Hydrus

Par RebyBnn

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Sono passate delle decadi da quando i dragonieri sono caduti, lasciando la regione di Hydrus nelle mani di Ev... Plus

· Premessa ·
· Personaggi ·
· Mappe ·
Prologo
Prima parte
I: Pioggia
II: Come neve
III: Principio di tempesta
IV: Il consiglio
VI: Anime nobili
VII: Il volere degli dèi
VIII: Idee pericolose
IX: Tentazione
X: Colloquio notturno
XI: Conseguenze
XII: Arrivi
XIII: La cerimonia
XIV: La scelta
XV: Libertà
XVI: Tradimento
XVII: In cammino
XVIII: Spicchi di cielo
XIX: Rivelazioni
XX: A Nord
XXI: A Sud
XXII: L'indomabile
XXIII: Pericoli
XXIV: Fumi di ricordi
XXV: Vendetta
XXVI: Occhio azzurro
Seconda parte
XXVII: Due anni dopo
XXVIII: Lacrime di rabbia
XXIX: Fedeltà
XXX: Il maledetto degli dèi
XXXI: Le isole
XXXII: Dar inizio alle danze
XXXIII: Cospirazione
XXXIV: Partita a carte
XXXV: Non fidarsi
XXXVI: I due alleati
XXXVII: Fuggire
XXXVIII: Mantenere la calma
XXXIX: L'assalto
XL: Premonizioni
XLI: Sogni infranti
XLII: Soffioni
XLIII: Foglie di tasso
XLIV: Piano d'attacco
XLV: Addii
XVLI: A cuore aperto
XLVII: Cambiare pelle
XLVIII: Purificazione
XLIX: Il tempo dell'attesa
L: Feluss
LI: Antichi sospetti
LII: Follia
XLIII: La piazza del mercato
LIV: Un'ultima speranza
LV: Oscurità
Epilogo
· Postfazione, ringraziamenti e quel che resta ·
Grafiche e fanart
· Angolo avvisi ·

V: Rose nere

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Par RebyBnn

Nonostante fosse passata più della metà dei suoi stessi anni, Nives ricordava ancora la notte in cui era stata abbandonata.

Erano gli ultimi giorni di primavera e il caldo era già così insopportabile da costringere gli uomini e le donne della Città Vecchia a chiudersi nei loro palazzi, oppure a farsi trasportare fino alle rive del fiume, disegnando in tal modo una lunga processione di carrozze multicolori. Al contrario, gli abitanti della Cittadella costretti a lavorare languivano sotto i raggi del sole, mentre i più fortunati si rifugiavano presso le fontane, ostacolando il lavoro delle lavandaie; spesso, le discussioni tra le due fazioni degeneravano in lotte dove l'acqua faceva da padrona.

In particolare, però, Nives ricordava l'odore penetrante delle fragole appena maturate, rosse come il naso del padre quando tornava a casa dopo una lunga giornata trascorsa nelle risaie sotto il sole impietoso. Rimembrava anche le voci che passavano di bocca in bocca tra i bambini con cui giocava per strada: i nobili erano in subbuglio, sia per le condizioni della moglie del Governatore, aggravatesi ancora una volta, sia per il fatto che Everett pareva aver scoperto dove si fossero rifugiati gli ultimi dragonieri scampati alla guerra.

Quell'ultima sera aveva chiesto a suo padre cosa fossero i dragonieri. Lui l'aveva guardata con gli occhi verdastri a brillare sul viso abbronzato e poi l'aveva fatta accomodare sulle ginocchia per scompigliarle i capelli.

"Dei semplici uomini" le aveva risposto infine, grattando una delle tante punture di zanzara che aveva sulle braccia.

"E allora perché non piacciono a Everett?" aveva domandato curiosa. Non era mai riuscita a capire cosa avessero fatto di così terribile per meritarsi l'odio di tutta la regione.

"Perché sono stati capaci di domare le due più grandi forze di questa terra: i draghi e il gelo."

Nives era rimasta perplessa. Draghi non ne esistevano quasi più e le avevano detto che i pochi rimasti si erano rifugiati verso sud, sulle isole, e non riusciva a comprendere come fosse possibile soggiogare il freddo. Forse indossando delle pantofole molto calde?

Suo padre si era rifiutato di rispondere alle altre domande con cui l'aveva tartassato e, dopo averle dato un bacio in fronte, l'aveva portata a letto e coperta col lenzuolo, facendo prima finta di essere in mezzo a una tempesta che lo scuoteva fin nelle ossa; coi suoi versi era riuscita a farla ridere fino alle lacrime. Anche sua madre era venuta a darle la buonanotte e le aveva accarezzato i capelli, di un rosso simile al suo, fino a quando non si era addormentata.

