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By leavesofwilde

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Harry Styles ha deciso che la vita non ha più alcuna importanza. Rinnega le emozioni, concedendo tutto se ste... More

Prologo
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Epilogo

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By leavesofwilde

Please, Please, Please, Let Me
Get What I Want - The Smiths
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Harry dice la verità.

La mattina del ventiquattro gennaio, Harry si svegliò aprendo gli occhi a fatica, stringendo le palpebre quando un raggio di sole colpì le iridi assonnate, per poi voltarsi dal lato opposto e nascondere il viso nel cuscino. Sospirò profondamente, lasciando che il tessuto delicato accarezzasse il suo viso e permettendo alle coperte morbide avvolte intorno alle gambe magre di scaldare il suo corpo. Quando cominciò a battere lentamente le palpebre, stiracchiandosi leggermente e brontolando nel materasso, si rese conto di trovarsi in un letto vuoto.

Una sensazione che conosceva fin troppo bene.

Eppure, quel giorno, facendo scivolare la mano sulle lenzuola, Harry sentì un'ombra di calore avvolgere le dita sottili, baciandone i polpastrelli e cullandone il dorso. Al suo fianco, il cuscino era ancora caldo, morbido come l'erba fresca, e profumava di tabacco ed occhi blu. Sorrise nascondendo il viso, stringendo la presa intorno a quel punto così caldo.

Louis si era alzato da poco. Non l'aveva lasciato per tutta la notte.

Tentò di mettersi a sedere, arrancando un poco, sentendo la schiena e le ginocchia piacevolmente doloranti, sogghignando tra sé e sé quando ripercorse gli eventi di sole poche ore prima. Si stropicciò gli occhi ancora accartocciati, facendo poi cadere le braccia sulle gambe coperte e voltandosi da un lato, osservando il punto vuoto, ma ancora caldo, al suo fianco. Si corrucciò leggermente quando notò un piccolo pezzo di carta in fondo al letto, alzandosi di poco per avvicinarsi quanto bastava. Nel momento in cui lo prese tra le mani, un timido sorriso fece capolino sul suo volto, e le labbra si arricciarono così tanto da rischiare di non riuscire a muoversi mai più.

'Non volevo svegliarti.
Sei così bello quando dormi.
L'

Harry non riuscì ad impedire al proprio corpo di collassare su se stesso, cadendo all'indietro e schiacciando la schiena nuda contro il materasso, coprendosi il viso con le mani, senza mai lasciare andare il bigliettino, ripiegato tra le lunghe dita. Si sentì soffocare una risata imbarazzata, lusingata, timida e sincera, quasi come quella di un bambino, sonora e felice. Sentì le mille farfalle nel suo stomaco spiccare il volo tutte insieme, perdendosi tra loro e colorando il suo corpo di tutte quelle cose che non avrebbe mai pensato di provare.

E quel punto caldo al suo fianco sussurrava il suo nome.

Venne distratto quando sentì un mormorio sommesso provenire dal piano inferiore, e solo quando spostò le mani dal volto notò la porta socchiusa. Ingoiò l'ennesimo sorriso, mordendosi il labbro, per poi scostare le coperte e raccogliere i propri indumenti da terra, vestendosi velocemente e nascondendo il bigliettino nella tasca posteriore degli skinny logori. Sbadigliò rumorosamente mentre si dirigeva verso la porta, sbirciando nel corridoio per capire meglio cosa stesse succedendo.

Quando la risata di Niall tuonò in tutta la villa, Harry scosse la testa ridacchiando, incamminandosi verso la scalinata. Una volta raggiunta la cucina, il riccio si bloccò sulla soglia, osservando la scena.

Seduto a tavola si trovava Timmy, il capo chino, la fronte sulla superficie di legno e le braccia a penzoloni, Alice in piedi alle sue spalle, una sigaretta fra le dita e la nebbiolina di fumo che abbandonava le labbra sorridenti. Liam era al telefono nel cortile, visibile attraverso la portafinestra leggermente appannata, troppo concentrato per rendersi conto di cosa stesse accadendo all'interno della casa. Dall'altra parte della cucina, Elle e Niall stavano discutendo animatamente, ridendo di tanto in tanto, e Louis era in silenzio, appoggiato contro il bancone, le braccia incrociate e le sopracciglia alzate, l'espressione incredula.

Ciao, Lou.

"Qualcuno mi spiega per quale motivo state urlando così tanto?" chiese Harry interrompendo la conversazione, facendo voltare tutti i presenti in sua direzione – tutti tranne Timmy, così provato e stanco da non avere nemmeno la forza di alzare la testa – fece comunque un cenno con la mano per salutarlo, gesto che il riccio apprezzò. Niall ed Alice si bloccarono, spostando lo sguardo su di lui, mentre l'espressione sul viso di Louis si fece immediatamente morbida, gli occhi più teneri, le labbra arricciate all'insù. Quando Harry sorrise in sua direzione, il castano ammiccò.

