Hydrus

By RebyBnn

77.8K 5.2K 2.2K

Sono passate delle decadi da quando i dragonieri sono caduti, lasciando la regione di Hydrus nelle mani di Ev... More

· Premessa ·
· Personaggi ·
· Mappe ·
Prologo
Prima parte
I: Pioggia
II: Come neve
III: Principio di tempesta
IV: Il consiglio
V: Rose nere
VI: Anime nobili
VII: Il volere degli dèi
VIII: Idee pericolose
IX: Tentazione
X: Colloquio notturno
XI: Conseguenze
XII: Arrivi
XIII: La cerimonia
XIV: La scelta
XV: Libertà
XVI: Tradimento
XVII: In cammino
XVIII: Spicchi di cielo
XIX: Rivelazioni
XX: A Nord
XXI: A Sud
XXII: L'indomabile
XXIII: Pericoli
XXIV: Fumi di ricordi
XXV: Vendetta
XXVI: Occhio azzurro
Seconda parte
XXVII: Due anni dopo
XXVIII: Lacrime di rabbia
XXIX: Fedeltà
XXX: Il maledetto degli dèi
XXXI: Le isole
XXXII: Dar inizio alle danze
XXXIII: Cospirazione
XXXIV: Partita a carte
XXXV: Non fidarsi
XXXVI: I due alleati
XXXVII: Fuggire
XXXVIII: Mantenere la calma
XL: Premonizioni
XLI: Sogni infranti
XLII: Soffioni
XLIII: Foglie di tasso
XLIV: Piano d'attacco
XLV: Addii
XVLI: A cuore aperto
XLVII: Cambiare pelle
XLVIII: Purificazione
XLIX: Il tempo dell'attesa
L: Feluss
LI: Antichi sospetti
LII: Follia
XLIII: La piazza del mercato
LIV: Un'ultima speranza
LV: Oscurità
Epilogo
· Postfazione, ringraziamenti e quel che resta ·
Grafiche e fanart
· Angolo avvisi ·

XXXIX: L'assalto

812 77 20
By RebyBnn

Havnen.

Le mura dal colore simile alla sabbia, le guglie dei palazzi più alti a svettare sul cielo terso, tagliandolo col loro biancore, e il mare nascosto dalla rada vegetazione di alberi da sughero e pini marittimi, di cui il rumore delle onde definiva una promessa di frescura e pace difficile a resistersi. Proprio lì, tra la sterpaglia e la calura, si erano ammassati i soldati, pari a una marea nera sulla terra arida e secca, assetata quanto loro.

Se Taron aveva sopportato il caldo umido del Laeiros pensando con una certa nostalgia ai giorni in cui viveva a Myrer, l'afa torrida in cui si trovava immerso gli stringeva la gola con prepotenza, portandolo a imprecare a bassa voce contro la terra maledetta su cui sorgeva la città. Come potesse essere stata costruita in un tale luogo e rimanere ricca e florida quanto la capitale sfuggiva alla sua comprensione, così come fosse possibile che continuasse a resistere, nonostante gli attacchi a cui era sottoposta da settimane.

"Fa un caldo maledetto" borbottò Litthard, avvicinandosi a lui. "Capisco solo ora perché Anees e Iliy volessero finirla da tempo."

Taron si voltò verso il secondo, che nel frattempo si stava tergendo il sudore colato sul viso arrossato. "Nel bene o nel male, stanotte sarà tutto finito" disse, osservando di nuovo le mura della città, composte da mattoni sconnessi che si arrampicavano gli uni sugli altri.

"Non mi piace." Litthard si infilò la pipa tra le labbra e guardò torvo l'ostacolo che ancora si parava davanti a loro. "Questo luogo, la città... non mi piace affatto."

