Dear Diary - The Vampire Diar...

Dottie93

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DELENA [AU: Tutti umani] Elena Gilbert è una ragazza di diciotto anni, all'ultimo anno di liceo, ch... Еще

Dear Diary
Today I saw a boy
And I wondered if he noticed me
He took my breath away
Diary, do you think we'll be more than friends?
I can't get him off my mind (parte 1)
I can't get him off my mind (parte 2)
And it scares me (parte 1)
And it scares me (parte 2)
'Cause I've never felt this way (parte 1)
'Cause I've never felt this way (parte 2)
Does he know what's in my heart? (parte 1)
Does he know what's in my heart? (parte 2)
Should I tell him how I feel...? (parte 1)
Should I tell him how I feel...? (parte 2)
I thought he smiled at me (parte 1)
I thought he smiled at me (parte 2)
As he walked by (parte 1)
As he walked by (parte 2)
As he walked by (parte 3)
As he walked by (parte 4)
Now I can't wait to see that boy again (parte 1)
Now I can't wait to see that boy again (parte 2)
Now I can't wait to see that boy again (parte 3)
Now I can't wait to see that boy again (parte 4)
Now I can't wait to see that boy again (parte 5)
One touch of his hand (parte 1)
One touch of his hand (parte 2)
One touch of his hand (parte 3)
One touch of his hand (parte 4)
One touch of his hand (parte 5)
One touch of his hand (parte 6)
So, diary, I'll confide in you (parte 1)
So, diary, I'll confide in you (parte 2)
So, diary, I'll confide in you (parte 3)
So, diary, I'll confide in you (parte 4)
He smiled (parte 1)
He smiled (parte 2)
He smiled (parte 3)
He smiled (parte 4)
And I thought my heart could fly (parte 1)
No one in this world knows me better than you do (parte 1)
No one in this world knows me better than you do (parte 2)
Please, tell me what to say (Parte 1)
Please, tell me what to say (Parte 2)
Please, tell me what to say (Parte 3)
Diary, tell me what to do (parte 1)
Diary, tell me what to do (parte 2)
Diary, tell me what to do (Parte 3)
...or would that scare him away? (Parte 1)

And I thought my heart could fly (parte 2)

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Dottie93

«Questo.» raccontò Elena, lanciando un occhio al telefono sul bordo della vasca, in viva voce.

Caroline, dall'altra parte della cornetta per poco non soffocò. «Questo?!» ripeté, scioccata. «Lo dici come se fosse normale!»

La ragazza, chiusa nel bagno, sospirò sconsolata: ci mancava solo lei, a farle notare che niente di tutto quello lo fosse.

«Be'?» le chiese, tentando di non sembrare irritata. «Che cosa ti aspettavi che facessi?»

Strizzò il tubetto di crema per la pelle che le avevano affibbiato alla spa, per distribuirselo sulle gambe appoggiate al bidet, come se la colpa di tutta quella situazione fosse sua.

Da parte della sua migliore amica ricevette un sospiro di sopportazione. «Quanto posso essere volgare da uno a dieci?»

Elena roteò gli occhi, ringraziando il cielo che non potesse vederla, e al contempo essere riuscita a trattenere un grugnito.

Dopo quella sera in cui erano arrivati sul punto di fare l'amore, i rapporti tra lei e Damon erano stati piuttosto tesi, ma non in modo evidente, era qualcosa che stava sotto la superficie, un po' lì e un po' qui, giusto per ricordarle che c'era e farla sentire, in qualche modo, a disagio praticamente tutte le volte che incrociavano lo sguardo.

«Lascia stare.» le disse, solo, all'improvviso stanca e con un'incredibile nostalgia di casa.

«No, non lascio stare proprio niente.» ribatté Caroline, piccata. «Se non parli non risolvi niente. Insomma, non può entrarti nella testa, perché non gli parli e basta? È quello che ti dico di fare praticamente da quando vi siete messi insieme!»

Già, si disse lei, scornata, peccato che anche a parlare non si risolvesse granché.

Quante volte ci aveva provato a farlo aprire per trovarsi risposte vaghe che non le permettevano di scavare più in fondo? Le volte che le aveva confessato qualcosa di importante si contavano sulla punta delle dita, e da quando avevano scoperto della gravidanza di Mary si era chiuso ancora di più in se stesso.

E poi, a essere sinceri, cosa c'era da dire? Non era piuttosto normale che una persona se la prendesse, se il suo partner sparisce e poi ricompare senza spiegazioni e senza una promessa di restare?

«Ma che cosa avrei dovuto dirgli, scusa?» replicò, quindi, e stavolta esasperata. «"Non me la sento di venire a letto con te finché non chiariamo come stanno le cose"?!»

«Ad esempio!» confermò la sua amica, con fare pratico. «Qualunque cosa ti fosse passata per la testa. È meglio litigare che lasciare le cose in sospeso, almeno in un modo o nell'altro si risolve.»

Ma se Elena aveva evitato il confronto sull'argomento era stato soprattutto per evitare di litigare, sebbene una parte di sé sapesse perfettamente che sarebbe rimasta là se non avesse pensato a fare qualcosa per smuoverla.

Eppure, non ne aveva il coraggio.

"In un modo o nell'altro si risolve" suonava troppo male, specie pensando alla fine che avevano fatto lei e Klaus, quel rapporto così simile che stavano avendo lei e Damon.

No, proprio non poteva.

«L'idiota dov'è, ora?» proseguì Caroline, seccata.

«A fare colazione.» rispose lei, massaggiando la crema sul polpaccio, sperando di calmarsi almeno un po'. «Gli ho detto, se riesce, di portarmi di sbafo qualcosa, non avevo voglia di scendere.»

Il brontolio dall'altra parte non era affatto rassicurante. «Elena, non puoi fare così!» la rimproverò. «Devi mostrare un po' di apertura, quello ha già i suoi problemi per la testa, non ti ci mettere pure tu a fare la passivo aggressiva, peggiori solo la situazione.»

Elena si risentì. «Ma tu da che parte stai?»

Come se non ci pensasse abbastanza già da sola, poi. Il problema era che ci era rimasta troppo male per come aveva gestito la gravidanza di sua madre e tutto il resto, e anche se aveva provato a fare finta di nulla, a credere che avrebbe potuto scordarsi quelle settimane in cui non aveva avuto nemmeno una notizia, proprio non ci riusciva.

Almeno, non senza una spiegazione che ancora tardava ad arrivare, e una parte di lei temeva che non sarebbe arrivata mai, perciò o se lo faceva andare bene e ci passava sopra, o rompeva.

«Dalla tua, ovviamente.» le ricordò la sua migliore amica, con un sospiro stanco. «Anche se tu non lo capisci, a quanto pare. Puoi prendere il mio consiglio, come no, è una tua scelta. Quel che è certo è che restare in questo limbo non serve a niente, se non a farti stare male, anzi... probabilmente a fare stare male tutti e due.»

Aveva ragione, naturalmente.

Ma Elena non aveva voglia di discutere anche con lei, pur di sostenere la sua tesi, o il suo orgoglio, già quella vacanza stava andando male per tutti i versi possibili, non ce la faceva a tornare a casa e trovare Caroline offesa o, peggio, arrabbiata.

«Mi spiace, Care.» le disse, sincera. «Devo andare.»

«Sì, per me è anche ora di dormire.» osservò lei, con uno sbadiglio che però suonò finto. «Fammi sapere come va.»

Elena dubitava che sarebbe andata e basta, e quando gettò il tubetto di crema nel bidet con frustrazione, desiderò che nemmeno le importasse, o che potesse fare come la sua migliore amica, che riusciva a tirarsi su in qualunque tipo di situazione contando solo su se stessa.

Non riusciva a smettere di pensare al fatto che non si fosse lasciata abbattere da niente e nessuno quando Klaus se n'era andato, mentre lei, quando Damon era scomparso da Mystic Falls per qualche giorno, aveva completamente perso la bussola.

Forse perché Klaus se n'era andato con una spiegazione, e invece lei aveva vissuto giorni interminabili con il terrore di non veder Damon tornare senza sapere perché.

Era stato con Enzo e si erano ubriacati.

Può funzionare per un paio di giorni, non ci resti due settimane, al bancone di un bar. Perché non poteva semplicemente dirle cosa aveva combinato?

Che poi, nemmeno era tanto importante cosa avesse fatto. Ma perché era andato via, e perché era tornato? Era sempre così criptico che anche cercare di capirlo e finire per giustificarlo era sfinente.

Aprì la porta del bagno di colpo, solo per trovarselo, sorpreso, davanti. Non si disturbò nemmeno a preoccuparsi del fatto che avesse potuto origliare parte della telefonata, oppure tutta.

Loro due non avevano mai litigato senza litigare. Era una situazione troppo strana per non prendersi un po' di tempo senza capire cosa fare, come comportarsi, come non lasciare che quei capelli leggermente spettinati e quegli occhi azzurri costantemente malinconici non le facessero perdere tutta la determinazione a portare avanti la scelta presa, anche se non ne aveva presa nessuna.

Perché, in fondo, Damon era così: inafferrabile, se si cercava di stringerlo troppo, sarebbe scivolato via. E forse era proprio questo che era successo, lei aveva stretto troppo e lui se n'era andato, lei aveva finito per stringere il vuoto.

E quando era successo le era crollato il mondo addosso: si era sentita come se non avesse avuto più niente da fare, da dire, da godersi. Era guardare il mondo con una lente in bianco e nero, e adesso che lui era là, di fronte a lei, aveva paura di perderlo di nuovo.

Ric gliel'aveva detto: "Damon non è uno che resta", ma quando ti illudi di essere la sua ragione per restare e poi scopri che non è così, una delle certezze che reggono il resto va in frantumi, e allora tutto si fa traballante, non ti puoi permettere di far vacillare altro oppure crollerà tutto.

E fa paura.

La fine di una cosa bella fa troppa paura.

"Non ti lascerò più, te lo prometto."

E, mentre lo guardava in quegli occhi blu, Elena si chiese che fine avesse fatto quella promessa, perché non era stato capace di mantenerla, come aveva potuto, lei, fidarsi e basta delle sue parole.

Perché non aveva mai tradito una promessa.

Sembrava, anzi, impossibile che potesse averlo fatto davvero.

«Ti ho...» cominciò lui, accennando al comodino con la testa. «Ti ho portato su la colazione.»

Non c'era dubbio che avesse sentito. Dopotutto, poche cose riuscivano a lasciarlo senza parole, almeno quando lei era ancora completamente vestita.

«Grazie.» fece Elena, grattandosi la nuca, in estremo imbarazzo.

Se le cose potevano peggiorare, l'avevano appena fatto.

Quel viaggio era stato senz'altro uno sbaglio, e lei aveva insistito chissà per quale motivo, con quale vana speranza. Non puoi aggiustare qualcosa, quando non sai dove si è rotto.

Forse aveva avuto solo l'illusione che cambiare aria avrebbe cambiato le cose, ma in realtà sembravano due persone obbligate a stare nella stessa stanza quando avrebbero voluto essere ai poli opposti del pianeta.

Elena non era sicura di sapere perché era così interessata a scoprire cosa avesse fatto in quelle due settimane, doveva essere semplicemente il fatto che glielo voleva tenere nascosto, e quindi ci dovesse per forza essere qualcosa sotto.

Non erano donne, questo l'aveva già chiarito.

E, allora, cosa?

Se non erano donne, lei davvero non riusciva a immaginare cosa diamine potesse sentire il bisogno di nasconderle. Perché di solito le cose che lui non diceva erano per proteggere lei, oppure quelle che avrebbero messo in crisi il loro rapporto.

O forse Caroline, come sempre, aveva ragione, e le cose erano improvvisamente diventate troppo serie dopo troppo poco tempo, e Damon non era uno abituato a essere "ingabbiato" oppure obbligato a rendere conto a qualcuno.

Magari, stava davvero sbagliando lei.

«Mi dispiace.» disse, quindi. «Forse è ingiusto che io continui a tenere il muso.»

Damon non rispose, la guardò e basta, un po' incerto.

«Insomma... immagino che ci saranno altre cose di cui non sarà possibile parlare.» continuò, quindi, la ragazza. «Anche se la cosa non mi sta bene, forse devo imparare.»

