere al proprio posto dei malati mentali come noi. Alcuni ne approfittavano, soprattutto sui bambini che a causa della loro condizione non erano capaci di intendere e volere.» La voce di Lux si fece aspra mentre ci pensava, stringendo tra le dita il bicchiere di vetro. 

Erika lo fissò sconvolta.
«È...è terribile...» Balbettò senza parole, «Non c'era nessuno che potesse opporsi a queste torture?» Domandò poi.
L'uomo scosse piano la testa.
«I medici o gli infermieri che non prendevano parte a questo tipo di cose sapevano di ciò che succedeva, e che cosa facevano i loro colleghi a quei bambini, ma non dicevano nulla, si limitavano ad ignorare ogni cosa. Avevano paura, credo. Paura che l'ospedale potesse chiudere e di perdere il proprio lavoro. D'altronde, non c'è da stupirsi: la scelta più facile è sempre quella di pensare a se stessi, suppongo che sia una lezione che tutti imparano prima o poi.» Lux chiuse gli occhi, e si allungò all'indietro per prendere dal cassetto il pacchetto di sigarette.

Erika si limitò a fissarlo in silenzio mentre se la accendeva, ammirando come la fiamma dell'accendino gli illuminasse gli occhi più di quanto la sua vita stessa riuscisse a fare.
Le si strinse il cuore, pensando a quelle persone, a quei bambini così piccoli, intrappolati nelle grinfie di degli autentici mostri.

«Anche... — Deglutì rumorosamente — anche mia nonna era così?» La rossa sentì un peso premerle sulle spalle, una paura che le irrigidiva le gambe e la bloccava sul posto con il cuore in gola.
Il moro si voltò verso di lei, senza dire niente, e la sua, per quanto muta, fu una conferma, una conferma che fece improvvisamente cascare il mondo sulla testa di Erika.

«Anche lei vi...vi picchiava?» Chiese nervosamente, stringendo con forza i pugni sotto al tavolo.
«Erika...»
«No, no, voglio saperlo, lo faceva? Vi faceva del male?» Insistette, sentendo il sangue fluire velocemente lungo il suo corpo.
Sua nonna, la sua seconda madre, la donna per cui aveva sofferto così tanto, per cui si era quasi tolta la vita, aveva preso parte a degli abusi su bambini innocenti...non poteva accettarlo, non poteva crederlo.

«No...tua nonna non ci ha mai fatto nulla, non voleva avere a che fare con questa storia, ma non voleva nemmeno perdere il suo posto. Non la sto giustificando, lei come tutti gli altri avrebbe dovuto avere il coraggio di denunciare queste atrocità, ma non credo nemmeno provasse piacere nel vedere dei bambini innocenti venire picchiati e abusati e non poter fare nulla.» Il suo sguardo si incupì improvvisamente.

«Ma...ma perché mi avrebbe regalato quella spilla allora?» Erika era distrutta, non riusciva a concepire a ciò che stava ascoltando.
Lux alzò le spalle, fissando il vuoto.
«Magari si sentiva in colpa. Non è facile passare anni guardando dei pazienti venir torturati dai propri colleghi e poi tornare a casa dalla propria famiglia come se niente fosse.»

«Per qualunque motivo l'abbia fatto, rimane ingiustificabile.» Asserì la ragazza a denti stretti, rimembrando nella sua mente ogni ricordo, ogni sorriso o abbraccio che aveva condiviso con la nonna. Tutte le sue parole dolci, la sua premura, le sue attenzioni, nascondevano una verità dura da accettare.

«Ho passato così tanto tempo...ad affliggermi per la sua morte, e per cosa? Per scoprire che è stata complice di degli abusi su degli innocenti? Dio, non posso...non posso pensarci...» Erika abbassò gli occhi e si mise le mani sul viso, cercando di trattenere le lacrime. Era per questo, allora, che Lux l'aveva rapita? Per vendicarsi di sua nonna? O c'era anche dell'altro che ancora doveva scoprire?

«Alcune volte si finisce per dare la vita per le persone sbagliate. Fidati, Erika, so di che cosa parlo...» L'espressione di Lux divenne scura, persa in dei ricordi di cui lei non conosceva ancora nulla.
«Facevano del male anche a te?» Domandò allora, in mezzo al pianto, «Ti percuotevano?»

«Continuamente. E più tentavo inutilmente di scappare, più le punizioni si facevano severe. Ricordo che una volta mi tennero per una settimana, nudo, in una stanza di isolamento, nel quale mi torturavano con dei teaser elettrici. Ma non erano stupidi, quindi si premuravano di tenermi in vita il più a lungo possibile in modo che potessi continuare a perire fino a quando non mi fossi pentito di aver tentato di andarmene.» La confessione uscì così, nuda e cruda dalle sue labbra, ed Erika sentì i brividi scenderle lungo tutta la schiena, nel solo immaginare la scena.