Taron ignorò quel commento infausto, concentrato sulle catapulte e le baliste di Anees che, nelle settimane precedenti, avevano colpito giorno per giorno il perimetro della città non collegato al mare. Iliy, invece, si era occupato della conquista del porto, grande crocevia e perfetta via di fuga, considerata la propaggine di case e baracche che lo connettevano alla città. A nulla erano valsi gli ambasciatori mandati al Governatore, né le preghiere silenziose di evitare inutili spargimenti di sangue: Olaf non era uomo da cedere, soprattutto se messo in un angolo, tanto che aveva rifiutato e fatto serrare le porte, riempire i fossati e avvelenare i pozzi. Taron, oltretutto, era certo che avesse preparato i suoi uomini a combattere fino alle fine, come animali pronti a tutto pur di sopravvivere.

"Me lo sarei dovuto aspettare..." mormorò, socchiudendo gli occhi.

"Cosa?"

Il generale sospirò, mentre i ricordi si depositavano nella mente con la stessa placida calma dello scrosciare delle onde. "Mio padre era molto legato al Governatore di Havnen. Quando ancora vivevo a Myrer l'ha invitato più di una volta a trascorrere lunghi periodi alla nostra piccola corte."

Riusciva a vedere davanti a sé il faccione rubizzo dell'uomo, dalla pelle sempre scottata che solo gli uomini del Nord trapiantati in una terra simile potevano assumere. Quando lo prendeva sulle ginocchia, tra i rimproveri sottili di Ethel e le risate di Elias, gli suggeriva di chiamarlo solo Olaf e gli raccontava alcune delle sue imprese avvenute durante la rivolta, senza risparmiare i dettagli più scabrosi; Taron ricordava come gli occhi di un azzurro cristallino brillassero al ricordo dei tempi andati, così come la bocca nascosta da una folta barba scura tendesse a piegarsi in un sorriso nostalgico. Eppure, nonostante l'indole crudele mal nascosta, si era affezionato in fretta ad Olaf, come solo un bambino in cerca di affetto può fare.

"Che tipo di uomo è?"

Taron evitò di sospirare una seconda volta. "Uno che non patteggia" rispose, mentre riaffioravano frammenti del litigio che aveva rotto l'amicizia tra il padre e l'altro. "Stanotte combatterà in prima linea."

Litthard annuì preoccupato, evitando di aggiungere ulteriori commenti pessimisti.

"Attaccheremo con queste come ogni pomeriggio" ordinò intanto Taron, indicando con un cenno le macchine da guerra. "Appena cala il buio, invece, andiamo con le scale. La luna nuova e la bassa marea ci saranno amiche."

"Vado ad avvertire gli uomini."

Il generale vide il secondo avventurarsi in mezzo all'accampamento, le spalle larghe piegate dalla calura e una voluta di fumo azzurrino proveniente dalla pipa che seguiva la sua figura. "Questo caldo maledetto ci distruggerà tutti" pensò all'improvviso, gli occhi persi sui soldati.

Comprendeva la previsione di Litthard e le parole ignorate in precedenza erano causa del ribollire di un terrore cieco, oscuro, che non provava da anni; temeva per i soldati e l'idea di bloccarsi a causa della paura gli stringeva la gola e portava a prospetti di sangue e morte. Tutti, nel corso dei secoli successivi, l'avrebbero ricordato come la cometa che aveva terrorizzato Hydrus, una fiamma che aveva bruciato intensa prima di essere stata soffocata durante la peggior impresa militare mai tentata.

La voce roca di un uomo lo distolse dai suoi cupi pensieri. "Generale" gli disse, col viso paonazzo a causa del caldo. "Ho una missiva per voi."

"Perché questa situazione ha un che di familiare?" si chiese, prendendo la lettera e strappando il sigillo di ceralacca, senza neppure fermarsi a osservare lo stemma impresso tra le pieghe. Riconobbe la calligrafia con un tonfo al cuore e, sconvolto, fece segno al messo di andarsene, per poi leggere rapido le prime righe.

Come intestare questa lettera?
Mi trovo in profondo imbarazzo davanti a un simile dubbio, tanto che non so se farmi trascinare dall'impulso che mi detta di usare la vecchia nomea di signorino, oppure se appellarmi a te come generale.

Sotto c'era una grossa macchia nera. Taron si immaginò Nives, seduta a riflettere con la penna gravida d'inchiostro sospesa sul foglio, indecisa, per poi sobbalzare nel notare di averlo sporcato; non ci aveva badato più di tanto, consapevole di potersi permettere una tale mancanza di perfezione con lui.

