𝐋'𝐔𝐎𝐌𝐎 𝐃𝐀𝐆𝐋𝐈 𝐎𝐂𝐂...

Od angydevil_

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«A quanto pare la vita non è stata gentile con nessuno dei due.» «La vita non è gentile con nessuno, ragazzin... Více

𝑷𝒓𝒆𝒇𝒂𝒛𝒊𝒐𝒏𝒆
𝐂𝐀𝐒𝐓
𝑫𝒆𝒅𝒊𝒄𝒂
𝐏𝐫𝐨𝐥𝐨𝐠𝐮𝐞
𝟎
𝐀𝐓𝐓𝐎 𝐈
𝟏
𝟐
𝟑
𝟒
𝟓
𝟔
𝟕
𝟖
𝟗
𝟏𝟎️
𝟏𝟏
𝟏𝟐
𝟏𝟑
𝟏𝟒
𝟏𝟔
𝟏𝟕
𝟏𝟖
𝟏𝟗
𝐀𝐓𝐓𝐎 𝐈𝐈
𝟐𝟎
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𝟐𝟐
𝟐𝟑
𝟐𝟒
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𝟐𝟕
𝟐𝟖
𝟐𝟗
𝟑𝟎.𝟏
𝟑𝟎.𝟐
𝟑𝟏

𝟏𝟓

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Od angydevil_

"Evil"
Lucas King

...

Avvertire il Detective Jhonson un corno. Per tutta la giornata, Erika cercò di telefonare assolutamente al dipartimento di polizia, sperando di poter parlare con lui e confidargli i suoi dubbi in merito agli strani avvenimenti della sera precedente. Tuttavia, sembrava che il telefono interno fosse stato staccato, perché non rispondeva nessuno, era tutto chiuso.

Quando per l'ennesima volta le rimbombò nelle orecchie la voce registrata della segreteria telefonica, Erika sbuffò sonoramente, riponendo il telefono nella tasca dei jeans. Era tutto inutile, l'universo aveva deciso di metterle una taglia sulla testa.
A parte Maddy - che tra l'altro non le aveva creduto - non aveva raccontato a nessun altro di ciò che aveva visto. I suoi genitori si sarebbero spaventati a morte e come minimo non l'avrebbero mai più fatta uscire di casa senza l'accompagnatore, soprattutto dopo l'omicidio al centro commerciale di cui ancora di parlava.

Aveva sorvegliato il vialetto fino al ritorno dei suoi, sperando di cogliere in fragrante lo pseudo-stalker. Ovviamente, non era riuscita ad ottenere nessun risultato, e la parte più razionale di lei dubitava ancora che quello che avesse visto non fosse solo frutto della sua immaginazione. Odiava essere così paranoica, ma non ci stava più capendo niente.

Non ci aveva più pensato da quando era uscita dal dipartimento di polizia dopo l'interrogatorio, ma se le sue congetture sull'uomo misterioso si fossero rivelate fondate, sapeva non essere la prima volta che si sentisse osservata. Anche quel giorno, al centro commerciale, un brivido le era corso lungo la schiena, il sesto senso le diceva di correre il più velocemente possibile fuori da quella maledetta libreria.

Pensava al volto stanco ma sereno della donna dietro alla cassa che le sorrideva come probabilmente aveva fatto con altri cento clienti prima di lei, in un classico solito giorno lavorativo, e poi tutto ad un tratto è diventata un semplice diversivo per attirare l'attenzione, un essere inanimato e perfettamente sacrificabile perché anonima. Erika si rese conto di quanto crudele potesse essere l'animo di una persona che decide di usare le sue mani per uccidere. Infondo, fa tutto parte di un ciclo egoistico, quello dell'uomo, in cui la vita ha valore solo se non si tratta di quella degli altri.