In fondo, non è che lei avesse chissà quale esperienza stellare in fatto di storie. Pensava solo che le cose dovessero andare in un certo modo, ma non c'era una legge scritta su come deve essere condotta una relazione, perciò poteva benissimo starci che si sbagliasse.

E, magari, aveva anche ragione lui quando diceva che le regole che possono valere per gli altri, non necessariamente dovevano anche per loro. Ogni rapporto è a sé.

«Non ti basta sapere che non è niente di quello che potresti temere?» fu la sua domanda.

Elena ci pensò.

Ma ci aveva già pensato a sufficienza: se non era nulla, non aveva senso tenerglielo nascosto.

«No.» era una risposta sincera. «Un segreto rimane sempre un segreto. Ho imparato che le cose non dette minano alle fondamenta di quello che costruisci, e ho paura che possa succedere anche a quello che siamo noi.»

Che, ancora, peraltro, non le era perfettamente chiaro. Non se lo ricordava quasi un periodo in cui non avevano finito per discutere per qualcosa. C'erano stati attimi di pace, ma non si erano mai goduti davvero del tempo senza trovare un motivo per cui battibeccare.

Una cosa era certa, comunque: dove c'è un segreto, c'è un malessere. Lei aveva vissuto diciott'anni senza poter sapere di Katherine e questo aveva messo in crisi diverse volte la sua famiglia.

Non voleva trasferirsi dalla bocca chiusa dei suoi genitori a quella del suo fidanzato.

«Ma posso aspettare che tu sia pronto a parlarne, se mai vorrai farlo.» era il suo compromesso.

Quanto sarebbe stata disposta ad aspettare, però, non sapeva nemmeno lei. In un momento, avrebbe detto anche tutta la vita, nel successivo, nemmeno mezzo secondo. E questa era la ragione principale per cui non riusciva a ingoiare il rospo.

«Quindi...» fece, con tono sensibilmente più allegro. «...quali sono i programmi di oggi?»

E poi, quella era una vacanza, dopo quanto era costato il biglietto dell'aereo e la fatica di trovare la forza di salirci, non era nemmeno giusto non godersela.

Anche perché, probabilmente, in un futuro che temeva non fosse troppo lontano, si sarebbe pentita di non averlo fatto, una volta che quei momenti non sarebbero stati altro che ricordi.

A quel punto, Damon si rilassò sul materasso.

«Mi ha scritto Stefan.» raccontò, allora. «A quanto pare è abbastanza nel panico, penso di averlo punito abbastanza per aver tentato di fare lo stronzo con me, e, soprattutto, di tenermi d'occhio.»

Elena scosse la testa.

«Ovviamente è stato solo un vantaggio collaterale alla nostra piccola fuga.» preferì chiarire.

Ma lei nemmeno ci aveva pensato, era troppo abituata a sentire battute su Stefan per prenderlo sul serio. Piuttosto che farlo soffrire si sarebbe fatto impalare, e questa era l'unica certezza che le fosse rimasta, se avesse anche fatto crollare quella, allora sì che avrebbe detto che non conosceva l'uomo che aveva davanti.

«Quindi, finalmente, posso conoscere la famosa nonna.» osservò, e il fatto di non esserne più neanche nervosa la colpì.

La sera prima di partire era stato anche quello motivo di ansia, adesso invece sembrava una passeggiata in un parco.

Doveva solo dire "ciao" a una vecchia signora.

Damon annuì. «Ci aspettano per pranzo.»

-

La casa era in fermento.

Stefan si era trovato per sbaglio sulla strada della nonna mentre disponeva le pietanze appena pronte sul tavolo e se ne era pentito amaramente: non era quasi stato nemmeno visto.

Il nonno gli aveva consigliato caldamente di non essere nei paraggi, fin dalla sera prima, ma lui non aveva prestato particolarmente attenzione perché non era mai stato abituato a quella frenesia. E sì, sua madre era un po' come lei, dopotutto, quando avevano ospiti: così ansiosa di fare bella figura, di presentarsi al meglio per la nuova fidanzata di Damon.

Era tutto un gran casino.

Lui, però, non era del tutto convinto che quella vacanza fosse stata la scelta giusta per tentare di riallacciare il rapporto.

A giudicare dall'ultimo messaggio di Elena, specialmente: le aveva chiesto se andava tutto bene, e lei aveva risposto con una faccina che non lasciava presagire niente di buono.

Se lo era chiesto spesso che diamine passasse per la testa di suo fratello, e poteva giurare di non essere in grado di venirne a capo.

C'erano giorni in cui pensava di essersi avvicinato. Quando era tornato a Mystic Falls, non sapeva nemmeno come parlargli, cosa dirgli, se avrebbero mai avuto un rapporto normale. Poi, forse anche grazie alla sua migliore amica, erano riusciti ad avvicinarsi. Lui credeva che fosse abbastanza, e invece suo fratello riusciva a fare un passo avanti e dieci indietro.

Negli ultimi tempi, avrebbe potuto dire che era un estraneo. Sì, faceva le sue solite battute ironiche, lo prendeva in giro in modo pungente, da questo punto di vista non molto era cambiato. Eppure era distante.

Lo sentiva anche Elena.

Forse lo sentivano tutti, ma quando Damon non voleva essere avvicinato, non poteva riuscirci nessuno. Era, anzi, stupito che, almeno fino ad allora, la sua amica fosse stata l'eccezione, tanto che lui si era convinto che, se esisteva qualcuno che poteva salvarlo da se stesso, era lei.

Ma la realtà era ben diversa, e Stefan iniziava a capire che una persona deve salvarsi da sola, se davvero lo desidera, e che non c'era niente che Elena potesse fare per Damon, arrivati a questo punto.

Stefan lo sapeva - o lo immaginava - perché Damon era così turbato dalla gravidanza di sua madre. Probabilmente, ormai avrebbe potuto farlo chiunque, perfino sua madre stessa. Era, anzi, forse il motivo per cui aveva scelto di non dire niente in famiglia.

Damon aveva paura di essere abbandonato da sua madre un'altra volta, e stavolta non c'era niente che avrebbe rimesso a posto le cose, se le fosse successo qualcosa, nessuna casa a cui tornare nella speranza di poterla ritrovare. C'era la possibilità che questa gravidanza non andasse a buon fine, e questo aveva messo suo fratello con le spalle al muro.

L'aveva costretto a pensare alla sua vita sotto una prospettiva a cui non era stato abituato, perché anche quando era lontano sua madre c'era sempre stata.

Stefan sapeva che quella storia aveva tutte le carte in regola per distruggere lui e, insieme, tutta la sua famiglia. Suo padre non avrebbe retto il colpo, e lui stesso non aveva idea di come avrebbe fatto a tenere insieme una famiglia così spaccata. Damon e il loro padre non avevano mai davvero fatto pace, e lui si era trovato in difficoltà anche al solo pensare a un modo per aiutarli.

Erano troppo simili perché si lasciassero dire cosa sarebbe stato meglio fare: lo sapevano già, eppure l'orgoglio gli impediva di fare il primo passo.

Sbuffò, mentre usciva sul portico di casa per prendere un po' d'aria: era stanco di passare la notte a riflettere su cose che andavano oltre quello che era in grado di fare. Quella vacanza doveva servire a fare in modo che le acque si calmassero, eppure non erano mai sembrate così mosse.

La nonna non si era pronunciata su nulla, quando le aveva raccontato di sua madre. Aveva solo chiamato a casa per fare le congratulazioni per la bimba Salvatore. Al contrario di tutti, sembrava eccitata alla notizia. Ma lei era parte di un'altra generazione.

«Come fai a dire che andrà tutto bene?» le aveva chiesto Stefan, giusto il giorno prima.

Lei aveva scosso le spalle, come se non fosse stato tutto questo gran problema. «Perché conosco tua madre.» aveva risposto. «Ce la farà.»

Il ragazzo, però, non sapeva che posizione assumere a riguardo: sua madre era seguita da un sacco di medici all'ospedale, monitoravano la sua situazione costantemente. Sembrava non esserci niente di rischioso, allo stato attuale delle cose, o almeno niente che gli avessero detto, e lui sapeva che avevano la brutta tendenza a nascondergli le cose, pensando di proteggerlo.

Lo scocciava da morire quel non essere visto come un adulto, ma sempre come il piccolino a cui dare notizie edulcorate.

Poteva guidare un'auto, ma non sapere se sua madre stava male, e in che misura.

Il nonno, invece, non si era pronunciato affatto. Erano anni che lui e Giuseppe non parlavano.

Stefan lo sapeva perché al telefono non gli aveva mai parlato. Uno non aveva mai perdonato all'altro il fatto di aver scelto una strada diversa dalla tradizione di famiglia, e l'altro quello di non aver potuto accettarlo.

«L'orgoglio vi seppellirà tutti.» era stato il commento della nonna, quando aveva visto suo marito non prendere la cornetta del telefono.

E Stefan aveva pensato che fosse esattamente quello, il problema: il loro stupido orgoglio. Di suo nonno, di suo padre e di Damon.

Per lui non aveva senso non poter abbassarsi a chiedere scusa, nascondendosi dietro la pretesa di avere ragione. Sua madre diceva spesso che quando due persone litigano la colpa non è mai da una parte sola, e che per fare pace davvero bisogna accettarlo.

Stefan, a parte raririssimi casi, non aveva mai litigato con nessuno - con Damon qualche volta, ma era anche certo che non esisteva nessuno con cui Damon non avesse litigato -, e questo l'aveva sempre fatto classificare come "strano", "troppo buono" o addirittura "coglione", da amici meno simpatici come Tyler Lockwood - che, tra le altre cose, gli aveva anche tolto il saluto.

Lui, però, non se ne era preoccupato. Avrebbe volentieri lasciato la squadra di football, se non fosse stato che, una volta mollata la maglia, sarebbe stato oggetto di bullismo dai suoi ex compagni di squadra.

Ma litigare no, non era nel suo DNA.

«Sembri pensieroso.» osservò suo nonno.

Era anche lui fuori, sul portico della casa, insieme a una delle tele che gli piaceva tanto dipingere. Ce n'erano a bizzeffe nella cantina, di quelle. Paesaggi, per lo più, e la nonna da giovane.

«Lo sono.» confermò lui, scrollando le spalle.

«Quando fai quella faccia sembri tuo padre.» diede un'altra spennellata sulla tela. Il soggetto era sempre il loro cortile. Stefan si chiedeva come non si fosse stufato di ritrarlo.

Sorrise, però. «È una brutta cosa?»

In risposta, il nonno tossicchiò una risatina. «Solo se non è per una ragazza.»

Stefan non capì se stava evitando la domanda, o davvero l'aveva compresa in quel modo. Comunque, decise di non indagare. Almeno, non sull'argomento.

«Sono preoccupato per Damon.» ammise, ed era una mezza verità. Forse, non si poteva parlare di Giuseppe, ma sicuramente Damon era un argomento che interessava entrambi. «Pare che le cose non gli vadano bene ultimamente.»

«Le cose non sono mai andate bene, per lui.» replicò l'altro, in tono piatto, mentre tentava di rappresentare il bordo della sua siepe. «Quarant'anni che cerco di dipingere questo dannato cortile, e non riesco a fare una stupida siepe!»

«Stai dicendo che non dovrei preoccuparmi...» tentò il ragazzino. «...o che, ormai, è tardi per farlo?»

Antonio Salvatore gettò via il pennello, quasi con rabbia. Poi, chiuse tutto e si rivolse al nipote come se niente fosse successo.

«Tutte e due le cose, figliolo.» gli diede una pacca sulla spalla di consolazione. «Tutte e due le cose.»

Stefan però ci teneva a fare una precisazione, mentre Antonio lo sorpassava: «Non è vero che le cose sono sempre andate male per Dam.» il nonno si fermò sulla soglia di casa. «Andavano bene, quando ha conosciuto Elena.»

Bene davvero.

Forse, Elena non poteva salvarlo dai suoi nuovi fantasmi, ma di sicuro l'aveva salvato da quelli vecchi, e questa non era una cosa che poteva o doveva passare inosservata.

Oppure, era solo lui che voleva convincersene.

Non ebbe risposta, se non un sorriso stentato, e ben poco convinto. Ma fu il suono del suo telefono a terminare quella conversazione.

Rispose.

«Care?» era strano che lo chiamasse a quell'ora. Avrebbe dovuto essere l'una, circa, a Mystic Falls. «Che succede?»

