Hydrus

By RebyBnn

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Sono passate delle decadi da quando i dragonieri sono caduti, lasciando la regione di Hydrus nelle mani di Ev... More

· Premessa ·
· Personaggi ·
· Mappe ·
Prologo
Prima parte
I: Pioggia
II: Come neve
III: Principio di tempesta
IV: Il consiglio
V: Rose nere
VI: Anime nobili
VII: Il volere degli dèi
VIII: Idee pericolose
IX: Tentazione
XI: Conseguenze
XII: Arrivi
XIII: La cerimonia
XIV: La scelta
XV: Libertà
XVI: Tradimento
XVII: In cammino
XVIII: Spicchi di cielo
XIX: Rivelazioni
XX: A Nord
XXI: A Sud
XXII: L'indomabile
XXIII: Pericoli
XXIV: Fumi di ricordi
XXV: Vendetta
XXVI: Occhio azzurro
Seconda parte
XXVII: Due anni dopo
XXVIII: Lacrime di rabbia
XXIX: Fedeltà
XXX: Il maledetto degli dèi
XXXI: Le isole
XXXII: Dar inizio alle danze
XXXIII: Cospirazione
XXXIV: Partita a carte
XXXV: Non fidarsi
XXXVI: I due alleati
XXXVII: Fuggire
XXXVIII: Mantenere la calma
XXXIX: L'assalto
XL: Premonizioni
XLI: Sogni infranti
XLII: Soffioni
XLIII: Foglie di tasso
XLIV: Piano d'attacco
XLV: Addii
XVLI: A cuore aperto
XLVII: Cambiare pelle
XLVIII: Purificazione
XLIX: Il tempo dell'attesa
L: Feluss
LI: Antichi sospetti
LII: Follia
XLIII: La piazza del mercato
LIV: Un'ultima speranza
LV: Oscurità
Epilogo
· Postfazione, ringraziamenti e quel che resta ·
Grafiche e fanart
· Angolo avvisi ·

X: Colloquio notturno

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By RebyBnn

Nel corso dei giorni passati, Taron aveva coccolato e costruito l'idea insinuata dal guardiano, cercando di stabilire se potesse essere intelligente o quantomeno utile; non si era neppure preoccupato di provare a grattarla via, conscio che ormai nessuno avrebbe potuto distoglierlo dal suo proposito. Doveva parlare col mutaforma, e doveva farlo prima dell'arrivo del sovrano, nonostante il divieto impostogli dal padre.

Proprio a causa di ciò, dopo una manciata di pomeriggi trascorsi nel tentativo di comprendere come fosse meglio muoversi, aveva deciso di coinvolgere un'ulteriore volta Blas nelle sue follie.

"Ti prego" l'aveva supplicato, dopo il netto rifiuto che gli era stato rivolto. "Ho bisogno di fare questa cosa."

Blas aveva nicchiato per un'intera giornata, mostrando una resistenza con cui Taron non aveva mai avuto a che fare, ma alla lunga era comunque riuscito a strappargli dalle labbra due promesse: la prima, che gli avrebbe rivelato come raggiungere le segrete tramite i corridoi; la seconda, che avrebbe fatto ubriacare la guardia a cui sarebbe stata affidata la ronda notturna. A un certo punto, aveva anche pensato di convincere il vecchio servo a rivelargli come raggiungere la camera in cui si trovavano le orfane, ma era riuscito a sopprimere una simile idea grazie a un profondo moto di disgusto verso se stesso – non voleva essere come suo padre e, oltretutto, non poteva perdere altro tempo dietro a una maledetta infatuazione.

"Ricordati che sei promesso" si rimproverò, mentre attraversava i corridoi della servitù con una lanterna in mano. "E concentrati, per gli dèi! Non sei a fare una scampagnata."

Si mosse tra le mura umide, seguendo le indicazioni sulla mappa che gli aveva tracciato Blas. Sperò che il vecchio amico avesse tenuto fede anche alla seconda parte della promessa, altrimenti non avrebbe saputo come entrare nella cella del mutaforma in modo discreto e senza che qualche voce giungesse al padre.