"Niall non sa cucinare niente," disse improvvisamente la ragazza dai capelli rossi, ed il riccio si concentrò sulla sua figura, evidentemente indignata, quasi troppo comica per essere presa sul serio.

"Nemmeno tu, Elle," la riprese Niall, incrociando le braccia al petto.

"Sì, ma," intervenne Louis, alzando una padella. "Tu sei riuscito a bruciare le uova," continuò, afferrando un mestolo di legno dal bancone in marmo e sfregandolo contro una macchia nera e cementificata sul fondo della padella. "Vedi? Non vengono nemmeno via."

"Questione di punti di vista."

"Dì la verità, Nì," disse Alice. "Volevi ucciderci tutti."

"Ah! Sciocco!" esclamò Timmy con il viso ancora premuto sulla superficie del tavolo. "Io sono già morto."

"Ehi!" gridò Harry, catturando l'attenzione di tutti i presenti. "Fatemi un piacere," supplicò unendo le mani e sorridendo istericamente. "Uscite tutti. Preparo qualcosa io, sì?"

"Ma –"

"Non era una domanda, Niall."

E mentre il biondo si imbronciava ed Elle raggiungeva Timmy per aiutarlo ad alzarsi, Alice scosse la testa, sorridendo al fratello dall'altra parte della stanza. Uno ad uno si mossero in direzione di Harry, superandolo e uscendo dalla cucina. Alice lo ringraziò, trascinando Niall con sé e minacciandolo di lasciarlo senza colazione. Louis li seguì, sogghignando e osservando attentamente il riccio con le sopracciglia alzate, sorpreso dalla sua improvvisa presa di posizione, mentre Elle sorrideva e Timmy blaterava parole senza senso, trascinando i piedi avvolti dai calzini sul pavimento.

Harry sospirò, sfregandosi le mani e dirigendosi verso le credenze e il frigorifero, analizzando cosa la cucina avesse da offrire. Si voltò di scatto quando sentì la portafinestra aprirsi, assottigliando gli occhi non appena un Liam spaesato fece la sua entrata, il naso arrossato per il freddo e il telefono stretto saldamente in una mano.

"Ehi, amico," disse salutandolo. "Dove sono tutti?" domandò con un sorriso. Harry si corrucciò, afferrando il mestolo dal bancone e puntandolo in direzione del ragazzo dalle braccia tatuate.

"Fuori. Da. Questa. Cucina."

Liam lo fissò con gli occhi sgranati, annuendo rapidamente e cominciando ad indietreggiare in direzione della porta. Quando fu fuori, il riccio sentì i suoi passi aumentare di velocità ed allontanarsi, sogghignando tra sé e sé e cominciando la ricerca degli ingredienti. Avrebbe preparato dei pancake. Semplici, ma efficaci. Ed estremamente veloci. Era troppo stanco per pensare di poter anche solo cucinare qualcosa di più elaborato, così aprì lo sportello del frigorifero per prendere le uova scampate alle mani maldestre di Niall, il latte ed il burro, cercando il resto degli ingredienti nell'apparentemente infinita serie di credenze e scaffali.

Stava finendo di preparare le ultime porzioni, quando un paio di braccia si strinsero intorno ai suoi fianchi, facendolo sussultare leggermente. Fece attenzione a non rovinare nulla, per poi abbassare lo sguardo e riconoscere la pelle tatuata di Louis, le inconfondibili braccia strette saldamente intorno al suo corpo. Osservò la mano destra scivolare lentamente alle sue spalle, attaccandosi al colletto della maglia per liberare la spalla dal tessuto largo e malandato, la carne calda ora scoperta, a contatto con l'aria gelida della casa. Deglutì rumorosamente quando sentì le labbra bollenti di Louis attaccarsi alla propria pelle, baciandola, leccandola e mordendola delicatamente, ma con abbastanza decisione da essere in grado di lasciare un segno.

Tutto questo mentre Harry tentava di rimanere concentrato sulla cottura degli ultimi pancake.

"Louis, non vorrei interromperti, ma –"

"No," piagnucolò il castano, continuando a stuzzicare la spalla del minore.

"Louis."

"No."

"Sul serio, non riesco a –"

"No."

Il riccio alzò gli occhi al cielo, senza però trattenere un sorriso, dolce e divertito allo stesso tempo. Si voltò in direzione del maggiore, che fece prontamente scivolare le mani fino alla superficie di marmo, bloccando Harry tra il bancone e il proprio corpo. Sogghignò leggermente quando notò i segni lividi lasciati da sera prima sul suo collo, avvicinandosi per baciarli delicatamente, prima di sfiorare il mento del riccio con le dita ed avvicinarlo a sé, facendo collidere le loro labbra.

Harry portò le mani intorno al suo viso, e mugolò appena quando Louis approfondì il bacio, insinuando la lingua tra i suoi denti e assaporando ogni parte di lui. Si fece più vicino, schiacciando Harry contro il bancone ancora di più, obbligandolo ad appoggiarsi con una mano per non perdere l'equilibrio. Quando lo sentì piegarsi leggermente, Louis si staccò, stringendo le proprie mani sui suoi fianchi per invitarlo a sollevarsi e mettersi a sedere sulla superficie del mobile. Il minore sorrise leggermente, mordendosi il labbro, facendo quanto indicato, per poi abbassarsi nuovamente e trovare la bocca del castano, continuando a baciarlo finché non dovettero separarsi per prendere aria.