«Niente.» una risposta troppo sbrigativa, per una come Caroline. E sapevano bene entrambi che era una menzogna. «Ho solo parlato con Elena, poco fa. E adesso non riesco a dormire.»

Già.

Almeno erano in due.

«Saputo niente?» domandò.

«Niente che mi abbia rincuorata, sinceramente.» la ragazza sbuffò. «E niente di nuovo, di certo: tuo fratello è un imbecille. Ma, come ho detto, non è una novità e... penso che anche Elena sia un'imbecille. Ma non è di questo che volevo parlare.»

A quel punto, Stefan era tutto orecchie. Non disse niente, e nemmeno Caroline.

«Quindi?» la incitò, un po' curioso e un po' preoccupato.

«Be'... da dove comincio...» e già questo non era un buon modo per tranquillizzarlo. «Stamattina sono stata dai tuoi per fare un po' di compagnia a tua madre... e per tenerla un po' d'occhio, visto che senza tuo fratello tuo padre è tornato a lavorare.»

Il ragazzo mandò giù la saliva, ma a vuoto. «È successo qualcosa alla mamma?»

«No, tranquillo.» rispose subito lei. «Anzi. Mi sembra abbastanza energica. Pare che la bambina nascerà a giugno. La data prevista è poco prima del nostro diploma. Sarai un fratello maggiore anche tu, tra qualche mese.»

Non ci aveva ancora pensato, in effetti, ma era vero: sarebbe stato anche lui un fratello maggiore. Non che fosse questa gran cosa o responsabilità, ma era strano pensarsi non più come il più piccolo della famiglia.

Sperava, quindi, che anche gli altri avrebbero smesso di vederlo come tale.

«Wow.» commentò. «Spero che non mi si attivi nessun gene strano.»

«Credo che tuo fratello sia così per natura.» fece lei, e Stefan era sicuro che avesse appena arricciato le labbra.

Per un secondo, sentì la sua mancanza sfondargli lo stomaco, specie quando la sentì sospirare.

«Che succede, Care?»

«Succede che qui è tutto un casino.» borbottò. «Mio padre dorme da noi sul divano, perché il suo fidanzato l'ha cacciato di casa, dopo che hanno avuto una litigata in pieno stile Forbes... e ora mia madre cammina pestando uova per la casa. Cioè... mia madre, capisci? Quella che va in giro con la pistola e non ha paura di niente.»

Stava chiaramente camminando per la stanza, e faticava a tenere bassa la voce.

«E non posso nemmeno parlarne con Elena perché attualmente ha tutti i problemi del mondo. Bonnie è incazzata con il genere umano perché Jeremy è tornato a frequentare la sorella di Matt, anche se "solo come un'amica" e, ciliegina sulla torta, Klaus è in città e mi ha chiamata.»

Ora sì che Stefan sentì il fondo dello stomaco, ma non era nostalgia.

«Mmh.» si limitò a commentare, e si diede dell'insensibile per aver ignorato il resto, quando il punto, evidentemente, non era Klaus. «Mi spiace per tuo padre, ma almeno hai occasione di passare del tempo con lui.»

«A volte non sono nemmeno sicura che mi dispiaccia, per lui.» fu costretta ad ammettere. «Però è comunque strano riaverlo in casa. Insomma, non puoi sparire per dieci anni, poi tornare a casa e pretendere che sia tutto come prima e, magari, fare pure il padre. Lui è stato mio padre quando ero piccola e, dopo, solo d'estate. Mi andava bene così.»

«Pensi che voglia trattenersi?» non aggiunse "più di quanto vorresti" per non farla sentire in colpa, anche se un po' si capiva che era così.

I cambiamenti non piacciono molto a nessuno, anche se riguardano persone a cui vogliamo bene. Alcune, se abituati al fatto di averle lontane, non è facile sapere come gestirle, o come gestire se stessi intorno a loro.

«Non lo so.» mormorò lei, e lui sentì chiaramente le molle del materasso cigolare sotto al suo peso. «Non l'ha detto, e io non ho chiesto.»

«Mi spiace.» ripeté lui, a corto di parole. «Mi spiace che tu non possa parlarne con le tue amiche, e anche di non essere di estremo supporto in questo momento. Non sono molto bravo, in questo genere di cose. Vorrei solo che tu stessi bene.»

«Klaus mi ha chiesto di vederci, oggi.» fu quello che disse lei, e il fatto che avesse ignorato la sua frase lo mise in allarme. «Non avevo intenzione di andarci, all'inizio... poi ho pensato di meritare una chiusura decente, dopo quello che mi ha fatto.»

A questo punto, Stefan ebbe bisogno di sedersi su una di quelle sedie di vimini che sua nonna aveva insistito per mettere sul portico, insieme a un tavolo di vetro.

Una mano nei capelli, per supporto morale. Sapeva di non poter dire nulla, nemmeno se fosse successo quello che sperava non fosse successo, dopotutto, era stato lui il primo dei due a comportarsi da idiota all'inizio di quella relazione.

E Caroline l'aveva perdonato su tutta la linea.

«Dimmi che è successo.» la incoraggiò, piano.

«Ci siamo visti al Grill.» raccontò la ragazza, con calma. «Mi ha raccontato di quello che sta facendo attualmente, sai... con la banca e tutto il resto. Si sposa... con Camille. La ragazza con cui mi faceva le corna.»

«Oh.» fu tutto ciò che poté dire lui, sorpreso.

«Voleva che fossi... la sua ultima notte di follia, sai?» le uscì una risatina nervosa, e sterile. «Non solo mi ha presa in giro tempo fa, nossignore. Voleva anche usarmi per la sua avventura prima di accasarsi. Ti rendi conto?»

«Gli hai dato un pugno.» non era una domanda, quella di Stefan. Assomigliava più a una disperata richiesta. «Dimmi che gli hai dato un pugno.»

Sentiva quasi rabbia per lei, e non solo perché quello che considerava un pezzo di stronzo aveva appena cercato di portarsi a letto la sua ragazza, ma perché l'aveva trattata come se non avesse avuto alcun valore.

«Quasi.» disse lei, e stavolta la risatina era più birichina. «Gli ho dato una ginocchiata dove non batte il sole e me ne sono andata.»

Il ragazzo scoppiò a ridere, tra le rimostranze di lei che gli intimava di restare serio, ma ce la vedeva troppo a fare una cosa del genere. Non c'erano dubbi che odiasse farsi mettere i piedi in testa.

«Guarda che non è rimasto a terra per molto!» si lamentò. «Sono rimasta al Grill insieme a Matt, dopo. L'ho visto provarci con Hayley Marshall, quella a cui Tyler faceva il filo. Non ho nemmeno bisogno di dirti che è finita a cazzotti.»

Questo sì che faceva ancora più ridere.

Era la seconda volta che Klaus Mikaelson tentava di fregare la ragazza di Tyler. Questa volta lui non era andato giù senza combattere.

«Devo dire che mi rincuora molto sapere che è finita così.» più di ogni altra notizia al mondo, a dire il vero.

Non avrebbe mai ammesso che lo spettro di Klaus un po' lo tormentava: Caroline aveva avuto diverse esperienze coi ragazzi, ma Mikealson era stato il più importante tra loro. Competere con una storia importante, non avendone avuta nessuna degna di nota, era un po' motivo di ansia per lui. Non aveva idea di come era stata abituata lei, di quali fossero gli standard sotto i quali non intendeva scendere.

Si sentiva minacciato, da lui.

«Pensavi davvero che sarei tornata con quell'idiota?» gli chiese, sembrava offesa. «Non mi chiamo mica Elena! Io non perdono.»

E questo avrebbe di sicuro offeso Elena, in qualche modo, ma d'altra parte era anche la verità: lei perdonava anche l'imperdonabile.

Speravano tutti che sarebbe bastato, quella volta.

«Spero di non farti arrabbiare, allora.»

«Be', appunto.» tagliò corto la ragazza. «Comportati bene, e non hai nulla da temere. Ora me ne vado a dormire, dopo che ti ho raccontato tutto mi sento meglio. Buonanotte.»

«Buonanotte.»

Anche se per lui, ormai, era quasi mezzogiorno.

E stavolta per davvero, non come quando lo buttavano giù dal letto alle sette con la scusa che era ora di pranzo.

-

«Sto morendo di noia.» fu il commento di Arianna, seduta di fronte a Stefan. O meglio, stravaccata sulla sedia davanti a lui. «E di fame.»

Maria Salvatore le scoccò un'occhiataccia. «Aspetteremo Damon e Elena per mangiare.» non era la prima volta che la avvisava della cosa, e la sua stizza si poteva cogliere dal tono che aveva usato.

Sofia, accanto a lei, aveva preso due tovaglioli ed erano due cavalli immaginari che si inseguivano tra loro. Si distrasse solo per fare la fatidica domanda:

«Quando arriva Damon?»

«Tra poco, tesoro.» sua nonna le accarezzò la mano, con dolcezza.

Stefan invece sperava che arrivassero veramente in due e che non arrivasse solo Damon dando la triste notizia che aveva dovuto riaccompagnare Elena in aeroporto con qualche fantasiosa scusa. Una parte di lui si sentiva tra estranei, e non gli faceva piacere la cosa, soprattutto perché erano la sua famiglia, ma l'ultima volta che li aveva visti era stato alto come un tappo di sughero.

E parlare italiano lo metteva a disagio. Una volta che ci fosse stata Elena sarebbe stato inevitabile cambiare lingua, cosa che, tra l'altro, in quella casa sembrava riuscire particolarmente bene.

Ma lui era nervoso come quando, da bambino, sua madre lo lasciava da solo alla cassa per andare a prendere l'ultimo alimento della lista della spesa dell'ultimo minuto. Quando vedi il nastro scorrere minacciosamente e la tua spesa arrivare al cassiere.

E non vedi l'ora che la mamma si sbrighi a tornare.

In quel caso, però, l'attesa era più come quella nella sala d'aspetto di un dottore. E il dottore stava giusto per chiamare il suo nome: il rumore del motore della macchina di Damon si sentiva fin nella sala da pranzo.

La nonna scattò in piedi, come se sulla sua sedia ci fosse stata una molla.

«Eccoli!» squittì, prima di precipitarsi alla porta.

Stefan era sicuro che sarebbe andata a tirarli fuori dall'auto se si fossero attardati un secondo di troppo. E già ne avevano aspettati parecchi, per iniziare a mangiare.

«È arrivato! È arrivato!» gioì la piccola Sofia, correndo subito dietro sua nonna.

E sì, Damon era arrivato davvero. La macchina che aveva soffiato ad Arianna senza dirle che l'avrebbe presa in prestito per più che andare fino a Roma a prendere la sua ragazza era di nuovo nel cortile dei suoi nonni.

Il viaggio era durato qualche ora. Elena era stata piuttosto silenziosa, ma lui aveva deciso di non interrompere il suo continuo guardare fuori dal finestrino estasiata. Aveva preso le strade panoramiche per permetterle di godersi un po' di natura, e magari stare pure un po' tranquilla.

Non avrebbe saputo dire, dopotutto, cosa si aspettasse da quella vacanza.

Poteva dire di conoscere Elena abbastanza bene, ormai: sapeva che era una testa dura, che sulle cose ci tornava finché non le considerava risolte. Dopo mesi in cui le discussioni si erano sprecate, avrebbe ormai dovuto imparare la lezione.

Una cosa l'aveva stupito: che fosse stata lei a chiedere scusa, quando era evidente che quello che aveva sbagliato era stato lui. Non ricordava un'altra volta in cui Elena fosse scesa a patti con se stessa per fare pace, era sempre stato lui quello che tornava a chiedere scusa. E in fondo, era sempre stato giusto così.

Alla fine, le era quasi sempre toccato subire qualcuna di quelle parti di lui a cui piaceva essere un lupo solitario senza legami e senza qualcuno a cui rispondere.

Perché i legami fanno soffrire, e questa cosa gli era più chiara che mai. Affezionarsi a qualcuno era un rischio così grande che , dopo aver saputo di sua madre, si era spaventato.

Aveva bisogno di essere sicuro di sapere ancora essere qualcuno da sé, in una parte di mondo dove Elena non sapevano nemmeno che esistesse.

Dove lui si era perfino potuto dimenticare di averla conosciuta.

