Hydrus

Autorstwa RebyBnn

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Sono passate delle decadi da quando i dragonieri sono caduti, lasciando la regione di Hydrus nelle mani di Ev... Więcej

· Premessa ·
· Personaggi ·
· Mappe ·
Prologo
Prima parte
I: Pioggia
II: Come neve
III: Principio di tempesta
IV: Il consiglio
V: Rose nere
VI: Anime nobili
VII: Il volere degli dèi
VIII: Idee pericolose
IX: Tentazione
X: Colloquio notturno
XI: Conseguenze
XII: Arrivi
XIII: La cerimonia
XV: Libertà
XVI: Tradimento
XVII: In cammino
XVIII: Spicchi di cielo
XIX: Rivelazioni
XX: A Nord
XXI: A Sud
XXII: L'indomabile
XXIII: Pericoli
XXIV: Fumi di ricordi
XXV: Vendetta
XXVI: Occhio azzurro
Seconda parte
XXVII: Due anni dopo
XXVIII: Lacrime di rabbia
XXIX: Fedeltà
XXX: Il maledetto degli dèi
XXXI: Le isole
XXXII: Dar inizio alle danze
XXXIII: Cospirazione
XXXIV: Partita a carte
XXXV: Non fidarsi
XXXVI: I due alleati
XXXVII: Fuggire
XXXVIII: Mantenere la calma
XXXIX: L'assalto
XL: Premonizioni
XLI: Sogni infranti
XLII: Soffioni
XLIII: Foglie di tasso
XLIV: Piano d'attacco
XLV: Addii
XVLI: A cuore aperto
XLVII: Cambiare pelle
XLVIII: Purificazione
XLIX: Il tempo dell'attesa
L: Feluss
LI: Antichi sospetti
LII: Follia
XLIII: La piazza del mercato
LIV: Un'ultima speranza
LV: Oscurità
Epilogo
· Postfazione, ringraziamenti e quel che resta ·
Grafiche e fanart
· Angolo avvisi ·

XIV: La scelta

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Autorstwa RebyBnn


Odore di malattia.

Elias aveva imparato a conoscerlo fin da giovane, quando il fratello era scivolato prima tra le braccia di un morbo impossibile da curare e, poco dopo, tra quelle della morte stessa, che l'aveva rapito quando ancora l'anima non si era macchiata di alcun peccato imperdonabile. Ne riconosceva la fragranza dolciastra della putrefazione, unita al freddo pizzicore dei medicamenti.

Dopo aver seppellito il fratello, aveva sperato di non dover più avere a che fare con nulla di simile nel corso della sua vita, tanto che era giunto a desiderare di perire in battaglia al posto che di vecchiaia, dove sarebbe stato costretto a sentire il suo stesso corpo marcire. Il destino, beffardo come al solito, aveva deciso di accogliere parte del desiderio, donandogli una salute ottima, ma proteggendolo durante la rivolta e lasciando la moglie in pasto a una malattia che, anno dopo anno, l'aveva divorata un poco per volta, distruggendone la bellezza e la leggerezza di cui era rimasto incantato quando l'aveva conosciuta. Nella carcassa pallida e dagli occhi spiritati c'era talmente poco della giovane di un tempo da lasciare Elias sempre più cupo e privo di speranze.

Everett, al contrario, non pareva sconvolto dall'aspetto della donna, tanto da parlarle all'orecchio con la stessa dolcezza con cui le si era rivolto in un passato lontano, facendola sorridere. Lui non ne sarebbe mai stato capace, complici sia i dolorosi ricordi, sia i sensi di colpa per i recenti tradimenti di cui si era macchiato.

"Avresti meritato di meglio" pensò, mentre Everett le posava un casto bacio in fronte e le sussurrava un'ultima frase all'orecchio, capace addirittura di suscitare in lei una leggera risata che, ne era certo, l'avrebbe ossessionato durante la veglia. Lui non era più riuscito a farla ridere.

Davanti all'occhiata lunga che gli riservò l'amico, fu costretto ad avvicinarsi alla moglie, a cui accarezzò i capelli. "Più tardi verrà a trovarti Taron" le disse. "Ti racconterà di certo della cerimonia e, spero, anche della figlia di Rögnvar."

