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By AppleAnia

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✨🏆WATTYS 2023 WINNER🏆✨ | migliore ambientazione | «... ma furono i nuovi decreti del 391 a inasprire le pr... More

MAPPE
PERSONAGGI
✤ Parte prima • L'OMBRA DELL'EREDE ✤
0 • PROLOGO
1.1 • TIBUR SUPERBUM
1.2 • LA GIURIA
1.3 • IL GENIO
1.4 • DEVON
1.5 • OBUMBRATI
1.6 • PRECIPIZIO
1.7 • INNOMINABILI
1.8 • DEMONE
1.9 • CONTROLLO
1.10 • IL PROCESSO
1.11 • L'AMULETO
1.12 • RADICI
1.13 • LA PROFEZIA
1.14 • CATABASI
1.15 • CREATURE
1.16 • SACRILEGIO
1.17 • L'ESSENZA STESSA DEL REGNO
1.18 • FIAMMA
1.19 • INIZIAZIONI
1.20 • NESSUNA PAROLA D'ORDINE
1.21 • TRADIMENTO
1.22 • VILLA TECLA
1.23 • LA SETTA
1.24 • CORVO
1.25 • LA VENDETTA NON È GIUSTIZIA
1.26 • SETE
1.27 • SPECCHIO
1.28 • LA FERITA INCANDESCENTE
1.29 • IL POTERE LOGORA IL GENIO
1.30 • LA TERZA REGOLA
1.31 • UNA SETTA NON È UNA DEMOCRAZIA
1.32 • LA PENULTIMA SIBILLA
1.33 • ANIMUS BELLIGERANDI
1.34 • LO SBRACATO
1.35 • LA PIETRA NERA
1.36 • AZOTO LIQUIDO
1.37 • MASCHERA SENZA OCCHI
1.38 • CHI VIOLERÀ QUESTO LUOGO SIA MALEDETTO
1.39 • ENEA
1.40 • VIVERE INSIEME O MORIRE DA SOLI
Extra: riassuntoni
✤ Parte seconda • LA CONDANNA DELLA MEMORIA ✤
2.1 • POIS
2.2 • BLACKOUT
2.3 • COME SE SI ASPETTASSE L'APPLAUSO
2.4 • IL COLLEGIUM
2.5 • UN DETTAGLIO ASSOLUTAMENTE IRRILEVANTE
2.6 • INCONTRI FORTUITI E BRUTTE NOTIZIE ANNUNCIATE
2.7 • GEMELLI
2.8 • TAKESHI WATANABE
2.9 • BIGLIETTO DI SOLA ANDATA PER GLI INFERI
2.10 • TUTTO FUORCHÉ SNELLA
2.11 • QUALCOSA DI VAGAMENTE AZZURRINO
2.12 • DOMINA
2.13 • UN LAVORO DI FINO
2.14 • VISIONE SUPERIORE
2.15 • L'IMPORTANTE È CHE TI PIACCIO ANCORA
2.16 • CANCELLI DISCHIUSI
2.17 • CORVINA
2.18 • RAMI
2.19 • TIZIO, CAIO E HARPASTUM
2.20 • ASSETTO DA GUERRA
2.21 • GRANDE PUFFO BEVE IL GIN
2.22 • UN VERO GENIO
2.23 • TORMENTO E VENDETTA
2.24 • VORAGINE
2.25 • CONTO ALLA ROVESCIA
2.26 • SNEBBIAMENTO
2.27 • REIJIRO
2.28 • IMPRESE ILLEGALI
2.29 • CONDIZIONE NON SODDISFATTA
2.30 • DI DISPERAZIONE E DI SETE
Extra: riassuntone II
PERSONAGGI pt. 2
✤ Parte terza • LE BAMBOLE DI GHIACCIO ✤
3.1 • PARLAMI DI CONSTANTIN
3.2 • MALEDETTE COSCE SECCHE
3.3 • SE TI AVVICINI TROPPO FAI MALE AL NASO
3.4 • RITRATTO DI FAMIGLIA
3.5 • MOLTO AMICHEVOLE
3.6 • IL SIMBOLO DELLA NOSTRA OPPRESSIONE
3.7 • SBAVATO E SBIADITO DAL TEMPO
3.8 • GRAPPA DELL'ACROPOLI
3.9 • PEGGIORE DELLE PIÙ NEFASTE PREVISIONI
3.10 • DI LÀ
3.11 • PUR SEMPRE UN GENIO
3.12 • NOTTE DI LUNA CALANTE
3.13 • QUELLA VOLTA A TOKYO
3.14 • CONTINUAMENTE E PER FUTILI MOTIVI
3.15 • SENZA STARE A FORMALIZZARSI PIÙ DI TANTO
3.16 • INCANTAMENTUM
3.17 • BELLICREPA
3.18 • LA VIGILIA DI NATALE
3.19 • DECISIONI DRAMMATICHE
3.20 • BAMBOLE DI GHIACCIO
3.21 • INFRACTUS
3.22 • E et C
3.23 • URLA CHE INVOCANO VENDETTA
3.24 • UNO PER OGNUNO DEI SETTE
3.25 • ESSERE UN GENIO È BELLISSIMO
3.26 • UN TERZO DELLO SPIRITO
3.27 • L'OMBRA DI ALASTOR
3.28 • MACERIE
3.29 • PER LEI
3.30 • SPREGIUDICATAMENTE FOLLE
3.31 • CENTOVENTOTTO
3.32 • IL RASTRELLATORE MANGIA BAMBINI
3.33 • POLLICE VERSO
3.34 • UN'ULTIMA VOLTA SOLTANTO
3.35 • IL MOMENTO DI METTERE TUTTE LE CARTE IN TAVOLA
3.36 • LA GRANDE CASCATA
3.37 • IL DETENTORE DEL BRACCIO DELLA BILANCIA
3.38 • DISPENSATORI ARBITRARI DI SOFFERENZA E MORTE
3.39 • SED UT NULLO
3.40 • IL SOGNO PIÙ BELLO CHE ABBIA MAI FATTO
RINGRAZIAMENTI
ALBERO GENEALOGIO

EPILOGO

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By AppleAnia

Quando faceva così caldo, la piazza, di notte, era molto più affollata che non di giorno. Edera e Corinna stavano fumando una sigaretta sedute sulla panchina appena fuori dal ristorante, mentre io, Gaia e Sara eravamo in piedi davanti a loro, lanciate in una serratissima partita di chiacchiere.