Forse era solo per questo che non voleva parlarle di cosa aveva fatto, per non ferirla. Perché anche se fosse andato con cento donne diverse, Damon era sicuro che non le avrebbe fatto male tanto quanto sapere che si era preso qualche giorno semplicemente per scordarsi di lei, oltre che della sua famiglia e di tutto quello che si era lasciato dietro.

Qualche giorno per essere Damon, da solo.

Soprattutto, per capire chi e cosa avrebbe potuto essere, da solo. Dal momento che gli erano crollate parte delle certezze, aveva avuto bisogno di prendersi del tempo per mettere al sicuro una parte di se stesso, nel caso anche tutto il resto avesse dovuto andare in malora.

Il suo piano B.

Elena non avrebbe capito. Era forse più innamorata del rapporto che pensava potessero avere che di lui, era addirittura disposta a sacrificare parte del suo futuro con la scusa che "non sapeva cosa farne", e un giorno lui era sicuro si sarebbe svegliata accanto a un uomo che non voleva.

Lui non era materiale da famiglia.

Eppure stare senza di lei lo spaventava, perché Elena era la sua parte migliore.

Se si era preso del tempo per capire chi era solo Damon, non era del tutto certo che gli fosse piaciuto.

Se gliene avesse parlato, Elena l'avrebbe di certo tranquillizzato, facendo sembrare tutti i suoi dubbi delle inezie. E lui le avrebbe creduto, solo perché voleva farlo. Ma sapeva come andava la vita, e lei era troppo giovane per prendere decisioni importanti con uno che non sapeva dove sarebbe stato il giorno dopo, o dove avrebbe dovuto essere.

E se dei giorni avrebbe potuto giurare che con lei ci avrebbe volentieri passato la vita, altri avrebbe altrettanto certamente giurato di non poterlo sopportare un legame così forte.

Aveva già dato abbastanza la sua parola senza essere riuscito a mantenerla. Ma l'idea di spezzarle il cuore lo spezzava a lui per primo.

«Ti sei imbambolato?» gli chiese lei, guardandolo confusa. Era rimasto immobile per qualche minuto. «Credo che quella sulla porta sia tua nonna, e ho la brutta impressione che verrà qui a prenderti se non scendiamo.»

«Sì.» fu una risposta meccanica. Poi, si riscosse. «Dovremmo, o stasera potrai mangiare la pizza sulle mie orecchie.»

Era un'immagine abbastanza esilarante: quella anziana signora che gli tirava le orecchie per tirarlo fuori dall'abitacolo abbastanza da fargliele allungare.

Elena sorrise.

Era bello che ci fosse un altro posto che Damon poteva chiamare casa, quando sentiva che la sua non funzionava più. Forse quel viaggio serviva più a lui, a conti fatti.

«Be', io, per non rischiare, scendo, se non ti spiace.» detto questo, prese l'iniziativa e lo precedette, stupendo perfino se stessa.

Ma, dopotutto, era quasi sempre rimasta ad aspettare che fosse lui a fare le cose durante la loro storia. Era ora di darci un taglio.

Voleva essere un po' Caroline.

Lui la seguì, con una risatina.

«Finalmente!» commentò la nonna, andando loro incontro. «Pensavamo che avreste continuato a darci buca anche oggi.»

Damon sbuffò. «Ciao anche a te.» la rimproverò, bonariamente. «Te l'avevo detto che saremmo venuti oggi per pranzo.»

Lei inarcò un sopracciglio nella sua direzione e non aggiunse altro. Dopo, si rivolse ad Elena con un sorriso.

«Tu devi essere la famosa Elena.» allargò le braccia per stringerla, mentre Damon borbottava un "famosa" come se non fosse stato lui a parlarne.

Elena, invece, non ebbe tempo di pensare che si ritrovò intrappolata in un abbraccio stritola ossa. La nonna di Damon era abbastanza corpulenta, e insieme a lei arrivò un leggero sentore di fritto - la qual cosa le fece brontolare lo stomaco -, i suoi capelli bianchi le solleticavano la tempia. Erano dei ricci molto corti, e molto bianchi.

La nonna di Damon odorava di lasagne appena sfornate, di ammorbidente e di caminetto. Sorprendentemente, quello non lo sentiva come l'abbraccio di un'estranea: era, invece, come essere tornati a casa dopo una vita passata via.

«Sei bellissima.» commentò quella, con il suo inglese dall'accento particolarmente marcato, una volta che la lasciò andare. «E io non vedevo l'ora di conoscerti.»

Quasi, Elena si commosse a sentirla parlare così.

«Anche io.» ed era davvero curiosa. «Sono felice di essere qui.»

Forse era quello che le mancava di Damon, la parte che non aveva potuto conoscere. Sperava che le avrebbe permesso di capire quello che mancava, per poterlo perdonare e basta, perché tenere il muso stanca, e lei non sapeva più se era più frustrata dal fatto che sentiva di non avere tutti gli elementi per dire basta o per via di quella guerra sotterranea.

A dispetto delle sue parole di quella mattina, il dubbio ancora serpeggiava tra loro, minacciando di distruggerli.

Non era più saggio, a quel punto, semplicemente lasciarlo andare?

«Hai fame?» domandò la donna, facendole cenno verso la casa. «Spero che ti piacciano le lasagne.»

Elena si limitò ad annuire: era esausta e parecchio affamata.

«Sono felice di vederti anche io, nonna.» fu il sarcastico saluto di Damon alle spalle dell'anziana. Le seguì in casa e si trovò travolto dalla sua cugina più piccola che gridava il suo nome a squarciagola. «Vedete? Almeno qualcuno mi apprezza.»

Accarezzò la testa di Sofia con dolcezza. Era strano, Damon, intorno ai bambini: per essere uno a cui non piacevano aveva dei modi davvero gentili, con loro.

Il saluto di Arianna fu molto più coriaceo: «Abbiamo fame, cretino.» poi si rivolse ad Elena con un sorriso luminoso e le fece cenno di sedersi di fianco a lei. «Qui. Vieni qui. Abbiamo un sacco di cose di cui spettegolare!»

Il nonno dormiva placidamente sulla sua sedia, lo si capiva dal suo leggero russare, a braccia conserte, con gli occhi chiusi.

«Antonio!» lo rimproverò la moglie, scandalizzata, facendolo saltare sul posto. «Sono arrivati!»

Nel frattempo che il più anziano dei Salvatore riprendeva contatto con la realtà, Elena passò un braccio intorno al collo di Stefan, rimasto seduto.

«Tutto ok?» le chiese lui, un po' in pensiero.

Lei si limitò ad annuire, che tanto non c'era tempo per spiegare. Dopo, passò dal nonno per presentarsi, ma lui rispose con un misto di grugniti e lamentele.

Arianna le consigliò: «Lascia stare il nonno.» non appena si sedette vicino a lei. «Non ama essere svegliato. Nemmeno se è l'ora di pranzo. Io sono Arianna.»

Elena annuì. «Lo so chi sei.» le strinse la mano che le aveva teso. «Io sono Elena.»

«Anche io so chi sei.» le fece l'occhiolino. «Ma sono stupita che il mio cuginone ti abbia parlato di me.»

Era stato grazie a delle foto che aveva "rubato" dal suo computer mesi prima, ma lei le ricordava tutte, in quella che era stata una delle prime volte in cui il suo ragazzo le aveva raccontato qualcosa di sé.

«Non l'ho fatto di spontanea volontà, ovviamente.» si intromise Damon, una volta che fu riuscito a scollarsi la cuginetta dal collo. «È lei che è curiosa come una scimmietta.»

Le rivolse un sorriso, che la ragazzina non esitò a ricambiare, d'istinto.

«Non vorrei mai che qualcuno sapesse che ci conosciamo.» continuò Damon, ma stavolta rivolto alla cugina. «Mi fai sempre fare brutta figura.»

La chiamata in causa incrociò le braccia al petto. «Oh, vedrai.» aveva un tono minaccioso. «Potrei raccontare un milione di aneddoti imbarazzanti su di te, stai attento a chi ti fai nemico.»

Elena li osservava battibeccare con divertimento. Damon sembrava finalmente rilassato, anche dal modo in cui si lasciò cadere sulla sedia di fianco al nonno, che ancora sonnecchiava, anche con tutta quella confusione. Appoggiò un braccio sullo schienale, tutto scomposto.

«La nonna potrà essere sempre più imbarazzante.» osservò il ragazzo, con rassegnazione. «E quando ho portato Elena qui ho fatto pace col fatto che vi impegnerete per trovare tutti i possibili racconti peggiori della mia adolescenza.»

La nonna arrivò in quel momento con una teglia di lasagne.

«Adolescenza.» commentò, con ironia. «Non serve che ti ricordi la volta della palma.»

Quella già aveva un nome bizzarro che accese subito la curiosità di Elena. Si fece immediatamente più attenta, sperando che snocciolassero subito il segreto.

Non sapeva di cosa si trattasse, ma già le veniva da ridere.

«Possiamo tenerlo per dopo pranzo?» fu la supplica del nonno, svegliato dall'odore del cibo. «Finiamo sempre per parlare di cose del genere a tavola.»

Maria sembrava pronta a tirargli le orecchie, ma si limitò a guardarlo truce. Gettò con un utensile piatto una generosa porzione nel piatto di Stefan che aveva la faccia di chi non ne può già più: forse perché erano ormai diversi giorni che mangiava come se fosse stato all'ingrasso.

«Sei vegetariana, Elena?» domandò la nonna, gentilmente. «Perché in quel caso ci sono anche le lasagne al pesto.»

«Io le prendo.» intervenne Arianna, che si stava già servendo di una generosa porzione di lasagne al ragù.

«Per me va bene tutto.» ammise l'ospite, un po' in imbarazzo.

Quindi, Maria Salvatore decise per tutte e due. Elena lo sapeva che si aspettava che le mangiasse entrambe quando se ne trovò almeno mezzo chilo nel piatto.

Lanciò uno sguardo di aiuto a Damon, che si limitò a scuotere le spalle come se non potesse farci niente.

«Mangia.» le consigliò la cugina più grande. «Vedrai che ti piace.»

«Non lo metto in dubbio.» ci tenne a precisare subito la ragazzina. Era solo sicura che non ce l'avrebbe mai fatta a finirlo, e aveva paura di offendere la cuoca.

«Sei magra come un fuscello.» sembrò quasi rimproverarla il nonno. «Mangia, vedrai che ti fa bene.»

«È quello che mi sento dire da tre giorni.» bisbigliò Stefan al suo orecchio. «Ancora un po' ed esplodo.»

Il che era tutto dire visto che i suoi genitori avevano portato dall'Italia la tradizione del mangiare tanto e anche un filo pesante.

Elena non era molto abituata a pranzare in modo così corposo: era la colazione il pasto principale della giornata. A pranzo si accontentavano spesso del pasto della mensa che non era molto sostanzioso o appetitoso.

Però, a guardare i Salvatore, si vedeva che erano persone che mangiavano bene: tutti abbastanza in carne, tranne i più giovani che dovevano avere un metabolismo che correva più veloce di Usain Bolt.

Si strinse nelle spalle. «Torneremo a casa con un paio di chili da smaltire.»

In fondo, era una vacanza. Non aveva senso pensare alla linea e non godersela.

«Lo dici perché non hai visto il secondo.» lui invece sì.

E si stava chiedendo dove lo avrebbe messo.

«Stefan.» lo richiamò la nonna. «Non è buona educazione bisbigliare a tavola. Se hai qualcosa da dire, siamo tutti orecchie.»

Cominciò così il primo pranzo di Elena a casa Salvatore. Non era stata accolta come un'ospite, ma come una di loro. Sentiva di conoscere quelle persone da sempre, tanto che non si rese nemmeno conto di aver spazzolato il piatto senza troppi problemi, mentre le facevano qualche domanda sulla sua vita, oppure commentavano qualche comportamento di Damon che ogni tanto sbuffava un «Grazie, eh.» o «Bella pubblicità.»

«Be'...» osservò Arianna, implacabile. «Se non è ancora scappata dopo averti conosciuto bene, dubito che qualunque cosa diremo noi servirà allo scopo.»

E aveva ragione.

Anzi, quella famiglia era così maledettamente normale che Elena li adorava tutti, perfino il nonno che dormiva sulla sedia e che era, a giudicare dalle foto attaccate sulle scale, davvero uguale a Stefan come aveva sottolineato Mary.