Ethel annuì a fatica. "Non penso gli piaccia..." mormorò con voce di carta velina. "Temo... temo non sia stata una buona scelta."

"Ha bisogno di tempo" replicò subito Elias, un sospiro fermo sulle sue labbra. "Sono certo che riuscirà a trovare qualcosa di buono in lei."

La donna annuì ancora, distendendo le labbra pallide in una smorfia rassegnata. "Speriamo gli dèi lo vogliano."

Elias ripeté le stesse parole a bassa voce, per poi darle un'altra carezza e salutarla. Uscì dalla stanza sentendosi in parte più leggero, visto che il lezzo della malattia non era ancora riuscito ad attaccare il corridoio antistante. Fece comunque un cenno sconsolato all'amico e si diresse verso la sala delle udienze, dove avrebbe dovuto trascorrere un paio di ore a trattare con i Guardiani – le loro idee per le successive celebrazioni avevano un che di eccessivo.

"Non sopravviverà all'inverno" constatò freddo Everett, seguendolo. "Se me lo avessi detto, avrei fatto in modo di venire prima."

"Interrompendo le celebrazioni?" Elias storse il naso. "Sappiamo entrambi che non sarebbe stato possibile."

Il sovrano lasciò aleggiare il silenzio per qualche minuto, prima di decidersi a rispondere. "Purtroppo hai ragione" ammise, per poi lasciar cadere il discorso nel vuoto.

Entrambi camminarono senza scambiarsi più alcuna parola, anche se un pensiero, imbozzolato al caldo già dalla sera precedente, aveva iniziato a scavarsi la sua strada fino alle labbra di Elias; sentiva il bisogno di parlare a Everett del mutaforma, di raccontargli cos'era accaduto e chiedergli spiegazioni, ma d'altro canto aveva paura che un simile argomento distruggesse la sottile armonia su cui si erano mossi fino a quel momento. Non voleva che l'amico lo fraintendesse, o prendesse le parole come una velata accusa. Stava ancora cercando il giusto modo con cui introdurre l'argomento, quando l'altro lo precedette.

"Penso di aver già deciso che giovane mi seguirà a Feluss" disse il sovrano, portando le braccia dietro la schiena e rallentando l'andatura. "Rose, la benedetta seduta davanti a me al banchetto. È perfetta in ogni sfaccettatura. Stamattina ne ho parlato coi Guardiani."

"La considerano la migliore?"

"La più vicina a esserlo" specificò Everett. "Mi hanno detto che non molto tempo fa sono stati costretti a punirla, ma un leggero tratto ribelle la rende più interessante di una mansueta pecorella."

Elias sogghignò, pensando che l'amico, nonostante lo scorrere degli anni, non fosse cambiato più di tanto. "Un piccolo gatto alla corte di Feluss..." rifletté ad alta voce. "Saprà aprirsi la sua strada."

Everett annuì pensieroso e il Governatore si chiese se ci fosse qualcosa che rodeva la coscienza dell'amico; conosceva bene la piega sottile comparsa sulla fronte ampia, così come il leggero aggrottarsi delle sopracciglia folte che aveva visto comparire tante volte durante le fasi più cruciali della rivolta. Sperò che i segnali non avessero nulla a che fare col ritorno dei dragonieri.

"Hai saputo cos'è accaduto al Nord?" gli chiese però Everett.

"La mia futura nuora ha avuto la premura di informarmi al suo arrivo" rispose Elias, fermandosi in mezzo al corridoio. Nonostante fosse vuoto, non riuscì a trattenersi dall'abbassare il tono della voce. "Cosa hai intenzione di fare?"

Everett si fermò al suo fianco, prendendo un profondo respiro. "Non lo so" rispose, alzando le spalle. "È circa un anno che li controllo, ma devo ancora capire se sono solo dei poveri esaltati o è qualcosa di più serio."

"Potrebbe esserci qualcosa di più serio?"

Il sovrano alzò lo sguardo su di lui, inchiodandolo con quelle iridi ancora più gelide del solito. "Potrebbe" ammise cauto. "Soprattutto se l'erede di Cymneat è ancora in vita."

Elias rabbrividì, non sapendo se le ultime parole fossero un'ipotesi o un'affermazione. "All'epoca non potevo certo uccidere tutti i bambini di Myrer" mormorò con tono di scuse, ricordando della caccia all'uomo che si era scatenata tra le strade della città dopo la scoperta che il legittimo sovrano dei dragonieri era ancora vivo. "Potrebbe essere morto."