"Vorrei non ci fosse nessuno in casa," brontolò Louis appoggiando i pugni chiusi sul marmo e sospirando le parole calde sul viso di Harry, che arricciò le labbra battendo lentamente le palpebre.

"Per quale motivo?" domandò accarezzandogli le spalle. Il castano sorrise.

"Perché, in questo momento, l'idea di te nudo su questo bancone mi fa un certo effetto," mormorò, come fosse esausto, facendo cadere la testa sul petto del riccio ed inspirando profondamente. Harry arrossì di colpo, senza mai smettere di coccolarlo, arricciando le labbra quasi dolorosamente.

"Posso ricordarti del regalo di Elle?" domandò in un sussurro, avvicinando la bocca al suo orecchio e sogghignando. Lo sentì sospirare rumorosamente, sbuffando contro la propria maglietta e deglutendo.

"Ricordamelo più tardi," disse portando le mani sulle sue cosce, stringendole dolcemente, prima di alzare il viso e guardarlo negli occhi. Sorrise per poi di baciarlo lentamente, assaporando le sue labbra così rosse e carnose, prima di staccarsi leggermente ed aiutarlo a scendere dal bancone.

Fu questione di un istante, uno di quel pensieri che si accendono nella propria mente come la prima scintilla del fiammifero, quella che precede la vera fiamma, che scalda e che illumina in buio. Harry depositò il proprio sguardo in quegli occhi così blu, analizzandone ogni particolare e rendendolo suo, in un qualche modo, immortalandolo nelle memorie per i giorni in cui non sarebbe stato in grado di vederli, rendendosi conto che fossero l'unica cosa che avrebbe voluto ricordare fino alla fine. Rendendosi conto che fossero l'unica cosa di cui aveva sempre avuto bisogno e che non aveva mai osato desiderare, per paura di essere deluso. Eppure ora erano lì, così grandi e brillanti, così profondi e così blu, e continuavano a sussurrare ad Harry quelle parole così temute, ma così tanto attese.

Voleva che Louis sapesse quanto quei suoi occhi avessero aperto una porta che non pensava nemmeno esistesse. Una porta che l'aveva condotto sulla riva del mare, dove tutto è calmo e silenzioso, lucente e vivo, e dove Harry si era finalmente ricongiunto con tutte quelle sensazioni che pensava di aver perduto.

Voleva che Louis sapesse.

"Direi che questi possiamo portarli ai ragazzi," disse il castano sollevando il piatto di pancake, risvegliando il riccio dai suoi pensieri. "Dovrebbero bastare. L'importante è tenere Niall sotto controllo," arricciò le labbra spostando poi lo sguardo verso Harry, che ricambiò.

"Assolutamente," rispose e, quando il castano si diresse verso la porta della cucina, il riccio lo seguì osservandolo attentamente, sorridendo teneramente quando lo vide voltarsi verso di lui con quegli occhi così blu.

-

Una volta terminati i pancake – ed aver ripetuto a Niall che, no, non ce ne sarebbero stati altri – i ragazzi si spostarono nel salone, sfilando sigaretta dopo sigaretta dai propri pacchetti e passandosele tra di loro, condividendo una serie di bottiglie di birra e applaudendo estasiati quando Liam sfilò dalla tasca della propria felpa una busta trasparente contenente dell'erba.

"Giusto l'elisir che mi serviva," biascicò Timmy calando il beanie che aveva rubato ad Harry sul viso, coprendosi gli occhi e rilassandosi sulla poltrona, facendo ridere tutti. Elle scosse la testa, incapace di trattenere un sorriso.

"Niall, hai tu le cartine?" domandò Liam voltandosi verso l'amico, il quale annuì prontamente. Il riccio, seduto sul divano al fianco di Louis, si sporse verso il tavolino di fronte a lui, afferrando un pacchetto di sigarette e strappandone la linguetta, cominciando a fare il filtro che avrebbe successivamente passato a Liam. Il castano lo osservò arrotolare il cartoncino alla perfezione, le mani esperte veloci e precise, alzando le sopracciglia e annuendo tra sé e sé, stupito.

"Capisco," mormorò a malapena, così che solo il riccio potesse sentirlo.

"Cosa?" domandò confuso, voltandosi verso di lui aggrottando le sopracciglia. Louis alzò le spalle, sospirando leggermente.

"Perché sei così veloce a slacciarmi i pantaloni."

"Ehi!" lo rimproverò Alice, seduta sul divano proprio accanto. La ragazza osservò il fratello indignata, per poi spostarsi leggermente per coprire le orecchie a Niall, che sussultò per la sorpresa. "Non dire queste cose davanti ai bambini!"

"Mi sento inibito."

"Zitto, Niall."