«Mei?» sentimmo alle nostre spalle e io mi voltai, stupita, verso il possessore di quella voce sconosciuta.

«Sì?» domandai, osservando quel tizio tutto in tiro ma completamente anonimo che mi ero ritrovata davanti.

«Non ti ricordi? Stavamo a scuola insieme» disse, allentandosi il nodo della cravatta. «Sono Piras».

Piras? Non poteva essere. Lo scrutai attentamente. Corna di Bacco, aveva ragione. Era proprio Piras.

«Scusami» dissi. «Non ti avevo riconosciuto senza... rasta».

«Li ho tagliati all'università» rispose, passandosi una mano tra i capelli corti. «Mi sono laureato in economia e commercio. Lavoro in banca, adesso».

Le mie amiche erano rimaste immobili e in silenzio ma riuscivo lo stesso a percepire lo sguardo di disapprovazione di Edera, che si era laureata in lettere e faceva l'insegnante eppure aveva ancora i lobi dilatati, il piercing al setto e i capelli rosa.

«Tu, invece? Che lavoro fai?» chiese.

«Niente di entusiasmante» risposi. «Svolgo qualche lavoretto part-time, ma niente di continuativo».

«Non sei andata all'università, quindi» dedusse, con rammarico. «Io sì».

«No, non ci sono andata» confermai.

«Lui sì» mi sussurrò Gaia nell'orecchio. «Non so se lo hai capito».

La porta del ristorante cinese si spalancò di botto e la proprietaria ne fuoriuscì tenendo qualcosa in mano. Era un donnone che, più che in una cucina d'acciaio a vista, in mezzo ai cuochi minorenni, avrei immaginato a suo agio su un ring. Si aggirava tra i tavoli con il suo micro gilet di seta, l'aria conviviale e amichevole che ci aspetterebbe di trovare in un round all'ultimo sangue di jujitsu: gambe leggermente divaricate, braccia possenti larghe e semiflesse, sempre pronte per sferrare un colpo, quasi certamente letale.

Sollevava quel sacco della spazzatura come se fosse stato senza peso. Ma non era un sacco della spazzatura, però. Perché si stava dimenando furiosamente tra i suoi bicipiti poderosi.

Cazzo. No, non era un sacco della spazzatura. Era una bambina.

«Signora!» starnazzò, tirandomela praticamente addosso. «La tenga fuori dal mio ristorante e lontana dal mio acquario!»

«Mi scusi» dissi, mortificata, mentre le mie amiche indietreggiavano, temendo probabilmente e comprensibilmente per le loro vite. «Voleva solo vedere i pesci...»

«Non volevo vedere i pesci» mi contraddisse lei, poi si rivolse alla signora, puntandole contro un dito paffuto. «Il filtro del suo acquario è sottodimensionato. Sta lavorando al massimo! Se proprio non lo vuole sostituire, almeno sposti il bunocephalo».

Davanti a quell'affermazione incomprensibile calò il silenzio. La lottatrice girò il gilet e i bicipiti e tornò nel suo ristorante, lasciando tutti noi in un silenzio attonito.

«Lavori per questi cinesi?» domandò Piras.

«Sì» risposi, tra le occhiate imbarazzate delle mie amiche. «Faccio da babysitter a questa bambina orribile».

«Peccato» concluse. «Non eri neanche male a scuola. Se ti fossi laureata, forse, avresti potuto trovare un lavoro più dignitoso».

«Eh, va bene dai, è andata così» dissi, poi feci un passo verso di lui per battergli un colpetto sulla spalla. «Beh, è stato un piacere rivederti... addio».

«No, aspetta» disse, trattenendomi per il braccio. «Che è successo alla tua faccia?»

Le cicatrici, purtroppo, non erano sparite, neanche con i ripetuti trattamenti di mia madre. Erano rimasti solo dei sottilissimi cordini bianchi che, con il trucco, riuscivo a camuffare abbastanza bene ma non a nascondere. Infatti, a un'occhiata ravvicinata, non sarebbero sfuggiti neanche allo sguardo meno attento. Tipo quello da bunocephalo con la laurea di Piras.

«Un incidente, anni fa» risposi.

«Ah, ho capito» disse, strizzandomi l'occhio, poi ammiccò di nuovo in direzione dell'insegna del ristornate cinese. «Ti ha rifatto faccia il gatto che stavi tentando di cucinare?»

Non sarei mai riuscita a capire come era possibile che quel tizio mi fosse piaciuto.

«Mamma» mi chiamò Mirei, tirandomi per la gonna, non appena lui si fu allontanato abbastanza. «Ma chi era quel deficiente?»

«Una vecchia fiamma di tua mamma» rise Gaia.

«Cosa stavi dicendo a proposito dell'acquario, Mirei?» le domandò Sara, chinandosi per sistemarle il colletto del vestitino. «Chi ti ha insegnato tutte quelle cose?»

«Zio Agenore!» rispose lei, tutta fiera. «Lo sai che è tornato?»

«È tornato?» mi domandò conferma Corinna, espirando il fumo.

«Sì, ieri sera» risposi. «Per l'evento».

«Andrai anche tu, Mirei?» le domandò Gaia.

«Sì» annuì lei, facendo oscillare le treccine nerissime. «Così, finalmente, rivedrò anche il mio papà!»

Le mie amiche, per fortuna, erano abituate alle stranezze di Mirei e non badavano più di tanto a ciò che diceva.

Quando, ormai cinque anni prima, avevo scoperto della gravidanza, lì per lì, non me ne ero neanche preoccupata più di tanto. Mi sembrava una cosa vaga e astratta, qualcosa che stava succedendo al mio corpo ma da cui la mia mente si era del tutto dissociata.

Mia madre, con la sua proverbiale delicatezza, mi aveva detto, senza tanti giri di parole che, se avessi voluto, ero perfettamente in tempo per interromperla.

"Non fraintendermi, anche tu sei nata che io avevo giusto vent'anni. Ma era una situazione molto diversa. Io ero sposata e ben consapevole di cosa stessi facendo. Ma, se tu non te la sentissi..." aveva detto, riuscendo nella non facile impresa di esprimere un concetto giusto pronunciando però tutte le parole sbagliate, tipo ben consapevole o sposata.

«Me la sento» avevo tagliato corto. «Potrebbe essere di Rei e potrebbe essere l'unica cosa che mi resta di lui».

