I'll show you the world [EreM...

By giobook03

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Armin Arlert è cieco dalla nascita. Prima trovava compagnia nelle poche ombre e nella luce che rischiarava le... More

Prologo
1 ~ You are not so bad
2 ~ Maybe, I've found a friend
3 ~ That Horseface...
4 ~ Jealousy and heartbeat
5 ~ If I could see you...
6 ~ Why am I so happy?
7 ~ I'm sorry
8 ~ I think I'm in love
9 ~ You're my world
10 ~ Yeah, fuck, I see you!
11 ~ Love me like you do
12 ~ Let the dwarf hospital worker talk with Reina
13 ~ Please, Mom, look at me
14 ~ It's not your fault
15 ~ Memories
16 ~ Life goes on
17 ~ Protect me by yourself
18 ~ Pleasant meeting
19 ~ Empty
20 ~ We're both humans
21 ~ Bring me out!
22 ~ Brothers conflict
23 ~ Pain
24 ~ Missed you
25 ~ Love me again
26 ~ Justice done
28 ~ The red string of fate
Epilogo ~ 7 years later
Ringraziamenti
Sequel o no?
Sequel!
Sequel pubblicato!

27 ~ Is this a goodbye?

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By giobook03

Quel momento di serenità che per un attimo aveva alleggerito i cuori di tutti, si era frantumato con estrema facilità.

Allora Armin capì una volta per tutte quanto fragile fosse la felicità, e capì anche quanto essa costasse.

E quel suo essersi sentito spensierato e appagato dall'aver rivisto e dall'aver sistemato le cose col suo principe azzurro, era stato pagato a caro prezzo.

A tutto c'era un prezzo.

Harold Claudius Armin Arlert II era morto davanti agli occhi del nipotino, arrivato a Oxford appena in tempo per restargli accanto al suo capezzale e assistere al tragico momento in cui egli aveva esalato l'ultimo respiro.

Armin pensava che non potesse accadere nient'altro che lo facesse sentire peggio, che gli facesse marcire il cuore che al momento gli sembrava essere diventato un purè di patate.

Ma così non era e il suo cellulare squillò di nuovo, rimbombando nella stanza silenziosa, dove c'erano solo lui e un Eren dormiente che lo teneva stretto nella sua morsa di ferro.

Armin si liberò cautamente, seppur sapesse benissimo che il sonno del castano fosse così pesante da non essere disturbato neanche da un carro armato.

"When you feel my heat
Look into my eyes
It's where my demons hide
It's where my demons hide..."

«Pronto?»

«Salve. Parlo con Armin Arlert?»

«Scusi, non sono in vena di parlare al momento.»

«Lo capisco, sul serio, è proprio per la morte di suo nonno che la sto chiamando. Sono Nifa, chiamo per conto dei servizi sociali.»

Armin ebbe un sussulto e deglutì lentamente quel nodo in gola che si era stretto tanto da diventare doloroso.

«...Cosa volete?»

«Hai bisogno di un nuovo tutore legale, Armin. Gli unici parenti che hai, che abbiamo già provveduto a contattare, sono i tuoi zii materni. Abitano a Orlando, saresti disposto a trasferirti? Da quello che so non hai frequentato alcuna scuola, non dovresti quindi aver problemi al riguardo».

Armin rimase ammutolito da quella richiesta.

Una cosa era trasferirsi da qualche parte in Inghilterra: sarebbe andato bene anche un paesino sperduto, che fosse pur sempre in Inghilterra.

Cambiare Stato, continente... era troppo per lui...

«Sei ancora lì, Armin?»

...ma forse era l'unica alternativa possibile, al momento.

«Sì, ci sono.»

In fondo lui cosa aveva da perdere?
A parte Eren, ovviamente.

Era solo, ormai. E non avrebbe certo chiesto a Grisha di occuparsi di lui: anche la famiglia Jaeger aveva perso qualcuno ultimamente, sia Carla che Zeke, seppur in modi e circostanze differenti.

Non avrebbe mai voluto costituire un peso.

Ed Eren...

«Mi metta in contatto con i miei zii, sarebbe un piacere per me conoscerli e andare a vivere con loro».

Perdonami Eren.

Dare l'annuncio al ragazzo sarebbe stato più duro del previsto e non sapeva se a crollare sarebbe stato lui il primo o il castano l'avrebbe preceduto.

Quando si trovarono faccia a faccia, guardandosi negli occhi, sull'uscio della porta di casa di Eren che Armin stava per abbandonare (questa volta per sempre), allora sentì qualcosa dentro di sé spezzarsi.