E tutti risero, mentre Harry scuoteva la testa divertito, passando il filtro a Liam e guardando Louis inarcando un sopracciglio, ottenendo un'alzata di spalle come risposta. Quando si appoggiò nuovamente allo schienale del divano, trovò il braccio del castano proprio sul bordo, e tentò di nascondere un sorriso al meglio che poteva quando sentì le sue dita sfiorare delicatamente la propria spalla.

Desiderò che fosse sempre così.

-

Dopo aver terminato i due spinelli accuratamente preparati da Liam, che li fece passare per il gruppo, i ragazzi cominciarono a rilassarsi notevolmente. Niall lasciò che Alice giocherellasse con i suoi capelli biondi, sorridendo quando la sentiva ridacchiare tra sé e sé, e Elle si era seduta sul pavimento, Timmy accoccolato tra le sue gambe, il viso sul suo petto, un sorriso inebetito a macchiargli le labbra in uno stato di piacevole dormiveglia. Liam conversava con Niall dall'altra parte della stanza, ed Harry e Louis avevano cominciato a chiacchierare per conto loro, le gambe incrociate sul divano, uno di fronte all'altro.

Quando il riccio gli aveva chiesto di uscire per fumare una sigaretta, il maggiore aveva annuito con un sorriso, alzandosi per andare a recuperare le loro giacche. Tornando indietro si era fermato di fronte ad Elle e Timmy, sfilando il beanie dal ragazzo che aveva mugolato appena, facendo ridacchiare lei, che l'aveva rassicurato con un bacio tra i folti capelli scuri. Louis aveva scosso la testa prima di lanciare il cappello ad Harry, che lo aveva afferrato al volo.

Così, una volta in cortile, i due si sedettero sui gradini, nello stesso punto di così tanti mesi prima. Il cuore del riccio si strinse appena, ripensando a quanto tempo fosse passato e a quante cose fossero cambiate. Non solo con Louis, ma anche dentro di sé. Fu per quel motivo che, prima di sedersi, osservò quel punto sui gradini, lo stesso in cui era rimasto quasi tutta la notte in quel lontano settembre. Pensò che non fosse giusto occupare quel posto. Così si spostò dall'altra parte, alla sinistra di Louis, abbandonandosi sulla pietra fredda e sospirando compiaciuto.

"Oggi non fa troppo freddo," pensò ad alta voce il castano, alzando lo sguardo in direzione del cielo azzurro, stringendo leggermente gli occhi per contrastare la luce fioca. Harry imitò il movimento, guardando lo strato di nuvole sottili arricciarsi delicatamente. Annuì.

"È bello," sorrise leggermente.

"Mai quanto Timmy," scherzò Louis accendendo la propria sigaretta, per poi far scattare la fiamma in direzione di quella del riccio, che ridacchiò sottovoce.

"Ci è andato giù pesante, ieri sera?"

"Ieri sera?" domandò allibito il castano. "Credo ci abbia dato dentro fino a questa mattina," disse alzando le sopracciglia e ridendo, strappando un sorriso divertito al minore, che scosse la testa.

Poi, per un lungo istante apparentemente infinito, qualcosa nell'aria cambiò.

E rimase solo Harry.

Piccolo, indifeso, sensibile.

Harry, con i suoi capelli ricci e le mani tremanti, con le sue gambe lunghe e magre e il viso pallido. Harry, con le sue occhiaie scavate e il naso arrossato, con le sue magliette troppo larghe e il solito beanie. Harry, con il suo passato incasinato e la sua dipendenza da sostanze, con le sue emozioni tumefatte e la paranoia. Harry, con il padre alcolizzato e violento e la madre depressa, con la sua casa troppo grande per una persona sola e quello specchio che lo torturava ogni giorno. Harry, con il suo gilet arancione a lavoro e la voce così forte di Elle, con il suo zaino in spalla e la prima sera a casa Tomlinson. Harry, insieme a Louis, quella notte. Harry, che lo vede tornare e che non vuole fare altro se non stare con lui. Harry, che lo vuole proteggere e Louis che non glielo permette. Harry, che lo vuole aiutare e Louis che scappa. Harry, che viene distrutto e Louis che gli chiede scusa. Harry, che capisce di amarlo e Louis che sembra pensare le stesse cose, sebbene non abbia il coraggio di ammetterlo.

Harry, che non si droga più come un tempo, perché ora c'è Louis.

Harry.

E Louis.

Harry e Louis.

Tutto tornava, come una frase scomposta e dal significato complesso, che viene però compresa, come una poesia indecifrabile che commuove il lettore, nonostante ogni parola si scontri con la successiva, come una canzone priva di senso, ma che invoglia chiunque l'ascolti a lasciare tutto e correre lontano, verso l'ignoto, abbracciando l'idea del pericolo e della scoperta, abbandonando ogni cosa per continuare a vivere, giorno dopo giorno.

Si schiarì la gola.