«Potrebbe essere di Rei» aveva ripetuto mia madre, con le sopracciglia aggrottate, perché, evidentemente, aveva dato quell'assunto per scontato. «Il che significa che potrebbe anche non essere?»

Ovviamente, sì. Ma io, in cuor mio, ero certa che lo fosse. Avrebbe avuto gli occhi neri e a mandorla e io lo avrei chiamato Reijiro, proprio come suo padre.

Poi, chiaramente, avendo avuto una femmina, avevo dovuto desistere dal malsano intento di chiamarla Reijiro. Almeno, però, aveva effettivamente gli occhi a mandorla. Il che, col senno di poi, era stato da considerarsi una vera fortuna. Una morfologia facciale che fungeva anche da indicazione assolutamente certa di paternità. Perché, se Mirei non avesse praticamente staccato la faccia a suo padre, avrei di certo temuto che fosse stata la figlia di un qualche demonio venuto a prendermi con la forza nel sonno.

Perché Mirei condivideva con Rei solo i lineamenti e un ideogramma del nome. Per il resto, sembrava un incrocio mal riuscito tra un miscuglio di Creature degli Inferi, con la forza di un Ciclope, la furia di una lamia e, quando le prendevano i cinque minuti, la voce di una Strige.

«Però è così c-carina» mi disse Agenore, quella sera stessa, seduto accanto a noi sul mio letto, guardandola dormire nel suo alone brillante di bambina non ancora corrotta dalle brutture della vita.

Se il carattere di Mirei in qualche modo, aveva sorpreso tutti, io invece, mi ero rivelata proprio il tipo di educatrice che chiunque si sarebbe aspettato. Cioè pessima. Mirei era un indomabile figlia del male, oltre che un' insopportabile sapientina. Però era anche maledettamente carina e io non ero mai riuscita, per esempio, ad allontanarla lasciandola sola nel suo lettino quando lei mi fissava con gli occhioni lucidi e chiedeva il mio contatto. Cioè ogni notte.

«Ma chi, questa merdina?» domandai, carezzandole i capelli liscissimi, e Agenore ridacchiò in silenzio, ben attento a non svegliare il Cerbero assopito.

«C-come è andata la cena con le tue amiche? Sei pronta per d-domani?» sussurrò e io, esausta dalla giornata e dai pensieri, poggiai la testa sulla sua spalla e lasciai che stringesse sia me che Mirei che mi dormiva addosso.

«Non lo so» risposi. «Ho un po' paura».

«Ma ci sono io» disse, rassicurante.

«E tu non hai paura?»

«Un po'» ammise. «Ma abbiamo affrontato p-prove peggiori, direi».

«Peggiori che partecipare a un matrimonio pieno di persone, dopo cinque anni di assenza da Tibur

C'eravamo tornate, io e Mirei da sole, in realtà, tutti gli anni. In occasione dell'anniversario della morte di Rei ci eravamo recate al cimitero degli Equites sull'acropoli. Avevamo ammirato la sua statua e gli avevamo lasciato un fiore.

«No, forse no» concesse lui. «Ma c-ce la faremo lo stesso».

«Va bene» dissi, cominciando a sentire le palpebre pesantissime. «Dormi con noi, stanotte?»

«Certo» rispose, afferrando la coperta e tirandola su tutti e tre. Poena saltò su e si acciambellò ai piedi del letto, diffondendo nella stanza un confortante bagliore azzurrino. «Buonanotte».

Quando, lo stesso anno in cui l'Impero era caduto, ero tornata a Tivoli, Agenore era venuto con me. Entrambi avevamo sentito il bisogno di staccare da Tibur, di allontanarci e di riprendere fiato. Ma lui non aveva né una casa né una famiglia. Così, insieme a mia madre e Daniel, avevamo deciso di andare a vivere insieme e avevamo ripreso possesso della nostra vecchia casa. Alle mie amiche lo avevo presentato come mio cugino.

Agenore avrebbe voluto andare a lavorare subito ma mia madre aveva insistito per farlo iscrivere all'università. E così, dopo qualche mese delizioso di "devi farlo, sei l'unico Vendicatore col cervello che abbia mai conosciuto" e di "non potrei mai gravare così pesantemente sul tuo bilancio familiare, ora che ha persino un'altra bocca da sfamare", alla fine, si era lasciato convincere da un evento inaspettato. Il fatto, cioè, che, da un momento all'altro, io fossi diventata ricca sfondata.

"La consegna dell'anulus pronobus è, a tutti gli effetti, un atto legale" mi aveva detto la signora Petrocchi, qualche settimana dopo la fine della guerra. "Per l'Impero... cioè, per la Repubblica, vale come un atto di matrimonio vero e proprio".

E la Repubblica, a quanto sembrava, era solita elargire ingenti somme di denaro alle vedove degli Equites. Come fosse stata un'assicurazione sulla vita.

"Reijiro si era introdotto al Lapis Niger" mi aveva detto la Di Pietro, seduta sul divano di casa mia accanto alla sua amica. "Sapeva benissimo di essere maledetto. Non si aspettava di vivere ancora per molto, in ogni caso. Io credo che te lo abbia dato di proposito".

Rei non sapeva di dover morire. Che assurdità. Mi aveva appena chiesto di sposarlo, tra l'altro. Pensava davvero di trascorrere il resto della sua vita con me. Lì per lì, quindi, non avevo dato alcun peso alle parole della professoressa. Poi, una notte, svegliandomi di soprassalto, mi ero ricordata.

"Un'ultima volta soltanto" mi aveva risposto Rei, quando lo avevo implorato di non prendere mai più decisioni al mio posto. E, subito dopo, mi aveva consegnato l'anello. Rei aveva consapevolmente firmato la sua condanna a morte la sera in cui aveva varcato la soglia del Lapis Niger. E lo aveva fatto per me. Quella consapevolezza, per un lungo periodo, mi aveva fatta precipitare nella disperazione più nera. Poi, però, era nata Mirei e, guardandola, giorno dopo giorno, mi sembrava di essere riuscita a trovare un senso a tutta quella sofferenza. Perché Mirei, proprio come un mosaico meraviglioso, era nata da un incastro perfetto di cose spezzate, di pezzi e di frammenti.

