Hydrus

Por RebyBnn

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Sono passate delle decadi da quando i dragonieri sono caduti, lasciando la regione di Hydrus nelle mani di Ev... Más

· Premessa ·
· Personaggi ·
· Mappe ·
Prologo
Prima parte
I: Pioggia
II: Come neve
III: Principio di tempesta
IV: Il consiglio
V: Rose nere
VI: Anime nobili
VII: Il volere degli dèi
VIII: Idee pericolose
IX: Tentazione
X: Colloquio notturno
XI: Conseguenze
XII: Arrivi
XIII: La cerimonia
XIV: La scelta
XV: Libertà
XVI: Tradimento
XVII: In cammino
XVIII: Spicchi di cielo
XIX: Rivelazioni
XX: A Nord
XXI: A Sud
XXII: L'indomabile
XXIII: Pericoli
XXV: Vendetta
XXVI: Occhio azzurro
Seconda parte
XXVII: Due anni dopo
XXVIII: Lacrime di rabbia
XXIX: Fedeltà
XXX: Il maledetto degli dèi
XXXI: Le isole
XXXII: Dar inizio alle danze
XXXIII: Cospirazione
XXXIV: Partita a carte
XXXV: Non fidarsi
XXXVI: I due alleati
XXXVII: Fuggire
XXXVIII: Mantenere la calma
XXXIX: L'assalto
XL: Premonizioni
XLI: Sogni infranti
XLII: Soffioni
XLIII: Foglie di tasso
XLIV: Piano d'attacco
XLV: Addii
XVLI: A cuore aperto
XLVII: Cambiare pelle
XLVIII: Purificazione
XLIX: Il tempo dell'attesa
L: Feluss
LI: Antichi sospetti
LII: Follia
XLIII: La piazza del mercato
LIV: Un'ultima speranza
LV: Oscurità
Epilogo
· Postfazione, ringraziamenti e quel che resta ·
Grafiche e fanart
· Angolo avvisi ·

XXIV: Fumi di ricordi

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Por RebyBnn

"Non riesco a comprenderti."

Nives alzò lo sguardo dalla mappa che stava studiando e lo rivolse incuriosita a Winloas, seduto su una poltrona posta vicino al camino; era rimasto in silenzio per gran parte della sera, perso dietro a pensieri lontani mentre guardava il fuoco crepitare davanti a lui.

"In cosa?" chiese lei, appoggiandosi coi gomiti sul tavolo per poter sostenere la testa coi palmi delle mani. "Ho fatto qualcosa di errato?"

"No, no." Winloas scosse il capo, distogliendo gli occhi dalle lingue di fuoco che si arricciavano su se stesse. "Continuo solo a chiedermi come mai tu non voglia salire subito al trono, anche se potresti. Hai il favore del popolo e Verkað tesse le tue lodi, quindi... perché?"

La giovane rimase in silenzio per una manciata di attimi, sostenendo l'occhiata rivoltale da Winloas; un sospiro le scivolò fuori dalle labbra quando l'altro, probabilmente in imbarazzo, distolse le iridi chiare. Certe volte le pareva stesse nascondendole qualcosa.

"Non posso diventare regina, non ora" si decise infine a rispondergli, tornando ad appoggiarsi allo schienale della sedia. "Conosco a malapena la vita di corte. Come puoi pensare sarei capace di governare un popolo?"

"Te lo insegnerò io." Winloas batté le mani sui braccioli. "Potrei esserti consigliere fino a quando non sarai pronta. Il popolo gioirebbe del ritorno dei Bálit."

"Ma non il Consiglio" lo rimbeccò lei, prima di scuotere appena la testa. "Non riesco proprio a capire per quale motivo odi la tua posizione. Sai bene che il mio assumere comando, ora come ora, sarebbe una rovina."