"Ho lasciato il lavoro," mormorò appena, così leggermente da temere di non aver parlato davvero. Eppure il castano si voltò, le labbra strette intorno al filtro della sigaretta, le guance scavate, i capelli morbidi sulla sua fronte e gli occhi di diamante.

"Come?" domandò corrucciandosi. "Ti sei licenziato da Sainsbury's?" chiese. Harry scosse la testa.

"Non quel lavoro."

Il viso di Louis si rilassò immediatamente, lasciando spazio solo allo stupore, alla sorpresa. La presa sulla sigaretta si fece così morbida che parve quasi rischiare di cadere al suolo da un momento all'altro. Batté le palpebre, schiudendo le labbra.

"Oh," mormorò. "È successo qualcosa?" domandò allora, corrucciandosi nuovamente, preoccupato. Il riccio sentì il suo sguardo bruciare sulla propria pelle, oltre la giacca ed oltre la maglietta sottile. Non riuscì comunque a voltarsi.

"No," rispose. "Non è successo nulla. Insomma," disse bloccandosi, alzando lo sguardo per cercare le parole giuste nel cielo caldo. "Io solo... non voglio farlo più," sussurrò infine, chinando il capo ed osservando le mani, la sigaretta fumante tra le dita. "Non è quello che voglio."

Louis annuì.

"Come l'hai capito?" domandò allora. Harry si chiese come facesse Louis a sapere sempre cosa dire per farlo sentire a proprio agio. Si sentì sorridere leggermente, incapace di trattenersi.

"Non voglio continuare a pensare che sia l'unica opzione. Voglio sperare in qualcosa di più," rispose allora. Non guardò il ragazzo al suo fianco nemmeno in quel momento, deglutendo rumorosamente e socchiudendo le palpebre. "Io non... non voglio più essere così."

"Così come?" lo incalzò. Harry sospirò.

"Non voglio più pensare di non meritarmi una seconda possibilità."

E forse avrebbe potuto dire molto di più. Avrebbe potuto dire che non voleva più sentirsi perso. Che non voleva più specchiarsi e non vedere il proprio riflesso. Che non voleva più nascondersi nei bagni e condannare altre persone al suo stesso destino. Che non voleva più annegare nella droga. Che non voleva fosse l'unica cosa rimasta. Che non voleva più annientare ogni cosa. Avrebbe potuto dirgli che ora voleva vedere tutto. Che voleva esserci, ed esserci al meglio. Avrebbe anche potuto dirgli che a fargli realizzare tutto questo era stato proprio lui.

Avrebbe potuto dirgli che lui era la sua seconda possibilità.

Ma non lo fece. Non lo fece perché non tutti i pensieri nascono per essere rivelati. Non lo fece perché non era ancora pronto. Non lo fece perché aveva ancora paura, ed era comprensibile. Non lo fece perché, in quel momento, l'unica cosa di cui aveva bisogno era quello sguardo così blu e così familiare e così bello e così vivo che poteva trovare solo nei suoi occhi.

Così si voltò, e le sue iridi verdi si scontrarono in quelle di Louis, così brillanti e profonde, quasi lucide, marcate, mozzafiato. Capì che fosse stata la scelta giusta quando quel semplice gesto fece nascere un sorriso sul volto del castano. Quando quelle rughe d'espressione si formarono intorno agli occhi, quelle pieghe così soffici che Harry avrebbe baciato fino a consumarle. Capì che fosse stata la scelta giusta quando anche lui si sentì sorridere. E capì che fosse la scelta giusta quando Louis si avvicinò a lui, posando una mano sulla sua guancia e baciando le sue labbra così teneramente e lentamente, che se tutta l'aria fosse improvvisamente sparita dal pianeta, il riccio non se ne sarebbe nemmeno accorto.

E quando si allontanarono, Harry desiderò che Louis sorridesse come fece in quel momento per il resto della sua vita.

"Sei come una fenice," sussurrò il castano.

Lo baciò di nuovo.

Quel pomeriggio, dopo tanti anni, Harry riprese a respirare.

-

Era passata poco più di una settimana dalla festa improvvisata per celebrare i tuonanti ventiquattro anni di Louis, e nulla era cambiato. Liam aveva detto ad Harry di aver chiarito la situazione con Sean, che gli era sembrato comprensivo e che molto probabilmente non avrebbe dovuto fare assolutamente nulla. Alice e Niall avevano continuato a battibeccare come sempre, per poi scambiarsi parole dolci solo un attimo dopo. Elle e Timmy avrebbero tranquillamente potuto vincere il premio per la coppia del secolo, e Louis... beh.

Louis sembrava felice.

Sembrava felice quando aveva salutato Harry, quel giorno, promettendogli di chiamarlo verso sera. Sembrava felice quando lo andava a trovare ed entrava in casa con due bottiglie di birra. Sembrava felice quando chiedeva al riccio come fosse andata la sua giornata. Sembrava felice quando lo andava a trovare a lavoro o quando Harry entrava al pub per fargli una sorpresa. Sembrava essere felice quando facevano sesso e faceva scivolare un braccio intorno alle spalle del minore, stringendolo a sé e baciandogli i morbidi ricci. Sembrava felice quando Harry gli aveva proposto di raggiungerlo la sera del trentuno gennaio, in modo da poter aspettare la mezzanotte e festeggiare insieme il suo compleanno.