Comunque, una volta scongiurato il rischio indigenza, Agenore aveva acconsentito a iscriversi alla facoltà di veterinaria che però, purtroppo, si trovava a Teramo. E quindi, da spietato Vendicatore, si era trasformato in uno studente fuori sede con lo zainetto in spalla, che tornava a casa ogni weekend riportando dolcetti, storie divertenti e incomprensibili aneddoti sui filtri sottodimensionati degli acquari.

Però, tutto sommato, avevamo trovato il nostro equilibrio. Daniel aveva preferito finire la scuola a Tivoli, mia madre aveva ripreso il suo lavoro da infermiera all'ospedale e Mirei, pur non avendo un padre, stava crescendo in una famiglia in armonia. Inoltre, adorava sia la nonna che entrambi i suoi zii. La serenità con cui dormiva accoccolata tra me e Agenore, come se quello fosse stato il posto più sicuro in cui potesse trovarsi, rendeva più facile far finta di aver dimenticato che noi due, insieme, avevamo ucciso molte più persone di quante ne avrebbe mai conosciute in tutta la vita.

Il matrimonio si sarebbe svolto nel Triclino dei Centauri, ma l'intero Palazzo Imperiale, ormai sede centrale della comunità di geni insediata a Villa Adriana, era stato addobbato a festa. Il sole stava per tramontare ma l'afa era ancora pesante e tangibile e io, avvolta nel mio svolazzante vestito celeste e stretta al braccio di Agenore, avevo già cominciato a sudare. Un assalto, quindi, era proprio l'ultima cosa di cui sentissi la necessità.

«Ania!» urlò Yumi, saltandomi praticamente in braccio. «Stai molto bene. Sai vestirti anche senza di me, quindi?»

«Beh, ci provo» risposi, lisciandomi il vestito.

«E dov'è Mirei?»

«Zia Yumi!» la chiamò, saltando fuori da dietro la gonna di mia madre, poi corse ad abbracciare anche Kumiko. «Nonna!»

Mi sentivo appena un pochino più ottimista della sera prima. La serata sarebbe andata bene. Perché no? Era vero che mancavo da Villa Adriana da cinque anni ma Yumi e Devon, per esempio, erano venuti a trovarmi un sacco di volte. E anche con Roze e con Flacara, pur non essendoci più viste, eravamo rimaste sempre in contatto. In qualche modo, ero rimasta nel giro, tutto sommato. E poi, al massimo, se si fosse presentato un momento di difficoltà, avrei potuto scagliare Mirei contro l'interlocutore molesto e squagliarmela.

Il Triclinio dei Centauri era una lunga sala dal pavimento di lucido marmo bianco, absidata e con tre navate di cui solo quella centrale era stata lasciata libera. A destra e a sinistra, invece, erano state disposte file e file di delicate panche in ferro battuto bianco sulle quali gli invitati stavano già prendendo posto. Alzai lo sguardo per ammirare l'ambiente. Intorno alle colonne erano stati intrecciati rigogliosi rampicanti dai fiori bianchi e argentei e tutto sembrava candido e splendente.

Ci affrettammo a guadagnarci un posto tra le file centrali e, in pochi minuti, una fiumana di gente in ghingheri fluì attraverso il grosso portone lasciato spalancato.

«Guarda» mi disse Yumi, sistemandosi la scollatura del vestito rosa. «Quella non è Taide?»

«Mi sa di sì» risposi, osservando una fratta di capelli castani zigzagare in mezzo alla folla.

«Ci avete tenuto il posto?» domandò qualcuno alle nostre spalle.

«Zio Devon!» esclamò Mirei, correndo a salutarlo.

«Certo che ve lo abbiamo tenuto» fece Yumi, stringendosi a me per consentire loro di sedersi. «Ciao, Nozomi».

Non si erano neanche ancora seduti che, all'interno dell'enorme sala, iniziò a serpeggiare una certa agitazione.

«Uh, guardate un po'» disse Devon che, già da un paio d'anni, aveva abbandonato l'elmo dal cimiero rosso da centurione per vestire quello col cimiero porpora da Primus Pilus, il capo di tutti i centurioni della legione. «È arrivato anche Nate».

Nate, stando a quello che ci aveva raccontato Devon, aveva detto addio la carriera militare per dedicarsi all'harpastum, raggiungendo livelli olimpici e diventando famosissimo. Questo fatto, unito alla sua innegabile avvenenza fisica, aveva fatto di lui una specie di celebrità. Percorse la navata a lunghe facalcate, salutando qualcuno di tanto in tanto con la massima disinvoltura, poi ci individuò e venne a sederci vicino a noi.

Mentre gli invitati, ormai per buona parte seduti ai loro posti, allungavano il collo verso di lui scambiandosi gomitate, il brusio all'interno della sala, improvvisamente, si spense.

Gli sposi entrarono insieme, entrambi vestiti di bianco. Rami, con i capelli biondi tutti tirati indietro e Viktor, sulla sua sedia a rotelle. Ma vivo.

«Come è bello lui, mamma» sospirò Mirei, indicando Rami con il dito.

Era molto bello, come sempre. I Velatori erano riusciti a fargli mantenere l'aspetto della bambola di ghiaccio con cui tutti noi lo avevamo conosciuto, anche se lui non lo era e non lo era mai stato. Avevano preso un genio biondo senza genitori, forse semplicemente orfano, forse rastrellato da piccolo, e avevano plasmato i suoi lineamenti sulla base di quelli di Heikki. Rami, ovviamente, non aveva alcun ricordo del processo. E ritrovarsi, da un giorno all'altro, con una faccia diversa, sarebbe stato troppo per lui. E poi c'era un'altra cosa. Meno importante ma, per me, altrettanto consolante. Mantenendo l'aspetto di Heikki, Rami continuava a somigliare a Immanuel.

Immanuel, con l'uniforme da Eques e i lunghi capelli legati in una treccia, era seduto in prima fila, insieme ai parenti di Viktor. Anche lui aveva perso moltissimo, oltre ai due figli che non avrebbe mai ricordato. Joel, suo fratello, era morto nell'arena. Il suo corpo era stato ritrovato una decina di giorni dopo e altrettanti erano serviti per riassemblarlo e riconoscerlo, visto come era stato ridotto dalla furia delle Creature che lo avevano sbranato e dall'impeto di distruzione delle Viverne.

«Siamo qui riuniti, questa sera, per celebrare l'unione di due anime coraggiose» disse l'officiante.