Per un attimo quel pensiero la turbò, e lo sguardo le si scurì sul volto. Poi le braccia le scivolarono molli sulle ginocchia, e gli occhi si fissarono sul pavimento. Il materasso su cui sedeva era morbido, eppure le sembrava di essere schiacciata da un masso enorme che non le permetteva di respirare.
Era triste, e scossa, e confusa, perché più cercava di ignorare quella faccenda, più le cose sembravano non quadrare.

Le sembrava di essere in un film horror, con la sola differenza che probabilmente lei avrebbe interpretato la ragazzina stupida che viene uccisa nei primi minuti della pellicola. Rabbrividì al pensiero, poi ricacciò indietro un sospiro e riprese il telefono tra le mani. A quel punto capì che sarebbe stato inutile cercare di nuovo di contattare il Detective Jhonson, era ovvio che non avrebbe risposto anche se ci avesse provato tutta la giornata.

Fissò lo schermo nero con aria assorta, cercando di pensare ad una soluzione. Magari avrebbe semplicemente dovuto andare lì di persona, urlare come una pazza e pretendere un colloquio immediato con Elphas - sua madre ne sarebbe stata fiera - ma quello non era il modo adatto di agire, e comunque anche la questione 'giornalisti' era rimasta in sospeso. Quegli squali circondavano il dipartimento da giorni e non vedevano l'ora di sbandierare a tutto il mondo la verità dietro l'andamento delle indagini.

Se avessero visto una ragazzina andare contro l'entrata della struttura come una furia chiamando il detective a gran voce avrebbero capito subito che c'entrava qualcosa con il caso. Sbuffò frustrata, rilasciando un grugnito decisamente poco femminile, e poi si lasciò cadere distesa sul letto. Scoccò uno sguardo all'orologio che segnava le 15:10 del pomeriggio, sospirando.

Senza saper che fare, fissò pensierosa il soffitto per alcuni minuti, poi chiuse gli occhi e cercò di rilassarsi. Senza rendersene conto, crollò in un sonno profondo.
Si svegliò solo quando sentì il telefono vibrare al suo fianco. Il suono era debole e la luce aveva smesso di filtrare nella camera.
Non aveva idea di quanto tempo le avesse tolto quella pennichella, ma a giudicare dalle circostanze doveva aver dormito un bel po'.

I suoi genitori probabilmente avevano deciso di non disturbarla, era ancora molto stanca dopotutto. Cavolo, non aveva nemmeno trovato il tempo di studiare e per colpa della posizione in cui aveva dormito adesso era tutta indolenzita.
Alzò svogliatamente la testa dal materasso, facendo una smorfia nel notare una piccola chiazza di saliva impregnata sulle lenzuola, e poi lo sguardo ricadde sul cellulare che stava ancora vibrando.

Lo afferrò subito, buttando un occhio sull'orario che - e ne fu stupita - segnava le 17:00 in punto del pomeriggio. Aveva dormito per quasi due ore di seguito.
Non era la prima volta che si sentiva così stanca da addormentarsi di pomeriggio, durante il suo periodo buio aveva passato molte notti insonne.

Sospirò pesantemente, poi la sua attenzione venne catturata da alcuni messaggi da numero anonimo, che la portarono tirarsi velocemente in piedi sull'attenti.
"So cosa stai cercando di fare." Recitava il primo messaggio.
"Non funzionerà, ragazzina." Era il secondo.

Erika aggrottò la fronte, confusa. Rilesse i due messaggi più e più volte, cercando di capirne il senso, poi qualcosa scattò nella sua mente. Era lui. Era l'uomo che aveva visto fuori dalla sua finestra. Aveva tracciato il suo cellulare.
A quel punto, una lunga serie di brividi le scivolò lungo la schiena. La sua mano tremava e il cuore cominciò a batterle insistentemente nel petto come impazzito.

Si riscosse solo quando arrivò la notifica di un terzo messaggio.
"Quella tua insulsa bocca da stronzetta non arriverà a quell'idiota di Jhonson, capito? A meno che tu non voglia ridurti in un pezzo di carne." Recitava quest'ultimo. Erika stava per vomitare, ma in qualche modo trovò ugualmente il coraggio di rispondere, nel tentativo di non mostrarsi intimorita.