Taron, torno a Centrum Norr.
Domani mattina, dopo aver consegnato la lettera a un buon corriere, mi metterò in viaggio, così da offrire al Consiglio i frutti della spedizione a Saat. Sarai lieto di sapere che il Reggente dei Ghiacci mi ha offerto il suo aiuto, nonostante siano ancora da definire i termini dell'accordo. Passato un mese dalla caduta di Havnen, sarà necessario incontrarci a ciò che resta di Myrer, scortati entrambi da tutti gli uomini a nostra disposizione, per strutturare un buon piano d'azione.

Taron interruppe la lettura, serrando le labbra. "Non ha ricevuto la mia lettera" pensò, passandosi una mano sul volto coperto di sudore. "O l'ha ignorata."

Soppresse l'istinto di accartocciare il foglio.

A questo punto, però, devo introdurre un nuovo argomento, e l'indecisione posseduta nella stesura delle prime righe mi pare ridicola in confronto a quella che mi prende ora.
Mi supplichi di perdonarti, quasi non possedessi un cuore e ti odiassi, quando invece provo tutt'altro... ma non sono questioni di cui parlare tramite lettera, dove le parole risultano fredde e lontane. Desidererei averti al mio fianco per sussurrartele all'orecchio, ma dovrò attendere fino al momento in cui giungerai a Myrer. Ti prego, dal profondo del mio cuore in attesa, di non morire sotto le mura di Havnen, perché non sarei mai capace di sopportare un simile dolore.

Nives, orfana, ultima figlia della casata dei Bálit, regina di Hydrus

La lunga firma lo fece sorridere, mentre la cupezza che l'aveva avvolto venne dissipata dal faro che rappresentava il messaggio. C'era ancora una speranza e in suo nome avrebbe distrutto Havnen, l'avrebbe presa e piegata, anche a costo di spaccare da solo ogni singola pietra che ne componeva le mura.

"Che gran giorno per combattere." Si alzò e allungò le braccia sopra la schiena, lanciando un ultimo sguardo al suo obiettivo prima di girarsi. Le catapulte, dietro di lui, lanciavano dei massi, fischiando e schioccando a ogni tiro.

Se durante la giornata il caldo era asfissiante, il vento che saliva dal mare nel corso della notte era capace di far rabbrividire dal freddo ogni uomo. Nonostante Taron avesse imprecato più volte contro la pazzia di quella regione di Hydrus, governata da lunatici e inaspettati sbalzi di temperatura, non poteva che benedire le improvvise raffiche, capaci di intirizzire le guardie delle mura e di far lambire le torce che ferivano il buio della notte. Bisognava procedere.

"Muoversi" bisbigliò ai soldati dietro di lui. Scivolò tra le ombre con passo leggero, mentre, altrettanto rapidi e silenziosi, cinque gruppi di uomini scelti raggiunsero il fossato largo una decina piedi, disponendosi nei punti stabiliti in precedenza. Due volontari per ciascuno scivolarono al suo interno, dove il livello dell'acqua era sceso a pochi pollici a causa della marea, e issarono delle scale a pioli con l'aiuto dei compagni, bloccandole nel fango; dopodiché salirono fino a raggiungere il livello del terreno, da cui gli altri fecero scivolare delle tavole da agganciare agli staggi per favorire la salita.

Taron fece cenno di seguirlo e iniziò l'arrampicata, tallonando gli uomini che già si erano issati. C'era qualcosa d'infernale nell'impresa, il leggero clangore di qualche spada mal assestata che lo portava a fermarsi col cuore in gola, in attesa di capire se fossero stati scoperti, e il sudore che gli solleticava la pelle, facendogli desiderare di potersela strappare. Temeva il momento in cui le vedette si sarebbero accorte del loro attacco più del combattimento stesso.

Si trovavano circa a metà strada quando un urlo squarciò il silenzio.

"ALLARME! LE SCALE!"