La mattina successiva non li aveva più trovati.

Quando si era resa conto che, oltre a lei, erano rimaste solo le fragole raccolte il giorno precedente dalla piantina che tenevano sul davanzale, aveva sentito un freddo pungente risalirle nelle vene. Fuori dalla baracca di legno, la vita di Myrer aveva continuato a scorrere: le lavandaie si erano dirette alle fontane, cariche di nuovi panni, gli uomini erano andati nelle risaie e i bambini avevano iniziato a giocare per le strade.

Nei momenti peggiori, come le lunghe ore della notte in cui non riusciva a prender sonno, le capitava di chiedersi per quale motivo se ne fossero andati, perché avessero deciso di farle soffrire la solitudine. Si attendevano un destino talmente orribile da preferire lasciarla nelle salde e amorevoli mani delle Guardiane? Oppure, la terribile realtà era che non l'avevano mai amata.

"Orfana!" sibilò un guardiano, strappandola dai ricordi. "Procedete più svelta." Accompagnò le parole con una piccola spinta, che la costrinse a riprendere il passo seguito dalle compagne.

Nives tornò a concentrarsi su ciò che le stava intorno - il sentiero fangoso che le sporcava l'abito, il gelo che le mordeva le guance, la sua voce che seguiva senza alcuna reale attenzione la litania funebre - e si lasciò sfuggire anche un'occhiata rapida alla ragazza mandata a sostituire Regn. Le Guardiane, infatti, avevano provveduto nottetempo a riempire il posto vacante con una nuova fanciulla, così giovane in mezzo al resto delle benedette; a vederla, col corpo ancora goffo e i tratti fanciulleschi, pensò avesse tre o quattro anni meno di lei. Continuò a osservarla sottecchi, guardando i corti capelli chiari, le orecchie a sventola e i grandi occhi azzurri e slavati pieni di lacrime, per poi soffermarsi sulle mani ruvide e rosse tipiche delle lavandaie. Dovevano averla scelta perché le orfane ancora sotto la loro protezione erano troppo piccole, mentre le giovani liberate o erano già promesse, oppure erano troppo rovinate dalla povertà.

"Eppure, nessuno la vorrà" pensò, con le labbra che seguivano distaccate il canto della processione. "È stata marchiata a vita."

Infatti, le giovani non incluse nella cerchia delle benedette avevano solo due possibilità davanti a loro: unirsi all'ordine o servirlo. Chi sceglieva la seconda opzione finiva per fare la lavandaia.

"Avrei potuto trovarmi io al suo posto" pensò Nives, continuando a lanciare occhiate curiose alla ragazza che le procedeva a fianco. "Sarebbe stata una bella vita."

Non era un segreto che gran parte delle compagne avrebbe preferito di gran lunga la povertà alla gabbia dorata in cui erano state costrette. La mattina in cui una vecchia guardiana, dalla pelle sottile come carta velina e la voce leggera come la pioggia estiva, le aveva comunicato di essere stata scelta dei Guardiani, Nives aveva pensato a un brutto scherzo - le era sempre parso scontato che sarebbe diventata una lavandaia, e lei stessa sapeva bene che avrebbe intrapreso con gioia una simile strada di fatiche e privazioni, ma libera da costrizioni. Gli dèi, però, avevano mosso i fili del destino in modo diverso.

"E ora sono qui a cantare per loro."

Seguì il resto della processione alla ricerca delle note più alte, che si dispersero nelle risaie vicine, nel terreno gelato e nell'aria resa cupa dal cielo plumbeo, riscaldato solo da alcuni sottili raggi di sole che, talvolta, riuscivano a rompere la coltre carica di pioggia.

La solitudine della natura cristallizzata dall'inverno era rotta solo da qualche corvo solitario che si aggirava sul nudo suolo, quasi stesse aspettando il momento giusto per gettarsi a divorare il cadavere che presto avrebbero adagiato sul fiume.

"È Regn" si ripeté Nives. "Non dimenticarlo mai."

Nei due giorni precedenti, una parte di lei non aveva avuto il coraggio di affrontare ciò che era accaduto, rifugiandosi ancora nell'idea che, a un certo punto, si sarebbe svegliata e avrebbe scoperto di essere rimasta intrappolata in un incubo. Eppure, la verità era tutt'altra: Regn era morta e l'unico appiglio capace di farla ancora sentire viva era sparito con lei. Aveva passato le notti a piangere, incapace di sopportare il senso di vuoto che era tornato a premerle in petto. Se fosse morta anche lei, tutto sarebbe stato così diverso...