Senza attendere una risposta, tornò a studiare la mappa che le era stata consegnata il giorno precedente, sulla quale era ancora tracciata l'antica divisione dei territori, prima che Everett si ribellasse al governo dei dragonieri e lo modificasse. Rispetto a ciò che aveva studiato sotto la tutela dei Guardiani, solo il Laeiros era rimasto immutato; anche l'Oltre, infatti, le si apriva al nord davanti agli occhi in un vasto crogiuolo di piccoli regni, mentre nei confini più lontani erano segnate solo regioni con cui i sovrani precedenti avevano intrattenuto rapporti commerciali. In un primo momento, la differenza tra ciò che sapeva e ciò che era stato l'aveva lasciata spaesata, ma ci era voluto poco affinché il tutto riassumesse la corretta prospettiva. La confusione, però, era stata il giusto monito, capace di portarla alla decisione necessaria per studiare il vero passato, non la storia dettata dal tiranno e dai Guardiani. Doveva capire qual era stato l'errore che aveva permesso a un solo uomo di sgretolare il sistema precedente; allora sarebbe stata in grado di governare, non prima.

"Solo per Cymneat."

L'improvviso sussurro di Winloas la fece sobbalzare sulla sedia. Nives lo osservò e poi si decise ad arrotolare la carta; non sarebbe riuscita a concentrarsi sullo studio, non quando quelle affermazioni sibilline le solleticavano la curiosità.

"Solo per mio padre?" chiese all'uomo, nella speranza di capire il corso dei suoi pensieri.

"Solo per tuo padre" confermò lui, per poi alzarsi e prendere la pipa, lasciata appoggiata sul tavolo occupato da Nives.

La ragazza lo osservò tornare sulla poltrona davanti al camino e caricare l'arnese, concentrandosi su ogni singolo gesto quasi fosse l'ultimo. Solo dopo aver aspirato una lunga boccata si rivolse di nuovo a lei. "Ho passato centinaia, se non migliaia di serate seduto in questo posto" disse, lasciando vagare lo sguardo sull'ambiente circostante. "Cymneat e io amavano conversare per delle ore, cullati dalla sensazione di non essere più a Centrum Norr, ma in un luogo lontano e remoto da tutto."

In effetti, il piccolo studio era diventato in poco tempo anche per Nives un rifugio; amava trascorrere qualche ora al suo interno dopo una lunga giornata trascorsa con Verkað e il Consiglio, oppure con Zaekr nell'arena sotto lo sguardo attento di Peeke. All'inizio le era parso spoglio, vista la presenza di un unico tavolo che occupava parte della stanza, accompagnato da uno scaffale a muro colmo di libri e la poltrona occupata da Winloas, ma col passare dei giorni ne aveva apprezzato la semplicità.

"Certe volte mi pare di vederlo ancora, di solito intento a leggere" continuò Winloas, mordendo il bocchino. "È difficile dimenticare che ormai è finito tutto da un pezzo."

Nives si alzò per sedersi sulla pelliccia lasciata per terra vicino al camino; non aveva idea di cosa desiderasse rivelarle, ma aveva la sensazione fosse importante. Sapeva ancora ben poco di come fosse stato il padre in gioventù, così come della vita prima dell'avvento di Everett, e aveva desiderato poter strappare all'uomo ogni ricordo posseduto. Eppure, non aveva potuto far altro che rispettare i suoi silenzi, così come lui aveva accettato la ritrosia che Nives ancora aveva nel parlare della vita coi Guardiani.

"Tuo padre, fin dalla nascita, aveva il destino segnato" disse Winloas. "La casata dei Bálit governava già da decenni sul regno e aveva portato con sé svariati re e regine importanti." L'uomo fece una pausa, lasciandosi sfuggire un sorriso nascosto in parte dalla barba. "Non era stato però in grado di prevedere solo due piccoli dettagli: me e Sætleiki."

Nives rimase in attesa, mentre Winloas fece un lungo tiro, lasciando vagare lo sguardo nel vuoto dei ricordi.

