Hydrus

By RebyBnn

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Sono passate delle decadi da quando i dragonieri sono caduti, lasciando la regione di Hydrus nelle mani di Ev... More

· Premessa ·
· Personaggi ·
· Mappe ·
Prologo
Prima parte
I: Pioggia
II: Come neve
IV: Il consiglio
V: Rose nere
VI: Anime nobili
VII: Il volere degli dèi
VIII: Idee pericolose
IX: Tentazione
X: Colloquio notturno
XI: Conseguenze
XII: Arrivi
XIII: La cerimonia
XIV: La scelta
XV: Libertà
XVI: Tradimento
XVII: In cammino
XVIII: Spicchi di cielo
XIX: Rivelazioni
XX: A Nord
XXI: A Sud
XXII: L'indomabile
XXIII: Pericoli
XXIV: Fumi di ricordi
XXV: Vendetta
XXVI: Occhio azzurro
Seconda parte
XXVII: Due anni dopo
XXVIII: Lacrime di rabbia
XXIX: Fedeltà
XXX: Il maledetto degli dèi
XXXI: Le isole
XXXII: Dar inizio alle danze
XXXIII: Cospirazione
XXXIV: Partita a carte
XXXV: Non fidarsi
XXXVI: I due alleati
XXXVII: Fuggire
XXXVIII: Mantenere la calma
XXXIX: L'assalto
XL: Premonizioni
XLI: Sogni infranti
XLII: Soffioni
XLIII: Foglie di tasso
XLIV: Piano d'attacco
XLV: Addii
XVLI: A cuore aperto
XLVII: Cambiare pelle
XLVIII: Purificazione
XLIX: Il tempo dell'attesa
L: Feluss
LI: Antichi sospetti
LII: Follia
XLIII: La piazza del mercato
LIV: Un'ultima speranza
LV: Oscurità
Epilogo
· Postfazione, ringraziamenti e quel che resta ·
Grafiche e fanart
· Angolo avvisi ·

III: Principio di tempesta

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By RebyBnn

All'interno del palazzo di Myrer esisteva un blocco di stanze in cui Taron cercava di non mettere mai piede: gli appartamenti del padre. Il timore che provava nei loro confronti risaliva a quando era ancora un piccolo scricciolo pelle e ossa capace solo di infilarsi nei guai, in quanto veniva convocato in quel luogo quando Elias si ricordava di avere un figlio a cui badare; lì era stato punito incalcolabili volte a suon di ceffoni, male parole e addirittura da calci. Nel malaugurato caso in cui avesse anche perso del sangue, Taron veniva costretto a pulire i pavimenti fino a quando non aveva le mani piagate.

Crescendo aveva imparato a evitare le ire del padre, o nascondendo le sue marachelle, oppure rintanandosi nei tanti corridoi segreti usati dalla servitù per muoversi tra le stanze del palazzo. Dal suo viaggio a Feluss, poi, le punizioni erano cessate, ma Taron faceva ancora fatica a pensare alla stanza senza che le mani non gli facessero male.

Al momento, oltretutto, il leggero timore che provava era acuito dal fatto che non riusciva a capire per quale motivo fosse stato convocato. Il paggio che l'aveva chiamato non gli aveva spiegato alcunché e il padre, dopo avergli aperto la porta, l'aveva condotto nello studio senza rivolgergli alcuna parola, per poi lasciarlo solo. Taron non aveva potuto far altro che attenderne il ritorno, lanciando occhiate rapide all'ambiente circostante in cui il disordine regnava sovrano: carte sparse in ogni angolo, libri aperti buttati a terra o impilati sugli scaffali che coprivano due delle pareti, coppe di vino abbandonate, tappeti sporchi di fango, ciocchi di legno accatastati in malo modo vicino al camino e negli angoli... neppure la scrivania era in ordine, coperta com'era da pergamene e inchiostro.

"Siediti pure."

Suo padre entrò nello studio a grandi passi con una caraffa in mano e gli indicò una sedia rovesciata a terra, che subito Taron si premurò di raccogliere e posizionare davanti alla scrivania. Rimase in silenzio anche quando l'uomo si versò del vino in una coppa, per poi sorseggiarlo con calma.

"Cosa sta facendo?" pensò Taron, mentre l'altro schioccava le labbra umide e riempiva di nuovo il calice. "Perché questa sceneggiata?"