Sofia sembrava l'unica a non darle troppa confidenza, ma era una bambina, e soprattutto aveva una di quelle cotte dei piccoli per Damon, perciò dietro c'erano delle ragioni di gelosia.

«Devo anche chiederti di Caroline.» insisté la nonna, e Stefan tuffò la faccia tra le mani. «Mi dicono che siete amiche.»

«In realtà siamo come sorelle.» Elena non avrebbe potuto spiegare meglio il suo rapporto con la sua migliore amica. Non erano solo cresciute insieme, e anche se non si erano piaciute subito dall'inizio, ognuna aveva sempre potuto contare sull'altra senza eccezioni.

Quando c'era stato bisogno, sia lei che Caroline si erano fatte in quattro per aiutare l'altra, per coprirsi coi genitori, e per fare da spalla su cui piangere nei momenti di crisi.

Sperava che alla nonna avrebbe fatto piacere saperlo. Insomma, se lei le era piaciuta a prescindere solo perché era riuscita a restare al fianco di Damon per qualche mese, di certo avrebbe apprezzato Caroline.

Una cosa di cui fu molto, ma molto felice, fu che la gravidanza di Mary non venne fuori come argomento di conversazione. Sarà stato che c'erano altre cose di cui parlare, e non sembrava che ci fosse uno sforzo da parte di nessuno di voler cercare per forza altro su cui parlare, eppure Elena lo apprezzò lo stesso.

Riuscì quasi a dimenticarsene, seduta lì, ora sul divano, tra Arianna e Maria.

«Porto il nonno a dormire.» decise Damon, quando Antonio rischiò di battere la testa sul tavolino di vetro. «Prima che si debba portare in ospedale.»

Loro tre, invece, sarebbero rimaste a spettegolare.

«Non te la prendere, cara.» le disse Maria, mettendole una mano sul braccio. «Mio marito di solito è più ospitale, ma siamo abituati a mangiare prima, questa è l'ora del suo riposino.»

Lei scosse le spalle. «Non si preoccupi.» cercò di tranquillizzarla. «Anche mio nonno fa così.»

Ultimamente, poi. Forse, semplicemente, si annoiava parecchio. A me no che non fosse in giro per circolini con nonna Jocelyn.

«E dammi del tu.» aggiunse Maria, con un'occhiata che diceva "prova a non farlo".

Di nuovo, Elena si ritrovò ad annuire. «Sapete molto bene l'inglese.» osservò, per cambiare argomento.

Non sapeva di aver toccato un tasto abbastanza dolente, come tutte le cose parevano essere in quella famiglia.

Fu nonno Antonio a rispondere.

«Be'...» fece, con una smorfia. «Quando tuo figlio si trasferisce dall'altra parte del mondo sei un po' obbligato a impararlo.»

Maria sospirò, ma non commentò quell'uscita se non con uno sguardo minatorio mentre si allontanava su per le scale insieme al suo nipote più grande.

«Non ero nemmeno certa che avrebbe insegnato l'italiano ai suoi figli.» proseguì, invece. «Sai, testa dura... conosci il tipo. Damon gli somiglia più di quanto vorrei.»

«E piantala con questa storia.» sbuffò Arianna, irritata. «Damon non è Giuseppe.»

Sembrava che avesse sentito quel discorso anche troppe volte, anche se Elena sentiva più che altro la tentazione di sparire tra i cuscini del divano.

Non serviva superare un continente per trovare la stessa famiglia che aveva lasciato a Mystic Falls.

«Non penso che Giuseppe sia una cattiva persona.» preferì chiarire Elena, a quel punto. «Cioè, so per certo che ha fatto delle scelte sbagliate, ma penso che sia davvero pentito di aver perso Damon. Comunque, credo che stiano un po' recuperando il rapporto. La situazione difficile in cui si trova la loro famiglia li sta riavvicinando molto.»

Questo, almeno, prima che sparisse dalla circolazione. Il Damon che era tornato era troppo criptico perché chiunque potesse interpretarlo, figurarsi un padre che aveva così strenuamente rifiutato fino a qualche mese prima.

Poi, tutto poteva essere. Elena non se la sentiva più di scommettere su qualcosa che riguardasse lui.

«Non vuole parlare con noi.» sospirò Maria, sconfortata. «Ho provato, ma...»

La rifiutava, esattamente come Damon rifiutava sua madre.

«A volte i figli non crescono mai.» ancora, cerò di alleggerire un po' l'atmosfera. «Lo vedo da mio padre. È strano ma con mio nonno si comporta in modo molto diverso da come si comporta con noi. Immagino che resti sempre il bisogno di non deludere i propri genitori.»

Forse era questo che a volte separava padri, madri e figli: l'orgoglio, la necessità di provare di essere la versione migliore di se stessi e la paura di disattendere quelle stesse aspettative.

O la colpevolezza del non essere riusciti.

«Forse è per questo che non vi parla.» continuò. «Forse non vuole sentirsi rimproverato. Non è quello di cui ha bisogno adesso che si vede crollare il mondo addosso. Lui e Mary sono molto legati.»

Erano una coppia molto, molto innamorata. Certo, lo erano anche i suoi stessi genitori, ma Elena aveva sempre avuto la sensazione che tra Mary e Giuseppe ci fosse quel tipo di legame che non si spezza. I suoi genitori, al contrario, da Katherine erano stati spezzati eccome, doveva essere per questo che non sembravano lo stesso tipo di coppia.

La faccenda di Damon invece di dividerli li aveva uniti.

«Anche Damon è così.» fu il commento di Arianna, mentre masticava un salatino nonostante avessero appena finito di mangiare. «È talmente attaccato al suo orgoglio che preferisce tenersi le cose dentro piuttosto che condividerle e correre il rischio di essere giudicato.»

Per questo aveva tanta paura di quello che era successo mentre non c'era. Elena sapeva che uno dei giudizi che temeva di più, dopo quello di sua madre e in generale della sua famiglia era il suo.

Cosa poteva aver mai fatto tanto da temere che lei non avrebbe lasciato correre?

Era certa di non poter passare sopra solo a un tradimento, ma avevano già chiarito che non era una cosa del genere.

«Sono felice che mio nipote abbia trovato qualcuno come te.»

Fece appena in tempo a dire quelle parole che i passi di Damon risuonarono sulle scale dietro al divano.

«E sarà meglio cambiare argomento se non vogliamo che siano le nostre teste a girare sullo spiedo, stasera.» si affrettò a dire Arianna, con aria cospiratoria. Poi si schiarì la voce. «Ti ricordi, nonna, quando Damon si è arrampicato sulla palma dei vicini dei suoi, nella vecchia casa, durante la nostra vacanza lì, e ha fatto la cacca aggrappato al tronco?»

Dietro le loro spalle, uno sbuffo.

«E dai!» era Damon, naturalmente. «Sul serio stai raccontando quella storia?»

La nonna si tirò su, improvvisamente euforica. «Dovrei avere delle foto di quella gita!» lo ignorò completamente, ma sua cugina invece sghignazzava come se si aspettasse i cinque minuti migliori del secolo.

Elena gli lanciò un'occhiata a metà tra le scuse e il birichino.

«Siete senza vergogna.» sentenziò il ragazzo, senza pietà.

Arianna scosse le spalle. «Io non ho fatto la cacca attaccata a una palma.»

Elena fu costretta a mettersi una mano davanti alla bocca per nascondere il sorriso.

-

«Sono stanco di essere sfruttato per la brace.» si lamentò Damon con un ferro da brace tra le mani e un asciughino sulla spalla.

Elena era seduta su una sedia di vimini dietro di lui, nel cortile sul retro della casa. Era piastrellato da mattonelle bianche, e si respirava un odore misto di bruciato e piante. Ce ne erano un sacco, lì. Si vedeva che ai Salvatore piaceva stare in mezzo alla natura.

Damon aveva addosso una camicia nera tirata su quasi fino ai gomiti, e la sua aria corrucciata lo rendeva incredibilmente dolce.

«Ma smettila e vedi di accendere quel coso!» fu la spiccia replica di Maria, indaffarata a fare le porzioni di bistecca da un grosso pezzo di carne.

Non era una donna delicata, eppure aveva una dignità che Elena avrebbe faticato ad attribuire a una principessa.

Le faceva strano quando cambiavano lingua con la facilità con cui si respira: l'italiano era una lingua che suonava come una canzone. Affascinante ma estranea, un po' come Damon.

«Mi serve dell'acqua.» si lamentò lui, con uno sbuffo. «E se quella sfaticata di tua nipote mi porta la pompa della bici si fa prima.»

Intanto, ignorandolo, la nonna continuava a fare bistecche con la sua mannaia in miniatura. Arianna, invece, si era completamente defilata.

«Ma quanti siamo?» domandò la ragazzina, diretta al suo fidanzato.

Damon scosse le spalle. «Quelli di pranzo più i miei zii e Alessandro, il fidanzato di Ari.» come se non ci fosse stato nulla di strano. E forse per lui di strano non c'era niente per davvero.

Ma - le finora - quindici bistecche, quella pila di salsicce che il nonno stava liberando della pelle e quegli hamburger che sbucavano dalla carta della macelleria raccontavano una storia che le riempiva lo stomaco attraverso gli occhi.

«Ah... non hanno invitato tutto il vicinato...» commentò, con un po' di timore.

Che poi, a ben guardare, un vicinato non è che proprio l'avessero: la casa era abbastanza isolata nella campagna. I vicini più vicini che non fossero famiglia erano a tre chilometri.

«Non ci sperare.» lui ridacchiò. «Qui si mangia sodo.»

«Vedo.» Elena spostò col piede qualche pezzo di ghiaino tra le mattonelle, anche quello rigorosamente bianco. «Almeno mia madre non potrà più lamentarsi che sto sparendo.»

Non sapeva nemmeno bene perché l'aveva detto.

Se anche ci fosse stata una speranza di fare una conversazione normale, ormai era morta. Forse avrebbe semplicemente dovuto far pace col fatto che non avevano più niente da dirsi, che non c'era più niente da fare, che tutti quei segreti e quella voglia di nascondersi le cose avevano soffocato la loro storia.

«Sei dimagrita tanto per...» iniziò lui, ma non finì mai.

«In questo periodo non ho fame.» si affrettò a farlo lei. «Sarà che sta arrivando il diploma.»

Cosa di cui in realtà non le importava nulla, perché non era una delle sue attuali priorità. Sì, aveva studiato quelle settimane perché a non fare niente impazziva, ma la sua resa scolastica era scesa, testimone Alaric che continuava a farle la predica solo guardandola quando le riportava i compiti.

«Ancora due mesi e poi sarai impegnata a prepararti per il College.» tentò di sdrammatizzare Damon, smuovendo la carbonella sotto la griglia.

Non c'era ancora nessuna fiamma, solo una debole luce.

«Mmh.» mugolò lei, in tutta risposta. «Ora non voglio pensarci.»

Fece roteare nel bicchiere il suo analcolico, gentilmente offerto dalla piccola Sofia che stava, evidentemente, tentando di fraternizzare col nemico.

Le aveva solo rivolto un sorriso birichino prima di andare via, forse dovuto allo strano deposito sul fondo del bicchiere fatto di ghiaino e terriccio.

Dopotutto, era una Salvatore anche lei.

«Mi mette ansia immaginare che la mia vita cambierà.» era uno dei motivi per cui non voleva pensare al futuro, dopotutto.

«Le cose cambiano, Elena.» le ricordò lui, lapidario come ogni volta che le sbatteva in faccia quella verità che non voleva ascoltare. «A volte non puoi farci niente. Ma non è detto che debbano per forza cambiare in male o peggio.»

Questo la fece arrabbiare.

Dispensava perle di saggezza sul cambiamento che va accettato e lui era il primo a darsi alla fuga quando le cose non giravano per il verso che lui aveva deciso fosse quello giusto.

Trattenne un grido frustrato solo perché c'era tutta quella gente.

«Be', tu sei uno a cui piace cambiare.» decise di dire, un po' acre. «Ma ti assicuro che per le persone normali è un trauma.»

Damon si concesse una risata amara. «Non ti preoccupare, la frecciatina non ha fatto male.»

Elena si ritrovò a pensare, con un po' di stupore, che, in effetti, era proprio così che voleva che finisse.

E per una frazione di secondo si sentì perfida senza motivo, ma bastò per costringerla ad alzarsi e cambiare aria.