Si ritrovò a pensare che non avrebbe voluto dire addio al mondo nell'abbraccio dell'acqua, laddove sarebbe stata preda di pesci e corvi, né sotto fangose coperte di terra, che nascondevano lunghi vermi capaci di scavare nella carne, bensì tra il calore del fuoco. La sua cenere sarebbe volata libera come mai era stata lei in vita.

Rapita da quei pensieri cupi, continuò ad avanzare cantando.

Una sottile colonna di rose nere. Taron le aveva viste spiando dalle finestre delle sue stanze.

Senza stare troppo a pensare se fosse la cosa giusta da farsi, né a preoccuparsi delle possibili reazioni del Governatore, aveva deciso di accogliere l'idea folle che gli era balenata in mente appena aveva scorto le orfane; si era fatto portare da Blas dei vecchi abiti di uno stalliere ed era sgusciato fuori dal palazzo grazie ai passaggi usati dalla servitù, per poi inseguire le giovani fin nella Cittadella, dove si trovava la sede femminile dei Guardiani. Lì non aveva potuto far altro che attendere il comporsi della processione appoggiato al muro di una casa, con le mani cacciate sul fondo dei calzoni e la pelle del viso sempre più tirata a causa del freddo pungente. Quando le orfane erano uscite, Taron aveva iniziato a perdere la sensibilità delle dita e del naso, nonostante avesse più volte provato a riscaldarsi soffiandoci sopra il suo stesso fiato.

"Idiota" pensò, osservando il colore violaceo assunto dalla pelle prima di ricacciarle nelle tasche. "Non ti sei fatto dare neppure un paio di guanti."

Tenendosi il più possibile in disparte, si unì al piccolo gruppo di uomini e donne che avevano iniziato a seguire il corteo; cercò di non dar peso al puzzo che emanavano, così come di non soffermarsi troppo sui loro visi incrostati dallo sporco e sugli abiti che indossavano, lerci e più leggeri dei panni che gli aveva procurato Blas. Per un attimo, colpito dal senso di fatiscenza che si respirava per le vie della Cittadella, si chiese come facessero a sopravvivere in condizioni simili, ben diverse da quelle a cui era sempre stato abituato.

"Intanto mio padre non fa niente" pensò, continuando a scrutare avido tutti i dettagli che gli scivolano sotto gli occhi. Le lavandaie piegate su vasche d'acqua gelata o vicino a un'altra da cui uscivano caldi sbuffi di vapore, il rotolarsi di un paio di cani randagi nel fango, uomini intenti a ricostruire una baracca crollata... Solo quando uscirono dalla porta principale tornò a concentrarsi sulla processione. Esclusa una ragazza, che precedeva la salma accompagnata da un vecchio guardiano, le altre la seguivano in coppia, circondate dal resto degli uomini; tutti mormoravano all'unisono una litania soffocante, capace di fargli salire nuovi brividi lungo gli avambracci.

Di certo una simile reazione era dovuta al fatto che non si era mai troppo interessato alla religione professata dai Guardiani. Suo padre, oltre a disprezzare l'ordine spirituale, era sempre stato troppo impegnato anche solo per provare a inculcargli un minimo di vocazione, mentre sua madre, costretta a letto dalla malattia, non aveva mai potuto spingersi oltre a lacrimevoli conversazioni sulla vecchia religione; l'unico che aveva tentato di insegnargli qualche preghiera era stato Blas, ma i suoi goffi tentativi non aveva mai convinto Taron.

Il trasferimento presso la corte di Everett era stato il colpo di grazia. Nonostante la capitale si piegasse al volere degli dèi e il sovrano stesso fosse considerato da loro benedetto, la corte si era rivelata più atea di quanto si sarebbe mai aspettato. A Feluss aveva imparato a combattere con la spada, letto alcuni tra i più antichi testi esistenti, parlato col sovrano quando gli era stato possibile, corteggiato qualche dama e scappato a esplorare le vie della città quando ce n'era stata l'occasione, ma non aveva mai pregato - non per sua spontanea volontà, almeno. Everett odiava le perdite di tempo, e lodare gli dèi più volte al giorno era una delle più grandi. Oltretutto, colui che aveva scardinato il perfetto e precedente sistema che governava Hydrus non aveva bisogno che del suo stesso pugno di ferro per reggere il pesante scettro del comando.

Influenzato da quegli eventi, Taron aveva semplicemente smesso di pensarci.

"Ma cosa dicono?" chiese una donna vicino a lui, con la fronte corrugata.

Un giovane dai capelli biondi poco lontano alzò le spalle, tirando su col naso. "Di certo qualcosa riguardo a quanto sia bella la vita da morti."

"Stupidaggini da Guardiani" rincarò un vecchio che camminava poco più avanti, per poi sputare. Cencioso, trascinava il piede destro sul terreno. "Lo dicono solo perché non sanno godere della vita."

