IL FRATELLO SBAGLIATO

By MaraEvan9

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Giulia è innamorata di Edoardo da sempre e, quando lui lascia la ragazza storica, crede che sia finalmente ar... More

Parte 1 LO SBAGLIO
Parte 2 Questioni delicate
Parte 3 Stupide schermaglie
Parte 5 Il compleanno
Parte 6 Mi confesso!
Parte 7 Scappare per ritornare
Parte 8 Tormento
Parte 9 Complici
Parte 10 Proviamoci...
Parte 11 Cioccolato amaro
Parte 12 Ne sono fuori
Parte 13 Litigare fa bene?
Parte 14 Desiderio e Tormento
Parte 15 La vigilia di Natale (parte1)
Parte 16 La vigilia di Natale (parte2)
Parte 17 In viaggio con te
Parte 18 L'ultimo dell'anno
Parte 19 Non posso!
Parte 20 Beccati!
Parte 21 Cosa hai fatto?
Parte 22 Un crudele destino
Parte 23 Accettazione
Parte 24 Il primo che voglio chiamare
Parte 25 Guerriero
Parte 26 Finalmente sei qui
Parte -commento-
Parte 27 Salvarsi da soli
Parte 28 Il motivo è Thomas?
Parte 29 E se i dubbi mi soffocassero?
Parte 30 Sotto lo sguardo di tutti.
Parte 31 Tradito!
Parte 32 Finalmente noi.
Parte 33 Non guardare. Non soffrire.

Parte 4 Doppio errore

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By MaraEvan9


Thomas

Sono un lupo travestito da agnello. La mia indole cupa placa la voglia di conflitto che mi vibra sotto la pelle. E' un paradosso. Il mio aspetto pacato inganna l'occhio di chi mi guarda. Ma dentro sono una belva. Continuo a placare la mia parte oscura affinché quella più razionale  sopprima tutti i miei istinti.

Ci sono voluti anni di lavoro su me stesso. Anni in cui ho cercato di placare la mia indole aggressiva, contorta e anche un po' tetra. Sono consapevole dei miei difetti e delle differenze che mi separano dai miei fratelli. Loro sono così puri e cristallini, perfettamente leggibili, semplici nella loro bellezza e conformi alla normalità. Loro sono luce, io sono ombra.

Si, ombra è la parola che mi caratterizza. Lo sono da quando Alberto De Angelis mi ha preso in casa sua presentandomi come il fratello maggiore. Quello di cui non sapeva nemmeno l'esistenza. Il figlio di un tradimento. Il figlio di una tossica di cui, ormai, mi resta solo un brutto ricordo.

La mia anima è cupa, vischiosa. In essa si proietta l'ombra del peccato e del tradimento. Una macchia che, anche tirata a lucido, non andrà mai via.

Lo vedo negli occhi di mio padre, ma soprattutto in quelli di mia madre.

Laura Gotti De Angelis non è la mia vera madre. Mi ha accolto in casa sua con calore e amore, ma non c'è paragone nel modo in cui tratta Gloria e Edoardo. Con me usa sempre i guanti, attenta a ogni minima parola. Con loro l'approccio è molto naturale e diretto.

Non so se sé n'è mai accorta, ma questo suo atteggiamento di distacco mi ferisce più di ricevere una sberla. A volte, il rancore e la rabbia che provo rischiano di sopraffarmi. Spesso riesco a contenere tutto, in alcune occasione la faccia mi scivola in mano e sembra che tutte le emozioni negative vogliano uscire allo scoperto.

Questo accade soprattutto in presenza di una persona in particolare. Giulia Molina, la ragazza della porta accanto, la vicina di casa di una vita, migliore amica di Gloria e spasimante di Edoardo.