Quella vacanza doveva servire a rimettere le cose a posto, eppure sembrava che le stesse incasinando ancora di più senza che succedesse nulla. E lei si stupì di essere così attaccata a quelle scuse che non arrivavano mai, forse perché Damon, ogni volta che aveva davvero capito dove aveva sbagliato, aveva sempre finito per tornare con quelle.

Forse quello che la faceva davvero arrabbiare era il fatto che non fosse pentito di essersene andato. Era come se quello arrabbiato fosse lui, per il fatto che lei non potesse perdonargli quel viaggio di cui aveva avuto bisogno.

E magari era vero, come aveva pensato quella stessa mattina - e non era passata una vita come sembrava - era solo lei che stava facendo la bambina e che voleva sapere che aveva fatto, perché non si era curato di lei che era stata corrosa dal desiderio di sapere dove fosse, che stesse facendo, perché non gli importasse del fatto che soffriva.

Perché pensava che non se ne sarebbe mai andato così, lasciandola indietro.

Perché lei non lo conosceva, e quello era stato lo schiaffo più forte. Faceva più male di uno dato per davvero, e le aveva dimostrato che tutto ciò che le avevano detto su di lui non era altro che la verità.

Perché le aveva provato che poteva ferirla. Che poteva non prendersi cura di lei con una facilità dolorosa.

Fuggì dagli sguardi dei parenti e preferì nascondersi nel primo bagno che incontrò, al piano terra.

Non sapeva cosa fare, quindi si mise a sedere sul water chiuso, ad aspettare non sapeva nemmeno bene lei quale miracolo.

«Elena?»

Chissà quanto tempo dopo, una voce che conosceva fin troppo bene la chiamò oltre la porta.

«Sei qui?» continuò, bussando. «Stai bene?»

«No.» si limitò a replicare lei, a disagio.

«Mi fai entrare?»

Con un sospiro, Elena aprì uno spiraglio di porta, per trovare Stefan sulla soglia con il suo sorriso piccolo, quello che ti rivolge chi ti guarda sapendo che stai male e anche di non poter fare altro che offrirti la sua spalla su cui piangere come conforto.

«Ho visto Damon di cattivo umore e te sparita, quindi ho pensato che fosse successo qualcosa.» spiegò. «Ne vuoi parlare?»

La ragazza scosse la testa.

Non avrebbe saputo cosa dire, o almeno niente che già il suo migliore amico non sapesse.

«Sai, Ele... in genere sono sempre dalla tua parte al cento percento.» cominciò, con cautela. «Ma sapere dove è stato e cosa ha fatto può davvero metterti l'anima in pace? È così importante da sacrificare quello che avete?»

Ci aveva pensato già a lungo da sola a quella domanda. E per milioni e milioni di volte si era risposta che non le importava poi così tanto.

Poi...

«E cosa abbiamo, Stefan?» la realizzazione che non avevano niente era il vero problema. Il nocciolo della questione. «Cerco di stargli vicino e lui si lamenta che sono soffocante, poi sparisce per non dirmi che diamine ha fatto quelle settimane in cui non si è mai fatto sentire, nemmeno per farmi sapere che era vivo. Io lo so che ha passato un brutto momento, che non c'è niente di peggio dell'idea di perdere una madre o un padre, chi meglio di me? Ho passato settimane pregando che i miei sopravvivessero, costretta a guardarli da dietro a un vetro. Perciò, mi spiace, ma non lo giustifico.»

Proprio non poteva, questa volta non poteva.

«Non posso essere sempre io a capirlo.» perché tutte le volte che lo faceva, lui si sentiva autorizzato a calpestare ancora i suoi sentimenti, come se non importasse perché tanto l'avrebbe perdonato. «Non è l'unico al mondo che soffre, anche se lui si comporta come se lo fosse.»

Stefan rimase in silenzio, a guardarla come un cane ferito attraverso lo spiraglio di quella porta che aveva lasciato aperta.

«Non abbiamo niente. Niente.» ripeté, stavolta a voce alta, sconfortata. «Perché per lui le relazioni sono fatte di belle chiacchiere, ma niente progetti, non si può parlare del futuro perché non sa nemmeno cosa mangerà per cena, e poi non si può parlare di cose personali, perché sono cose sue, e se fai domande sei un'impicciona appiccicosa.»

Era arrabbiata, in effetti.

Parecchio.

«Vorrei essere Caroline.» ammise, mentre le lacrime le riempivano gli occhi. «Vorrei avere abbastanza coraggio e mettere fine a tutto questo.»

Ma lei non era Caroline, e quel coraggio non ce l'aveva. Perché sapeva che sarebbe morta dal dolore se avesse dovuto dirgli addio, sapeva che l'avrebbe rimpianto per sempre, che le bastava averlo a metà piuttosto che non averlo per niente.

Eppure sapeva anche che così non sarebbero andati da nessuna parte.

«Mi dispiace tanto, Elena.» Stefan spalancò la porta per abbracciarla. «Vedrai che si sistema tutto.»

Le rivolse un sorriso a metà tra le scuse e il mesto, e poi la lasciò sola con la sua perplessità. Triste, e sentendosi anche un po' abbandonata, Elena richiuse la porta del bagno e tornò a sedersi.

Forse si sentiva pure peggio di prima.

Ma Stefan non se l'era sentita di restare con tutta la rabbia che gli era montata dentro. Non c'era stato per Elena quando i suoi genitori erano rimasti in ospedale per qualche tempo. C'erano state Caroline e Liz che avevano accolto i fratelli Gilbert in casa loro.

Lei aveva ragione: nessuno di loro era Caroline, ma lui le poteva stare vicino lo stesso, a modo suo.

Uscì di nuovo in giardino.

«Ti posso parlare?» si diresse direttamente dal fratello e non ci girò intorno.

Damon sospirò: si aspettava quasi una cosa del genere, o forse sapeva già cosa stava per arrivare.

«Sono un po' impegnato.» si giustificò, girando distrattamente la carne sulla griglia.

Stefan, invece di andarsene, incrociò le braccia al petto e sollevò le sopracciglia. «Non mi sembra che la brace si faccia con la bocca.»

L'altro lo guardò. «Wow.» commentò, senza sentimento. «Di cosa si è lamentata Elena, stavolta?»

E il più giovane dei due era semplicemente incredulo. «Di niente.» perché stranamente Elena non lo faceva mai, e se lo faceva forse quello che diceva non era nemmeno la metà di quello che sentiva, e ascoltando lui pareva che non facesse altro. «Mi stavo solo chiedendo se è davvero quella la ragazza per cui mi hai picchiato qualche settimana fa.»

Ora, suo fratello si girò a guardarlo.

«Che vorresti dire?» era più guardingo il suo tono, ma Stefan era troppo sul piede di guerra per preoccuparsene. «Le avevi infilato la lingua in gola. Te lo sei meritato.»

Stefan decise di non lasciarsi intimidire dal suo modo di fare, non quella volta.

«Dico che se continui a fare lo stronzo, la lingua in gola gliela infilerà presto qualcun altro che non sei tu.» per usare i suoi stessi termini.

Damon sbuffò una risatina di scherno. «Oh, adesso il mio fratellino completamente inesperto in fatto di donne e alla sua prima fidanzatina vuole darmi consigli sulle relazioni.» si girò di nuovo verso la brace. «Il colmo, siamo al colmo.»

Era quello il suo classico atteggiamento per spingere la gente a desistere: deriderli, e il ragazzino si chiese come aveva fatto a cascarci ogni singola volta.

«Be'...» fece, nel suo stesso tono. «...non è mia la ragazza che piange chiusa in un bagno.»

A quel punto, suo fratello restò in silenzio, permettendogli di andare a segno:

«Direi uno a zero per me.»

Da parte del più grande, ora, un sospiro rassegnato. «Ha fatto tutto da sola, che diamine ha da piangere?»

«Forse piange perché si sente rifiutata e respinta.» offrì Stefan, con semplicità.

Damon gli rifilò un'occhiata storta. «Eh?» lo chiese come se fosse improvvisamente impazzito.

Gli altri erano ancora tutti impegnati con i preparativi della cena, ognuno aveva il suo compito e la privacy di quella conversazione era garantita dal brutto carattere di Damon che non aveva piacere ad avere qualcuno vicino quando doveva cuocere qualcosa.

«Anche io mi sono sentito respinto, da te.» lo informò il ragazzino, e senza nessuna vergogna. «Ma rifiutato, no. E fa schifo lo stesso, sai? Quindi posso solo immaginare cosa stia provando lei.»

«Elena pensa solo che sia opportuno che io le dica tutto.» confessò allora Damon, ma senza risparmiarsi la sua ironia tanto cara: «Anche quante volte vado al cesso.»

Di nuovo, Stefan non si lasciò incantare: «Lei vuole solo aiutarti.»

«Lei vuole cambiarmi.» controbatté l'altro, calcando sull'ultima parola come se fosse stata l'insulto più grave che potesse ricevere.

«Spingerti a parlare delle cose che ti fanno stare male per provare a farti stare meglio è cercare di cambiarti?» fu la domanda di suo fratello, scettico. «Vuole solo che tu sia felice.»

Non gli diede il tempo di ribattere con un'altra delle sue stupide battute o delle sue erronee convinzioni sulle relazioni e, molto peggio, su Elena. Avrebbe dovuto conoscerla, ormai, ma Damon aveva la sua testa così piena di preconcetti sulle persone, che forse una come lei nemmeno la meritava.

«E se questo è cercare di cambiarti, allora è evidente che non sai cosa vuol dire amare una persona.» ciò detto, gli diede le spalle e decise di impegnarsi in un'attività più proficua che far entrare qualcosa di utile nella testa di quello zuccone.

Damon rimase lì, mentre le salsicce sfrigolavano sulla brace, ora solo in compagnia del silenzio.

-

A cena, sembrava che tutto fosse normale, se non per il fatto che Damon era stranamente scuro in volto e molto silenzioso. Era Stefan che intratteneva gli altri raccontando un paio di eventi divertenti sulla sua famiglia, in particolare su suo padre.

Elena nel frattempo era un po' stata rapita da Arianna che ogni tanto si interrompeva solo per fare un occhiolino o lanciare un bacio al suo ragazzo, seduto di fronte a lei, proprio accanto al cugino, che di tanto in tanto sembrava voler sondare il cervello della più giovane con quei suoi insistenti occhi blu.

Aveva telefonato a Caroline, in bagno, ma lei sembrava già scocciata molto prima che finisse per risponderle male, perciò Elena non se l'era presa più di tanto, anche se ci era rimasta male sul momento per quel «Non ne posso più di farti sempre i soliti discorsi su quel cretino, se non ne puoi più mollalo e basta, sai quanti meglio ne trovi!», anche se poi le aveva chiesto scusa e le aveva assicurato che non era per colpa sua che si era arrabbiata.

Eppure, una volta che dici una cosa non la puoi riavvolgere sulla lingua come un nastro.

Così, Elena si stava scoprendo con non pochi sensi di colpa a pensare che amare Damon fosse molto simile a una maledizione: non ne puoi fare a meno, ma fa male da morire.

«Vado un attimo al bagno.» annunciò, quindi.

Non poteva negare a se stessa di sentirsi un po' fuori posto, in tutto quello, non solo a costringere tutti a parlare una lingua che non era la loro, ma anche a farsi guardare come se fosse stata l'ultima speranza per l'umanità.

Per qualche ragione Damon aveva insistito a portarla là, nonostante tutti i problemi che avevano, e questo avrebbe dovuto dirle qualcosa, ma di sperare che la situazione avrebbe preso la piega che desiderava non le andava più.

Aveva già adocchiato qualche ora prima la sedia di vimini vicino all'entrata, sulla veranda, sul fronte della casa. C'era un'arietta fresca, quella sera, Elena si strofinò le braccia per ritrovare un po' di calore.

E osservò.

Osservò la tenuta dei Salvatore, anche quella sperduta in mezzo a un bosco, con una strada sterrata che portava fuori dalla proprietà, e divideva il giardino ben curato.

Il cuscino sulla sedia era molto comodo, doveva ammetterlo, sembrava che fosse il punto di osservazione di qualcuno, in effetti.

«Hai usurpato la sedia del nonno.» spiegò una voce, nemmeno quella domanda l'avesse fatta ad alta voce.

Era Arianna. Sorrideva, gentile.