"Io ero l'opposto di Cymneat" continuò dopo aver scosso la testa. "Ultimo di sei figli della casata degli Unehre, caduta in disgrazia da parecchi anni, mi ero convinto avrei trascorso la mia vita a vagare con le compagnie mercenarie che battono i territori di Hydrus e dell'Oltre. Massacrare chiunque mi fosse stato posto davanti per sopravvivere non era di certo il mio sogno, ma sapevo non mi sarei mai meritato nulla di diverso. Eppure, la casualità, o forse il fato, mi fece finire tra le braccia di Cymneat. Letteralmente." L'uomo ridacchiò davanti al nuovo ricordo. "Mio padre era convinto che solo il primogenito, mio fratello Atlas, avesse ereditato il dono, anche se erano ormai generazioni che non si manifestava più in alcun membro della casata. Di conseguenza, gli aveva permesso di studiare nell'arena per prepararsi assieme agli altri giovani che avrebbero dovuto domare un drago e talvolta, spinto da chissà quale sentimento di bontà, mi concedeva di seguire Atlas, a patto che non lo infastidissi in alcun modo."

Winloas lasciò che il crepitio delle fiamme colmasse il silenzio. "Io e mio fratello avevamo dieci anni di differenza, e puoi immaginare quanto un bambino con cinque o sei inverni alle spalle potesse stare tranquillo in mezzo all'arena" continuò, la voce fioca. "Tutto era incredibile, al pari di un sogno che non si sarebbe mai avverato: i draghi, i cavalieri e le loro armature... ogni volta che calcavo la sabbia rossa rimanevo incantato. Solo quando stavo per compiere nove anni, a distanza di pochi giorni dalla prima grande catastrofe della mia vita, sono andato a sbattere contro Cymneat. E non in senso figurato" aggiunse. "Stavano atterrando dei draghi e mio fratello era troppo impegnato a discorrere con alcuni compagni per accorgersi di me che camminavo col naso all'insù, ma si riscosse subito appena vide chi avevo colpito.

"Tuo padre rise dell'accaduto. Aveva pochi più anni di me, ma mi parve già un sovrano fatto e finito. Non capirò mai perché, dopo quello scontro, mi abbia preso sotto la sua ala protettiva."

Nives lo guardò affascinata. Non riusciva proprio a immaginare Cymneat, nonostante l'avesse visto attraverso i ricordi di Zaekr in varie età, però vedeva in modo limpido com'era stato Winloas all'epoca: un bambino gracile, tutt'occhi e forse sporco, ma pieno di meraviglia. Come se stessa.

"Poi mio fratello morì nel tentativo di domare un drago. Fu una storia turpe, nella quale furono coinvolti anche i Treue, e portò mio padre alla disperazione più nera; convinto che ormai avessimo perso per sempre il favore degli dèi, si suicidò" disse Winloas, lapidario. "Fu in una simile situazione che Cymneat si legò a me come amico. Dopo essere venuto a conoscenza di ciò che era successo, si preoccupò che la casata degli Unehre non morisse: le mie due sorelle furono accolte come dame di corte, accompagnate da mia madre, mentre io e i miei fratelli fummo mandati a studiare e a guadagnarci da vivere nell'arena. Cymneat ci diede la possibilità di cancellare il disonore tramite il lavoro e fece diventare me, un giovane senza futuro, suo compagno e fidato braccio destro.

"Quando riuscii a domare il mio drago, dimostrando a tutti che il dono scorreva ancora nel sangue degli Unehre, la redenzione fu completa."

Winloas, rimossa la cenere depositatasi nella pipa, la ricaricò. I grandi occhi erano lucidi, resi ancora più chiari dalla sottile patina di lacrime che li velava.

"Che fine ha fatto la tua famiglia?" gli chiese a bassa voce, timorosa che una simile domanda potesse risultare indelicata.

"Uno dei miei fratelli è morto durante la rivolta, così come mia madre" rispose, per poi accendere il tabacco. "Gli altri vivono ancora a Centrum Norr."