Anime coraggiose. Era proprio quello che erano. E io non avrei mai potuto augurare loro niente di meglio di una vita da passare insieme. Per entrambi. Ma soprattutto per Rami. A differenza di tutti gli Umani presenti in sala, compresa Yumi, lui non aveva dimenticato Heikki e Maia. Così come non li aveva dimenticati nessun genio. La maledizione che aveva animato le bambole di ghiaccio, ovviamene, si era spezzata. E, con essa, era andato in pezzi ogni ricordo di loro, reale o fittizio, che la maledizione aveva generato. Quando ci pensavo, razionalmente, sentivo pervadermi dalla tristezza. Anche se, probabilmente, si trattava di una fortuna. Per Immanuel, per Yumi, per Nate e per tutti coloro che in qualche modo, li avevano amati.

«Vuoi tu, Viktor Mironov, prendere il qui presente Rami Vanhanen...»

Vuoi tu, Melania Mei, prendere il qui presente Reijiro Nakamura...

Sentii la manina di Mirei stringersi intorno al tessuto leggero del mio vestito azzurro. Lei era pur sempre un genio, anche se, ovviamente, non ancora risvegliato. E, in quanto tale, era forse normale che avvertisse un legame profondo con i geni a lei vicini, sopratutto se suoi parenti. E, dunque, era forse piuttosto normale che, in quel momento, percepisse tutta la mia sofferenza.

«...e dunque, da adesso, le vostre anime sono unite per sempre» concluse l'officiante.

«Mamma» mi sussurrò, coprendosi la bocca con la mano.

«Sì?» le domandai, commossa, tamponandomi gli occhi.

«Ma perché zio Mario sta sbudellando una pecora?»

Mirei, che, in quanto a tempismo e delicatezza, aveva decisamente preso da mia madre, dunque, non aveva la minima intenzione di mettersi a empatizzare col mio dolore. Però, c'era anche da dire che il loro inopportuno e funesto cinismo, ogni tanto, era in grado di ridimensionare la portata dei drammi interiori nei quali tendevo a incastrarmi.

Mario era stato reintegrato nell'ordine degli Aruspici e, come da tradizione, aveva sacrificato l'animale per esaminarne le viscere, alla ricerca di un imprecisato favore degli Dei. Fortunatamente, lo aveva trovato piuttosto in fretta, lo aveva proclamato e, insieme ad altri nove Aruspici dal cappello a punta che fungevano da testimoni, aveva apposto il suo sigillo sull'atto di matrimonio.

La povera pecora era stata poi portata via e servita durante la cena sotto forma di arrosticini. Ci eravamo spostati dal Triclinio dei Centauri all'ambiente in cui si sarebbe svolto il banchetto, il triclinio estivo. Un meraviglioso giardino semicircolare addobbato con fiori bianchi e lunghe file di lucine, pieno di nicchie con le statue e strepitosi giochi d'acqua. Sotto il porticato dal soffitto a volta, rialzato su una pedana, era stato sistemato il tavolo degli sposi.

Tutti gli altri tavoli erano rotondi ed erano stati sistemati sul lastricato e addobbati da tovaglie bianche e centrotavola composti di fiori bianchi. I camerieri spuntavano e sparivano da tutte la parti con i loro vassoi dorati carichi di ogni tipo di prelibatezza.

L'orchestra aveva iniziato a suonare e, poiché Viktor e Rami non avrebbero potuto aprire le danze come sarebbe stato consuetudine, l'intera folla di invitati si riversò sulla pista da ballo e Rami fu costretto a danzare praticamente con ognuno di loro.

«Lei che ci fa qui da sola?» domandai alla professoressa Di Pietro, che stava sorseggiando una bevanda incolore da un bicchiere colmo. «Dov'è Ovidiu?»

La Di Pietro posò il bicchiere sul tavolino di accompagno e mi diede un paio di pacche sul braccio.

«In Romania, proprio dove deve stare» rispose.

«Tratta bene le mie Viverne?»

«Certo. Ora che tutti gli Augustali corrotti sono stati giustiziati, l'Ordine è tornato al suo antico splendore. Le Viverne stanno alla grande, così come tutte le altre Creature, nella riserva».

«Come lo sa? È stata a trovarlo?»

«Di tanto in tanto, per controllare la situazione» tagliò corto.

«Uhm» sbuffai, delusa. «Quindi non vi siete messi insieme?»

«Per carità» rispose. «Non rinuncerei mai alla mia libertà, alla mia età».

«Ha fatto una serie agghiacciante di rime, ma la metrica era completamente in quel paese» le dissi, e lei scoppiò a ridere.

«Va bene» conclusi, perché Rami si era liberato e volevo approfittarne per sferrare il mio attacco. «Poi, quando ha finito di sorseggiare l'acqua, può venire a sedersi con noi, se vuole».

«Grazie» disse lei, riafferrando il suo bicchiere, «Marzia mi sta aspettando al tavolo. Sono più a mio agio con quelli della mia età».

«Tipo con Ovidiu? Guardi che lui è innamorato di lei. Si vede lontano un chilometro».

«Ciao, Melania» rise e io la salutai e afferrai Rami appena in tempo prima che finisse tra le grinfie di una vecchia tutta addobbata che gli stava ronzando intorno da un po'.

«Sono così contenta, voi due ve lo meritate più di chiunque altro» gli dissi, volteggiando finalmente tra le sue braccia.

«Te lo saresti meritato anche tu».

«Sì» ammisi, poi tornai a sorridere perché non avrei mai voluto intristirlo in un momento del genere. «Ma io ho mia figlia. Che si è infatuata di te, tra l'altro».

«Non dirlo a Viktor» rise. «Tua figlia è davvero carina».

Ma non avevo neanche fatto in tempo a rispondere che la vecchia di prima era saltata fuori dalla calca e me lo aveva letteralmente strappato dalle mani.

«Non monopolizzare lo sposo» mi sgridò Yumi, quando fui tornata al nostro tavolo.

«Monopolizzare?» domandai, affranta. «Ma se sono riuscita a parlarci per cinque secondi!»

«Puoi parlare con me, però» rise Viktor, che era venuto a sederci al nostro tavolo. «Sono lo sposo anch'io».

«Lo so, ma lui è più tenero» dissi, accucciandomi per abbracciarlo.

«Infatti lo stanno spolpando» disse lui. «Come al solito».

Poi, con un movimento improvviso, spostò la sedia a rotelle e la spinse dietro di me.