"Temo sia vivo, invece" replicò asciutto Everett. Riprese a camminare, lasciando il Governatore immobile nel tentativo di capire come l'altro fosse venuto a conoscenza di un simile fatto.

"E se..." si disse, mentre la nenia cantata dal mutaforma tornava a suonargli tra i pensieri. Cercò di convincersi che Everett non avrebbe mai agito in modo così subdolo, sapendo poi che lui stesso gli avrebbe fornito tutto l'aiuto necessario pur di non veder distrutto l'equilibrio su cui poggiava il regno, ma la sua mente si rifiutava di abbandonare un pensiero simile.

"Elias?" lo richiamò Everett, fermandosi.

L'uomo si riscosse dallo stato in cui era caduto e lo raggiunse con poche falcate, i pensieri subito ordinati lungo un sottile e insicuro percorso; non poteva lasciarsi intimorire, né perdere la lucidità, non quando pareva dispiegarsi davanti a lui un sentiero alquanto inquietante e pieno di ombre.

"C'è una questione di cui dovremmo discutere, a dire il vero" disse, rimanendo calmo. "Ti ho accennato qualcosa ieri sera, ma temo sia arrivato il momento di scandagliarla con la giusta attenzione."

"Va bene." Everett si grattò la mascella con fare distratto. "E i Guardiani?"

"Questo è più importante."

Rimasero in silenzio fino a quando non arrivarono nella sala delle udienze.

Per la prima volta dopo anni, Taron sentiva un bisogno quasi fisico di parlare col padre. Voleva sapere come si potesse convivere col senso di colpa che rendeva difficoltoso persino il respiro e gli ricordava, fin da quando si era svegliato, quanto fossero gravi le sue colpe; non aver neppure provato a soddisfare la richiesta fatta da Mistiss lo riempiva di un disgusto tale da chiudergli lo stomaco. La sua promessa sposa, oltretutto, lo evitava dalla notte precedente, e a nulla era valso il timido tentativo con cui l'aveva avvicinata nelle ultime ore, invitandola a fare una passeggiata tra le risaie.

"Vi ringrazio per il consiglio" gli aveva risposto, gelida. "Penso ne approfitterò per trascorrere del tempo da sola."

Il peggio, però, era che una parte di lui faticava a pentirsi delle sue azioni.

"Forse nemmeno prova a conviverci" si disse, mentre passeggiava per la sala delle udienze in attesa del padre. "Forse si odia pure lui."

Le riflessioni furono interrotte all'aprirsi della porta, che segnò l'ingresso sia del Governatore, sia di Everett. Taron trattenne una smorfia di disappunto, rendendosi conto che il possibile confronto col padre era appena stato rimandato a un tempo indefinito.

"Mio signore" disse con un inchino, mentre il sovrano andava a occupare lo scranno che di solito spettava dal Governatore, liquidando il saluto con un gesto frettoloso.

"Taron, potresti essere più informale, sai?" lo rimproverò bonario, prima di rivolgersi a Elias. "Dunque, di cosa dovevi parlarmi?"

Il Governatore lanciò una rapida occhiata a Taron, tale da portare Everett a sbuffare. "Non è più un bambino incapace di intendere e di volere" disse quest'ultimo. "Penso tu possa parlare anche davanti a lui."

Taron guardò perplesso il padre che, un passo alla volta, si avvicinò al sovrano, grattandosi la barba. Rimase in attesa mentre l'uomo, a fatica, si decideva a parlare. "In effetti è stato lui stesso a gestire buona parte della questione" constatò, alzando lo sguardo su Everett. "Devi sapere che circa un mese prima del tuo arrivo un mutaforma ha violato e ucciso un'orfana."

Taron si appoggiò vicino a una finestra, storcendo le labbra davanti alla poca delicatezza del padre. Eppure, il sovrano parve non far caso a una simile mancanza di tatto, iniziando a tamburellare le dita sul bracciolo del trono. Senza dire alcuna parola, fece cenno all'uomo di procedere.

"Mi trovo in grande imbarazzo a dirtelo, ma i Guardiani mi hanno consegnato la missiva con cui il mostro si è presentato a loro" continuò il Governatore. "La scrittura, nonché il sigillo, sono i tuoi."