Nives annuì e, dopo un attimo di esitazione, decise di porgli un'ulteriore domanda. "E la seconda cosa che non aveva previsto?"

Era in parte convinta che avrebbe turbato l'uomo più del dovuto, ma i ricordi di quella vita passata la ammaliavano, chiamandola a sé con forza; in fondo, solo grazie a loro avrebbe potuto riappropriarsi della memoria dei genitori ormai perduti. Era sbagliato voler sapere?

"Sætleiki" specificò lui, tornando a fumare. "Quando arrivò, tuo padre era già salito al trono da qualche anno, dimostrando con le sue azioni di essere il grande sovrano che tutti si aspettavano. Io, invece, facevo parte dei cavalieri più fidati, nonché ne ero il consigliere." Winloas abbassò il tono, piegando le labbra in un sorriso furbo. "Devi sapere una cosa: tua madre somigliava molto più a me che a Cymneat. Anche lei, infatti, pareva avere segnato un destino squallido, in quanto era figlia di un piccolo baronetto nordico dell'Oltre. Tuttavia, fin da bambina aveva deciso che non sarebbe mai diventata una dama da regalare a un nobile qualsiasi pur di liberarsene, o ancora peggio una giovane votata solo a servire gli dèi; convinse i fratelli a educarla all'arte della spada e al combattimento, così da poter scappare via non appena ne avesse avuto l'occasione."

Nives socchiuse le labbra dalla sorpresa. Nonostante avesse intuito provenisse dall'Oltre, visti i ricordi dei canti usati a Myrer, aveva comunque pensato che Sætleiki fosse stata una fanciulla appartenente a un'importante casata, la cui vita da regnante era stata scritta fin dalla nascita. Scoprire invece quanto fuoco possedesse in sé la riempiva di meraviglia.

"Come incontrò mio padre?" chiese, lo stupore che trasudava da ogni parola.

"Un giorno di fine estate giunse a Centrum Norr" le rispose Winloas. "Non so come abbia fatto, ma fu presentata a corte come una dama dell'Oltre, anche se fu subito chiaro a tutti che una dama era ciò che di più lontano potesse esserci dalla sua natura. La prima volta che io e tuo padre la vedemmo indossava un'armatura leggera, di cuoio e con tanto di spada, e aveva i capelli ramati, di un rosso intenso, portati corti, da uomo. Ci guardò senza alcun timore, incatenandoci con quei suoi occhi di un colore indefinito tra l'azzurro e il verde, che sembravano raccontarti com'è la vita sotto gli oceani. Disse che voleva far parte dei cavalieri del sovrano e fu subito chiaro a tutti che, se solo ce l'avesse chiesto, saremmo stati in grado di buttarci giù da una scogliera senza alcuna esitazione. Tutti, tranne tuo padre: lui avrebbe convinto lei a buttarsi, ne sono più che certo."

Nives sorrise, immaginandosi come dovesse essere stato il rapporto tra i due agli inizi. Una punta di malinconia le penetrò nel cuore e le fece desiderare di poter battere gli dèi e passare solo qualche ora ancora con loro, per abbracciarli e farsi raccontare tutto ciò che non avevano mai potuto dirle.

"Quindi sposò Cymneat" disse, cercando di sciogliere il groppo in gola. "Ma non divenne mai cavaliere."

"Esatto." Winloas annuì. "Non sarebbe mai potuto diventarlo: non è concesso a nessuna donna di domare un drago, anche se ha il dono... e non guardami in quel modo."

Nives, infatti, aveva aggrottato le sopracciglia, riservandogli un'occhiata torva e perplessa al contempo. "Allora perché a me è stato permesso?"

"Solo alle future regine è concesso di tentare. Tieni conto che la successione al trono avviene secondo il principio della primogenitura, e nel caso in cui l'erede fallisca la casata fa un passo indietro, permettendo ad altri di prendere il trono" sospirò l'uomo. "Tante sovrane, prima di te, hanno reso onore ai Bálit governando con saggezza.