«E quanto...quanto durò tutto questo?» Deglutì sommessa.
«Un anno, oppure due. Avevo solo undici anni, gli altri ragazzi erano anche più piccoli di me, ed anche se ormai l'ospedale è stato chiuso nessuno di quei bastardi ha mai pagato davvero per tutta la merda che ci hanno fatto.» Sputò gelido. Dalla sua voce traspariva un odio profondo, e nonostante tutto Erika non poteva biasimarlo. Se si fosse trovata nella sua stessa situazione, avrebbe fatto lo stesso.

«E gli altri ragazzi? Gli altri pazienti? Loro che fine hanno fatto?» Chiese ancora, trattenendo il fiato dentro i polmoni.
«Non ne ho idea. Trasferiti, forse. Liberati nel migliore dei casi, ma chissà se ancora vivi, dopo tutti questi anni. Eravamo malati, soli, scarti della società. Al Comune, allo Stato, al mondo intero non è mai importato nulla di noi. Ci hanno abbandonato al nostro destino, alla fin fine.» A quel punto, l'uomo spense la sigaretta e fece un profondo sospiro.

«Hai ancora...delle ferite?» Domandò di nuovo Erika, esitante.
Il silenzio che ricevette come risposta fu abbastanza per comprendere, ma Lux fece di più, qualcosa di inaspettato.
Si alzò improvvisamente in piedi, girando attorno al tavolo. La fissava con intensità, mentre lei non sapeva cosa aspettarsi.

Con lentezza, l'uomo afferrò l'orlo della sua maglietta, iniziando a tirare verso l'alto. Erika trattenne il respiro.
Quando fu sopra le sue spalle, se la sfilò del tutto, e lo spettacolo a cui la ragazza assistette fu uno dei più raccapriccianti della sua vita.

Il suo intero corpo, il suo petto, il suo ventre, il suo collo, era completamente deturpato, ricoperto di cicatrici o bruciature. Non un lembo di pelle riusciva a salvarsi, ogni angolo era costellato di ferite, anche se ormai rimarginate.

A quel punto anche Erika si alzò, con le ginocchia traballanti e un tonfo al cuore. Alla vista di quella atrocità, si mise le mani sulla bocca, sgranando gli occhi.
«Non sono bello da vedere, suppongo.» Ridacchiò il moro senza emozione, con un sorriso amaro stampato sul volto, «Dopo due anni passati in quell'Inferno, pensai che solo con la morte sarei riuscito a mettere fine a quel dolore. Ho pregato che mi uccidessero, che mi facessero morire di fame in quella cella di isolamento, li ho maledetti tutti, dal primo all'ultimo.» Sibilò con disgusto, stringendo i pugni lungo i fianchi.

In un impeto di follia, Erika si avvicinò a lui.
Non seppe bene perché lo fece, non sapeva mai che cosa la spingeva verso quell'uomo, eppure non riuscì a fare altro, e si fermò solo quando fu davanti al suo corpo, nel buio, con solo la luce della luna ad illuminare la stanza.
La rossa osservò con minuzia ogni dettaglio del suo torace, dal suo collo fino alla curva dei pettorali. Era magro, eppure i suoi muscoli apparivano definiti e tonici.

Anche l'uomo la studiò in silenzio, ed Erika poteva sentire la pressione dei suoi occhi fin dentro le ossa.
Deglutì ancora, poi alzò timidamente lo sguardo verso il suo volto.
«Posso...» Toccarti? Non glielo disse, si morse il labbro prima di riuscire a completare la frase. Era irrazionale, imbarazzante, non sapeva neanche che cosa stava facendo ed era semplicemente impazzita del tutto.

Si sarebbe aspettata un rifiuto, che la allontanasse, eppure inaspettatamente Lux annuì piano, in un tacito consenso che le fece tremare le gambe.
Allora, Erika abbassò gli occhi sulle sue cicatrici. Con una lentezza disarmante, alzò timidamente una mano e la appoggiò sul suo torace con estrema delicatezza, come se avesse paura di fargli male.

Il respiro di Lux si fece più profondo e pesante, e la rossa continuò, percorrendo le sue cicatrici come una cartina geografica. La sua pelle era fredda, in netto contrasto con il suo tocco solitamente caldo, ed era bianca, pallida come il latte.
Lo accarezzò curiosa, scendendo fino al costato e poi risalendo nuovamente fino alle sue clavicole contratte e il suo pomo d'Adamo.