"Chi sei? Cosa vuoi da me? Perché mi stai spiando?" Scrisse velocemente.
"Troppe domande, bambina. Ma non preoccuparti, avremo tempo per questo, e ti prometto che prima o poi ci faremo una lunga chiacchierata, ma adesso è di vitale importanza che tu la smetta di cercare di contattare la polizia. Tanto è inutile, non ti risponderà."

"Non ho paura di te, e nemmeno dei giornalisti. Potrei andare al dipartimento anche a piedi a riferire tutto quanto di persona e a quel punto tu ti troverai in guai molto grossi." Non si sarebbe fatta ricattare, per niente al mondo.
"Non credo che tu voglia ritrovati con una pistola puntata alla testa, piccola. Riflettici bene." Erika deglutì rumorosamente, aggrottando la fronte.

"Non cadrò nel tuo gioco. Ripeto: non mi fai paura. E andrò alla polizia, che tu lo voglia o no, a costo di sfondare a calci il portone." Gli scrisse, anche se la mano continuava a tremare e la stanza le sembrava sempre più stretta ad ogni secondo che passava. In realtà, quella situazione la spaventava eccome, più di ogni altra cosa al mondo, ma non era stupida. Magari era solo un bluff per mantenere segreta la sua identità e non farsi arrestare, e questa possibilità era concettualmente fuori questione.

"Certo che la tua amica, quella bruna, è proprio un bel bocconcino. Ha già il ragazzo?" Domandò inaspettatamente, allegando una foto che ritraeva Maddy mentre camminava ignara di tutto. Appena i suoi occhi ricaddero sulla sua immagine, Erika si dovette impegnare con tutte le sue forze per non svenire o dare di matto.

No, no, no. Tutto ciò stava prendendo una brutta piega.
"Oppure che ne dici del tuo fratellino...- Rincarò lo sconosciuto, inviandole anche stavolta una foto di Alex mentre chiacchierava con i suoi amici di scuola - sembra divertirsi molto con i suoi compagni, non vogliamo mica rovinargli la festa, giusto?" Aveva spiato anche la sua famiglia per minacciarla, quella persona era così furba da essere riuscita a prevenire dal principio una simile evenienza. Aveva calcolato tutto sino all'ultimo dettaglio e adesso Erika era letteralmente con le spalle al muro.

Pensò di provare di nuovo a chiamare la polizia o avvertire in qualche modo i suoi genitori del pericolo, ma anche se ci fosse riuscita non le avrebbero mai creduto. Sarebbe passata per pazza e allora avrebbe messo a rischio la sua intera famiglia.
L'orologio sulla parete continuava a ticchettare ad ogni secondo, ma per la ragazza era tutto fermo immobile ad attendere una sua dannata risposta.

Ma lei era paralizzata dalla paura, riusciva a sentire solo il suono affannoso del suo respiro e il suo battito che si faceva sempre più intenso. La tensione le impediva di pensare lucidamente, ma sapeva di doverlo fare, e anche in fretta, o non solo lei sarebbe finita al macello.
Una consapevolezza si fece immediatamente largo nella sua testa, costringendola a fare mente locale.

"Hai ucciso tu quella donna, vero?" Scrisse in un primo messaggio.
"Il tuo era tutto uno stratagemma per fare in modo che ti notassi, che avessi paura di te?" Erika l'aveva capito. Era così ovvio. Ogni sua mossa non era affatto accidentale, e dubitò che una persona così abile fosse stata tanto stupida da farsi sgamare proprio davanti al vialetto di casa. Voleva giocare con lei, si divertiva a tormentarla perché probabilmente sapeva quali punti colpire, avendola spiata.

