Parte 24 Il primo che voglio chiamare

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Giulia

In ufficio le ore passano lente. Nessuno sa del mio legame con Thomas, perciò nessuno mi chiede il motivo della sua assenza improvvisa, però tutti sembrano sapere che riguarda la madre.

Un'improvvisa malattia. Una di quelle terminali. Una di quelle senza nome.

Ecco cosa si dice.

Io non commento mai. Non partecipo alle conversazioni. Mi limito a svolgere i compiti che mi passa Viviana e quando arriva la fine del mio orario esco dall'ufficio senza dare nell'occhio.

Ho glissato già due inviti per pranzo da parte di Manuela e Massimo, quest'ultimo – da quando Thomas non c'è – sembra essere più aperto nei miei confronti, come se la sua assenza gli avesse lasciato via libera. Ma no. Non funziona nulla con me. Ho la testa e il cuore altrove.

Sto dove non voglio stare, ma non posso andare dove voglio e questo mi rende frustrata e irritabile. Per questo mi limito a fare il mio e scappo appena ne ho l'occasione.

Continuo ad andare anche al part time in palestra. Mi serve per non pensare, per far passare più in fretta le ore che mi mancano a venerdì pomeriggio, e poi i soldi mi servono. A quelli non posso dire di no. Elisa conosce la situazione e mi ha proposto di dormire da lei per non restare sola a casa, ma ho rifiutato. Quando torno nell'appartamento voglio solo telefonare a mamma per essere aggiornata sulla situazione, e a Edoardo e Gloria per dare il mio conforto, dopo di che spengo il cervello e riposo.

Ho provato a chiamare anche Thomas, ma il suo telefono risulta sempre spento. Credo che si sia voluto chiudere al mondo esterno per non essere disturbato, per non dover rispondere alle tante domande o ai commenti dispiaciuti delle persone. Pensandoci, è da lui. Non lo biasimo. Lo capisco. Solo che...avrei voluto sentire la sua voce. Anche se fredda e distante. Avrei voluto fargli capire che ci sono. Io per lui ci sono.

Giovedì pomeriggio accetto di fare un turno in più per sostituire una delle ragazze addette alla sala per l'allenamento funzionale. Mentre sto riportando alcuni tappetini al loro posto mi scontro con qualcuno che viene dal senso opposto. L'impatto mi fa perdere la presa sui tappetini che finiscono a terra rotolando in tutte le direzioni.

«Ops! Scusa.» Dice il malcapitato aiutandomi a raccattarli.

«Colpa mia, ero distratta.» ammetto alzando la testa per sorridergli, ma nell'istante in cui lo vedo mi blocco. «Rodolfo?»

«Giulia? Lavori qui?» sembra piacevolmente sorpreso.

Per la prima volta da quando è iniziata la settimana sorrido in modo spontaneo e sincero. «Mi sembra di avertelo detto l'ultima volta che ci siamo visti.»

Rodolfo arrossisce leggermente. «Sì, sì. Ma non avevo capito che era questa la palestra. Con tutte quelle che ci sono a Milano.»

Lascia la frase in sospeso. Il tono è disinvolto, tuttavia non so se credergli. Sono abbastanza certa di aver menzionato anche la palestra nel nostro discorso.

«E quindi, ti sei iscritto qui?»

Sorride. «Già. Ho iniziato due giorni fa.»

«Vedrai che ti troverai bene. Lo staff è preparato e gentile.»

Annuisce. Sorride. La conversazione languisce e io mi guardo i piedi un po' in imbarazzo.

«Beh, adesso devo tornare al lavoro.»

«Aspetta.» Rodolfo mi trattiene per un braccio. «Hai tempo dopo per bere qualcosa?»

Il mio primo istinto è quello di rifiutare l'invito. Non ho voglia di vedere e parlare con nessuno al di fuori degli impegni lavorativi. La mia esitazione però suscita un'espressione dispiaciuta sul viso di Rodolfo che mi ricorda il legame che avevamo un tempo e ricapitolo.