Cercando di essere ottimista, si diresse fino all'ingresso delle segrete e, arrivato alla porta, appoggiò la lanterna sul pavimento e socchiuse l'uscio per sbirciare l'esterno; solo dopo aver notato che non era presente nessuno, sgusciò fuori e raggiunse con poche e rapide falcate la svolta che dava sul corridoio in cui si trovava la cella del mutaforma, davanti alla quale stava seduta una guardia dagli occhi chiusi e la testa china sul petto.

"Questa era la parte facile" pensò, mentre l'uomo grugniva e si sistemava meglio sullo sgabello, urtando appena l'alabarda appoggiata al suo fianco.

Si avvicinò a passo leggero, pregando a fior di labbra che l'altro continuasse a dormire o che fosse troppo ubriaco per rendersi conto di cosa stava accadendo. Quelle sottili speranze, però, durarono poco; la guardia, infatti, in un ulteriore tentativo di mettersi più comoda, urtò l'arma, che cadde a terra con un tonfo metallico che si propagò per tutto il corridoio.

Taron si fermò, congelato, mentre l'uomo si alzava in piedi. "Chi va là?" urlò a nessuno in particolare, la voce impastata dal vino.

Il giovane lo osservò mentre si chinava a raccogliere l'alabarda e tornava a sedersi sullo sgabello, per poi girare la testa nella sua direzione e ripetere l'avvertimento con gli occhi socchiusi e un'espressione idiota a piegargli il volto flaccido.

"Non riconoscete il vostro signore?"

"Se procede..." L'altro si lasciò sfuggire un sonoro rutto prima di completare la frase. "Se procede come un ladro..."

Taron ringraziò Blas tra i pensieri e si avvicinò alla guardia con l'aria più decisa che possedesse. "Preferite insultarmi al posto di rispondermi?" lo incalzò, mentre l'uomo continuava a squadrarlo confuso.

"Voi siete..." provò a balbettare, grattandosi il cranio pelato. "Voi siete... il figlio. Quello che non deve stare qui..."

Il giovane represse la sorpresa che subito gli montò in corpo, deciso a non mostrarsi timoroso; non avrebbe mai immaginato che, per una volta, il Governatore avesse deciso di compiere il suo dovere, ordinando di non lasciarlo passare.

Eppure, non sarebbe bastato a fermarlo. "Il Governatore ha cambiato idea" disse infatti, fermandosi a un passo dalla guardia. Non riuscì a non storcere il naso, colpito da una zaffata di vino rancido che gli diede il voltastomaco.

L'uomo provò a ribattere e ad alzarsi, ma Taron lo costrinse a rimanere seduto, appoggiandogli una mano sulla spalla. "Devo conferire col prigioniero: datemi le chiavi" ordinò, stendendo l'altra mano.

La guardia sganciò il mazzo e lo porse al suo signore col braccio che gli tremava, producendo così un tintinnio che si propagò per tutte le segrete. Non gli piaceva la piega che stava prendendo la situazione, ma non poteva fuggire, non ora che era a un passo dal coronamento del suo volere.

Afferrò le chiavi. "Vi ringrazio."

Senza prestare ascolto al balbettio sconnesso dell'uomo, le inserì nella serratura e, dopo averla fatta scattare, entrò nella cella. Rimase attaccato con la schiena al legno della porta per qualche minuto, in attesa che la vista si abituasse al buio in cui era immerso l'ambiente; sentiva premere nello stivale lo stiletto che si era portato con sé per precauzione, mentre il naso già rimpiangeva la puzza esterna, sostituita da un odore di animale selvatico che lo invitò a fuggire.

Tutti i suoi pensieri annichilirono su se stessi quando notò un paio di grandi occhi gialli fissarlo da un angolo. Non riuscì a trattenere il brivido che gli corse lungo il corpo – forse seguire quell'idea era stata una follia.

"Ma che piacere" sibilò il mutaforma. "Non pensavo vi avrei più visto."

Taron, ancora appiattito sulla porta, digrignò i denti. "Non so chi tu sia, mostro."

"Com'è possibile?" La voce sconosciuta si tinse di una nota sorpresa. "Non riconoscete un vostro vecchio adulatore?"