Sembrava felice ed Harry non avrebbe potuto desiderare nulla di più.

Quindi sorrise quando sentì bussare alla porta di casa, aprendola e osservando il castano di fronte a sé, uno zaino in spalla e le rughe d'espressione intorno agli occhi blu già presenti, già morbide e dolci. Gli fece cenno di entrare, e Louis si sfilò la giacca, lanciandola sullo schienale del divano, prima di voltarsi in direzione del riccio ed attaccarsi alle sue labbra, schiacciandolo contro la porta e permettendogli di affondare le mani nei suoi capelli castani.

"Casa tua profuma sempre," mormorò contro le sue labbra, prima di staccarsi e raggiungere lo zaino, dal quale estrasse un pacchetto di sigarette, porgendone immediatamente una al riccio, che accettò con un sorriso.

"Sono un po' ossessivo," rispose allora.

"Ma non mi dire," lo prese in giro Louis, colpendosi delicatamente la fronte con una mano. Harry ridacchiò leggermente, scuotendo la testa, prima di dirigersi in cucina e aprire il frigorifero. Prese due bottiglie di birra, chiudendo l'anta con un colpo del gomito, e sussultò quando si voltò, spaventato dal castano che si era improvvisamente materializzato alle sue spalle.

"Cristo," sibilò. "Devi veramente lavorare su questa cosa che fai," disse ridacchiando appena, appoggiando le bottiglie sul tavolo e portandosi una mano sul petto. "Arriverà il giorno in cui il mio debole cuore non potrà sopportare lo spavento."

"Scusa," sogghignò Louis. "Ma sei così bello quando sei distratto."

Il sorriso sul viso di Harry si arricciò ancora, e ancora, senza smettere, e la fossetta sulla sua guancia si scavò così tanto in profondità da pietrificarsi sul suo volto, rischiando di non svanire mai più. Il suo petto si scaldò, come coccolato dalle braccia più morbide, e sorrise ancora quando sentì le dita fremere leggermente, come accadeva ogni volta in cui Louis gli faceva un complimento. Probabilmente arrossì, ma decise di non farci caso.

Scosse la testa debolmente, senza mai smettere di sorridere, prima di riprendere le birre e dirigersi verso il piano superiore. Il castano lo seguì, fermandosi all'entrata per riprendere il proprio zaino e metterselo in spalla, raggiungendo il minore per salire le scale.

Una volta arrivati nella camera da letto, Harry appoggiò le bottiglie sulla scrivania, voltandosi verso il maggiore quando lo vide abbandonarsi a peso morto sul materasso, spalancando le braccia e lasciando le gambe fuori dal letto, le suole delle scarpe ancora attaccate al pavimento. Sorrise scuotendo la testa, accendendo una sigaretta a facendo cadere le prime briciole di cenere in un piattino abbandonato sulla scrivania. Osservò il petto di Louis muoversi al ritmo del suo respiro.

"Questa casa è davvero grande," disse infine, spezzando il silenzio. Harry chinò il capo, mordendosi leggermente il labbro. "Non la trovi un po'... dispersiva?" domandò poi, voltandosi in direzione del minore senza mai alzarsi dal letto. Il riccio annuì debolmente.

"In realtà sì. È... vuota," si ritrovò a rispondere. In quel momento, Louis si alzò sui gomiti, in modo da poter osservare meglio il ragazzo appoggiato alla scrivania. Si corrucciò leggermente, per poi deglutire.

"Una volta mi hai detto che prima c'era tua madre," mormorò appena, come avesse paura di dire troppo. Quando Harry non si mosse e non disse una parola, il castano prese un profondo respiro. "Cos'è successo?"

Ed ecco. La domanda tanto temuta. O forse quella tanto attesa. Nemmeno lui poteva dirlo con precisione. C'era quella cosa, dentro di sé, che spingeva contro le pareti del suo petto, affondando gli artigli nella carne, supplicandolo di farla uscire, di riversarla irreparabilmente nel mondo, liberandola una volta per tutte. E aveva sempre avuto così tanta paura di farlo, di permetterle di prendere il controllo della sua vita. Aveva sempre avuto così tanta paura che potesse rovinare ogni cosa.

Eppure.

Eppure non aveva dovuto fare nulla. Perché Louis non aveva fatto altro che domandarglielo, molto semplicemente. Perché lui voleva sapere. Voleva conoscere Harry e tutto il peso che si portava sulle spalle. Perché voleva capire per quale motivo abbassasse lo sguardo e si chiudesse nella propria mente. Perché voleva che si sentisse al sicuro, e che smettesse di farlo.

Così Harry scosse la testa leggermente, alzando lo sguardo sul soffitto.