La piccola Giulia. È poco più giovane di me, ma sembra ci siano dieci anni a separarci. Non solo per il suo aspetto da ragazzina - è talmente minuta che potrei tenerla aggrappata alla schiena senza sentirne il peso – ma anche per via della sua lingua tagliente. Non è ancora abbastanza matura da capire quando è il momento di stare zitta e risponde con entusiasmo alle mie provocazioni. Ho perso il conto di tutte le volte che mi ha mandato a quel paese. A questo punto dei giochi, l'esperienza avrebbe dovuto insegnarle a lasciarmi perdere, invece continua ad abboccare e a dimostrarmi quanto ancora debba crescere. So che non è stupida, anzi, è una ragazza in gamba e fin troppo seria, ma non ha un briciolo di amor proprio. Non quando perseguita l'infatuazione non corrisposta per Edoardo. Un innamoramento che dura da più di un decennio. Lui non la considera in quel senso. Le brave ragazze non lo attraggono e poi sono troppo amici per diventare altro.

Con me Giulia non è così accondiscendente. Non ha mai nascosto il suo astio nei miei confronti. E ha ragione. Non sono certo uno zuccherino. Mi diverte vederla perdere le staffe. Ha sempre avuto quell'atteggiamento da perfettina che mi dà sui nervi. Ancora oggi, quando la sento fare la saputella, mi viene voglia di alzarmi e andare a tapparle la bocca.

Già. Lei è l'unica capace di provocare la belva che c'è in me. Quando mi guarda, nei suoi occhi c'è sempre un velo di rimprovero. Tutto quello che faccio o dico non le piace. È sempre stato così.

La prima volta che ci siamo incontrati io avevo appena compiuto nove anni e lei ne aveva sei. Papà mi aveva portato a casa dopo avermi preso dai servizi sociali. Ricordo che ero nervoso, confuso e molto arrabbiato. Era estate e nella via residenziale che portava alla loro casa, c'erano alcuni bambini che giocavano sui marciapiedi. Una bambina in bicicletta aveva attirato la mia attenzione. Portava una salopette azzurra e i capelli castani le scendevano sul petto in due codine ordinate. Appena ci eravamo fermati nel vialetto di casa, si era avvicinata suonando il campanellino posto sul manubrio.

«Ciao Albe!» aveva salutato allegra. Poi i suoi occhi vispi mi avevano inquadrato «Chi è quello?»

Papà aveva sorriso posandomi una mano sulla spalla. «Giulia, ti presento Thomas, mio figlio.»

Lei era smontata dalla bicicletta per venirmi vicino, osservandomi con quello che poi avrei capito essere uno sguardo critico «Ciao. Sono Giulia.» mi aveva teso la mano come facevano i grandi e io, dopo un attimo di esitazione, gliela avevo stretta.

«Dove sei stato fino ad ora?»

Non avevo risposto e lei si era voltata verso papà con la sua sentenza «Non ti somiglia per niente. Sei sicuro che sia tuo figlio?»

Dopo quella frase non c'è stata più speranza che il nostro rapporto si salvasse. Le sue parole, dette con tanta innocenza, avevano creato una voragine nel mio petto. I dubbi che già mi opprimevano avevano assunto una forma più consistente. Mi ero convinto che non ero il ben venuto e che non avrei mai fatto parte di quella famiglia. La tesi poi si era rafforzata quando, qualche minuto dopo, avevo fatto la conoscenza dei miei fratelli. Entrambi biondissimi e con gli occhi azzurri. Anni luce lontani dal mio aspetto. Mia madre mi aveva lasciato le sue caratteristiche domenicane. Avevo la carnagione olivastra e gli occhi scuri anche se più chiari dei suoi. I capelli erano castano chiaro, ma nulla in confronto alla luce che irradiavano quelli di Gloria e Edoardo.

Inizialmente non è stato facile aprirmi. Facevo fatica persino a parlare. Con il tempo, però, le cose sono migliorate. Sono diventato legalmente un De Angelis e questo ha dato più senso alla mia esistenza. Sono consapevole di avere come famiglia delle persone speciali. Per questo ogni giorno cerco di essere una persona migliore e reprimo la mia parte negativa. Lo faccio per essere degno. Solo così sento di avere il diritto di amalgamarmi al loro nucleo familiare.