«Eren...?»

«Mh?»

Il castano aveva la testa inclinata di lato, uno sguardo pieno di amore che perforava quello del biondino e tanta confusione nella testa.

«Cosa c'è che non va...?»

«Ecco, io...»

Armin deglutì, con una voglia terribile di sbattere la testa contro il muro fino a sbriciolare l'intonaco.

«...andiamo a prendere un gelato?»

Mezz'ora dopo...

«Dovevo aspettarmelo.»

«Cosa?»

«Che avresti preso il cono al fiordilatte.»

«Osa fare riferimenti sessuali e te lo ritrovi in testa.»

«Cosa?»

«Il cono al fiordilatte.»

I due parlarono del più e del meno (più del meno che del più).

Eren voleva che Armin si svagasse, seppur sapesse che la morte del nonnino, che il biondo tanto amava, non sarebbe stata facilmente superata.

Eren associò al terribilmente avvenimento di due giorni prima il comportamento incostante del più piccolo.

Sembrava che ci fosse qualcosa, probabilmente la morte del nonno, che infestasse i suoi pensieri e non gli lasciasse pace.

Quella sensazione venne percepita da Eren in ogni momento e non poterla cancellare lo ferì profondamente.

Armin non disse niente a Eren quel pomeriggio.

Eren non si meritava di essere abbandonato così, senza alcuna spiegazione, anche perché dargliela non sarebbe stato neanche così difficile, ma Armin non ce la faceva, era convinto non ce l'avrebbe mai fatta.

Così, quando la porta si chiuse, Armin portò la mano all'altezza del viso, accarezzando il legno freddo al contatto  con la sua pelle calda, senza sapere che, dall'altro lato, Eren stava facendo lo stesso.

Mai si erano sentiti così lontani, pur essendo così vicini.

Il giorno dopo, ore 6:30...

Armin era in un taxi e si dirigeva verso l'aeroporto.

Fissava il telefono come se da esso dipendesse la sua vita e, in un certo senso, era così.

La sua storia con Eren era la sua vita.
E tutto sarebbe crollato, una volta preso quel volo.

Maledisse sé stesso per essere un codardo, che non aveva esitato a fuggire pur di non rivelare la verità alla persona che amava che, se non avesse scoperto tutto da un'altra persona, avrebbe per sempre vissuto nell'ignoranza dello reale svolgimento degli eventi.

Armin pagò il tassista, si sistemò il capellino e uscì dall'auto, per poi prendere la valigia riposta nel portabagagli

Aveva portato poca roba: tra qualche ora sarebbe cominciata la sua nuova vita.

Era appena entrato nell'aeroporto, stava per andare a fare il check-in quando una morsa allo stomaco lo portò a fermarsi, mentre il suo cervello, nella testa che pulsava dal dolore, gli imponeva di prendere il cellulare e chiamare Eren.

Per la prima volta nella storia, cuore e ragione erano d'accordo e si unirono contro un nemico comune (il rancore, la nostalgia, il risentimento, il rimpianto, la rabbia... decidete voi quale) per fare in modo che quelle due anime che erano destinate a stare insieme non si dividessero. O almeno, che non lo facessero in quel modo.

«Armin? Perché non hai risposto hai miei messaggi ieri? E come mai sveglio così presto?»

«Vieni all'aeroporto. Il prima possibile. Ti darò tutte le spiegazioni quando arriverai. Ti prego.» e attaccò.

Passarono più di trenta minuti e di Eren nessuna traccia.

Il volo sarebbe partito a breve e non c'era più tanto tempo, né per un addio né per delle spiegazioni.

Che fosse un segno del destino? Magari non erano davvero destinati a stare insieme, magari era solo un'illusione, un'esperienza a cui la vita aveva voluto sottoporre entrambi, perché entrambi ne avevano bisogno.

«Il volo Manchester-Orlando partirà tra cinque minuti. Invitiamo tutti i passeggeri a prender posto sull'aereo!»

La voce calma e composta della signorina non fece altro che allarmarlo di più perché era la rappresentazione vivente del tempo che passava, che scorreva inesorabilmente e che lui non poteva in alcun modo fermare.

Si mosse con estrema lentezza verso la fila dedicata ai passeggeri del suo volo e sfilò il passaporto dalla tasca.

Era quasi arrivato il suo turno quando sentì una voce urlare: una voce che conosceva così bene che urlava a squarciagola il suo nome.

