𝐋'𝐔𝐎𝐌𝐎 𝐃𝐀𝐆𝐋𝐈 𝐎𝐂𝐂...

By angydevil_

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«A quanto pare la vita non è stata gentile con nessuno dei due.» «La vita non è gentile con nessuno, ragazzin... More

𝑷𝒓𝒆𝒇𝒂𝒛𝒊𝒐𝒏𝒆
𝐂𝐀𝐒𝐓
𝑫𝒆𝒅𝒊𝒄𝒂
𝐏𝐫𝐨𝐥𝐨𝐠𝐮𝐞
𝟎
𝐀𝐓𝐓𝐎 𝐈
𝟏
𝟐
𝟑
𝟒
𝟓
𝟔
𝟕
𝟖
𝟗
𝟏𝟎️
𝟏𝟏
𝟏𝟑
𝟏𝟒
𝟏𝟓
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𝟏𝟕
𝟏𝟖
𝟏𝟗
𝐀𝐓𝐓𝐎 𝐈𝐈
𝟐𝟎
𝟐𝟏
𝟐𝟐
𝟐𝟑
𝟐𝟒
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𝟐𝟕
𝟐𝟖
𝟐𝟗
𝟑𝟎.𝟏
𝟑𝟎.𝟐
𝟑𝟏

𝟏𝟐

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By angydevil_

"The Manipolator"
Lucas King

...

Forse aveva fatto male. No, diciamo pure che aveva fatto malissimo a chiamarlo, nemmeno cinque minuti e se n'era già pentita. Sentiva l'agitazione premere nelle sue ossa e non riusciva a fare altro che rimuginare e rimuginare, camminando avanti e dietro di fronte al grande portone della chiesa.
Alcune persone di quelle parti si voltavano a guardarla incuriosite, ma con tutti i pensieri il loro giudizio era l'ultimo dei suoi problemi.

Attendeva l'arrivo di Lux come una condannata al patibolo, non ne capiva nemmeno il motivo! E si sentiva frustrata dall'ipocrisia dei suoi stessi comportamenti. Da un lato era diffidente nei confronti di quell'uomo, ma allo stesso tempo ne era maledettamente attratta.

Tutto ciò è da sconsiderate. Pensò sbuffando, battendo un piede sul terreno con fare nervoso. Voleva pensare ad altro, ma subito l'immagine della delusione e del rammarico negli occhi dei suoi genitori le apparve nella mente e fu costretta a scacciare anche quel pensiero.

Sperava che Lux potesse darle consiglio e aiutarla a capire cosa fare, ma forse stava facendo un'idiozia, forse non avrebbe nemmeno dovuto trovarsi lì. I dubbi la stavano divorando, ormai però era tardi per tornare indietro. E di certo l'ultima cosa che voleva in quel momento era ripresentarsi a casa con la coda tra le gambe.

D'un tratto, le dita calde di una mano sfiorarono la sua spalla, facendola rabbrividire. Il tocco di Lux era strano, insolitamente delicato. Entrava in contrasto con i suoi modi freddi ed Erika non sapeva proprio come interpretarlo.

Si girò lentamente nella sua direzione, stupendosi di quanto improvvisamente si sentisse sollevata a saperlo lì.
«Ciao...» Mormorò, sorridendo imbarazzata. Non sapeva come comportarsi in sua presenza, le sembrava inspiegabile anche il semplice fatto di essere lì. Con lui.

«Deduco dalla chiamata che abbiamo molto di cui parlare, non è così?» Andò subito al sodo. Ovvio, non era uno che si perdeva in chiacchiere.
«Laggiù c'è una panchina, vogliamo sederci?» Chiese successivamente, indicando con un cenno del capo la vecchia panchina vuota pochi metri più avanti, nello spiazzale della chiesa.
Erika si limitò ad annuire, ma quando si accomodarono un silenzio imbarazzante cadde improvvisamente tra di loro.

La ragazza cercò di riordinare i pensieri nella testa per formulare una frase di senso compiuto, e l'uomo le lasciò tutto il tempo. Anzi, si portò addirittura una sigaretta tra le labbra per colmare l'attesa.

Lei lo guardò sottecchi, tormentandosi la maglietta tra le mani per via dell'agitazione. Lux invece sembrava tranquillo, perfettamente a suo agio. Erika non capiva in alcun modo come facesse.