"Tre anni fa," cominciò schiarendosi la gola. "Uhm... mio padre se n'è andato. E... mia madre non è riuscita a superarlo. Non credo – non credo l'abbia mai fatto," disse premendo le labbra in una linea sottile. "E solo un anno dopo, lei... ha detto che – che non voleva più stare qui. Che sarebbe tornata a Holmes Chapel – dove sono nato," continuò, e Louis alzò le sopracciglia. Solo in quel momento, Harry si rese conto di non averglielo mai detto. "Quando l'ha fatto ha espressamente detto che non voleva che andassi con lei. E quindi," disse voltandosi verso il castano, sorridendo tristemente. Alzò le spalle. "Eccomi qui."

Louis lo osservò, l'espressione sul suo volto illeggibile. Il riccio pensò che fosse sconvolto, allibito, forse sorpreso, triste. Ma quando lo vide cambiare, quando vide le sopracciglia corrucciarsi e le labbra contorcersi, comprese che fosse solamente arrabbiato. Profondamente furioso.

"E ti ha lasciato qui?" domandò. "Da solo?" continuò incredulo. Harry annuì.

"Sì," sussurrò debolmente.

In quel momento, una scarica di adrenalina percorse l'intera spina dorsale di Louis. Lo colpì a tal punto da fargli desiderare di alzarsi da quel letto, trascinare Harry con sé e distruggere quella casa dal primo all'ultimo mattone. Gli fece desiderare di poter stringere Harry così forte da renderlo parte di sé, di viaggiare fino a Holmes Chapel e rovinare quella donna che l'aveva ferito così tanto. Gli fece desiderare di poter strappare quel velo di dolore dal corpo frantumato del ragazzo, lanciandolo lontano e dimenticandolo per sempre.

Ma la rabbia non era la soluzione. Non lo era mai stata.

Perché quando Louis era tornato dopo essere sparito per un mese intero insieme alle sue sorelle, non voleva fare altro che trovare Harry. Perché Harry era buono, ed Harry l'aveva aiutato così tanto. Perché nonostante fosse passato così poco, Louis aveva già capito di provare qualcosa di più per il ragazzo dai capelli ricci. E così aveva raggiunto Sainsbury's, ancora prima di tornare a casa e riposarsi, perché aveva bisogno di vedere quegli occhi così verdi e aveva bisogno di sentire la sua voce così morbida e profonda. E quando Harry l'aveva aggredito, confessandogli quando il suo atteggiamento l'avesse ferito, Louis era esploso. Louis si era arrabbiato così tanto da non riuscire a pensare. Si arrabbiò con se stesso, per aver fatto del male a quel piccolo fiore così malandato, e non sapeva come fare per rimediare.

Una cosa, però, era certa. L'avrebbe voluto baciare. L'avrebbe voluto sentire contro il suo corpo e l'avrebbe voluto scaldare e coccolare fino a calmarlo. Fino a farlo stare bene di nuovo.

Annebbiato dai mille pensieri e dai sensi di colpa, fu esattamente ciò che Louis fece. Lo baciò e si prese ogni parte della sua bocca, domandola e rendendola propria. E quando si era reso conto di quanto avesse bramato quel bacio, Louis si era spaventato. Perché non sapeva come comportarsi. Non sapeva cosa significasse. Per tutta la sua vita non aveva fatto altro che schiacciare quel mare di emozioni, nascondendolo nell'ombra, obbligando se stesso a dimenticarlo. Ma ora, ora che rischiava di uscire e di riversarsi su ogni cosa, non poteva permetterglielo. Doveva controllarlo.

E quanto aveva visto Harry, così bello, con le labbra arrossate e gli occhi lucidi, Louis aveva deciso che avrebbe contrastato quel sentimento così forte ed opprimente. E l'aveva fatto per mesi e mesi, senza concedersi di pensarci. Non voleva farlo. Non avrebbe saputo come gestirlo.

E ad Harry sembrava andare bene. Sembrava che non ci fosse altro, per un po'. E questo destabilizzò il castano, perché, no. Per lui c'era così tanto di più. E quindi facevano sesso e, quando finivano, Louis fuggiva, incapace di sopportare lo sguardo tranquillo del riccio. Il giorno in cui Harry aveva poi gridato, implorando il castano di dirgli per quale motivo scappasse ogni volta, Louis era andato nel panico.

Non poteva lasciarsi trasportare.

Non aveva mia portato a nulla di buono.

E quindi aveva detto che non aveva importanza. Aveva deglutito l'oceano di parole che avrebbe voluto confessare, e aveva guardato Harry in quel modo, così brutalmente cattivo da farlo letteralmente correre via. L'aveva chiamato per dirgli che non era vero, che si trattava una tremenda bugia, che c'era così tanto di più e che gli voleva bene, ma Harry non l'aveva sentito. Fu per quel motivo che la notte di fine anno decise di andare a parlare con lui, tentando di spiegare per quale ragione si fosse comportato in quel mondo. Lo fece indirettamente, ma sembrò bastare.