Il Governatore, forse intuendo i pensieri del figlio, gli fece segno di stare zitto, per poi grattarsi la folta barba grigia che gli incorniciava il volto squadrato e segnato dal tempo. "Dèi, perché mi trovo in una situazione simile?" borbottò, abbandonando la coppa sul tavolo. Alzò lo sguardo su di lui, scrutandolo con quegli occhi scuri così simili ai suoi.

"Padre, perché mi avete convocato?" gli chiese, incapace di trattenersi oltre. Prima avessero affrontato l'oggetto della conversazione, prima avrebbe potuto tornare ai suoi doveri e abbandonare la stanza maledetta.

"Negli ultimi tempi ho sentito correre delle strane voci riguardanti delle tue abitudini... voci non proprio lusinghiere" gli rispose il Governatore. "Ho provato a parlarne con Blas, così da evitare a entrambi un confronto simile, ma noto con dispiacere che sei refrattario a qualsiasi buon consiglio."

Taron sospirò e fece per aprir bocca, ma l'uomo lo fulminò con lo sguardo, costringendolo a rimanere in silenzio. Se non altro, aveva compreso il motivo della convocazione.

"A questo punto, non mi resta che ordinarti in veste di tuo signore di non mettere più piede nella sede dei Guardiani" concluse il padre, incrociando le braccia sopra il ventre prominente. "E ora sei libero di andare. Non ho intenzione di ascoltare patetiche scuse."

"Ma..."

Il Governatore batté un pugno sul tavolo. "Cosa non comprendi delle mie parole?"

"Sono sorpreso che tu dia più peso alle malelingue che alle mie dichiarazioni o a quelle del mio servitore" replicò Taron con la mascella contratta. "Non vedo dove sia il peccato nell'andare nella biblioteca dei Guardiani."

"Ma tu non vai in biblioteca."

Taron sbuffò. "Non capisco perché ti paia così incredibile" disse, incrociando le braccia. "L'acculturarsi non è ancora vietato, per quanto ne sappia."

"Acculturarsi su cosa?" gli chiese il padre, squadrandolo con aria quasi bonaria. "Non ti sono bastati gli anni a Feluss?"

"La mente è come un braccio: se non la alleni, si infiacchisce" replicò il giovane. Si concesse di lanciare all'altro uno sguardo di derisione, soffermandosi sul grasso che gli copriva l'addome. "E, per rispondere al tuo quesito, sui più svariati argomenti: trattati religiosi, creature, storia, tecniche militari..." elencò, per essere subito interrotto dalla risata squillante del Governatore.

Taron rimase in attesa, mentre il padre si versava dell'altro vino e, ancora sogghignante, lo scolava rapido, lasciandone colare un po' sulla barba.

"Allora?"

Elias si asciugò con la manica dell'abito. "La pace regna su tutta Hydrus. Non te l'ha detto il sovrano nel periodo in cui hai soggiornato a Feluss?"

"Non vedo cosa ci sia di esilarante" gli rispose Taron, il tono velenoso. "Se gli dèi vorranno, la mia vita si stenderà ancora lunga, quindi ritengo giusto essere preparato a poter difendere la mia gente in caso di necessità."

"Apprezzerei di più se ammettessi la verità" replicò però il Governatore, allungandosi verso di lui con le mani piantate sulla scrivania. "Nonostante non sia un bene fantasticare sulle benedette degli dèi."

Taron si morse la lingua, incapace sia di mentire, sia di piegarsi al padre. Anche se gli avvenimenti dei giorni precedenti l'avevano portato a relegare in un angolo il pensiero dell'orfana, la notte ne immaginava lo stesso il viso sfocato; solo il ricordo della madre faceva sfiorire qualsiasi desiderio, sostituendolo con un senso di colpa tale da fargli salire le lacrime agli occhi. Gli dèi, infatti, parevano aver trovato come unico modo per punirlo far aggravare la malattia che affliggeva la donna da anni.