"Tua madre, comunque, non aveva il dono. Non poteva averlo. Di conseguenza, non è stata nemmeno posta davanti a un rischio inutile."

Nives annuì, le rughe formatesi sulla fronte di nuovo distese, nonostante dentro di sé scalpitasse davanti a una simile ingiustizia.

"Col trascorrere degli anni anche Cymneat si invaghì di lei" continuò intanto Winloas, riprendendo il filo del discorso principale. "Ogni suo passo emanava una libertà capace di inebriare addirittura l'animo più duro. Una libertà dolorosa da ottenere, certo, ma Sætleiki sarebbe stata disposta a bruciare tra le fiamme pur di mantenerla." L'uomo sospirò e si mise a girare la pipa tra le mani. "Prendendola in moglie, Cymneat andò contro il volere di tutta la corte, inimicandosi il Consiglio nel peggiore dei modi. La sua sposa non era una gran dama, non avrebbe portato nessun vantaggioso accordo politico e avrebbe addirittura potuto imbastardire la purezza della linea di sangue dei Bálit... ma tuo padre la scelse comunque. Se possibile, la mia ammirazione per lui crebbe ancor di più."

"E come mai sono fuggiti a Myrer?" chiese Nives, senza più alcun timore a frenarla. Ormai si sentiva pronta per ascoltare la fine della sua famiglia, per quanto potesse essere doloroso.

Winloas, però, non lo era. "Non ho abbastanza tabacco per affrontare una conversazione simile" le rispose, per poi alzarsi in piedi e andare a riporre la pipa sulla scrivania. "Un giorno ti racconterò della fine di Centrum Norr, ma non stasera: i ricordi mi hanno stremato."

Detto questo uscì a passo rapido, lasciando Nives da sola, seduta vicino al fuoco che, imperterrito, bruciava e lanciava bagliori rossastri sulle pareti spoglie della stanza. Fuori, il buio.

Taron non avrebbe mai creduto che sulla terra esistesse una città del genere.

Era giunto a Saat solo poche ore prima, sotto il sole che si inabissava nelle acque del mare increspato da brillanti onde, ed era rimasto subito sbalordito da ciò che si era aperto davanti ai suoi occhi: le vie erano ampie, pulite e attraversate da migliaia di persone diverse tra loro, cariche di una vita che mai aveva avvertito a Myrer. Le case che incorniciavano le strade, poi, si ergevano per svariati piani, scivolando leggere verso il tenue rosa del tramonto, nonostante la massa compatta di mattoni bianchi che ne componevano i muri. In confronto a ciò che aveva visto a Myrer e Feluss, sembravano senza peso, eteree.

Lui e Mistiss si erano scambiati commenti meravigliati durante il tragitto che li aveva condotti fino al palazzo del sovrano, forse apparendo agli occhi dei due cirment come dei bambini che mai avevano vissuto. Quell'ultima costruzione, poi, si era rivelata la sorpresa maggiore: all'esterno, sfidava il cielo con delle torri coperte da una fitta boscaglia, e le mura davano l'impressione di essere di carta velina, tanto apparivano sottili e dorate al tramonto; all'interno, invece, mostrava una sfarzosità che neppure Everett si era mai permesso di ostentare, composta da lunghi tappeti saturi di colori, stanze piastrellate in modo tale da formare delicati mosaici, affreschi che seguivano e incorniciavano intere pareti e soffitti... Il tutto di un gusto squisito e mai pacchiano.

"Parlano forbito ma si sorprendono davanti a delle cose così semplici, eh Ryr?" era stato il commento di Pyr, velato da un sottile affetto.

Taron si era lasciato sfuggire una risata, pensando che in effetti era quasi assurdo che proprio lui, che aveva avuto modo di soggiornare a lungo nella corte di Feluss, si lasciasse stupire da qualcosa del genere.