Ma lei...ah, con lei non ci riesco. Giulia vede attraverso la facciata che ho costruito. Lei sa che non sono quello che dico di essere. Conosce la mia vera essenza, i miei punti deboli, il lupo che sono davvero. Ma stranamente non ha paura. Mi affronta anche se sa che potrebbe perdere. Giulia è la sola capace di tirare fuori da me emozioni forti. Lo fa continuamente quando mi contraddice, o quando mi guarda storto, soprattutto quando litighiamo aspramente. Lo ha fatto anche con quel bacio. Un errore che ha fatto ribollire il sangue nelle mie vene, scatenando le emozioni più violente.

Mentirei se dicessi che non mi è piaciuto. Ma non vado oltre al mero piacere.

Io e lei siamo agli opposti e perciò incompatibili. Giulia è un concentrato di energia e brio. Studia all'università, lavora in palestra e tra poco inizierà un tirocinio in un'azienda di telecomunicazioni. Lei è come la vedono tutti. È trasparente nelle sue emozioni, ma complessa nei ragionamenti. Ingestibile, per quanto mi riguarda.

La testa di Viviana, la mia caporeparto, fa capolino dall'uscio aperto del mio ufficio.

«Buongiorno, Thomas. Ti va un caffè?» il suo sorriso è un invito malizioso.

«Certo», in realtà ho del lavoro urgente da sbrigare, ma finché il mio ruolo è sotto il suo, mi sento obbligato ad assecondarla. So che prima o poi la scavalcherò. Sono un tipo paziente e tenace. Ho dei progetti per me che non prevedono il restare un semplice impiegato. Le mie capacità sono altre e sarebbe uno spreco restare sotto chi ha meno risorse. Ho studiato bene il lavoro di Viviana. Riconosco che è brava, ma non abbastanza. Per fermare un lupo come me ci vuole ben altro. E io voglio crescere, salire di livello. Sono certo che la Global comunications ha notato il mio impegno. Il mio capo, il signor Gustavo Senegalli è un uomo esigente e scrupoloso nella scelta dei suoi dipendenti. Il mio colloquio non è stato con lui, ma non ha tardato a chiamarmi nel suo ufficio non appena si è reso conto che valevo qualcosa di più del mio centodieci e lode accademico.

Quando entriamo nella sala relax, Viviana si dirige alla macchinetta del caffè appoggiando il fianco al mobile con studiata eleganza «Lo vuoi nero. Giusto?» sorride come se mi stesse chiedendo qualcosa di più intimo.

Viviana è una bella donna, ma non è il mio tipo. Ho già messo in chiaro questa cosa con lei, anche perché non voglio intraprendere alcuna relazione nell'ambiente di lavoro. Tuttavia, lei non nasconde l'attrazione che prova nei miei confronti, anzi, lo esterna ogni volta che ne ha l'occasione.

Con in mano i nostri caffè ci accomodiamo nelle poltroncine poste davanti alla finestra. Viviana accavalla le gambe accertandosi che io la stia guardando «Allora, cosa farai questo fine settimana?»

È solo mercoledì, ma lei gioca d'anticipo. So che tra poco mi chiederà di vederci per un drink; quindi, la precedo «Torno a casa dai miei. Festeggiamo i sessant'anni di mia madre.»

«Oh, che bello.» dice allegra, ma le balla un sopracciglio e distoglie lo sguardo «La famiglia prima di tutto.»

«Già.» la conversazione languisce per colpa mia. Ho del lavoro che mi aspetta per cui mi alzo ringraziandola per il caffè e mi dirigo alla mia postazione.

Lei mi segue «Sai che oggi arriva la nuova stagista.»

«Ah si?» fingo indifferenza, ma una lampadina si accesa nella mia testa.

«Dovrò seguirla io. Credo che ne farò la mia assistente.» prosegue lei scoccandomi un'occhiata astuta che non ricambio. Invece la contraddico «Le stagiste non sono assistenti. Potresti sfruttare il suo potenziale.» lascio la frase in sospeso, sperando che lei colga il sottinteso.