«Oh no» disse. «Cazzo. C'è Ionascu».

Mi alzai in punta di piedi per cercare di individuarlo tra la folla danzante. Eccolo lì. E c'era anche Roze, con lui. Finalmente. Era la prima volta che li vedevo insieme. Fatta eccezione per la volta in cui li avevo beccati ad amoreggiare sotto lo scheletro della balena, ovviamente.

«Ania!» mi salutò la mia amica, non appena ci individuò.

«No!» esclamò Viktor, ancora ingobbito dietro la mia schiena. «Non farli venire da questa parte».

«Mironov» tuonò Ionascu.

«Buonasera, professore» rispose lui, facendo capolino dietro di me.

«Ti stavi nascondendo?» domandò, poi fece per aggiungere qualcosa ma io lo stroncai sul nascere.

«No eh, per favore» gli dissi, puntandogli un indice davanti alla faccia. «Non si accettano più battute sulle dimensioni del culone di Mei».

«Volevo rinnovargli il mio invito a considerare la carriera paralimpica di harpastum» rispose, con la sua solita espressione di sufficienza. «Ma, visto che ci tieni tanto a parlare del tuo sedere, devo dire che, effettivamente, se continui così, potremmo nasconderci una squadra intera».

«Dai, Relu» ridacchiò Roze, sferrandogli un buffetto sul braccio. «Non possiamo fare battute sui sederi degli altri, viste le dimensioni del mio».

«Ma che dici?» esclamai, poi poggiai delicatamente una mano sul suo ventre bello tondo. «Stai benissimo, invece! Allora? Sai se è maschio o femmina? Io non ho buttato niente, ho ancora tutti i vestitini e tutti i giochi di Mirei. Posso regalarti un sacco di cose se...»

«No, ti prego. Speriamo che sia maschio, allora» sbuffò Ionascu. «Ci mancano solo i tuoi vestiti impregnati di tanfo di genio in casa mia. Alla creatura si rovinerebbe subito l'olfatto».

«Parlare della squadra paralimpica di harpastum sarebbe stato quasi meno imbarazzante» intervenne Viktor.

«Parliamone, allora» convenne Ionascu.

«Davvero, stai benissimo, Roze» dissi, abbracciando la mia amica e stropicciandole il vestito giallo premaman.

«Grazie» rispose, prendendomi le mani tra le sue. «Perdona Relu. Non è cattivo come sembra».

«So bene che non è cattivo, non ti preoccupare» risposi, sorpresa.

«È stato anche lui vittima di un sistema ingiusto» sussurrò. «Proprio come il tuo magister».

«Lo so» ripetei, con pazienza, perché mi ricordavo bene il periodo della gravidanza, costellato di sbalzi d'umore e lacrime facili. «Ti ho detto di non preoccupartene. Non ci saranno mai più ingiustizie del genere, adesso».

«No, infatti» annuì, «l'istituzione del senato è stato... oh, Ania, mi dispiace così tanto che tu te ne sia andata. Proprio quando le cose hanno cominciato a funzionare davvero bene! Non hai mai pensato di tornare?»

«Sì» ammisi, «sì, è ovvio che ci ho pensato. Anche per Mirei, affinché lei possa...»

«A proposito» mi interruppe Roze. «Dov'è? Muoio dalla voglia di conoscerla!»

Già. Ottima domanda. Dov'era? Mi guardai intorno voltando la testa di qua e di là, chinandomi per guardare sotto i tavoli, dietro le sedie, sotto le gonne delle invitate ma...

«Eccola lì» mi disse Yumi, indicando la pista da ballo.

Seguii il suo dito con lo sguardo e osservai, sgomenta, ciò che stava accadendo: Mirei, tutta elegante nel suo vestitino blu, aveva acchiappato un bambinetto poco più grande di lei ma decisamente meno spigliato e lo stava facendo volteggiare con foga.

«Mirei!» dissi, tirandola per un orecchio fuori dalla pista. «Non devi allontanarti! E non dare fastidio agli altri bambini!»

«Non sgridarla» sentii alle mie spalle e, riconoscendo la voce, mi voltai di scatto.

Kirk era in piedi proprio davanti a me. Aveva tutti i capelli pettinati all'indietro e un velo di barba sulla metà non ustionata del suo viso affilato. Per la prima volta da quando lo avevo conosciuto lo vedevo con abiti diversi da quelli militari della Setta.

Il bambinetto, ben contento di appigliarsi a quel momento di imbarazzo per disfarsi di Mirei, corse ad abbracciare Kirk, aggrappandosi ai pantaloni neri del suo completo elegante.

«Papà» gli disse. «Possiamo andare via?»

«No» rispose Kirk, sfoderando un sorriso dolce. «Papà deve parlare un attimo con questa signora. Puoi danzare con Mirei ancora per un po', Bjorn?»

Il bambino annuì, un po' offeso, e Mirei ne approfittò per riagguantarlo.

Una volta che fummo rimasti soli, Kirk mi poggiò una mano sulla schiena e mi invitò a seguirlo poco distante, al riparo dalla folla scatenata, poi alzò il suo guardo azzurro su di me e provò a dire qualcosa.

«Signora, comunque, lo dici a tua sorella» lo precedetti e lui scoppiò a ridere.

«Sono contento di vederti in forma» disse, poi. «Ero molto preoccupato per te, dopo la morte di Reijiro».

«Sì, immagino. Così preoccupato da essertene andato senza neanche salutarmi» risposi, senza potermi trattenere.

«Ma no» disse, perplesso. «Ho avuto bisogno di allontanarmi ma ti ho lasciato tutti i miei recapiti. Sei stata tu a non farti sentire mai. Così neanche io ti ho cercata, anche se ho avuto spesso tue notizie da Agenore».

«I tuoi recapiti» ripetei.

«Te li ho scritti nella lettera che ho lasciato a tua madre quando sono andato via» rispose, aggrottando appena le sopracciglia. «L'hai letta, vero?»

Strizzai gli occhi per cercare di non perdere di vista Mirei, a disagio.

«Non l'hai fatto» concluse lui.

«No» ammisi, tornando a posare lo sguardo nel suo. «Non ho avuto coraggio».

«Coraggio?» domandò. «Ne occorre molto, per leggere una lettera?»

«Sì» risposi, trattenendo le lacrime, perché non volevo che mi vedesse debole dopo tutti gli anni passati e perché non volevo neanche che mi colasse il mascara. «Sì, quando hai paura che sia una lettera d'addio».