"No" grugnì Taron, indeciso se muoversi a tentoni nel buio o rimanere immobile. Dubitava molto dell'utilità della seconda opzione, ma le gambe parevano diventate due tronchi.

"Forse dovreste vedermi in volto, allora" continuò suadente. "Sulla parete alla vostra destra c'è una torcia. L'acciarino è sul pavimento."

Taron tastò subito la muratura e, individuata la fiaccola, si abbassò a terra, dove le dita incrociarono la familiare forma di un acciarino. Senza perdere tempo, accese il tutto.

Prima di allora, non aveva mai visto un mutaforma. Sapeva che la corte di Everett pullulava di quegli esseri, ma nel corso della permanenza a Feluss non aveva mai avuto modo di osservarli nel loro aspetto originale, nonostante avesse letto e ascoltato svariate descrizioni; il sovrano stesso, una volta, si era premurato di narrargli quanto i mostri avessero giocato un ruolo fondamentale nella ribellione. Tuttavia, nulla l'aveva preparato allo spettacolo che si parò davanti ai suoi occhi. Incatenato ai polsi e alle caviglie, stava l'essere più incredibile che avesse mai visto: il corpo umanoide era ricoperto da sottili scaglie di un verde marcio e privo di peluria; il viso scavato era invece coronato da grandi occhi gialli dalla pupilla allungata, mentre, al posto del naso, erano presenti solo due piccoli fori.

Il mutaforma aprì in un sorriso la bocca priva di labbra, mostrando così una fila di denti affilati e giallastri. "Non mi riconoscete ancora?" gli chiese, per poi scoppiare a ridere. "Limitati, voi uomini siete sempre così limitati."

Taron non rispose, mentre il mostro serrava le palpebre e, dopo pochi attimi, le riapriva, rivelando un paio di anonimi occhi dall'iride scura. "Neppure ora?" chiese, mutando anche la voce, che assunse una sfumatura meno serpentina e più conosciuta.

"Ferdl" sussurrò il giovane. "Quindi i Guardiani avevano ragione sul vostro conto."

"I Guardiani non sanno proprio nulla" replicò, riassumendo le sue forme animalesche. "In fondo, è il motivo per cui siete venuto fin qui nel cuore della notte... o mi sbaglio?"

Taron non mosse un muscolo, mentre l'altro tornava a ridacchiare. "Tutta questa strada, e non aprite neppure bocca? Per caso vi siete imbarcato in una scommessa tra fanciulli?"

"Sto solo cercando di comprendere."

Il mutaforma fece schioccare la lingua sul palato. "Il vostro è un desiderio pericoloso, sapete?" gli disse, socchiudendo gli occhi. "La conoscenza può essere la peggiore delle maledizioni."

"Non mi interessa."

Il mostro continuò a guardarlo, facendogli risalire un tremito che gli scosse il braccio e fece ondeggiare per un attimo la calda luce che illuminava l'ambiente. Taron si maledisse in silenzio, mentre sul volto dell'essere si dipingeva un'espressione vittoriosa.

"Il vostro corpo è più onesto delle vostre parole" constatò. "Cosa potrei mai rivelare di utile a un ragazzino terrorizzato?"

A quel punto, Taron mise da parte ogni timore sopito e si avvicinò al mostro, estraendo il pugnale per puntarglielo alla gola. "Dimmi perché l'hai fatto" sibilò, premendo la lama sulle scaglie. "O giuro sugli dèi che non vedrai una nuova alba."

Il mutaforma, però, rispose alla minaccia solo con una risata roca, che convinse Taron ad aumentare la pressione esercitata; solo quando vide scorrere un leggero rivolo di sangue si rese conto di ciò che stava facendo, tanto da scattare indietro.

"Non pensavo avrei mai più riso così tanto" disse il prigioniero a fatica, mentre alcune lacrime gli scorrevano sulle guance. "Vi meritate una risposta solo per questo" aggiunse. Prese un paio di respiri profondi, ingoiando altre risate, e puntò ancora gli occhi in quelli di Taron, rimasto immobile.

"Dovevo trovare qualcuno tra i Guardiani e attendere" gli disse, leccando una lacrima cristallizzata sulla guancia. "Purtroppo, però, non sono stato in grado di resistere. Riuscite a immaginare quale agonia provassi nel vedere ogni giorno sfilare davanti ai miei occhi quella carne fresca e morbida?"