Quando era corso da lei quel fatidico pomeriggio, l'aveva trovata piegata dal dolore all'addome. Le aveva stretto la mano, asciugato la fronte grondante di sudore, e aveva atteso che il medico arrivasse, sussurrandole di non aver paura, che tutto sarebbe andato per il meglio; era rimasto al suo fianco anche dopo l'arrivo dell'uomo, che aveva provato ad attenuare le sue pene con un'incisione alla parte interessata, in modo tale da far uscire il sangue cattivo. Aveva lasciato il capezzale solo a tarda notte, quando Ethel si era lasciata cullare in un sonno profondo; immersa nei sogni le era parsa fragile come vetro, con la pelle pallidissima, solcata da vene violacee sul punto di scoppiare, e i capelli biondi e radi scompigliati sui cuscini, il volto ancora piegato in una smorfia. Aveva incrociato il padre sulla soglia della stanza, ma non si erano scambiati alcuna parola di conforto, né l'avevano fatto poi. Sapevano entrambi di non meritarlo.

"Taron."

La voce del Governatore, ora sottile come un alito di vento, lo riscosse.

"So cosa vai a fare. Non sono l'uomo adatto a farti una predica, ma, se davvero non vuoi seguire i miei ordini, prova a pensare al dispiacere che daresti a tua madre se lo venisse a sapere" gli disse, guardandolo negli occhi. "Le malelingue non avrebbero pietà neppure della sua perpetua sofferenza. Non puoi farle del male anche tu... sappiamo entrambi che potrebbe spezzarla per sempre."

Se solo il padre fosse stato un uomo diverso, Taron avrebbe dato ascolto a una simile dichiarazione a cuore aperto e, forse, si sarebbe addirittura spinto ad abbracciarlo e a confidargli i suoi timori. Tuttavia, sapeva che l'uomo seduto davanti a lui non meritava compassione: le sue scappatelle con alcune delle dame della corte di Myrer erano note a tutti, così come la pigrizia e l'indolenza per tutto ciò che non fosse del buon vino.

"Come hai appena detto, non sei mai stato e non sarai mai l'uomo adatto" sibilò, stringendo i pugni sulle ginocchia. Avrebbe tanto desiderato sputargli in faccia, ma non poteva mancargli di rispetto fino a tal punto.

"Ma... Taron..."

Il giovane gli fece segno di stare zitto e si alzò, per nulla impietosito dal velo di lacrime che aveva avvolto l'ultimo gemito. "Taci" disse solo, con l'animo agitato da una mistura di rabbia e tristezza che lo portava a desiderare di poter urlare a squarciagola. "Forse non sono il migliore degli uomini, ma di certo lo sono più di te."

Detto questo uscì dalla stanza, deciso ad abbandonare per sempre il pensiero dell'orfana.

Nives, inginocchiata con gli occhi chiusi sulle dure pietre della cappella, ascoltava.

La lenta litania dei guardiani l'assorbiva del tutto nella preghiera serale, capace a sua volta di permetterle di riflettere sulle lunghe e monotone giornate che era costretta a sostenere, diventate ancor più pesanti dopo l'annuncio di Ferdl. Infatti, più i giorni scorrevano, più i protettori caricavano lei e le altre orfane di nuovi doveri, sottolineando ogni errore e ricordando loro che non potevano permettersi di macchiarsi di un qualsiasi peccato, non quando l'arrivo del sovrano si avvicinava sempre di più. Dovevano essere perfette nell'animo e nel corpo. Nives aveva ormai rinunciato all'idea di dormire, l'ansia che le impediva di chiudere occhio, mentre alcune delle compagne si scioglievano in lacrime davanti al più piccolo dei rimproveri.

"Dèi, fate che questa tortura finisca il prima possibile" pensò, mentre le labbra seguivano da sole le parole della litania pronunciata da tutto l'uditorio. Sentiva la testa pesante e la mente, di tanto in tanto, sbandava verso il nulla, invitandola ad abbandonarsi all'oblio del sonno perso.

Percepì accanto a sé un corpo che si inginocchiava, seguito da alcune parole bisbigliate con urgenza, cosa che la costrinse a tornare a concentrarsi.

"Orfana Nives, sapete dove si trova l'orfana Regn?"

La giovane scosse il capo, gli occhi ancora chiusi nel tentativo di apparire immersa nella supplica agli dèi.

"Le vostre compagne affermano che siete l'ultima ad averla vista" replicò l'uomo in un sussurro seccato. "È bene che non perda la conclusione della preghiera serale."

Nives aprì gli occhi e girò appena il capo, così da poter osservare il guardiano che, a sua volta, la scrutava con una smorfia infastidita. "Sono al vostro servizio" mormorò, trattenendo un sospiro. L'ultima cosa che desiderava era dover assistere alla punizione che sarebbe di certo stata riservata a Regn, ma non poteva opporsi al volere dell'uomo.