"Fossi io ricca come loro..." mormorò una ragazza dietro di lui.

Taron, dopo essersi calato meglio il berretto sul viso, aguzzò le orecchie, curioso di capire quali mormorii animassero coloro che sarebbero stati i suoi diretti sudditi. C'era una sorta di piacere proibito nel pensare che nessuno lo riconoscesse e che potesse, quindi, raccogliere pettegolezzi che mai avrebbe potuto sentire.

"Qualcuno sa com'è morta?" chiese ancora la donna al suo fianco. Taron distolse lo sguardo quando si accorse dell'occhiata incuriosita che gli aveva riservato.

Il giovane biondo si avvicinò a lei, prendendola sottobraccio per catturarne l'attenzione. "È stata uccisa..." le disse a un palmo dal naso, facendo però attenzione a farsi udire anche dal resto della seconda processione formatasi. Tale affermazione fu accolta da un coro di fischi meravigliati ed esclamazioni di vario tipo.

"Hanno ammazzato una delle loro?"

"Schifosi!"
"Altro che protetti dagli dèi..."

"Ma no!" esclamò il giovane con un'espressione compiaciuta. "È stato un mutaforma."

Taron quasi si lasciò sfuggire un verso di sorpresa, ma per fortuna ebbe la lucidità di mordersi la lingua. Com'era possibile che fossero venuti a conoscenza di ciò in così poco tempo?

"Come fai a saperlo?" chiese il vecchio di prima, lanciando al contempo un'occhiata a Taron. "Non sei certo uno da Città Alta, tu."

Il ragazzo scrollò le spalle. "Mia sorella fa la lavandaia" rispose. "I servi dei nobili non sono bravi a tenere la bocca chiusa. E ora sarà meglio sbrigarsi, o perderemo la cerimonia."

Il gruppetto aumentò l'andatura, lasciando così a Taron la possibilità di rimanere di qualche passo più indietro; aveva la sgradevole sensazione che il vecchio avesse intuito qualcosa su di lui, e non voleva rischiare di venire smascherato in pubblico. Al ritorno sarebbe passato attraverso le risaie secche.

Intanto, la processione aveva imboccato un piccolo sentiero tracciato nella fitta macchia di canneti e sterpi che limitavano il fiume, di cui si poteva sentire il rumore dello scorrere delle acque, gonfie a causa delle recenti piogge. Continuando a seguire da lontano i movimenti degli altri, Taron si infilò in un punto più riparato da cui, però, riusciva comunque a osservare cosa stesse accadendo: i guardiani e le orfane si erano fermati sulla sponda sassosa e si erano divisi in tre gruppi - gli uomini che reggevano la portantina col cadavere da una parte, le orfane da un'altra, e i restanti in un'ulteriore punto. Implorando gli dèi di accogliere la loro protetta tra le fila dei giusti e dei benedetti, i primi mossero qualche passo nelle acque torbide del fiume; solo quando si ritrovano bagnati fino alle ginocchia depositarono il corpo e tornarono indietro, sostenuti dal dolce canto delle fanciulle.

Taron guardò la zattera improvvisata venir afferrata dalle correnti e trascinata a fondo. Solo quando anche il viso pallido della morta, pari a un cumulo di neve cristallizzato, venne inghiottito, si concesse di tornare a concentrarsi sul resto.

"Quelle puttane potrebbero stare zitte" mormorò rabbioso un uomo.

Inorridito, Taron notò come molti altri annuissero davanti a simili parole, sussurrando insulti pieni d'odio che mai si sarebbe aspettato di udire.

Il vecchio tornò a catturare l'attenzione di tutti. "Guardate! Hanno finito" disse, indicando con un cenno del capo i guardiani che si ricomponevano in una fila, pronti a tornare in città.

Dal gruppo si levarono nuovi commenti.

"Tutto qui?"

"E io che ho lasciato la bottega nelle mani di mio figlio..."

"Tanto freddo per niente!"

Quel vociare da mosche si ridusse al silenzio più assoluto quando la processione sfilò davanti a loro, coi guardiani intenti a scambiarsi parole preoccupate e le orfane, in silenzio, a proseguire con lo sguardo basso e il volto rigato dalle lacrime. Taron osservò la figura di Nives col cuore in gola, reprimendo il desiderio malato di correre da lei e di asciugarle il viso pallido e marchiato dalle occhiaie; solo quando sparì, si decise a camminare tra gli sterpi, mentre una parte di lui si malediceva per l'ulteriore debolezza mostrata.

Una voce lontana, però, gli cristallizzò i pensieri, spiazzandolo.

"Maledette puttane. Che muoiano tutte."

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