Taron represse un brivido di disgusto. Strinse invece la presa sullo stiletto e, in guizzo di lucidità, pensò alla figura della madre e a quanto avrebbe odiato ciò che cresceva nel suo animo, se solo fosse stata in grado di vederlo. Rassegnato, decise di riporre l'arma.

"Ho commesso un errore e sarò punito" continuò l'essere, stringendosi nelle spalle. "Ma almeno sono riuscito a trovare chi dovevo, anche se sarebbe bastato così poco per anticipare i suoi desideri." Scosse la testa. "Nonostante tutto, il mio padrone sarà soddisfatto."

"Chi è il tuo padrone?"

Il mutaforma lo squadrò e, con lentezza, mise in mostra le zanne. Taron quasi non si accorse del leggero sussurro con cui aveva risposto alla domanda.

"Oh, ma voi sapete chi è il mio padrone."

Dopo più di una settimana trascorsa tra le mura del palazzo, Nives aveva imparato le regole che tutti, al suo interno, osservavano: alcune erano relative a come comportarsi nei riguardi del Governatore, altre delineavano scansioni ferree del tempo, altre ancora erano riservate solo a lei e alle altre benedette.

Eppure, nonostante il pulsare delle dita, violacee e ancora dolenti, le ricordasse quali sarebbero state le conseguenze del violarne una, aveva deciso che avrebbe esplorato i corridoi nascosti. Rose, dopo il disgraziato pomeriggio trascorso assieme, era riuscita a procurarle un paio di spilloni e una manciata di bottoni, che le aveva consegnato senza porle alcuna domanda; le aveva rivolto solo uno sguardo serio, al quale Nives aveva risposto con un sorriso tirato.

"Abbi fiducia" le aveva detto.

In silenzio, scivolò fuori dal caldo riparo del letto e si buttò sulle spalle un mantello, per poi raggiungere il grosso arazzo che copriva la parete nord. In un gesto scaramantico, passò le dita martoriate sulla figura del drago bianco.

"Aiutatemi."

Dopodiché sollevò il tessuto e scrutò la piccola porta; spinta da una sottile speranza, provò ad aprirla, ma quella si rivelò ancora una volta chiusa. Con un sospiro, prese i due spilloni e si chinò all'altezza della serratura, appena visibile grazie alle braci presenti nei camini; li inserì dentro la toppa e li girò piano, con le dita tremanti e affaticate. Quando viveva nella Cittadella, aveva imparato una simile arte per poter fuggire dalle Guardiane ogni volta che si stufava dei compiti assegnatole; dopo le prime settimane trascorse tra le benedette, tuttavia, aveva smesso di procedere su quella strada pericolosa, che le aveva fatto guadagnare bacchettate sulle dita e svariati schiaffi.

"Per favore..." pensò, tendendo l'orecchio nel caso in cui una delle compagne si fosse svegliata. Non poteva permettersi che un'orfana si accorgesse di ciò che stava tentando di fare, non senza la certezza che ci fosse un vero modo per fuggire.

Strinse la lingua tra i denti e, ignorando il dolore che le risaliva lungo le dita, tornò a concentrarsi sulla toppa. Trattenne il respiro quando, dopo ulteriori tentativi andati a vuoto, la serratura scattò, permettendole di socchiudere la porta e sgusciare in un piccolo e spoglio corridoio di pietra immerso nell'oscurità; senza farsi scoraggiare, tornò nella stanza, raccolse tre candele e corse ad accenderne una nel camino, per poi raggiungere ancora una volta il passaggio.

"Bene" pensò, dopo aver chiuso la porta. "Andiamo."

Iniziò a procedere nel buio, accompagnata dal rumore dei suoi passi e il rapido zampettare degli scarafaggi. Sapeva solo di dover scendere, ma quali fossero le giuste svolte o scale era per lei un mistero; per tale motivo, quando era indecisa su dove procedere, lasciava un bottone a terra per indicare da dov'era arrivata. Tuttavia, davanti all'ennesima rampa di scale che scendeva verso il ventre della terra, sentì salire in lei un moto di sconforto; aveva già consumato una candela e i bottoni, unico modo per tornare indietro, scarseggiavano nella tasca del mantello.