Ed Harry era tornato ed era così felice, ora. Voleva che fosse sempre così. Voleva che capisse che, nonostante tutta la crudeltà di cui era stato vittima, nonostante tutto quello che aveva dovuto affrontare, nonostante tutto il dolore che aveva provato, poteva ancora cambiare le cose. Poteva ancora decidere di sorgere, come fa il sole al mattino, anche quando il cielo è coperto di nuvole. E, soprattutto, voleva che sapesse quanto fosse importante per lui.

Così sorrise.

E tese una mano in sua direzione.

Harry la guardò, staccandosi lentamente dalla scrivania e avvicinandosi. Fece correre la punta delle dita sul suo palmo, prima di stringerlo delicatamente e sedersi al suo fianco, ai piedi del letto. Quando lo fece, Louis accarezzò il suo viso, portando un ciuffo riccio dietro l'orecchio e baciando le sue labbra così dolcemente, che se fosse morto in quell'istante, non se ne sarebbe reso conto.

Si rilassò sul letto, affondando nelle lenzuola e portando Harry con sé, senza mai smettere di baciarlo. Fu lento, tenero, sentito, così onesto da scacciare via ogni dubbio, così morbido da far desiderare ad entrambi che non finisse mai.

Vennero distratti quando l'orologio sul comodino suonò la mezzanotte, indicando ufficialmente l'inizio del primo giorno di febbraio e, di conseguenza, del compleanno del minore. Louis si voltò nuovamente in direzione del ragazzo, accarezzandogli il viso soffice e depositando un bacio sulla sua fronte.

"Buon compleanno, Harry," sussurrò appena.

"Grazie," ridacchiò il riccio. Sorrise e si avvicinò di nuovo, facendo scontrare le loro labbra e baciandolo ancora, e ancora, senza mai fermarsi, le mani di Louis perse nei suoi capelli, le gambe intrecciate e le labbra calde e sicure.

"Non importa, sai?" mormorò poi il castano. "Non importa quello che è successo. Bisogna concentrarsi sull'adesso," continuò baciando la punta del naso del riccio e facendolo ridacchiare timidamente. "E io sono molto fiero di te."

"Davvero?" domandò il minore alzando lo sguardo lucido in direzione degli occhi del maggiore. Lo vide annuire, sorridendo.

"Non sai quanto," rispose, baciando le sue labbra. "Uhm... senti, Harry," disse poi, schiarendosi la gola ed osservando il ciondolo dell'aeroplanino di carta appeso intorno al collo del ragazzo di fronte a lui. Il riccio sorrise.

"Sì?"

"Io volevo..." cominciò Louis, bloccandosi. Quando Harry notò il suo imbarazzo, sentì il proprio petto scaldarsi.

"Chiudo gli occhi, se vuoi," sorrise teneramente, chiudendo le palpebre e rilassandosi contro il suo corpo. Il castano lo guardò, guardò quel suo viso così pallido e morbido, quegli occhi così soffici, quelle labbra così spensierate e quei ricci così belli. Pensò che si meritasse ogni cosa.

Quindi lo disse e basta.

"Ti andrebbe di uscire con me?"

Alla domanda, gli occhi di Harry si riaprirono, e il suo sorriso vacillò. Sembrò quasi che il pavimento della sua stanza fosse collassato e che loro stessero cadendo nel vuoto, insieme, incapaci di fermarsi. Un tocco caldo sfiorò il suo cuore e, quando respirò, gli parve quasi di non averlo fatto per anni.

"Intendi... intendi un appuntamento?" domandò titubante.

Anche Louis sembrava essere a corto di parole.

"Puoi chiamarlo come preferisci," rispose senza mai distogliere lo sguardo dalle sue iridi verdi. "Ma sì. Una cosa più... ufficiale," mormorò terrorizzato, deglutendo. "Se ti va."

Harry lo guardò, i pensieri lontani dalla sua mente, la lingua persa nella propria bocca. Quasi non si sentì sorridere quando lo fece, troppo sopraffatto da ogni cosa, troppo emozionato, troppo dannatamente felice per pensare ad altro.

"Sì," mormorò, la voce contorta dal sorriso. "Sì, certo che mi va," disse portando una mano sul viso di Louis, avvicinandolo per poterlo baciare. Sentì il castano tirare quello che parve fosse un sospiro di sollievo, prima di sentire il suo sorriso schiacciarsi contro le proprie labbra. Fu particolare, in realtà, perché Harry era abbastanza sicuro che quello non potesse definirsi un bacio. Stavano sorridendo troppo per farlo nella maniera giusta.

Ma poco importava.

Perché Louis era felice.

Ed Harry respirava di nuovo.

Quella notte, quando il castano si addormentò sotto le coperte calde, stringendo il corpo del riccio a sé, deciso a non lasciarlo andare, Harry si lasciò cullare dal suo respiro, osservando i morbidi ciuffi castani cadere sul suo viso. Li scostò uno ad uno, per fare in modo che non nascondessero quel viso che avrebbe osservato ogni stante.

Sorrise, quando si addormentò.

Perché, per la prima volta, quella casa non gli parve più così grande.

Pensò che fosse perfetta.

In fondo, bastava ci fosse Louis.

-

S

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