"Seguitemi."

Nives fu costretta ad alzarsi e a tallonarlo fuori dalla cappella, in cui tutti i presenti avevano iniziato a cantare per gli dèi, alzandosi nel medesimo istante: chiedevano pace, salute e pietà per il prossimo, piegandosi al contempo a qualsiasi sarebbe stata la volontà degli esseri superiori.

Appena misero piede nel corridoio che collegava il corpo centrale della costruzione, adibito alla preghiera, al chiostro, attorno al quale sorgevano invece i dormitori, la biblioteca e le mense, l'uomo si fermò per rivolgerle la parola.

"Dove l'avete incontrata l'ultima volta?" le chiese, aggiustando la cinta da cui pendeva uno spadone e un mazzo di chiavi.

"Le ho parlato dopo cena: mi ha riferito che voleva trascorrere il poco tempo rimastole a ripetere i salmi serali in biblioteca. Io avevo il turno in cucina."

Il guardiano borbottò qualcosa sottovoce e riprese a camminare, i passi che rimbombarono nel silenzio della sera. Nives gli corse dietro, la testa che intanto rimembrava gli avvenimenti dell'ora precedente: lei aveva provveduto a sparecchiare e pulire le stoviglie usate durante il pasto assieme ad alcune guardiane rimaste nella Città Vecchia al calar del sole; il ramo femminile dell'ordine, infatti, aveva sede nella Cittadella, così da poter aiutare i più bisognosi distribuendo cibo a chi non ne aveva, curando i malati e ospitando i senzatetto. Nives aveva vissuto per qualche anno assieme alle compagne nel vecchio edificio in pietra, incassato tra le mura esterne e le baracche degli abitanti; dopo essere stata accolta tra le benedette, però, aveva dovuto abbandonare la nuova casa, entrando in un mondo più freddo e ostile - i guardiani mancavano del tutto della rigida dolcezza materna a cui era stata abituata.

"Orfana" la richiamò l'uomo, di molti passi avanti a lei, costringendola ad abbandonare i ricordi. "Più rapida."

Nives annuì e lo raggiunse con una corsa. "Perdonatemi l'ardire, ma posso domandarvi qual è la causa di tale affanno?" gli chiese, seguendolo sotto i portici del chiostro.

"Ci è stato riferito che la salute della moglie del Governatore è peggiorata" disse il guardiano, fermandosi davanti alla spessa porta della biblioteca. "Dobbiamo tutti pregare al fine di aiutarla a vivere ancora a lungo, non credete?"

Nives mormorò un "Sì" a mezza voce, non del tutto convinta che gli dèi si sarebbero scomodati grazie a ulteriori e vuote richieste. L'uomo, intanto, provò ad aprire l'ingresso senza alcun successo.

"Vorrei capire chi ha chiuso la porta! Sapevano sarei dovuto passare dopo le preghiere serali" sbuffò infastidito. "Pensate possa essersi diretta nel dormitorio?"

"A dire il vero, non lo ritengo molto probabile..." rispose Nives poco convinta. La solleticò giusto per un attimo l'idea che potesse essere andata a incontrare il figlio del Governatore, ma scacciò il pensiero; per quanto Regn fosse disperata, non si sarebbe mai esposta contro le regole dei Guardiani.

L'uomo, nel frattempo, aveva sganciato il mazzo di chiavi dalla cintola per cercare quella corretta; con un'esclamazione, la sollevò trionfante e aprì la porta, il cui tremendo cigolio fece accapponare la pelle a Nives. Sbirciarono entrambi all'interno, che appariva loro buio.

"Sarà nel dormitorio" concluse l'uomo, chiudendola. Un tonfo proveniente da dietro gli scaffali, però, congelò la sua azione, mentre Nives si ritrovò a trattenere il fiato.

Si scambiarono una rapida occhiata prima che il guardiano accendesse la lanterna appesa sopra l'uscio e si avventurasse nella biblioteca.

"Che sia stata male?" suggerì Nives, intimorita dal pesante silenzio. Fece vagare lo sguardo sugli scaffali colmi di libri, alcuni dei quali piegati sotto il peso che erano costretti a sopportare, e tese ancor di più l'orecchio, nel tentativo di cogliere un nuovo rumore.