Kirk non disse niente, così continuai.

«Avevo diciannove anni, ero incinta, sconvolta dalla perdita di Rei e tu... tu te ne sei andato» dissi. «Abbandonando tutto quello per cui avevi combattuto tanto duramente, abbandonando me».

«Non sapevo che fossi incinta, ovviamente» disse, come se, di tutto il mio discorso, non avesse sentito altro. «Altrimenti non me ne sarei mai andato, visto che c'era la possibilità che fosse mio».

«Certo, lo so» mi affrettai a rispondere, abbassando lo sguardo. «Scusami. Non volevo certo accusarti di una cosa del genere».

«So che ai tuoi occhi sembravo un leader bello, saggio e imbattibile, ma anche io ero giovane e pieno di paure» sospirò. «Ero solo. Sono sempre stato solo, da quando è morto Enea. Ma, almeno, avevo la mia integrità morale e il mio obiettivo. Dopo quella notte, dopo la grande illusione, dopo aver recuperato il Lapis Niger e averlo sigillato qui, nel Palazzo Imperiale, nella nuova sede dei geni... io, improvvisamente, mi sono reso conto di aver perso entrambi. L'obiettivo era stato conseguito e io non ne avevo un altro. Inoltre, la mia integrità aveva vacillato e i segni che tu, tuttora, hai sul volto, me lo avrebbero ricordato continuamente. Avevo bisogno di staccare, ma non avevo la minima intenzione di abbandonarti, credimi. Anzi, per qualche tempo, ho addirittura sperato che tu mi raggiungessi».

Rimanemmo qualche istante in silenzio. Forse, se avessi avuto il coraggio di aprire la sua lettera, lo avrei raggiunto davvero. Forse, era stato anche in considerazione di quella possibilità che il coraggio mi era mancato. Eppure, non riuscivo a vedere Kirk come un'occasione perduta. Lui era, e continuava a essere, una parte fondamentale della mia vita. Uno dei tasselli più importanti del mio mosaico.  Il fatto che, alla fine, le nostre strade si fossero separate, non toglieva importanza a quello che era stato. Anzi.

«Un leader bello, saggio e imbattibile, dici?» domandai, e lui sorrise.

«Bello e saggio?»

«Facciamo solo bello» dissi e poi, in un slancio di coraggio, mi avvicinai e lo abbracciai.

«Sono contenta di averti rivisto, comunque» gli dissi.

«Anche io» sussurrò, stringendomi. «E spero di rivederti spesso».

«Per forza» risi. «I nostri figli si sono innamorati».

Cioè, quel povero bambino, ancora tra le grinfie di Mirei, lo aveva chiamato papà. Quindi doveva essere suo figlio. Però, nonostante non fossi un asso in matematica, mi sembrava che i conti non tornassero.

«L'ho adottato tre anni fa» disse, scostandosi un po' per guardarmi in faccia. «Insieme a Jurgen».

Insieme a Jurgen. Certo. Un altro tassello del mosaico che andava al suo posto, alla fine.

«Jurgen è stupendo» dissi, tornando a stringerlo. «Mi sento meglio a pensare che lui si sia preso cura di te, in questi anni. Non dimenticherò mai l'amore con cui l'hai accudito, quando era addormentato. Credo che non lo dimenticherà mai neanche lui».

«Siamo geni» disse, cercando di minimizzare. «Ci viene spontaneo prodigarci l'uno per l'altro. Anche tu ti sei presa cura di Agenore, per tutti questi anni, in fondo».

«Sì, beh...» farfugliai, allontanandomi. «Non è proprio la stessa cosa».

«Certo che no» si corresse subito. «Non intendevo certo cura in quel senso... anzi, lascialo stare. Agenore è un'anima innocente».

«Mamma!» gridò Mirei, aggrappandosi al mio braccio. «Bjorn è bellissimo. Bellissimo!»

«Bellissimo» confermai. «Ma dov'è andato?»

«Non lo so, è scappato via» disse, allungando le braccia per essere presa in braccio.

«Sai Ania» sussurrò Kirk, carezzando la testa di Mirei. «Abbiamo commesso tanti errori, in passato. Eppure, se mi guardo indietro, sono molto più dispiaciuto per le cose che non ho fatto che per quelle che ho fatto».

«Anche io» gli risposi.

«E allora, forse, è arrivato il momento di mollare gli ormeggi» sorrise, portandomi una ciocca di capelli dietro l'orecchio. «Vado a recuperare Bjorn e Jurgen».

«Kirk... intendete restare, stavolta?»

«Sì, vorrei finalmente riuscire a godere di tutto ciò per cui abbiamo combattuto tanto a lungo» rispose, poi si rivolse a Mirei. «Sei un Vendicatore, piccola? Bjorn è già pazzo di te. Prevedo un futuro radioso fatto di violenti omicidi e maschi infedeli squartati».

«Sarà stupendo» risi. «Non vedo l'ora».

La luna era ormai alta nel cielo e gli invitati sufficientemente sazi e ubriachi da aver perso ogni pretesa di decoro e dignità. Rami e Viktor avevano definitivamente abbandonato il loro tavolo sotto il portico per venire a sedersi con noi. La presenza degli sposi, sommata all'intima conversazione che Yumi e Nate avevano intrattenuto per tutta la sera, aveva già attirato non poche occhiate stizzite. E ovviamente, l'arrivo inaspettato di un uomo alto e bellissimo, avvolto in un mantello blu notte e con il cimiero sull'elmo dello stesso colore, peggiorò la situazione.

«Scusate il ritardo» disse il ragazzo, raggiungendoci a passo svelto, con il mantello che fluttuava a ogni suo passo elegante. Andò diretto dagli sposi e si tolse l'elmo. «Rami, Viktor, tanti auguri».

«Ma... è Iulian?» domandai, sgomenta, osservando la sua uniforme militare, molto diversa da quella da legionario che indossava l'ultima volta in cui ci eravamo visti. «È diventato...»

«Un figo?» rise Devon, coprendo gli occhi di Nozomi con la mano.

«Un pretoriano, volevo dire» precisai.

«Perché sei così stupita?» mi domandò Nate, vuotando il bicchiere. «Tu non lo hai mai capito fino in fondo. Lui è calmo e pacato ma non è un pappamolle. Anzi».

«Io non ho mai pensato che lo fosse» mi affrettai a rispondere.