"Forse dovrei lasciar perdere..." mormorò, appena arrivata in fondo agli scalini. Si guardò intorno, e quasi le mancò il fiato quando scorse alla sua destra un lontano bagliore, verso cui si diresse spedita come una falena notturna.

"Oh, dèi...!" pensò, fermandosi davanti a una porticina vicino alla quale era stata lasciata una lanterna. Spense subito la candela e, dopo un secondo di esitazione, socchiuse l'uscio e spiò l'esterno, speranzosa; ciò che l'accolse, però, fu un altro corridoio.

"Ma dove sono finita?" Faticava a riconoscerlo come uno di luoghi in cui aveva avuto modo di muoversi nel corso delle giornate precedenti, né a capire se fosse vicino a una qualche uscita. "Sarà meglio tornare indietro" si disse. "Posso sempre riprovare la prossima notte, anche se Rose..."

Stava ancora riflettendo su cosa fare, quando un rumore di rapidi passi in avvicinamento la mise in allarme; col cuore in gola, tornò subito a nascondersi nel passaggio, pregando che l'altro nottambulo non l'avesse sentita.

"Devo andare via" pensò, afferrando la lanterna. Stava già dirigendosi verso la scala, quando il tonfo della porta che si apriva la congelò sul posto.

"Ma chi...?" sussurrò sorpresa una voce maschile dietro di lei.

Cercando di non tremare, Nives si girò a guardare il nuovo arrivato, conscia che fuggire non sarebbe servito. Quasi le scappò il lume dalle mani quando notò che il giovane davanti a lei era nient'altro che il figlio del Governatore, il cui viso si ricompose subito nella sua memoria accompagnato da disperate urla di allarme – era rovinata e l'avrebbero punita nel peggiore dei modi, non c'era più alcun dubbio.

L'altro, nel frattempo, aveva chiuso la porta e le si avvicinava cauto, coi piccoli occhi scuri velati da una patina di curiosità. Nives, d'altro canto, l'osservò con attenzione, stringendo i denti nel tentativo di non mettersi a tremare: i capelli castani, più lunghi del dovuto, gli lambivano le spalle ampie e disegnavano ombre sottili sul suo volto pallido, dai tratti marcati e coperto da una leggera peluria. Quando le si fermò davanti notò che era più alto di almeno una testa e ben più robusto di quanto le fosse parso in un primo momento, cosa che la fece sentire ancora più piccola. Dèi, perché si era lasciata trascinare da quella folle tentazione?

"La lanterna sarebbe mia" disse intanto il giovane, allungano una mano nella sua direzione.

Nives non si mosse, mentre l'altro le sollevava il braccio e, con un'aria ancor più sorpresa, si chinava a osservarle le dita martoriate; con un moto di rinnovato coraggio, la giovane pensò che avrebbe potuto colpirlo mentre era così vicino e poi fuggire, ma l'atto di ribellione rimase solo in potenza quando lui, spinto da una delicatezza che mal si accordava alla sua figura, le posò un bacio sulle nocche.

"Chi vi ha fatto questo?" le chiese, alzando lo sguardo per osservarla.

Nives si sentì avvampare e rispose con un balbettio sconnesso, confusa dalla piega che stava prendendo la situazione. "I Guardiani. Io ho... Sono stata punita" disse. "Passerà."

Il figlio del Governatore liberò la lanterna dalla sua presa e, dopo un attimo di riflessione, le pose un ulteriore interrogativo. "E cosa ci fate qui a quest'ora della notte?"

"Potrei farvi la medesima domanda."

La giovane si rese conto di quanto una simile risposta potesse suonare insolente e foriera di ulteriori punizioni solo dopo averla pronunciata. L'altro, però, la sorprese ancora una volta, scoppiando a ridere.

"Apprezzo la vostra schiettezza" le disse, portando una mano sotto il mento e osservandola. "Ma non placa la mia curiosità."