Superata la meraviglia, però, aveva cercato di riassumere la corretta prospettiva e di non farsi accecare da tutto ciò che lo circondava, senza abbassare la guardia. In fondo sapeva poco di Cain, tanto da non riuscire a dipingerselo in alcun modo in testa, nonostante i racconti che definivano le sue abitudini bizzarre e sconvenevoli.

"Per fortuna ha deciso di riceverci solo ora" gli sussurrò Mistiss all'orecchio, sfiorandogli col naso alcune ciocche di capelli; nel corso del viaggio erano diventati così lunghi che il giovane, ormai, era costretto a portarli raccolti in una piccola treccia. Quando si era trovato davanti allo specchio della camera datagli, si era chiesto se fosse meglio tagliarli, ma alla fine aveva deciso di eliminare solo la fastidiosa barba.

"Nonostante non sia un grande sovrano, ci avrebbe di certo riso in faccia se ci fossimo presentati al suo cospetto com'eravamo al nostro arrivo" continuò intanto la ragazza, tenendo basso il tono della voce. "Fatico ancora a capire come Pyr e Ryr l'abbiano convinto a concederci un'udienza."

Taron annuì e osservò prima il portone intagliato che li separava da Cain e la sua corte, sul quale erano rappresentate driadi danzanti immerse in una foresta ricca di fiori e frutti, e poi Mistiss, fasciata da un abito di seta verde che si stringeva sulla vita e si apriva in una gonna ricamata con un filo dorato in arabeschi; il colore, oltretutto, metteva in risalto gli occhi neri dalla ragazza e la carnagione colorita, che aveva perso il caratteristico pallore nordico dopo gli ultimi giorni di marcia trascorsi sotto il sole cocente della regione.

"Forse non sarà un grande sovrano, ma è di certo molto ricco" pensò Taron, lisciando con fare distratto la leggera casacca che gli era stata data, di un rosso cupo.

Ryr diede un colpo di tosse, distogliendolo dai pensieri. "Un'ultima cosa" disse, scambiando un'occhiata col fratello. "A meno che il sovrano non vi rivolga la parola, parleremo solo io e Pyr."

"E non spaventatevi se sembra un po' strano" sogghignò l'altro cirment. "Cain è solo molto annoiato, eh Ryr?"

"Strano?" Mistiss inclinò la testa di lato, ma la spiegazione da parte dei due schiavisti fu interrotta dalla comparsa di un paggio, che li invitò con alcune rapide parole a seguirli all'interno della sala, il cui ingresso era appena stato aperto.

Appena il gruppo mise piede nel salone, Taron si accorse di tre cose.

La prima fu la maestosità.

Con sgomento, si rese conto che l'ambiente in cui lui e il padre avevano accolto Everett a Myrer, che all'epoca gli era parso imponente e nobile, sfigurava in confronto a quello allestito dal sovrano del Laeiros. Infatti, Cain aveva permesso che le pareti fossero affrescate con luminosi dipinti rappresentanti miti e creature magiche, mentre sul soffitto era riportata la mappa del cielo stellato e delle sue costellazioni; dalla volta, oltretutto, pendevano enormi candelabri in grado di spandere una soffice luce. Per coronare il tutto, l'atmosfera era rallegrata da una dolce musica di sottofondo di cui Taron, nonostante aguzzasse le orecchie, non riusciva a individuarne la provenienza.

La seconda furono le persone.

Erroneamente, aveva creduto che il primo colloquio col sovrano si sarebbe svolto in modo intimo, senza tutti gli involontari spettatori esterni che riempivano ogni angolo del salone col loro chiacchiericcio e le risate piene di vita. Oltretutto, la varietà di razze e genti osservata per le strade di Saat impallidiva davanti alla quantità di invitati presenti: per quanto ne poteva sapere, nella sala era presente tutto l'Oltre. Individuava uomini dal taglio degli occhi allungato e il colorito giallastro, minuti e vestiti con pittoresche tuniche di seta dalle maniche larghe, accompagnati da donne altere e dalla carnagione pallidissima, tanto da fare apparire di carta le vene bluastre che pulsavano sotto la carne. Poco lontano, invece, si erano raggruppati degli uomini coperti da lunghe vesti nere, dalle quali si potevano intravedere solo gli occhi. In un altro angolo, invece, si trovavano dei piccoli ometti tozzi e dalle barbe arricciate o raccolte in folte trecce.