«Lo sai, hai proprio ragione. Credo che mi servirò ampiamente della nuova risorsa.» poi mi posa una mano sul braccio bloccandomi la via verso il mio ufficio.

«Cosa vuoi?» sono un po' brusco, tuttavia Viviana non sembra dispiacersi, anzi mostra i denti in un sorriso accattivante «Pranziamo insieme?»

«Ho del lavoro da finire. Non credo che oggi farò pause.»

«Oh dai! Dovrai pur mangiare?»

«Prenderò qualcosa dal frigo della sala relax.»

Non si arrende «Domani allora?»

Trattengo uno sbuffo «Vedremo.»

Mette il broncio ma mi lascia andare. Non aspetto un altro secondo per chiudermi nel mio ufficio.

Un'ora dopo sto analizzando dei dati di mercato sul mio pc, quando dalla porta filtrano alcune voci. Non mi muovo dalla scrivania, ma la concentrazione mi abbandona e sono costretto a uscire per un altro caffè. Evito di passare davanti all'ufficio di Viviana e mi sposto verso la zona relax.

«Ehi, Toms.» Massimo mi accoglie con la sua solita aria da spaccone. È l'unico ad avermi affibbiato un nomignolo in questo studio. Glielo permetto solo perché è simpatico.

«Pedrelli, già in pausa?» Preparo il mio terzo caffè della giornata mentre lui riempie di tazzine un vassoio di alluminio.

«Oggi faccio il cameriere.» mi strizza l'occhio come se dovessi sapere di cosa sta parlando. Vedendo il mio sguardo perplesso si affretta a spiegare. «È per la nuova stagista. L'hai già conosciuta?» non aspetta una risposta «Sembra in gamba e poi è uno schianto, cosa che non guasta.»

«Ah. E tu hai capito tutto questo dopo soli...» fingo di guardare l'orologio «quindici minuti che l'hai conosciuta?»

Alza le spalle «Non ci vuole molto per capire se una persona ti piace o non ti piace.»

«Per questo prepari il caffè per tutti?» lo sbeffeggio provocando la sua risata.

«Voglio solo metterla a suo agio facendole una gentilezza. Vieni?»

Scuoto la testa buttando il cartoncino del mio caffè nel cestino dei rifiuti e mi sollevo dal tavolo su cui mi ero appoggiato «Sono pieno di lavoro.»

«Dai, non fare il solito associale. Cinque minuti.» insiste esortandomi a seguirlo. Lo faccio. Tanto prima o poi dovrò incontrarla. Lei si aspetterà che la raggiunga, almeno per salutarla. Sapeva già da ieri di essere stata chiamata in questa azienda, eppure non mi ha detto nulla. Ammetto di esserne un po' risentito.

Mentre sfiliamo per il corridoio, le voci provenienti dall'ufficio di Viviana si intensificano. Quella di Giulia emerge fra tutte, allegra e squillante. Appena la vedo una voglia assurda di prenderla di peso per portarla via mi fa prudere le mani, ma la contengo.

«Oh, ecco i nostri caffè. Grazie Massimo.» appena mi nota il sorriso di Viviana si amplia «Thomas, vieni. Ti presento Giulia Molina, la nuova stagista.»

Non muovo un passo mentre Giulia si volta verso di me. Giurerei di vederle una fiamma che le accende lo sguardo. I suoi occhi castani sembrano dorati in questa stanza piena di sole. Sorride. Non è tesa come mi aspettavo. Sembra perfettamente a suo agio.

Allungo la mano verso di lei «Benvenuta.»

Lascio a lei la scelta di rivelare o meno la nostra amicizia. Non lo faccio per aiutarla. La mia è una sfida. Voglio che se la cavi da sola. Voglio che inizi a capire come funziona; a camminare in questa giungla che è il mondo con tutti i rischi e le responsabilità che ne compete.

Giulia esita un istante, apre la bocca per rispondere poi la richiude annuendo «Grazie.»