Armin uscì dalla fila e, dopo aver individuato un paio di occhi verde smeraldo, corse verso di lui, trascinando la valigia con sé, lasciandola solo per gettargli le braccia al collo.

«Aveva la paura terribile che non saresti venuto.»

Le lacrime scesero dai suoi occhi senza che se ne rendesse conto, mentre la stretta di Eren, prima forte sui suoi fianchi, si allentò.

«Mi spieghi perché mi hai fatto venire qui...?»

Lanciò uno sguardo disperato alla valigia, sentendo il petto dolergli.
Doveva partire, era ovvio. Ma perché non gli aveva detto nulla?

«Armin...? Dove vai?»

«A Orlando.»

«E per quanto tempo...?»

«Non lo so ancora. Forse per sempre.»

Eren sentì il fiato mancare e il cuore perdere un battito. Di quel passo gli sarebbe venuto un infarto e con tutti gli acciacchi che già aveva, non ci voleva proprio.

«Penso che tornerò compiuta la maggiore età, quando i miei zii non saranno più i miei tutori legali.»

Eren non fece altre domande.
Non gliene fregava un cazzo delle motivazioni per cui partiva: servizi sociali, tutori legali, nonni morti e bla bla bla.
Il fatto in sé era semplice: Armin partiva. Serviva davvero sapere il perché partisse?

L'unico "perché" che gli importava era...

«Perché cazzo non mi hai detto nulla. Ieri siamo stati tutto il pomeriggio insieme cazzo. Avevo capito che ci fosse qualcosa che non andava ma, cazzo, non pensavo fosse questo.»

La tensione che c'era nell'aria era così evidente da poter essere tagliata con un coltello.

Armin si accorse che Eren si stava agitando e se gli fosse venuta una crisi autolesionista in pubblico sarebbe stato un gran casino.

«Eren, mi dispiace... avevo paura.»

«E di che?!»

Il biondo sussultò.

«Del tuo dolore. Non voglio essere pessimista ma il volo sta per partire e ci rimane poco tempo per discuterne.»

«Il volo Manchester-Orlando sta per partire, preghiamo i gentili passeggeri a prendere posto sull'aereo.»

Armin sospirò profondamente, posando per qualche istante lo sguardo sul tabellone dei voli.

«Non ho mai avuto un ragazzo, intraprendere una relazione a distanza sarebbe troppo difficile per me, quindi ho pensato di...»

«Dare un taglio netto? A noi? Alla nostra storia?»

«Esatto. Ho pensato che... in questo modo, avremmo sofferto di meno. Non mi sono mai piaciuti gli addii.»

«Non capisco Armin. Hai detto che tornerai.»

«Saranno passati anni, tre per l'esattezza. Solo Dio sa se tu ti ricorderai ancora di me e non avrai trovato qualcun altro da amare.»

Eren rimase in silenzio per un lungo istante.
Non poteva contraddirlo: non poteva sapere come avrebbe reagito alla lontananza e se l'avrebbe sopportata.

Adesso lo amava. Lo amava con tutto sé stesso, ma non sapeva se l'avrebbe amato per sempre, o almeno, non se la sentiva di prometterglielo.

Mentre si guardavano negli occhi, fu il turno di Eren di sentire qualcosa rompersi.
Non era il filo, quel filo del destino che gli teneva uniti e che fin dal principio avevano percepito: quello non si sarebbe mai spezzato.
Era il cuore.

«Quindi... questo è un addio?»

Entrambi speravano di no.

Armin non gli rispose, si limitò ad accarezzargli la guancia e a posare con delicatezza le labbra su quelle del castano.

"Questo bacio sa tanto di addio..."

Sotto lo sguardo lucido di lacrime del più grande, Armin rientrò nella fila, concluse rapidamente le procedure e sparì dalla sua vista e, forse, anche dalla sua vita.

Eren prese la direzione opposta e si diresse verso l'uscita dell'aeroporto con un senso di malinconia e solitudine che non aveva mai provato.

Mentre guardava fuori dal finestrino della macchina di Mikasa che, avendo capito la situazione, decise di non fare domande, cercò di ritrovare la speranza che in aeroporto aveva perso.
La speranza che, avendone superate tante, avrebbero superato anche questa.


n/a:

Potete darmi della stronza puttana, se volete :D.

La storia sta volgendo davvero al termine: il prossimo capitolo (che prevedo di scrivere il prima possibile) sarà l'ultimo prima dell'epilogo.

Se vi può far sentire meglio, l'ending sarà happy.

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