"Mi pare che da quella parte provenga una luce" replicò l'uomo, indicando con un cenno del capo la fine del corridoio creato dalla scaffalatura. "Forse avete ragione."

Si affrettarono, Nives col cuore che le batteva in gola, rendendole difficile respirare. L'uomo, però, si fermò all'improvviso, un tintinnio metallico che ruppe il silenzio; si chinò per terra e, allibito, sollevò davanti a lei un mazzo chiavi. "Ma com'è possibile...?" mormorò, con una voce che tradiva una preoccupazione di gran lunga maggiore di quella mostrata sul volto florido.

Con uno strano presentimento nel cuore, la ragazza accelerò il passo fino a raggiungere la fonte della luce, abbandonata su un tavolo dedicato alla lettura.

Quando i suoi occhi incontrarono quelli ormai vuoti di Regn per poco non urlò.

Il corpo dell'amica, illuminato da un cerino sul punto di spegnersi, giaceva abbandonato su un banco, la veste bianca strappata e sollevata fino all'addome che lasciava scoperte le gambe pallide e incrostate del sangue argenteo tipico dei coral; un braccio pendeva inerte verso il basso, mentre l'altro giaceva sul ventre piegato in modo innaturale.

Nives rimase paralizzata dal terrore, lo sguardo di Regn velato da una disperazione che le rivoltò lo stomaco e la spinse a indietreggiare fino a quando, con un tonfo, andò a scontrarsi col guardiano.

"Dèi..." mormorò l'uomo con voce rotta. La scostò con delicatezza e si avvicinò con fare circospetto al corpo martoriato, mentre nuove imprecazioni si alternavano sulle labbra.

Nives, nel frattempo, chiuse gli occhi e si piegò sulle ginocchia, nel tentativo di placare un terribile capogiro. Non era possibile. Forse era solo un incubo. Riusciva ancora a vederla davanti a lei dopo cena, quando l'aveva salutata con un sorriso, scompigliandole i capelli ramati in un gesto affettuoso; sentiva ancora la sua risata e il calore degli abbracci.

Stava sognando, non c'era altra soluzione.

Provò a raddrizzare la schiena, certa che la scena davanti ai suoi occhi fosse già cambiata, ma delle mani le strinsero il collo, costringendola a boccheggiare nel vano tentativo di respirare. Provò a divincolarsi, le lacrime che subito avevano iniziato a correrle sulle guance, ma la sua agitazione fu solo in grado di far cadere un paio di libri dallo scaffale.

Bastò quello perché il guardiano, ancora chinato sul corpo di Regn, si accorgesse della situazione; con uno scatto fulmineo, sguainò la spada e corse verso di lei, per poi affondare l'arma nel fianco dell'aggressore. La mano che la imprigionava si aprì, lasciandola cadere a terra.

"Essere schifoso!" urlò l'uomo, inseguendo l'altro che, nel frattempo, si era lanciato in una corsa convulsa tra gli scaffali.

Nives singhiozzò, l'aria che le bruciava nei polmoni ogni volta che inspirava, e si costrinse ad alzarsi con le mani che ancora le tremavano, giusto in tempo per vedere il guardiano avventarsi contro l'aggressore con un grido; riuscì a bloccarlo a terra con un piede, puntandogli la spada alla gola.

"L'allarme!"

Ancora annebbiata dalla confusione, Nives si precipitò fuori dalla stanza, sbandando sugli scaffali; appena il gelo della sera la colpì in viso, si costrinse a fare uno scatto fino all'ingresso del chiostro, dove era posta la campana da usare solo in caso di emergenze. Iniziò a suonarla e, in pochi minuti, si trovò attorniata da uno stuolo di guardiani.

"In... in biblioteca, in biblioteca" balbettò in preda al panico, indicando la porta spalancata. "Regn è stata... un vostro confratello ha bisogno di aiuto..."

Chi era armato si precipitò subito verso la stanza, mentre i più anziani le rimasero al fianco. A un certo punto arrivarono anche le compagne, che la strinsero in un abbraccio collettivo a cui lei si abbandonò senza riserva, scossa dai singhiozzi.

"Bambina, chi ti ha lasciato quei segni neri sul collo?" le chiese uno dei vecchi, impossibilitato alla corsa e al combattimento a causa dell'artrite.

Nives, ancora aggrappata alle orfane, lo guardò scuotendo la testa.

"Non lo so."

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