«Forse no, ma ti è comunque sfuggito un dettaglio. Lui ha sempre saputo ciò che voleva. È fatto così. Non distoglie mai lo sguardo dal suo obiettivo finché non l'ha raggiunto. Non sta lì a sgomitare o a cercare altro modo per prevaricare sugli altri. Ma non molla il colpo. Mai».

«E il suo obbiettivo era diventare un pretoriano?» domandai, perplessa.

«Non ha capito niente, come al solito» disse Devon. «Il suo obiettivo era guadagnare una posizione sociale tale da essere alla tua altezza».

«Cosa?» domandai, a voce troppo alta, tanto che persino lo stesso Iulian si voltò a guardarmi. «Che accidenti state dicendo? La mia altezza? Significa forse che pensava di non esserlo?»

«Stai scherzando?» mi rispose Nate. «Eri contesa tra un Eques e il capo della Setta. Lui era solo un povero sine imperio orfano che faceva il legionario».

«Io non ero contesa e non ho mai pensato che lui fosse solo un povero sine imperio che faceva il legionario» lo corressi, offesa. «Come non l'ho mai pensato neanche di voi due, anche se siete talmente stupidi che ve lo sareste meritato».

«Meglio così, allora» disse Iulian.

Cazzo. Aveva sentito.

«Wow, mamma» disse Mirei, a voce altissima, indicandolo con il dito senza ritegno alcuno. «Anche lui è terribilmente bello».

«Ma non possono piacerti tutti» rise Yumi, poi si voltò a guardarmi. «Di sicuro non ha preso dal padre».

«Ma neanche dalla madre» le diede man forte Devon. «Ania, la tristona dal cuore di pietra. Da cinque anni senza un uomo».

Iulian, con il suo solito modo di fare gentile e composto, si chinò appena su di me e mi porse la mano. E, esattamente come la notte della Bellicrepa, l'ultimo momento di spensieratezza prima che le nostre vite divenissero accozzaglie informi di dolore, sofferenza e morte, sfoderando un sorriso adorabile, disse:

«Balli con me?»

Ma la serata, ormai, stava volgendo al termine. I membri dell'orchestra erano stanchi e ubriachi e quindi suonavano a tutto spiano una nenia noiosissima dopo l'altra tipo requiem funebre, un sofferente repertorio da sonno arretrato e pennichelle mancate.

Così, siccome anche io ero stanca e alticcia, poggiai la guancia sul petto di Iulian, all'interno del quale il suo cuore martellava fuoriosamente, proprio come la notte della Bellicrepa.

«E così, infine, pare che tu sia riuscita a capire perché batte così forte» disse, in un sussurro.

«Sì» ammisi, un po' in imbarazzo perché, oltre ad Agenore, che per me era come un fratello, non avevo mai più avuto un contatto così ravvicinato con un uomo.

«Ti fermerai qui per un po'?» domandò.

«Sì, forse...» farfugliai. «Sì, per qualche giorno».

«E, in uno di questi giorni, usciresti con me?»

E allora, forse, è arrivato il momento di mollare gli ormeggi.

«Sì» risposi.

Iulian smise di ballare e fece un passo indietro.

«Ho dato la risposta sbagliata?» domandai, in ansia.

«No, certo che no» disse, tornando ad abbracciarmi. «Scusami. È che non me lo aspettavo. Yumi e Devon ti prendono in giro di continuo. Mi hanno detto che hai respinto tutti quelli che te l'hanno chiesto».

«Perché loro non mi piacevano» risposi, e Iulian mi strinse un po' più forte.

Mi voltai a guardare verso i miei amici e osservai Mirei dormire beata stretta tra le braccia della zia. E, in lei, scorsi l'adorabile caratteraccio di Yumi, la silenziosa dolcezza di Daniel. L'indomabile forza di Agenore.

In lei vedevo la severità e la disciplina di Constantin.

In lei vedevo il possente coraggio e la dignitosa testardaggine del mio amato Rei.

Ma, guardando meglio, riuscivo a vedere anche dell'altro. Degli spazi vuoti, dei tasselli mancanti. L'umorismo e la lealtà di Devon. La spavalderia di Nate. La gentilezza di Roze. La forza d'animo di Viktor. La disarmante dolcezza di Rami. La cortese caparbietà di Iulian.

La tempra, l'intelligenza, la forza di volontà e la capacità di pensare in grande di Kirk.

«Forse rimarremo qui, alla fine» dissi, tornando a pioggiare la testa sul petto di Iulian.

Anche io, guardandomi indietro, provavo dispiacere per le tutte le cose non fatte, proprio come Kirk. E, guardando Mirei, fui certa che per niente al mondo avrei perso l'occasione di creare un mosaico così.

Iulian

Bene, con questo epilogo, il capitolo più lungo che abbia mai pubblicato e che mai pubblicherò, dichiaro SPQT ufficialmente concluso ç_________ç

Ho cercato di dare una conclusione a quasi tutte le questioni che erano rimaste in sospeso (ovviamente qualcosa di assolutamente trascurabile me lo sono perso per strada), alleggerendo un po' l'atmosfera cupa degli ultimi capitoli e buttandoci dentro un po' di EXTRATRASH che non guasta mai (DICO SOLO UNA COSA: MIREI X BJORN AHAHAHAH VOGLIO LA CORONA).

Non ho molta esperienza con i finali (del resto la mia vita è piena zeppa di cose incompiute 😅) e so che non è il finale in cui speravate (anche se almeno un paio di voi c'avevano questa Kirkurgen in mente già da un po' ahahahahah) ma spero che vi abbia comunque soddisfatto. Almeno non è troppo scontato, essù.

Comunque, ci sono un sacco di cose che devo dire ma non vorrei dilungarmi troppo vista la lungaggine del capitolo ç_ç quindi ve le dirò domani quando pubblicherò il capitolo con i ringraziamenti  ç_ç

Per il momento vi lascio con questi due artwork ufficiali di Rei e Kirk (lo so che fanno cagare, ma li ho fatti io e quindi SONO UFFICIALI PER FORZA DI COSE e comunque se ripensate un attimo alla statua di Augusto vi accorgerete comunque del mio netto miglioramento ahahahah). Ma la vera domanda è: perché li ho fatti? A cosa sono serviti?

... sì, ha a che fare con i vostri regali 💃🏻

Baci baci ç______ç

AppleAnia ç_____ç

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