«Tu credi che io sia malata?» Se ne uscì improvvisamente, attirando la sua attenzione. L'uomo fece finta di pensarci un attimo, fissando un punto indefinito davanti a lui, poi la guardò di nuovo e inclinò la testa.
«Perché mi chiedi una cosa del genere?» Domandò lentamente, ispirando il fumo della sigaretta.

«Perché credo di essere arrivata ad un punto in cui non sono più capace di distinguere le mie emozioni. Per quanto ami la mia famiglia, sento che c'è qualcosa, forse in me, che mi allontana da loro.» Confessò ad occhi bassi.

Tacque per qualche secondo, ma non ricevette risposta, poi continuò:
«Ho provato a seguire il tuo consiglio, a non farmi divorare dalle mie paure, ma si sta rivelando più difficile del previsto. Un attimo prima penso che si possa sistemare tutto, e l'attimo dopo va tutto a puttane ed io torno ad essere la povera, fragile e problematica ragazzina che deve fare i conti con una mente che non vuole ascoltarla.» Disse quindi, rabbuiando lo sguardo.

Lux non spiccicava parola, ed Erika non sapeva proprio come interpretare il suo silenzio. Era difficile capire cosa passasse nella mente di quel ragazzo, sigillava ogni emozione dietro una freddezza invidiabile nei confronti del mondo.
«No. - Mormorò improvvisamente, scuotendo la testa - non credo che tu sia pazza.» Rispose alla domanda iniziale, dopodiché si voltò a guardarla, «Quello che penso è che durante la tua crescita tu ti sia ritrovata davanti ad una realtà completamente diversa da quella che immaginavi da bambina.» Spiegò pacato.

«Probabilmente non sono l'unica, no?» Ipotizzò la ragazza, incerta. Lux la osservò ancora, ispirando di nuovo il fumo della sigaretta a pieni polmoni.
«Ovviamente no, ma gli stupidi non fanno caso ai cambiamenti della propria vita, o forse semplicemente non gli importa. Amici, scuola, lavoro, sono queste le cose di cui si preoccupano. Le persone che pensano, invece, si guardano indietro e si guardano intorno. Non riescono a conformarsi in una realtà che non le comprende. Per questo sono sole.» Affermò, socchiudendo gli occhi, «Tu desidereresti vivere una vita normale, vorresti che il dolore svanisse magicamente, ma allo stesso tempo ti senti così smarrita perché nel profondo sai che qualcosa è andato storto, e non riesci ad accettarlo, vorresti che gli altri non te lo facessero notare.» Concluse infine.

Erika rimase totalmente spiazzata, così tanto dal non riuscire nemmeno a trovare le parole per rispondergli. Per la seconda volta, quell'uomo era riuscito ad insidiarsi tra le pieghe della sua mente senza il minimo sforzo. Apriva la bocca solo per dire cose giuste ed Erika trovava incredibile quanto lo facesse sembrare facile. Era un ottimo osservatore, seppur dall'esterno sembrasse totalmente disinteressato al mondo, e per un attimo si chiese se non ci fosse un po' di lui nelle parole che aveva pronunciato.

«A volte capita di pensare troppo, - Aggiunse Lux improvvisamente, attirando la sua attenzione - e allora subentra l'ansia, la paura di non essere come dovresti, di essere troppo differente dagli standard che ti impone la società. E alla società semplicemente non importa, perché il gregge di pecore che segue un'idea comune è facile da controllare, ma i pensieri sono come un tornado, stravolgono la tranquillità e talvolta ribaltano la storia. Poveracci quelli che hanno l'arroganza di credere di poter silenziare una mente troppo rumorosa.»
Lux ispirò un'ultima volta il fumo dalla sigaretta, poi la buttò a terra, schiacciando la cicca con la suola della scarpa.

«E...a te capita di pensare troppo?» Gli chiese Erika inaspettatamente.
«Continuamente. - Asserì l'uomo, secco - Ma quando rimani solo come un cane, arriva un momento in cui non te ne frega più niente di quello che ti sta intorno, e quei pensieri diventano ricordi nulli, frammenti di un passato che non ti appartiene più. A quel punto, l'unica cosa che ti resta da fare è passare ogni singolo giorno a chiederti quando finirà, ed è un'agonia, Erika.» Concluse.

La ragazza lo guardò negli occhi, e scorse un velo di tristezza dentro quelle iridi grigie, qualcosa di molto simile a ciò si dilaniava ogni giorno nelle sue viscere. Per un attimo si sentì compresa, meno sola, e dentro di sé sperava che il sentimento fosse reciproco.