«Stacco tra mezz'ora. Puoi aspettarmi al bar accanto alla reception?»

Il suo volto si illumina. «Certo.»

«Posso stare poco, però.»

«Non c'è problema. Anch'io ho un impegno più tardi.»

Quando mi allontano, ho addosso uno strano malumore, come se stessi facendo qualcosa di sbagliato. Mi sento in colpa? Perché?

Non sto facendo nulla di male. Ho solo accettato un caffè da un caro amico.

Poi capisco. È la troppa pressione degli ultimi giorni. Tra Edoardo che mi sembra di ingannare, Thomas che non mi fa capire se mi voglia nella sua vita o meno, ho una tale pressione e frustrazione addosso da non lasciarmi più libera di pensare né di decidere qualsiasi cosa. Anche la più stupida e innocente.

Con Rodolfo c'è sempre stata un'amicizia platonica. Lui non ci ha mai provato e io ero già persa di Edoardo per notare la sua avvenenza. Con lui sono in una botte di ferro. Non dovrebbe turbarmi uscire con lui. È un amico. Punto.

Scaccio i sensi di colpa e come promesso, mezz'ora dopo lo raggiungo al bar della palestra che a quest'ora è pieno di persone. Quando arrivo scopro che Rodolfo è riuscito a occupare un tavolo vicino alla finestra, il mio punto preferito.

«Te ne sei ricordato?» chiedo con un sorriso mentre gli siedo davanti.

«Come potrei dimenticarlo dopo tutto lo stress che mi provocavi per arrivare prima al Caffè Giò e trovare posto accanto alla finestra?»

Rido. «Oddio, il Caffè Giò, quanti ricordi! Mi è dispiaciuto un sacco quando l'hanno chiuso.»

«Già, anche a me. Al suo posto cosa c'è adesso?»

Alzo le sopracciglia. «Una pescheria, credo.»

«Cosa?» si fa schifato «No, hanno rovinato il mio ricordo!»

Una cameriera si avvicina al nostro tavolo per prendere le ordinazioni. Rodolfo insiste per ordinare un aperitivo, ma io sono irremovibile, così io prendo un caffè mentre lui ripiega su un marocchino.

Ci sono due motivi per cui ho rifiutato la sua idea. La prima è che ho fretta di andarmene e il caffè è la soluzione più veloce, la seconda è che consumare l'aperitivo con un amico equivale a fare festa. Aperitivo e divertimento sono quasi sinonimi per me, e non è il momento per divertirsi, non quando la mia famiglia sta soffrendo.

Restiamo una ventina di minuti a chiacchierare dei vecchi tempi, dopo di ché mi alzo per infilarmi il cappotto. Rodolfo insiste ancora, non mi molla. Mi accompagna all'uscita, si offre di darmi uno strappo a casa. Invento una scusa. Lui mi guarda in modo strano. Se mi conosce bene, sa che sto nascondendo qualcosa. Lo vedo nei suoi occhi, nel modo in cui mi scruta attento. Ha capito che qualcosa non va, ma quando arriva la domanda non ce la faccio. Non gli dico niente di ciò che è successo alla famiglia De Angelis, a Laura. Non spetta a me. Non so nemmeno se in paese la gente lo sappia, se stiano già mormorando e ricamandoci sopra. Odio le chiacchiere, non vorrei mai essere la causa o l'origine della loro diffusione.

Perciò ci lasciamo così. Rodolfo mi bacia le guance, mi stringe con la promessa di contattarmi presto. Annuisco, ma il mio sorriso e triste e lui lo nota, ma tace. Mi fissa a lungo mentre mi allontano sul marciapiede.

Torno a casa a piedi. Nella solitudine dei miei pensieri Thomas è il primo che voglio chiamare. Il primo che voglio sentire. La sua voce mi manca.

Ma non risponde. Il suo telefono mi rimanda alla segreteria. Ancora.

IL FRATELLO SBAGLIATODove le storie prendono vita. Scoprilo ora