Poi scese di nuovo, e sfiorò le sue braccia, toccando con cura le sue spalle e poi andare giù accarezzando le vene dell'avambraccio.
Era quasi strano, completamente folle. Erika non era mai stata così intima con un ragazzo prima di allora, benché meno con un uomo.

E non è che si fossero mai baciati, o fossero finiti a letto, ma in quel momento, in quella stanza, il solo toccare con tale premura la sua pelle ricolma di segni del passato e cicatrici dolorose, la faceva sentire come se stessero condividendo qualcosa di molto più profondo anche del sesso stesso.

Ed Erika era combattuta. Sapeva di non poter provare per lui questo tipo di sentimenti, sapeva di chi si stava innamorando, sapeva che ci sarebbero state delle enormi conseguenze, ma nel profondo del suo cuore desiderò con tutta se stessa che il tempo si fermasse in quell'attimo preciso, solo per loro, desiderò che Lux non fosse l'assassino che era, desiderò che tutto ciò che riguardasse il passato scomparisse e che il presente smettesse di essere tanto insopportabile quanto lo era adesso.

Improvvisamente, Lux appoggiò la sua mano su quella di lei, ancora ancorata al suo petto. La strinse tra le dita con delicatezza, poi se la portò alle labbra e baciò con dolcezza il dorso, per poi risalire lasciando una scia di baci morbidi lungo le nocche, ad occhi chiusi.
Le guance di Erika divennero dello stesso colore dei suoi capelli, ma nonostante questo lo fece fare, e dovette lottare con tutta se stessa per non accarezzare il suo viso.

«Erano queste...le cose a cui pensavi?» Sussurrò l'uomo, continuando a baciarle la mano, «Le cose...che ti hanno tenuto sveglia...?» Inaspettatamente, avvolse un braccio attorno alla vita della ragazza, tirandola verso di sé.

Lei pensò di star per svenire. Era così alto che dovette mettersi sulle punte per mantenersi in equilibrio.
Si sentiva bruciare, ogni volta che la stringeva in questo modo. Non aveva mai provato una sensazione simile, un bisogno e un desiderio così viscerale.

Le veniva quasi da piangere, per quanto si sentiva in colpa. Era tutto sbagliato, lui era sbagliato, lei era sbagliata. Erano un carnefice e una vittima, era questo il loro ruolo in questa storia, non poteva esserci nient'altro.
Le lacrime ricominciarono a scorrere, e Lux si avvicinò per leccarle via, direttamente dai suoi occhi.

«Mi dispiace...mi dispiace per ciò che ti è successo...» Singhiozzò, accarezzando il suo petto come per scusarsi, come se fosse colpa sua.
«È stato tanto tempo fa...» Pronunciò lui con delicatezza. Le accarezzò la schiena, forse nel tentativo di tranquillizzarla, e se la strinse addosso come se avesse paura sarebbe scomparsa da un momento all'altro.

Poi portò le labbra più in basso e le baciò il naso, le guance.
E così, con naturalezza, si avvicinò sempre di più alla sua bocca.
Più vicino,
tum tum
Ormai le loro labbra stavano per toccarsi,
tum tum
Non sarebbero più tornati indietro, e magari non volevano farlo.

«Tua madre...dov'era tua madre, in quel periodo...?» Erika lo chiese così, a bruciapelo, soffiando sul suo viso, un secondo prima che potesse baciarla.
Ma aveva fatto un errore, aveva completamente sbagliato momento, e lo comprese solo un secondo dopo, quando Lux sgranò improvvisamente gli occhi e con una spinta se la scrollò di dosso.
Fece un passo indietro, e il suo volto si fece cupo, le sue iridi si tinsero di nero.

Erika barcollò all'indietro, disorientata e confusa, e si strinse nelle spalle con tutta la forza che aveva, come per proteggersi.
Guardò Lux e si pentì, si pentì fino al midollo di aver toccato quel tasto.
«L-Lux, io...mi dispiace—» Balbettò, cercando di giustificarsi, ma l'uomo alzò una mano per bloccarla.

«Torna a letto, ragazzina, quando Nicholas tornerà avremo tanto da fare.» Sibilò a denti stretti, freddo come un blocco di ghiaccio, e poi semplicemente raccolse la sua maglia dal pavimento e se ne andò da lì senza dire più nulla.
Erika si strinse le spalle, fissando il pavimento con aria afflitta.
C'erano ancora tante cose che non conosceva di Lux, tante cose che lui non le diceva, ma per qualche ragione, aveva la sensazione che le avrebbe scoperte nel peggiore dei modi.

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