"Il mio era più un avvertimento. Ma lo ammetto, tutto ciò mi diverte da matti. Tu non hai la minima idea del gioco in cui sei finita, bambina, ma ormai ci sei dentro fino al collo. E devi stare ben attenta a ciò che ti dico, o uno dei tuoi familiari potrebbe ritrovarsi con un bel buco in mezzo alla fronte. Come quella donna. Come qualcun altro." La ragazza aveva la nausea, faceva persino fatica a continuare a leggere quei messaggi. Cercava di regolare il respiro e mantenere la calma ma era tutto inutile.

"Perché me? Cosa c'entro io in tutto questo?" Domandò. Non era sicura di voler sapere la risposta, ma doveva capire cosa diavolo stava succedendo. Dopotutto, dovunque si trovasse quella persona, almeno in quel momento, dall'altro capo del telefono non poteva farle nulla. E lei era ancora lì, viva e vegeta, seduta sul letto della sua camera da letto. Forse non lo sarebbe stata ancora per molto, ma c'era. E poteva risolvere quella situazione, in qualche modo sarebbe riuscita a farlo.

"Oh piccola, - Esordì l'uomo, nella sua risposta - Ci sono tante cose che tu non sai, a cui sei completamente estranea, tante cose che non ti sono state dette o da cui tu stessa ti sei inconsciamente allontanata. Guardati bene intorno, guarda la tua famiglia, le tue amicizie, la tua vita. Tu credi davvero di appartenere a tutto questo?" Incalzò, destabilizzandola. La ragazza non rispose e rimase immobile per qualche minuto, finché sullo schermo non apparve la notifica di un altro messaggio.

"Non ti puoi fidare delle certezze che ti costruisci da solo, i castelli di carte crollano prima o poi. Bambina, ma tu credi davvero che la realtà sia solo quella che puoi vedere con gli occhi? Svegliati da questo mondo immaginario, e fallo adesso, perché non durerà a lungo." Fu la sua risposta.

"Ma di cosa diavolo stai parlando? Che cosa vuoi?" Gli richieste la ragazza, più confusa che mai e adesso anche furibonda. Quell'uomo stava giocando con la sua vita e quella delle persone a lei care e la cosa più inquietante era che si divertiva da matti a farlo. La realtà che puoi vedere solo con gli occhi? Che significava?

"Ci risentiremo molto presto, mia cara. Nel frattempo, cerca di tapparti quella bocca se non vuoi che sopraggiunga l'inevitabile. E non perdere tempo a cercare di rintracciare la mia posizione tramite il numero o mostrare alla polizia questa conversazione, in meno di quindici secondi verrà tutto cancellato." Quello sembrò essere l'ultimo messaggio, ma poi lo sconosciuto ne mandò un altro.

"Ah, e...un'ultima cosa. Cerca di non fidarti troppo del caro e giudizioso Detective Jhonson, se sapessi cosa ti ha fatto gli staresti lontana a centinaia di kilometri." Scrisse infine. Erika non ebbe alcun modo di rispondere perché all'improvviso la chat si cancellò immediatamente, e con essa anche il numero di telefono, esattamente come lo sconosciuto aveva detto.

Fissò preoccupata lo schermo mentre implodeva su se stesso senza che lei potesse fare niente, poi lasciò cadere mollemente le mani sulle ginocchia e sospirò rammaricata.
Non aveva alternative, ormai si trovava con le spalle al muro. Doveva solo stare zitta e non far uscire quelle informazioni dalla sua stanza. Aveva paura, e sapeva di essere costantemente controllata, forse anche in quello stesso momento, e se solo avesse provato a parlare con qualcuno avrebbe messo in pericolo tutte le persone che amava.

Sentì gli occhi inumidirsi dalle lacrime ma si costrinse a ricacciarle indietro. Magari, se avesse seguito le direttive dello sconosciuto non sarebbe successo niente. La polizia l'avrebbe trovato e lei sarebbe stata in salvo. Sì, avrebbe dovuto solo fare finta di niente e sarebbe andato tutto per il meglio. O almeno, così sperava.

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