Dopo quell'affermazione calò un silenzio pesante, rotto solo dal battere ritmico delle unghie sulla pietra, tanto che Taron si sentì in dovere di chiudere il discorso. "Temiamo si sia sostituito all'inviato originale, per quanto sia difficile capirne il motivo" disse, avvicinandosi alla coppia d'uomini. "Al momento è rinchiuso nelle segrete, ma i Guardiani hanno proposto di procedere con una pena di gran lunga più dura."

Everett, stanco, scosse la testa e si passò una mano tra i capelli. "Non serve una simile supposizione: l'ho inviato io."

"Come?" pensò Taron. Suo padre esternò la sorpresa con un verso strozzato.

"Non guardatemi in quel modo" disse il sovrano con aria cupa. "Nonostante le apparenze, si è sempre dimostrato molto istruito e abbastanza cordiale, tanto che mi è difficile comprendere perché si sia comportato in modo simile."

Il giovane lo osservò che si alzava e raggiungeva il Governatore, che continuava a osservarlo. "L'hai mandato qui per ciò di cui abbiamo discusso poco fa?" chiese quest'ultimo.

"Sì." Everett posò le mani sulle spalle dell'uomo. "Mi era venuto un sospetto e avevo bisogno di conferme che solo lui avrebbe potuto darmi. Come pensi avrebbe reagito la città davanti a un intervento più massiccio?"

Il Governatore scosse appena il capo. "Avresti dovuto parlarmene comunque. Avrei trovato il modo di fare... qualcosa."

Taron, intanto, osservava in silenzio il criptico scambio di battute. La conversazione avuta col mutaforma tornò a riempirgli i pensieri, incastrandosi con le parole pronunciate dal sovrano e quelle dette dal padre il giorno in cui gli aveva narrato della caduta di Centrum Norr. Un brivido gli salì lungo la schiena.

"Di cosa state parlando?" chiese, incrociando le braccia davanti al petto. "Cosa sta accadendo?"

Everett lo squadrò in silenzio per qualche minuto. "Cymneat ha un erede" rispose, strofinando il viso. "Ho pensato fosse morto dopo aver giustiziato lui e la moglie, ma gli avvistamenti dei dragonieri mi hanno messo in allarme e ho iniziato di nuovo a scavare."

Taron ammutolì, la bocca secca, mentre alcune parole del mutaforma tornavano a bruciare tra i pensieri.

"Sarebbe bastato così poco per anticipare i suoi desideri."

Man mano prese forma la consapevolezza della semplice verità cristallizzata per giorni, se non anni. Everett, intanto, continuava a parlare con voce pacata e velata da una stanchezza fin troppo umana. "All'epoca non pensai all'influenza dei Guardiani" disse, tornando a sedersi sullo scranno. "Hanno la loro utilità, ma la loro carità potrebbe essere stata causa di un danno irreparabile. Il mutaforma aveva solo il compito di indagare sui bambini salvati in quel periodo."

Il Governatore non disse niente, il volto cupo che indicava tutta la delusione per le azioni dell'amico, mentre Taron sentiva la bocca secca, ogni altro pensiero futile spazzato via dalle recenti rivelazioni. Osservò le mani di Everett picchiettare sul trono e si rese conto di quanto potessero essere letali, nonostante il loro essere ossute e all'apparenza delicate; riusciva a immaginarle uccidere e strangolare nuove vittime. Erano mani per scuoiare.

"Dovrò conferire col mutaforma il prima possibile" concluse il sovrano. "Così da capire se è riuscito a compiere il suo dovere."

"E cosa volete fare con l'erede?" chiese Taron, cercando di ricomporsi.

Everett sospirò. "Ucciderlo. È l'unico modo per impedire ai dragonieri di far partire una sommossa."

Taron annuì grave, seguito dal padre che, un passo alla volta, era andato a sedersi al fianco del sovrano. I tre rimasero in silenzio fino a quando Hubertus fece il suo ingresso nella sala, per annunciare che era giunta la delegazione dei Guardiani.

Taron approfittò della momentanea scintilla di vita per scivolare fuori dalla porta, la mente che, lucida, valutava ogni possibilità apertasi. Sapeva cosa fare. 

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