Per tutti potrebbe essere la risposta di una ragazza gentile ed educata, ma per me non è così. Sotto il suo viso angelico i suoi occhi stanno mandando lampi. Credo che da oggi mi odi un po' di più.

Sorrido all'idea di quello che mi aspetta stasera. Se la conosco come credo, non perderà un solo secondo per farmi sapere quanto mi trovi ripugnante.

Giulia, però, mi stupisce. Appena un'ora dopo entra nel mio ufficio senza nemmeno bussare e si richiude la porta alle spalle.

«Signor De Angelis. Scusi l'intrusione. Credo di essermi persa.» lo zucchero nella sua voce è palesemente finto. Adagio la schiena contro lo schienale imbottito della mia sedia e le sorrido affabile.

«Nessun disturbo, Molina. Cosa posso fare per te?»

Giulia mi fulmina con lo sguardo. «Beh, innanzi tutto potresti dirmi perché hai finto di non conoscermi? Cosa c'è? Ti fa così schifo essere accomunato alla novellina di turno? Oppure non godo abbastanza della tua stima?»

«Calmati, tigre.» la rimprovero indurendo il tono della voce. «Le mura sono di cartongesso. Ci possono sentire.»

Si morde le labbra, eppure non vacilla. Prende un respiro, ma il suo sguardo resta arrabbiato «Allora?»

Alzo le spalle «Ho pensato che non avresti voluto insinuare il sospetto che ti avessi raccomandata.»

Si irrigidisce e dal suo viso paonazzo capisco che non ci aveva pensato. Ma poi scoppia a ridere «Mi vuoi far credere che l'hai fatto per me?»

«E' così strano?»

«Oh, si che lo è. Da te mi aspetto sempre il peggio.» schietta fino a essere brutale.

Mi gratto il mento e annuisco «Come vedi, oggi sono buono.»

«Buono, tu?» ghigna, poi una strana luce le balena nello sguardo. «Aspetta un attimo. Non l'avrai fatto davvero?»

«Cosa?»

Si porta una mano al petto «Dio mio, Thomas! Hai suggerito tu il mio nome per lo stage?»

La mia esitazione la fa sussultare «Ti prego, dimmi che non l'hai fatto!»

«E anche se fosse?»

«Stai scherzando, spero!»

Incrocio le braccia sul petto godendomi lo spettacolo. Giulia che va in iperventilazione per qualcosa che nemmeno è vera mi diverte molto. «Ti darebbe fastidio essere qui per mia richiesta?»

Fa il giro della scrivania venendomi quasi addosso. La furia nei suoi occhi mi fa temere per la mia incolumità. Giulia non è manesca, ma ha sempre delle reazioni imprevedibili quando si tratta di me.

Alzo le mani per difendermi ma lei me le spinge giù aprendosi un varco. Quasi mi sale sopra. Il suo profumo di gelsomino e miele mi avvolge completamene. Il mio stomaco ringhia. Il mio petto ringhia. Io ringhio.

«Sei uno stronzo! Un pezzo di...»

«Attenta a quello che dici!» le fermo le mani che tentano di strattonarmi la camicia «Sta ferma!»

«Non dovevi farlo! Avresti dovuto chiedermelo!» le sue unghie affilate mi graffiano le braccia attraverso la camicia. Decido che ne ho abbastanza e con un colpo di reni ribalto la situazione schiacciandola sul ripiano della scrivania con tutto il mio peso.

«Hai finito?» le alito sul viso.

Per tutta risposta Giulia si allunga per mordermi il mento, non ho il tempo di stupirmi che il suo ginocchio parte dritto verso il mio inguine. Riesco a bloccarla per un soffio. Ho braccia e gambe più massicce delle sue. Sono nettamente superiore a lei. Non può sperare di spuntarla contro di me, non quando decido di giocare sporco come sta facendo lei. È a questo punto che mi lascio andare all'istinto e tiro fuori la lingua per leccarle una guancia. Il mio intento è quello di schifarla, ma quando la sento tremare sotto di me e la vedo sbarrare gli occhi, non è ribrezzo quello che percepisco, tutt'altro.