Nives rimase in silenzio per una manciata di secondi, riflettendo su ciò che stava accadendo: il fatto che il figlio del Governatore non si mostrasse ostile la confondeva e la rassicurava al contempo, facendo sbocciare l'idea di non essere del tutto perduta. Non ancora, per il momento.

"Non posso rivelarvelo" si decise a dire, per poi dirigersi verso le scale. "Oltretutto, temo che anche voi non siate qui in veste ufficiale" aggiunse, cercando di apparire più sicura di quanto si sentisse. Sapeva di star camminando su un sottile filo di lana, ma non poteva permettersi che l'altro la denunciasse ai Guardiani.

"Siete sempre più interessante, sapete?" replicò il giovane, che aveva iniziato a seguirla. "Non dovrei patteggiare con te, però."

Nives si fermò, per girarsi verso di lui. "Abbandonate ogni formalità senza neppure sapere il mio nome?"

L'altro scrollò le spalle e le rivolse un sorriso difficile da interpretare, cosa che la spinse a girarsi e a riprendere la salita; raggiunse in pochi passi il corridoio superiore e, troppo agitata per far caso alla posizione dei bottoni, camminò spedita verso il nulla, col giovane che la seguiva a distanza di pochi passi illuminandole appena la strada.

"Io conosco il tuo nome" le disse all'improvviso, costringendola a fermarsi nei pressi di un nuovo corridoio. "Nives, come la neve. Sei una delle benedette."

Nives si irrigidì, incapace di capire come comportarsi, mentre l'altro le si parava davanti.

"Oltretutto, pure tu sai chi sono" le fece notare. "Quindi potremmo lasciar perdere simili sciocchezze e tornare al discorso originario, non credi?"

La giovane si morse il labbro inferiore e, dopo un attimo di esitazione, decise di procedere più cauta. "Non dovrei rivolgere la parola al figlio del Governatore."

"Taron, chiamami Taron" le disse. "E fatti aiutare. Le tue mani dicono molto più di quanto facciano le tue labbra."

Nives portò lo sguardo sulle dita che tremavano e, di tanto in tanto, correvano ad artigliarsi al mantello in un gesto del tutto inconscio; le strinse a pugno e tornò a guardare l'altro, che l'osservava di rimando con una dolcezza che aveva del confortante. Rimase in silenzio, non sapendo che dire, mentre l'altro – Taron – sospirava, passandosi una mano tra i capelli folti.

"Sai come tornare alla tua stanza?" le chiese. "Non puoi certo vagare per tutta la notte."

Nives fece per rispondere di sì, ma le parole le morirono in gola quando si rese conto che non c'era alcun bottone a indicare quale svolta prendere tra le due presenti. Nella foga di allontanarsi non si era neppure ricordata di seguire le tracce.

"Dunque?" la incalzò l'altro.

"Non so dove sono" mormorò lei, fissando le punte delle scarpe che s'intravedevano dall'orlo della veste. Sentì le orecchie infiammarsi per la vergogna, tale era la stupidità che stava mostrando.

Taron, intanto, rimase in silenzio per qualche minuto. La giovane portò un paio di volte lo sguardo sul viso dell'altro, immerso in chissà quali riflessioni; pregò con tutta se stessa che non stesse valutando di portarla all'esterno e consegnarla a una guardia, o al Governatore, o ancora peggio alla guardiana che tallonava sempre le benedette.

"Non so nemmeno io come raggiungere le tue stanze" ammise il giovane. "Ma conosco qualcuno che potrebbe aiutarti."

Nives non poté far altro che acconsentire sottovoce e seguire Taron, che subito procedette sicuro tra i corridoi. Ogni tanto la giovane cercava di individuare uno dei suoi segnali, ma durante tutto il tragitto non scorse nessun bottone; non le restò altro da fare che fidarsi del figlio del Governatore, anche se, man mano che si avventuravano nell'oscurità, il timore di aver commesso un'ulteriore sciocchezza le sussurrava tra i pensieri di abbandonarlo e tentare la sorte da sola. Oltretutto, che sarebbe successo se l'avessero sorpresa assieme al signorino? Rabbrividì al pensiero della possibile punizione, mentre il giovane si fermava davanti a una nuova porta e l'apriva, invitandola a entrare con un cenno del capo. Nives accolse la sua richiesta, per ritrovarsi in una camera illuminata dal fuoco del camino, che gettava bagliori rossastri nella penombra.