«Oh.» commentò Elena, dispiaciuta. Fece per alzarsi, ma un gesto della mano dell'altra, che si accomodò sugli scalini lì accanto, la fece desistere. «Mi spiace.»

«Ma figurati, sei fuggita appena in tempo per evitarti il nonno che torchia Stefan e Damon per convincere uno dei due a ereditare la segheria.» ridacchiò. «Ci prova con tutti i nipoti. Per ora ha avuto successo solo con Sofia, ma lei ha sei anni, immagino che tra dieci cambierà idea.»

«Sarebbe un peccato lasciare il business di famiglia.» si azzardò a dire lei, pensierosa.

Era un pensiero logico, questo era innegabile, eppure anche Damon, in qualche modo, stava sacrificando una parte di sé per lo stesso motivo, per dare un futuro allo studio che suo padre aveva aperto con sacrifici e fatiche.

Arianna, infatti, la guardò sorniona. «Sarebbe un peccato anche accantonare le proprie aspirazioni in favore di continuare una tradizione, non trovi?»

Ci fu un momento di silenzio, nel quale Elena avrebbe voluto trovare una risposta sensata che fosse una soluzione per entrambe le prospettive, ma si rassegnò a non parlare: non si poteva proprio fare, a meno che le aspirazioni personali non coincidessero casualmente con l'ereditare l'azienda di famiglia.

Pareva proprio che la cugina di Damon avesse ragione.

«Che succede tra te e Dam?» continuò, a bruciapelo.

Quasi la ragazza sobbalzò, a quella domanda. «Be'...» provò, ma di nuovo si rese conto di non sapere cosa dire. «Stiamo... be', non è un periodo facile per lui, come ti ho detto prima. La gravidanza di sua madre, e tutto il resto... è un po' che non so più come prenderlo.»

Quel particolare giorno le cose sembravano essere andate abbastanza male, e dopo la telefonata di Caroline, non sapeva proprio più cosa pensare.

Arianna sospirò sconsolata.

«Posso essere sincera con te?» era una domanda retorica, ma Elena si ritrovò comunque ad annuire. «Non credevo che saresti rimasta tanto a lungo, quando mi ha parlato di te.»

Lei quasi si risentì, ma da un lato poteva capire il motivo di tanta sfiducia: nessuna aveva resistito tanto al fianco di Damon, e qualcosa le diceva che non era sempre stato lui a volere così.

«Ho pensato... è troppo giovane, sta cercando qualcosa che mio cugino non può darle, ma a lui non l'ho detto.» proseguì, senza aspettare una risposta. «Non l'avevo mai sentito parlare di una ragazza come fa per te. Poi, dopo qualche mese ho cominciato a credere che tu avessi qualcosa di davvero speciale per attirarlo così - e anche per non averlo mandato al diavolo -, e davvero non vedevo l'ora di incontrarti per scoprire cosa fosse.»

Chissà, si chiese Elena, se era rimasta delusa nello scoprire che non c'era molto di più che una ragazzina di diciott'anni spaurita, che non aveva idea di come fosse il mondo fuori dalla sua cittadina, e che ne aveva avuto un assaggio solo in quei pochi giorni.

E sembrava tutto così surreale che era sicura che tutto quello che aveva vissuto là sarebbe tornato a casa per unirsi al bagaglio dei ricordi ma nient'altro. Una parte di lei voleva tornare a casa il prima possibile, tornare alla sua quotidianità per non lasciarla più: troppo traffico, troppi treni, troppi viaggi, troppo tutto.

Troppa confusione.

«Oggi ti ho finalmente vista di persona e posso dire... be', diciamo che credo di averlo capito.»

Lei se ne stupì: avrebbe tanto voluto saperlo anche lei. «Potresti condividere questa consapevolezza?» domandò, e suonò terribilmente disperata. «Perché io credo di non averci capito nulla finora.»

«Se non capire nulla ti ha portato fin qui.» rise l'altra, e stavolta sulle sue labbra c'era un sorriso carico di affetto. «Allora dovresti continuare.»

Ma Elena non ci stava a fare quel gioco. «Ti prego, dimmelo.» e non era una richiesta disperata, ma esausta. «Sto diventando matta nelle ultime settimane. A volte penso davvero che sarebbe meglio per tutti e due se lo mandassi al diavolo.»

Così, la sua unica compagnia prese un bel respiro. «A Damon è sempre mancato qualcuno che lo amasse per com'è davvero.» raccontò. «Sono sicura che sai la storia della sua famiglia, e so che Katherine era tua sorella, quindi non ho niente da dirti che tu già non sappia. Non si è mai fidato di nessuno, lo sai, a far vedere tante parti di sé, è sempre stato abituato a mostrare alle persone quelle cose che lui riteneva potessero accettare. Non ama sentirsi rifiutato, ma al tempo stesso desidera trovare qualcuno che lo ami senza fare domande.»

E questo era vero, lei lo sapeva: quello di cui non era certa - o non lo era più - era che Damon si fosse mostrato per ciò che era davvero sotto tutti gli aspetti, infatti c'erano ancora tante, forse troppe, cose che non era disposto a mettere sul tavolo.

C'era tanta sofferenza in quel ragazzo, aveva iniziato a intuirla da subito, e l'aveva imputata a Katherine e al rapporto burrascoso con suo padre, ma poteva essere solo quello? Sperava che la faccenda di Katherine potessero lasciarsela alle spalle, e sembrava che le cose con suo padre stessero migliorando.

Non capiva proprio che gli era preso alla notizia dell'arrivo di una sorellina.

«Non penso di averlo mai fatto sentire così.»

E, se per caso aveva dato quell'impressione, non era mai stato di proposito. Anzi, aveva sempre cercato di stargli vicino in ogni modo possibile.

«Credo che sia per questo che, spesso, ti respinge.» osservò Arianna, dolcemente. «Non sa come comportarsi, capisci? Sei la prima che abbia notato che ci fosse qualcosa di più del sesso, per lui. Devi solo... continuare. Sii te stessa, okay? Sono sicura che ti ha riempito di palle, su cose che nemmeno pensa, lui ha sempre creduto che, seppellendo il dolore, facendo finta che non esista, sparirà. Ma se tu lo spingi a tirarlo fuori e affrontarlo, si mette sulla difensiva, ha sempre fatto così.»

Le mise una mano sulla spalla, partecipativa.

«Non mollare.» la pregò, con sincerità. «Credo che durante questi mesi avrà davvero bisogno di te.»

Ed Elena avrebbe potuto giurare che gli sarebbe rimasta accanto anche se avesse dovuto essere lui a mandarla al diavolo, perché l'unica cosa che voleva era che lui fosse felice, che stesse bene. Avrebbe fatto di tutto per lui.

Anche se dieci secondi prima avrebbe potuto spergiurare il contrario. Perché non ci capiva più niente, perché una parte di lei lo amava come solo un folle può amare, l'altra stava iniziando ad odiarlo per il suo bisogno di autodistruggersi.

«Farò del mio meglio.» promise, allora, annuendo.

A quel punto, la porta cigolò ancora sui cardini, e stavolta era proprio l'oggetto delle loro chiacchiere a stare sulla soglia, con aria interrogativa.

«Interrompo qualcosa?» chiese, curioso e stranito.

Arianna si alzò, nemmeno il tempo di lasciarlo finire di parlare. «Voi maschi interrompete sempre qualcosa.» fu la sua battuta. «Vi lascio soli, piccioncini.»

Si beccò qualcosa che alle orecchie di Elena suonò tanto come un'imprecazione, ma era in italiano e non poté dire di esserne sicura, anche se la smorfia di Damon era abbastanza eloquente, così come la risata di sua cugina.

Il ragazzo sbuffò.

«A volte, non la sopporto.»

La sua fidanzata non gli credeva nemmeno un po'. «Ma piantala.» gli disse, infatti, divertita. «E stavamo solo parlando.»

La gente lo fa, avrebbe voluto aggiungere, ma si disse che era meglio aspettare. Aspettare che fosse lui quello che faceva il primo passo, per una volta, che avesse trovato, finalmente, il suo tempo. Non doveva mollare, il discorso di Arianna era uno di quei segnali che aspettava dall'Universo per giustificare la sua cocciutaggine, e adesso non aveva più scuse.

Lui la guardò storto. «Di me, immagino.»

Immaginava bene, e quando mai.

Elena però non rispose, mise il naso all'insù e si mise a osservare le stelle, che quella sera sembravano straordinariamente luminose. Oppure era solo il fatto che erano in mezzo alla natura, e c'era poca luce artificiale, a meno di quella della casa della famiglia di Damon.

«Questo posto è bellissimo.» si trovò a dire lei, senza nemmeno pensarci.

Il ragazzo si appoggiò con la testa a un bracciolo della sedia, e non stava guardando il cielo. Sembrava pensieroso, e se la sua interlocutrice avesse abbassato gli occhi su di lui, l'avrebbe visto con la stessa espressione corrucciata che gli vedeva in faccia da quando aveva saputo di sua madre.

«Mi dispiace di aver rovinato tutto, con te.» ammise, a voce talmente bassa che lei pensò di esserselo immaginato. «Eri l'unica cosa che avesse un senso in tutto questo casino.»

Per tranquillizzarlo, avrebbe solo voluto dirgli che poteva ancora avere senso, se soltanto fosse stato lui a volerlo, ma tacque, per timore che se l'avesse interrotto in quella che poteva essere una confessione, non gliel'avrebbe più fatta.

Damon, però, non disse più nulla.

Forse quello era il suo modo di chiedere finalmente scusa.

«Succede a tutti di litigare.» decise di dire, quindi, lei. «Ma è quello, il punto. Per litigare serva che qualcosa venga detta, e se tu non mi dici niente, io non posso fare niente, nemmeno litigare. Mi sento come se fossi rinchiusa da una parte e non avessi il potere di muovere un passo né in una direzione né in un'altra. Non posso fare niente

C'era un così profondo senso di impotenza, in quelle parole, che Damon ne fu ferito.

«Che differenza avrebbe fatto se te l'avessi detto?» non c'era astio in quella domanda, solo rassegnazione.

E lei si chiese come si faceva a non capire una cosa così semplice da essere elementare. Damon poteva pure essere un genio in tutto, ma in quanto a relazioni umane era un incapace.

«Che avrei capito che sono importante per te.» spiegò, quindi. «E non un bagaglio da lasciare indietro. Non sapevo nemmeno se saresti tornato... se l'ultimo ricordo di te a cui avrei dovuto aggrapparmi sarebbe davvero stato quello in cui ti davo dello stronzo. Se era finita per davvero senza un perché.»

E se avrebbe dovuto rimpiangere ogni singola parola sbagliata per il resto dei suoi giorni, e se fosse stata destinata a chiedersi per sempre se non fosse stata colpa sua.

Ma non era colpa sua.

«Tu sei importante, per me. Lo sai.» le disse, invece.

Elena lo guardò. «Lo so?»

Era lei la prima a non esserne sicura, e se stava cercando certezze, non ne avrebbe trovate.

«Elena, non c'è nessuno al mondo che...» iniziò, frustrato, passandosi una mano tra i capelli. «...che capisca di me tutto quello che capisci tu. Nemmeno Ric, nemmeno mia madre, nemmeno Stefan. Non credevo che avrei davvero trovato qualcuno che fosse così... parte di me

La ragazza rimase in silenzio e immobile, perché quel discorso l'aveva sentito troppe volte, e anche con questo non poteva fare altro che tirare su le sue speranze.

Anche se il modus operandi era sempre quello: Damon che faceva casino e poi tornava con una confessione strappacuore che lei accettava e basta.

«Io ti amo.» proseguì lui. «E non ho mai amato nessun'altra nella mia vita.»

Credergli le sarebbe piaciuto tanto, davvero tanto. Ma ne avevano passate troppe insieme perché potesse farlo.

«Non dire così.» in fondo, era il motivo per cui si erano conosciuti. «Lo sai che non è vero.»

«La mia cotta per Katherine non era che l'ossessione di un adolescente.» parve leggerle nel pensiero, come sempre. «E per il resto, non mi sono fatto avvicinare abbastanza. Sei solo tu, Elena, e prima o poi dovrai accettare questa verità, anche se mi comporto da testa di cazzo, anche se sparisco per settimane. Torno sempre da te, non è una cosa che posso combattere.»