Taron maledisse la lentezza con cui si erano mossi. "MUOVETEVI!" gridò a pieni polmoni, salendo lui stesso più veloce, mentre l'avvertimento si rincorreva per tutte le mura.

Nel frattempo, i difensori, riscossisi dalla sorpresa, scagliavano frecce contro i nemici; nonostante fossero tirate alla cieca a causa della notte troppo buia, talvolta si alzavano delle grida di dolore da chi era stato colpito. Taron pregò che nessuno si fermasse e bloccasse la colonna, i pioli che non finivano mai e il timore che i difensori rovesciassero su di loro pece bollente che diventava una certezza – il clangore sulle mura e le grida scambiate lasciavano poco spazio alla speranza.

"HO DETTO DI MUOVERVI!" urlò rabbioso agli uomini davanti a lui, tentennanti davanti alla cascata di frecce che sibilava nel buio.

Un grido terribile risuonò nell'oscurità.

Col tempo denso come melassa, respiri spezzati e occhi spalancati dalla paura, Taron vide la scala vicina prendere fuoco, diventando uno squarcio luminoso nella notte, mentre la pece copriva i primi uomini, che abbandonavano la presa e cadevano nel vuoto con urla disumane; altri, in preda al panico, tentarono di ritirarsi pestando le mani dei compagni più in basso, e altri ancora si buttarono nel fossato pur di non essere investiti dalla nuova colata. Giusto il tempo di un battito di ciglia e la scala, ormai instabile, crollò portando con sé tutti i soldati.

"Muovetevi o vi scagliò giù dalle scale" li avvertì Taron, scuotendo le caviglie dell'uomo davanti a lui. Questo ricambiò lo sguardo con uno ancora più terrorizzato e, dopo aver dato uno spintone al compagno più in alto, riprese a salire sotto la pioggia di frecce.

Non dovevano farsi bloccare dalle grida dei moribondi nel fossato, né dal timore di essere colpiti da un dardo. Dovevano solo essere veloci e pregare che non ci fosse più pece.

Quando le dita si aggrapparono ai mattoni del parapetto prese un profondo respiro, prima di buttarsi nella mischia con l'arma in pugno. Un uomo gli fu subito addosso con la spada sguainata, ma Taron schivò gli attacchi e lo costrinse a spostarsi verso il limitare delle mura da cui, con un affondo e un calcio ben assestato, lo fece precipitare.

"UOMINI, A ME!" gridò, lanciandosi verso la torre di guardia alla sua sinistra. Ne aprì la porta con una spallata e si mise a scendere lungo la scalinata che si arrotolava all'interno della costruzione. Oltre, lo attendeva l'ingresso orientale della città e Litthard col resto degli uomini.

Quando dal basso apparvero nuovi nemici, smise di pensare. Lasciò il corpo e la memoria liberi di agire, parando colpi improvvisi e dispensandone altri, assieme a calci e gomitate; sentiva solo il sibilo delle lame calate, i grugniti, le grida di dolore e l'odore acre del sangue che gli scorreva sotto i piedi, che inarrestabili lo trascinavano avanti in una corsa a perdifiato.

Doveva solo avanzare, senza mai fermarsi, guidando i suoi uomini.

Doveva solo raggiungere la porta e aprirla, anche a costo della sua stessa vita.

Giunto davanti al varco serrato, si lanciò all'attacco delle guardie presenti. Ucciso un uomo che l'aveva assalito, raggiunse l'argano e lo mosse con l'aiuto dei soldati più vicini; con una lentezza straziante, la porta ruotò sui cardini e permise al resto delle truppe di sciamare all'interno, Litthard davanti a tutti con la spada in mano. Lui e Taron si scambiarono giusto uno sguardo prima di tornare a combattere coi nuovi nemici accorsi – ciascuno aveva la sua strada da percorrere e conquistare, poco importava delle grida dei morti e degli agonizzanti, unite ai pianti delle donne e dei bambini che non erano riusciti a rifugiarsi in tempo in un luogo sicuro.

Tutto scorreva senza mai fermarsi. A un uomo caduto se ne sostituiva subito un altro e le ore scorrevano dense come il sangue che impregnava le strade e scorreva sui lastricati, dando alla testa.