"Dammi un attimo" le disse l'altro, chiudendo il passaggio. Lo vide sparire dietro un'altra porta, cosa che le lasciò un po' di tempo per studiare l'ambiente circostante: si trovava nella camera da letto del signorino, spoglia e austera come il resto del castello; c'erano solo un letto, un tavolo vuoto e una poltrona vicino al camino sulla quale la ragazza valutò di accomodarsi. Si sentiva stanca fin nelle ossa, sia a causa della lunga camminata notturna intrapresa, sia per tutte le emozioni che l'avevano percorsa da quando aveva abbandonato le lenzuola – ansia, eccitazione, il terrore di essere scoperta, la vergogna davanti al figlio del Governatore...

Stava ancora riflettendo su quanto il comportamento dell'altro si fosse rivelato inaspettato, quando Taron rientrò nella stanza e si andò ad accomodare sul davanzale della finestra.

"Vieni qui" le disse, battendo sulla pietra. "Ho mandato una guardia a chiamare il mio servitore. Ci vorrà un po' prima del suo arrivo."

Nives lo raggiunse cauta. "Vi ringrazio" disse, per poi lanciare un'occhiata alla città di Myrer, ancora addormenta e immersa nel buio.

"Non mi hai ancora detto cosa ci facevi nei corridoi."

"Neanche voi, se per questo."

Il giovane sorrise divertito, scuotendo la testa. "Dèi, non credevo che voi benedette foste così ostinate" constatò, prima di lanciarle un'occhiata penetrante. "Ma se per farti parlare devo rivelarmi io, sia pure: desideravo conversare col mutaforma."

Nives spalancò gli occhi, rendendosi all'improvviso conto del pericolo che aveva corso. "Quindi erano...?"

"Le segrete" confermò l'altro. "Eri a pochi passi da colui che ti ha fatto questi."

La ragazza rimase immobile, mentre Taron allungava la mano per sfiorarle il collo, su cui si intravedevano ancora i marchi lasciati dall'aggressione.

"Una parte di me lo vorrebbe vedere morto a causa di ciò che ha osato fare" aggiunse il giovane, allontanandosi. "Ora tocca a te parlare."

Nives spostò lo sguardo sulle sue dita pallide, dove i lividi spiccavano come macchie d'inchiostro. "Ho compiuto un terribile peccato: dubito" rispose. "Vorrei solo..."

"Scappare?" completò lui, portando lo sguardo sulle mani della benedetta. "Cosa ti hanno fatto?"

Lei scosse la testa e serrò le labbra, decisa a non lasciarsi sfuggire più alcuna parola. Non poteva confermare né smentire la corretta supposizione dell'altro, che nel frattempo la osservava in un modo tale da farle tremare l'animo.

"Neppure tu vuoi che si sappia della tua passeggiata nei corridoi" constatò. "Sai cosa potremmo fare?"

Nives rimase in silenzio e tornò a guardare fuori dalla finestra, da cui si scorgeva il vago profilo dei tetti della Città Vecchia.

"Dovremmo scambiarci una promessa" continuò il giovane, posizionandosi al suo fianco. "Così che se uno dei due rivela ciò che ha fatto l'altro, questo può comunque dirottare la colpa."

Nives si voltò a osservarlo, col cuore che le martellava nelle orecchie. A vederlo così da vicino e sentendolo parlare, poteva comprendere per quale motivo le altre benedette lo tenessero in così alta considerazione – c'era qualcosa che la spingeva a fidarsi di lui, nonostante le sue parole non presagissero nulla di buono.

"Nessuno mi ascolterebbe mai" si risolse a dirgli. "Sarebbero sempre rivolte contro di voi."

"Ho in mente qualcosa che potrebbe rovinarmi" replicò Taron, sorridendole. "E ti ho già chiesto di darmi del tu."

Detto questo si protese verso di lei e le posò un leggerissimo bacio sulle labbra, capace di mozzarle il fiato e lasciarla priva di pensieri.

Fuori, intanto, erano iniziati a cadere i primi timidi fiocchi di neve.

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