Quella per sua sorella era stata un'ossessione che aveva finito per condizionargli la vita. E sì, non poteva accettare quella verità perché era troppo pesante, per farlo, una responsabilità, era come dirle che solo lei poteva ferirlo tanto a fondo da fargli male per davvero.

Ma era vero anche il contrario, quindi perché lui si avvaleva del diritto di farlo?

«Anche per me ci sei solo tu.» rispose, perciò. «Quindi sai cosa vuol dire. Non farmi male. Non farmi più male. O, se devi farmene, parlami, non sparire. Preferisco che tu sia chiaro, piuttosto che rimanere a logorarmi e chiedermi cosa è andato storto.»

Damon si inginocchiò di fronte alla poltrona del nonno, tra le sue gambe. Mise le mani sulle sue ginocchia per sorreggersi.

«Se non ti ho parlato, è stato proprio per non ferirti.»

«Questa è la scusa dei codardi.» Elena non mostrò pietà. «Io ho sofferto lo stesso, solo che tu eri troppo lontano per vederlo e questo, forse, ti ha messo a posto la coscienza o ha messo a tacere i tuoi sensi di colpa dicendoti che era la cosa migliore per me. Ma io sono davvero arrabbiata...»

Ma non stava gridando, aveva solo tanta voglia di piangere, anche se avrebbe potuto scommettere, quando era seduta nel bagno, di non avere più lacrime da versare per lui. Ne aveva piante così tante quando non c'era stato, ma sembrava che quel serbatoio fosse inesauribile.

«Lo so.» fece lui, stanco. «Sto cercando di chiederti scusa.»

Perché quello che aveva detto Stefan aveva fatto centro, e sentirsi dire che aveva fatto sentire Elena rifiutata era stato troppo. Lui aveva passato la vita a sentirsi così, e lei era l'ultima persona che doveva sperimentarlo, specie a causa sua.

«Mi spiace non poter fare di più.» aggiunse. «Ci sono cose che non posso mettere a posto, ma a volte ho bisogno di andare via per riflettere perché quando non lo faccio finisco per dire cose che non penso.»

Come quando le aveva detto che voleva una pausa, un po' d'aria, e se n'era pentito anche mentre lo diceva. E lo sapeva che Elena non voleva cambiarlo, ancora prima che glielo dicesse Stefan, ma gli faceva paura il modo in cui l'amava, perché anche se non gli chiedeva niente, era lui che si sentiva in dovere di essere la versione migliore di se stesso, per lei.

E questo lo confondeva. Ci aveva messo anni a diventare qualcuno di cui avrebbe apprezzato la compagnia. Non sapeva come essere migliore di così.

«Posso accettarle solo se mi prometti che non sparirai di nuovo senza una spiegazione.» fece lei, e suonò definitiva. «Non intendo più farmi del male in quel modo. Non puoi chiedermelo perché non è giusto.»

Forse perfino lei aveva un limite, su quante scuse potesse accettare, su quante volte era disposta a vedere quel copione ripetersi sotto ai suoi occhi.

«Credo che ci saranno altri milioni di volte in cui penserò che la scelta migliore sarà prendere - o lasciare tutto - e andarmene.» replicò Damon, senza dare una risposta. «Ma ho bisogno di sapere che non sarai tu a mollare.»

Sapeva che non poteva promettere niente a mente fredda, che con la testa riscaldata da qualche problema non avrebbe mandato tutto a monte.

«Il mio modo di soffrire è...» continuò, incerto. «...non convenzionale. Sono un tipo che tende a fare le cose sbagliate al momento sbagliato e non voglio trascinarti con me in queste cose. C'è una parte di me da cui sentirò sempre il bisogno di proteggerti.»

E, di riflesso, di proteggere se stesso.

«Dam...» Elena era a corto di parole.

«Tu sei perfetta.» le disse, accarezzandole i capelli. «Esattamente così, come sei ora. Non ti cambierei nemmeno la cosa più stupida che riesci a immaginare. Mi dispiace per quello che ho detto, non lo pensavo davvero.»

Lei parve riscuotersi da quel senso di commozione che le aveva strozzato il fiato in gola. Si scostò.

«Hai letto il mio diario.» suonò come un'accusa.

Damon non sembrò affatto prendersela: «No, ma ho parlato con Stefan.» non avrebbe avuto senso mentire. «A volte ho la sensazione che sia la stessa cosa.»

Si somigliavano tanto, di carattere, il suo fratellino e la sua ragazza. Sembravano docili, a un primo sguardo, remissivi, quasi. E fino a un certo punto lo erano davvero, prima di tirare fuori gli artigli che, una volta sguainati, sapevano perfettamente dove mirare.

L'idea che aveva prospettato Stefan di perdere Elena, e stavolta farlo sul serio, gli aveva fatto mangiare il fegato.

«Lo pensi davvero...?» chiese lei, piano. «Tutto quello che hai detto... lo pensi davvero, o l'hai detto solo perché Stefan ti ha detto che era quello che avevo bisogno di sentirmi dire?»

«Confermo ogni parola.» era molto dolce, il suo tono. «E tu? Puoi promettermi che resterai quando manderò un'altra volta tutto al diavolo?»

E come faceva, adesso, a non credere? Guardando quegli occhi e vedendoci solo quell'impotenza che solo la verità lascia? Come poteva mantenere ancora le difese che si era preoccupata di erigere durante quelle settimane di assenza, per non essere ferita più di quanto non fosse già stata?

Quello era di nuovo e ancora Damon, senza più niente: niente maschere, niente armature. E allora che senso aveva continuare a fare finta che non volesse stringerlo a sé con tutta la forza di cui era capace? Tornare a sperare che questa era l'ultima volta che le faceva male?

Gli gettò le braccia al collo e lo abbracciò, forte. Piangendo. Lui le accarezzava i capelli e bisbigliava al suo orecchio cose che lei non riusciva davvero a sentire, perché sentiva tutto il resto, era come se le emozioni fossero tornate tutte insieme, tutte quelle che non avevano a che fare con l'irritazione, la disperazione e la frustrazione.

Sapeva anche troppo bene che quella sera era preziosa: Damon si apriva poco spesso, e quando lo faceva, lasciava andare tutto. Non avrebbe avuto molte occasioni di vederlo così, senza la sua ironia a proteggerlo.

Dopo, Elena si allontanò: «Te lo prometto.» disse. «Te lo prometto. Ma ora devo sapere cos'è successo.»

Era il momento.

Non si poteva più rimandare.

«Sono stato con Enzo...» e questo già lo sapeva. «...per un paio di giorni.»

Quindi le aveva anche mentito. Elena si limitò a mugolare un incoraggiamento ad andare avanti, ma si sentiva un po' presa in giro.

«Poi sono andato a cercare lavoro.» e questo la lasciò definitivamente priva di certezze.

Sapeva che a Damon il lavoro di suo padre non piaceva, che l'aveva scelto perché lo studio era avviato e perché voleva che Stefan si sentisse libero di intraprendere qualunque carriera avesse desiderato, perché almeno uno dei due riuscisse a non essere schiavo dei desideri dei loro genitori.

Ma addirittura... «Lavoro?!» domandò, esterrefatta, per conferma.

Damon annuì.

«Sì, me ne sono andato perché non volevo tornare.» confessò, sincero. «Volevo solo... guardare avanti.»

Elena ingoiò il rospo perché gli aveva chiesto sincerità e lo sapeva che ora le stava rivelando tutto. «E cosa ti ha fatto tornare indietro?»

Se lo immaginava, naturalmente. Anche per ciò che le aveva già confessato, ma aveva tanto bisogno di sentirlo direttamente da lui.

«Te l'ho detto.» le fece notare, con un sorriso birichino prima di tornare serio: «Non riesco a smettere di pensare a te, e qualunque altra cosa mi sembra inutile se non posso raccontartela a un certo punto della giornata. E questo mi spaventa, Elena. Sono abituato ad appartenere solo a me stesso. Non è stata mia intenzione respingerti. Cercavo solo di riappropriami di qualcosa di cui mi sentivo derubato e te ne ho fatto una colpa.»

Ora che iniziava a capire il suo comportamento, sebbene lo avesse perdonato sulla soglia, quando era comparso, Elena non poteva più essere arrabbiata. Forse ne avrebbe avuto il diritto, ma non era in lei.

Ma c'era ancora una cosa.

«Adesso vuoi dirmi perché?» magari avrebbe capito a che si riferiva, o magari no.

Ma era Damon, il ragazzo per cui era un "libro aperto" per sua stessa ammissione.

«Perché non ce l'ho avuta, una madre, Elena.» e, naturalmente, lui non aveva avuto bisogno di spiegazioni. «Lei mi ha lasciato andare. So che è stata gran parte responsabilità di mio padre, ma lei ha scelto lui, e non me. Non ha combattuto per me.»

Non l'aveva mai guardata sotto questo punto di vista, perché lui non aveva mai lasciato ad intendere che ci fosse del risentimento nei confronti di sua madre, anche se, a questo punto, doveva essere dovuto al fatto che una donna come Mary non si può odiare, specie se è tua madre.

La riempì comunque di tristezza.

«E ora rischia di morire per un figlio che ha visto in eco.» si strinse nelle spalle, ancora senza capire. «Sono arrabbiato con lei perché non mi ha scelto nemmeno stavolta.»

Elena gli accarezzò il viso, e le sembrò l'essere umano più solo sulla faccia della Terra. Poteva essere circondato da migliaia di persone, di affetti e persone che riusciva a chiamare famiglia, ma Damon era cresciuto da solo e nessuno poteva risanare quella ferita.

Nemmeno lei.

«Io ti sceglierò sempre.» ma avrebbe fatto del suo meglio perché non lo fosse più.

E sì, lui era senza dubbio un egoista, ma in qualche misura ne aveva tutto il diritto. Anche se manifestava il dissenso per una scelta di sua madre, aveva il diritto di non condividerla, e di sentirsi tradito per essa.

«Va bene, Dam.» gli disse, quindi. «Va bene stare male, non devi essere felice per forza.»

Era per questo che lei era lì.

Quindi si sporse per baciarlo, perché era stata una giornata di merda e ne avevano bisogno entrambi. E l'unica cosa che aveva voglia di fare era stringerlo fino a soffocarlo col suo affetto, farlo sentire così pieno da averne abbastanza.

E dopo ricominciare daccapo.

«Elena.» la richiamò, nello spazio che gli aveva lasciato per prendere aria. «Rischi di farmi passare il momento romantico e trasformarlo in qualcosa che coinvolge molte meno chiacchiere.»

«Be'...» replicò lei, quasi senza fiato. «...io sapevo che è così che si fa pace, alla fine.»

Damon sorrise, del suo sorriso a metà. «Così però mi fai venire voglia di litigare.» ma non le diede occasione di replicare, perché le tappò la bocca con un altro bacio.

Si scordarono della cena, dei parenti e delle salsicce sulla brace, del giardino dall'altra parte della casa da cui arrivava un sentore di brindisi e risate. Per una volta, esistevano solo loro due, e il bisogno che avevano di stare insieme, di nuovo, senza problemi, senza pensieri.

Salirono le scale mano nella mano, in silenzio, solo colmi di aspettativa, e forse anche un po' di speranze.

Il piano di sopra era buio, ma Damon la stanza la trovò lo stesso. Il corpo di lei lo conosceva a memoria, ma non si sarebbe mai stancato di ripercorrerlo con le dita e con le labbra, perché di Elena ce n'era solo una, e lui sentiva di poter impazzire.

Si tuffarono nel letto morbido senza staccarsi. Era tutto molto veloce e frenetico, ma era passato così tanto tempo dall'ultima volta che non potevano essere che gesti urgenti.

Ma stavolta era tutto giusto, non come la sera prima. Anzi, stavolta non c'era niente di più giusto. Elena si ritrovò a pensarlo mentre aveva le sue mani dovunque, e finalmente si ritrovavano. Quasi le sembrò che il suo cuore potesse volare.

Gli bisbigliò che lo amava, perché parlare a voce alta sembrava inopportuno. E Damon sorrise contro la pelle del suo collo.

Elena lo avrebbe amato sempre, nonostante tutte le sue cazzate.

Ci siamo.

Ce l'ho fatta a finire questo cap. I problemi veri sono un po' iniziati, vedremo poi come si evolverà la situazione e se Elena e Damon riusciranno a superare tutto quello che si prospetta sulla loro strada.

Ci vediamo al prossimo capitolo, e spero che non vi farò aspettare così tanto :3

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