Chiunque li avesse visti da fuori, avrebbe pensato che due persone come loro non avessero niente da dirsi. Infondo, cosa ci facevano una ragazza problematica e un uomo misterioso seduti l'uno di fianco all'altro nel piazzale di una chiesetta di paese?

Era uno scenario surreale, ma tra di loro tutto aveva un senso, chi erano gli altri per stabilire quali ruoli avessero?
«Grazie.» Mormorò la rossa, rivolgendogli un largo sorriso. Il timore ormai era scomparso, e aveva lasciato posto alla gratitudine di aver trovato qualcuno con cui parlare. Lux ricambiò il sorriso, anche se a modo suo. Probabilmente non era uno abituato a regalare o ricevere sorrisi, e ciò presumeva una grande solitudine nella sua vita.

Erika si sentì quasi in colpa. L'aveva giudicato ancora prima di conoscerlo e invece, nonostante la sua rigidità, le aveva offerto un appoggio a cui aggrapparsi.

«Quindi...cosa credi che dovrei fare per risolvere questa situazione?» Domandò poco dopo, guardandolo smarrita.
«Sarebbe ipocrita da parte mia dirti di non pensarci, e ti porterebbe solo a preoccuparti ulteriormente. Nella situazione in cui ti trovi è difficile ignorare i dubbi e le paure che ti affliggono.» Spiegò il moro, accavallando le gambe.

Per un secondo, Erika si perse ad osservare la sua figura slanciata ed elegante. La pelle diafana accentuava le piccole vene sulle sue mani che ticchettavano sul legno della panchina, o il profilo del pomo d'Adamo che andava lentamente su e giù. Prima d'ora, non le era mai capitato di cogliere certi dettagli in un ragazzo e quando se ne rese conto arrossì di riflesso. Lux era bello, su questo non vigeva alcun dubbio, ma sconosciuto o non sconosciuto restava sempre un uomo molto più grande di lei, e fare certi pensieri era da sconsiderate.

«Ehi?» Lux richiamò la sua attenzione, schioccandole le dita davanti. Erika avvampò di vergogna e gli sorrise imbarazzata.
«Ehm...dicevi?» Mormorò impacciata, torturandosi di nuovo l'orlo della maglietta. Di risposta, l'uomo inarcò un sopracciglio e poi cercò di camuffare una risatina con uno sbuffo poco credibile.
«Dicevo che per ogni volta tu abbia bisogno di parlare con qualcuno, sai che puoi metterti in contatto con me.» Ripeté, inclinando la testa al lato.

«Oh, non sapevo fossi diventato il mio psicologo.» Rise la ragazza, strappandogli un sorrisino.
«Io penso solo che tu abbia bisogno di qualcuno che possa comprenderti. Non ti sto dicendo che puoi fidarti di me, ma puoi contare sul fatto che se vuoi un consiglio io sono pronto a dartelo.» L'uomo distolse lo sguardo dalla sua figura minuta, biascicando le ultime parole. Per un secondo, sembrò quasi imbarazzato e ad Erika venne istintivamente dal sorridere. Allora aveva anche lui un lato umano.

«Mi sento più tranquilla adesso. - Ammise la ragazza - Grazie, Lux.» Mormorò di nuovo, serena.
Il moro fece un cenno di assenso col capo, accendendosi un'altra, ennesima, sigaretta. E allora Erika si alzò dalla panchina, con il suono delle campane che irrompeva in sottofondo, e senza dire nulla gli rivolse un ultimo sguardo, e poi semplicemente si allontanò da quel posto, finalmente più calma di come era arrivata.

Lux la guardò sorridendo mentre svaniva nella nebbia, ispirando lentamente il fumo dalla sigaretta. Poi, quando la perse di vista, il sorriso sfumò dal suo volto.

Sfilò il cellulare dalla tasca del cappotto, digitando velocemente un numero della sua rubrica. Quando fece partire la chiamata se lo portò all'orecchio e attese pazientemente, anche se il tic nervoso che gli venne all'occhio tradiva la sua apparente calma.

«Lux.» Pronunciò subito l'interlocutore, non appena il rumore del click rimbalzò nelle sue orecchie.
«Tieniti pronto, come programmato.» Asserì l'uomo senza troppi convenevoli, «Sta andando tutto secondo i piani.»

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