Una simile diversità riusciva a confondere Taron.

La terza e ultima fu il sovrano.

Tanto era rimasto così frastornato dai continui stimoli dell'ambiente che si accorse in ritardo del giovane uomo avvicinatosi a loro con un largo sorriso affabile sul volto. Se il palazzo era stato voluto e decorato da lui, tutto il buon gusto visibile si rifletteva nel suo magnifico aspetto: i capelli d'un biondo chiarissimo, quasi albino, erano portati corti e scarmigliati con apparente maestria; il corpo muscoloso ma aggraziato nei movimenti era fasciato da un completo azzurro con ricami d'argento, diviso tra una casacca azzurra e pantaloni dalla gamba larga. Taron osservò ammaliato la delicatezza delle dita, lunghe e affusolate, con cui lanciava saluti a chiunque gli si parasse davanti. Tuttavia, ciò che lo soprese di più, quando l'uomo si diresse verso di loro, furono gli occhi: il sinistro di un azzurro glaciale, freddo quanto il vento invernale, e l'altro di un giallo ambrato, caldo come il sole di fine estate.

Mistiss, che fino a quel momento aveva osservato il salone con la sua stessa meraviglia, si ricompose all'arrivo del sovrano, scrutandolo sottecchi con una certa curiosità.

"Ryr! Pyr! Miei splendidi amici, iniziavo a credere foste finiti nelle mani di Everett" esordì Cain, avvicinandosi ai due cirment a braccia spalancate. Anche la voce aveva in sé la stessa eleganza che permeava il luogo.

"Everett è troppo impegnato in altro, mio sovrano." Ryr chinò il capo in segno di saluto. "Questo non è però il luogo adatto in cui parlare di politica e inganni. Col vostro permesso, io e mio fratello avremmo bisogno di discutere con voi di alcuni interessanti sviluppi, se possibile in un colloquio privato a cui dovrebbero partecipare anche i nostri due nuovi compagni."

Cain sorrise al sottoposto, per poi dargli una pacca amichevole. "Hai ragione, mio caro amico. Ma chi sono i compagni di cui mi parli?"

Ryr alzò lo sguardo e si portò alle spalle di Mistiss e Taron, stringendo loro le clavicole. "Il giovane è l'ultimo discendente degli Enkel di Myrer e fa di nome Taron, mentre la colombella è una rampolla degli Hæð."

"E fate colomba di nome?" le chiese il sovrano, aprendosi in un sorriso ancora più luminoso. "Troverei più appropriato usignolo, in quanto una colomba non è di certo un essere tanto aggraziato e delicato quanto voi."

La ragazza avvampò, abbassando il capo. "Il mio nome è Mistiss, mio signore."

"Ti ha fatto un complimento forbito, eh?" disse Pyr, per poi dare una leggera gomitata alla diretta interessata, scatenando le risa del fratello, del sovrano e di Taron.

"Perdonami, Mistiss" si affrettò quest'ultimo, notando come il viso dell'altra si era subito incupito. "Non rido di te, ma con te."

"Sagge parole, Taron degli Enkel" aggiunse il sovrano, per poi allungare la mano verso Mistiss. "Mi piacerebbe ballare con voi" le disse, senza distogliere lo sguardo dal suo.

Mistiss annuì solo, ancora rossa e a corto di parole, e scomparve in mezzo alla folla in compagnia di Cain, tenendo la testa bassa e oscillando goffa ogni volta che qualcuno la sfiorava per errore.