A un certo punto, nel corso della lunga notte che l'aveva portato alla disperata ricerca del Governatore, Taron si trovò a combattere al fianco di Litthard, impegnato a difendersi dagli attacchi di una guardia; sperò solo che la ferita sul braccio del secondo non fosse più grave di quanto apparisse. Non poteva far altro, preso com'era dall'inseguire l'unico uomo che avrebbe potuto fermare il massacro, morendo o arrendendosi. La sua figura di vecchio che lottava, incurante dell'età avanzata e della possibilità di venire ucciso, era sempre difesa da nuovi assediati, disposti a proteggere il loro signore a ogni costo.

Ritrovò Olaf solo alle prime luci dell'alba, l'aria che aveva assunto la tonalità di un rosso opprimente. Il vecchio era nella piazza su cui si affacciava il suo palazzo, coperto di sudore, sangue e sporcizia: teneva in una mano un mazzafrusto dalla lunga catena di ferro e nell'altra uno scudo rotondo, sul quale si intravedeva la figura di uno squalo, simbolo della casata. Taron strinse le labbra, mentre ricordi antichi si sovrapponevano a quella visione, e guardò la spada, prima di chinarsi a raccogliere a sua volta uno scudo abbandonato a terra. Poco lontano, Iliy guidava dei soldati alla conquista della corte.

Taron li ignorò e si mosse verso il Governatore, col cuore che gli martellava in gola. L'uomo non era lo stesso dei suoi ricordi: aveva assunto una sfumatura vecchia, la barba ora grigia e macchiata di sangue, e il corpo appariva pesante e stanco.

"Arrendetevi e sarete risparmiati" gli disse quando fu a portata di voce, fermandosi.

Olaf alzò il mazzafrusto, un accenno di un sorriso che gli comparve sul viso. "Non posso."

Taron si avvicinò a lui a passi pesanti, l'animo gonfio. "E sia."

Il primo colpo del mazzafrusto arrivò dall'alto e lo costrinse ad allontanarsi e chinarsi, alzando anche lo scudo sopra la testa a protezione. Taron tentò di colpire il fianco dell'avversario con un tondo, nel punto dove la corazza si apriva in uno squarcio, ma l'altro schivò il colpo e passò al contrattacco, dirigendo l'arma sul fianco sinistro. Il generale non fece in tempo a muoversi che la catena compì il suo giro e la palla chiodata raggiunse l'altro fianco, spaccando la corazza con le punte e penetrando nella carne; con un gemito di dolore, tentò ancora di colpire Olaf, ma la spada seguì una traiettoria casuale e fendette il vuoto, mentre un altro colpo del mazzafrusto stava per abbattersi su di lui. Taron si accasciò a terra per schivarlo, ma il movimento fu goffo, la ferita che pulsava e gli annebbiava la mente.

Col fiato spezzato e la mano sinistra premuta sul fianco, guardò il Governatore avvicinarsi a lui con passo pesante.

"Mi dispiace, ragazzo" mormorò, allontanando la spada con un calcio. "Ti sei battuto bene."

Taron lo guardò negli occhi.

Continue Reading

You'll Also Like

6.3K 293 35
Gli spin-off della serie "Uno di noi", con capitoli inediti e capitoli extra. Nuovi punti di vista, scene raccontate da personaggi diversi, segreti n...
5.7K 106 35
[COMPLETA] Una giovane mamma, impegnata a gestire il proprio lavoro e la figlia Sunrise, il suo più grande amore. Le difficoltà che incontreranno lei...
197K 389 3
****IN LIBRERIA E IN TUTTI GLI STORE ONLINE DAL 04 MARZO 2022!**** SEQUEL DI "DARK WINGS" COPYRIGHT: TUTTI I DIRITTI SONO RISERVATI Sono passati quat...
76.5K 3.6K 34
Maximilian Alexander Leonard de Greye, primogenito della famiglia più ricca della Virginia, era conosciuto in tutto il mondo. Per cosa? Beh lui era l...