Giulia sembra...eccitata. I suoi occhi diventano oro liquido, sulle sue guance il rosso si accentua, mentre la vena del collo batte impazzita. Per un attimo restiamo a fissarci immobili, bloccati in un momento tanto strano quanto incredibile. Il mio sguardo scivola inevitabile sulle sue labbra dischiuse. La voglia di baciarle mi coglie prepotente mozzandomi il respiro, ma non sono l'unico a reagire, Giulia solleva il capo dal tavolo venendomi incontro. Le nostre bocche si incontrano. L'incastro tra noi è imperfetto e violento. È uno scontro di labbra e denti. Famelico e divorante. La mia lingua saggia a fondo l'interno della sua bocca mentre lei mi cinge il collo intrufolandosi con le dita tra i miei capelli. Quando tira alcune ciocche gemo forte provocandole un brivido che si riverbera tra i nostri corpi.

La pressione nei miei pantaloni aumenta. Mi spingo contro il suo inguine. Il suo sospiro di piacere è musica per le mie orecchie. Lo faccio ancora, e ancora. Lo sfregamento tra di noi è qualcosa di sublime. Sto soccombendo sopra questa ragazza, e siamo ancora completamente vestiti.

Lei ansima, gli occhi chiusi, la testa rovesciata all'indietro. Non ricordo di avere mai visto niente di più bello in vita mia. La bacio ancora e mi spingo un'ultima volta contro di lei. Poi mi fermo.

Lei spalanca gli occhi, smarrita.

«Dobbiamo fermarci o rischiamo di farci scoprire il tuo primo giorno di lavoro.»

Giulia sbatte le palpebre. All'improvviso mi mette a fuoco, mentre prende consapevolezza delle mie parole. «Cosa?»

L'aiuto ad alzarsi e mi accorgo delle sue cosce scoperte. Nella foga del momento la gonna le si è sollevata intorno ai fianchi. Cerco di non soffermare lo sguardo sulle sue mutandine di pizzo nero e le sistemo la gonna.

Gli occhi di Giulia corrono sulle mie mani che sistemano lei per poi sistemare me nella zona inguine. Si morde il labbro inferiore e distoglie lo sguardo «Non è possibile!» porta le mani a coprirsi gli occhi «Non posso esserci cascata di nuovo.»

Forse dovrei riderci su, invece il suo rifiuto mi sembra un tradimento.

«Avresti dovuto pensarci prima di succhiarmi le labbra. O forse, anche stavolta, ti sembravano quelle di qualcun altro?» È un colpo basso, ma non riesco a trattenere il fiume in piena che mi ha provocato dentro. Come prevedibile abbocca. Si volta di scatto fulminandomi con un'occhiata omicida «Non t'azzardare a dare la colpa a me! Sei stato tu a ribaltarmi sulla scrivania.»

«E tu a venirmi addosso.»

Si allontana di scatto «Sei...sei...!» emette un ringhio di rabbia «Un animale!»

Mi siedo comodamente sulla mia sedia e riprendo il lavoro dal punto in cui lo avevo lasciato.

«Se hai finito, ho del lavoro da terminare prima di pranzo.»

La sento trattenere il respiro mentre la sua rabbia mi arriva a ondate. Resta in silenzio ma so che dentro è un vulcano di insulti pronto ad eruttare. Sollevo lo sguardo giusto il tempo di vederla afflosciare le spalle in segno di resa. Mi conosce troppo bene per sperare di ottenere qualcosa di concreto da me.

«Chiudi la porta. Grazie.» Le dico quando fa per uscire. Troppo tardi mi rendo conto che lei aspettava solo un mio passo per avere l'ultima parola. Con una giravolta che le fa svolazzare la gonna si volta e alza il dito medio per strofinarselo sulla guancia. Il momento dopo ha lasciato il mio ufficio con la porta spalancata.

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