"Dille di fare attenzione" mormorò Ryr a Taron, gli occhi puntati sulla coppia che apriva le danze.

"Rispetto a cosa?"

Ryr scosse la testa e si grattò la corta barba. "Se rimarrà a corte, Cain la prenderà di certo come amante" disse, schioccando la lingua sul palato. "È bella, soprattutto se pulita, e Cain non è uomo da farsi frenare da una qualsiasi differenza di età."

Taron lanciò un'occhiata ai due che volteggiavano in mezzo agli altri ballerini, soffermandosi sul sovrano che sussurrava all'orecchio alla ragazza, ancora impacciata nei movimenti. Sentì qualcosa agitarsi in lui al pensiero di cosa sarebbe potuto accadere, tanto che non riuscì a trattenersi dallo storcere le labbra.

"Lo farò" rispose, dopo aver riportato la sua attenzione sui gemelli. "Nonostante speri sia abbastanza lucida da capire cos'è meglio per lei."

"Forse... ma dille comunque di stare attenta."

"Soprattutto se è innamorata solo dell'occhio giallo, eh Ryr?" aggiunse il fratello, inquieto, passando una mano tra i capelli che erano stati raccolti in tante sottili trecce attaccate alla nuca.

Taron li guardò perplesso, non riuscendo a capire come interpretare simili parole. "In che senso?"

"Lo vedrai da te" rispose Ryr, serio. "E forse lo scoprirà anche la colombella quando rivelerà al sovrano di essere una lamia."

Taron guardò ancora una volta la coppia che piroettava leggera; scioltasi la tensione, Mistiss aveva iniziato a rispondere sottovoce alle parole dell'altro, aprendosi in un sorriso morbido e illuminato da una gioia sottile, che la faceva apparire ben diversa da come si era mostrata a lui fino ad allora. Strinse la mascella, soffermandosi su come Cain l'aveva avvicinata a sé.

"La tua gelosia potrebbe essere il migliore degli avvertimenti" aggiunse Ryr.

"Non è gelosia." Taron sospirò, riluttante a distogliere lo sguardo. "È preoccupazione."

I due cirment si scambiarono un'occhiata complice e, senza replicare, si allontanarono, abbandonandolo in mezzo alla folla ancora intenta a chiacchierare e le cui voci si fondevano in un infinito cicaleccio da insetti.

Taron non aveva mentito: non era geloso né di Mistiss, né invidioso del sovrano, ma provava più che altro una pungente sensazione di inadeguatezza davanti all'apparente felicità che li ammantava. Quella danza lo riportava a un altro ballo, ormai avvenuto secoli fa, in cui di gioia ce n'era stata poca, ma dove avevano fatto da padroni diffidenza e rammarico, rendendo i ricordi amari.

"Sono stato stupido" si disse. "Ma le cose non sarebbero potute andare diversamente."

Lo consolava però il pensiero di averla fatta fuggire. Forse avrebbe dovuto provare a raggiungerla subito, nel tentativo di placare il suo animo nel vederla sana e salva, almeno lei in mezzo alla massa di individui che aveva invece condannato.

"Troverò un modo per raggiungerla" pensò. "È tutto ciò che mi è rimasto."

Nell'onda di ricordi che lo stava sommergendo non lo sfiorò nemmeno per un attimo l'idea che Nives non fosse riuscita a raggiungere Centrum Norr, vuoi per la durezza dell'inverno o per i soldati di Everett. Non credeva neppure che non lo volesse mai più rivedere, o che avesse trovato qualcuno disposto a proteggerla e a sacrificarsi per lei. L'unico balsamo capace di farlo dormire per qualche ora la notte, alla fine, era stato il suo pensiero, l'immaginarla ormai al sicuro e talvolta intenta a ricordarlo, forse sorridendo e sfiorandosi le labbra coi polpastrelli delle dita.

"Mi basterebbe essere anche solo un ricordo flebile nei suoi sogni."

Poco lontano, Mistiss e Cain continuavano a danzare.

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