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By AppleAnia

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✨🏆WATTYS 2023 WINNER🏆✨ | migliore ambientazione | «... ma furono i nuovi decreti del 391 a inasprire le pr... More

MAPPE
PERSONAGGI
✤ Parte prima • L'OMBRA DELL'EREDE ✤
0 • PROLOGO
1.1 • TIBUR SUPERBUM
1.2 • LA GIURIA
1.3 • IL GENIO
1.4 • DEVON
1.5 • OBUMBRATI
1.6 • PRECIPIZIO
1.7 • INNOMINABILI
1.8 • DEMONE
1.9 • CONTROLLO
1.10 • IL PROCESSO
1.11 • L'AMULETO
1.12 • RADICI
1.13 • LA PROFEZIA
1.14 • CATABASI
1.15 • CREATURE
1.16 • SACRILEGIO
1.17 • L'ESSENZA STESSA DEL REGNO
1.18 • FIAMMA
1.19 • INIZIAZIONI
1.20 • NESSUNA PAROLA D'ORDINE
1.21 • TRADIMENTO
1.22 • VILLA TECLA
1.23 • LA SETTA
1.24 • CORVO
1.25 • LA VENDETTA NON È GIUSTIZIA
1.26 • SETE
1.27 • SPECCHIO
1.28 • LA FERITA INCANDESCENTE
1.29 • IL POTERE LOGORA IL GENIO
1.30 • LA TERZA REGOLA
1.31 • UNA SETTA NON È UNA DEMOCRAZIA
1.32 • LA PENULTIMA SIBILLA
1.33 • ANIMUS BELLIGERANDI
1.34 • LO SBRACATO
1.35 • LA PIETRA NERA
1.36 • AZOTO LIQUIDO
1.37 • MASCHERA SENZA OCCHI
1.38 • CHI VIOLERÀ QUESTO LUOGO SIA MALEDETTO
1.39 • ENEA
1.40 • VIVERE INSIEME O MORIRE DA SOLI
Extra: riassuntoni
✤ Parte seconda • LA CONDANNA DELLA MEMORIA ✤
2.1 • POIS
2.2 • BLACKOUT
2.3 • COME SE SI ASPETTASSE L'APPLAUSO
2.4 • IL COLLEGIUM
2.5 • UN DETTAGLIO ASSOLUTAMENTE IRRILEVANTE
2.6 • INCONTRI FORTUITI E BRUTTE NOTIZIE ANNUNCIATE
2.7 • GEMELLI
2.8 • TAKESHI WATANABE
2.9 • BIGLIETTO DI SOLA ANDATA PER GLI INFERI
2.10 • TUTTO FUORCHÉ SNELLA
2.11 • QUALCOSA DI VAGAMENTE AZZURRINO
2.12 • DOMINA
2.13 • UN LAVORO DI FINO
2.14 • VISIONE SUPERIORE
2.15 • L'IMPORTANTE È CHE TI PIACCIO ANCORA
2.16 • CANCELLI DISCHIUSI
2.17 • CORVINA
2.18 • RAMI
2.19 • TIZIO, CAIO E HARPASTUM
2.20 • ASSETTO DA GUERRA
2.21 • GRANDE PUFFO BEVE IL GIN
2.22 • UN VERO GENIO
2.23 • TORMENTO E VENDETTA
2.24 • VORAGINE
2.25 • CONTO ALLA ROVESCIA
2.26 • SNEBBIAMENTO
2.27 • REIJIRO
2.28 • IMPRESE ILLEGALI
2.29 • CONDIZIONE NON SODDISFATTA
Extra: riassuntone II
PERSONAGGI pt. 2
✤ Parte terza • LE BAMBOLE DI GHIACCIO ✤
3.1 • PARLAMI DI CONSTANTIN
3.2 • MALEDETTE COSCE SECCHE
3.3 • SE TI AVVICINI TROPPO FAI MALE AL NASO
3.4 • RITRATTO DI FAMIGLIA
3.5 • MOLTO AMICHEVOLE
3.6 • IL SIMBOLO DELLA NOSTRA OPPRESSIONE
3.7 • SBAVATO E SBIADITO DAL TEMPO
3.8 • GRAPPA DELL'ACROPOLI
3.9 • PEGGIORE DELLE PIÙ NEFASTE PREVISIONI
3.10 • DI LÀ
3.11 • PUR SEMPRE UN GENIO
3.12 • NOTTE DI LUNA CALANTE
3.13 • QUELLA VOLTA A TOKYO
3.14 • CONTINUAMENTE E PER FUTILI MOTIVI
3.15 • SENZA STARE A FORMALIZZARSI PIÙ DI TANTO
3.16 • INCANTAMENTUM
3.17 • BELLICREPA
3.18 • LA VIGILIA DI NATALE
3.19 • DECISIONI DRAMMATICHE
3.20 • BAMBOLE DI GHIACCIO
3.21 • INFRACTUS
3.22 • E et C
3.23 • URLA CHE INVOCANO VENDETTA
3.24 • UNO PER OGNUNO DEI SETTE
3.25 • ESSERE UN GENIO È BELLISSIMO
3.26 • UN TERZO DELLO SPIRITO
3.27 • L'OMBRA DI ALASTOR
3.28 • MACERIE
3.29 • PER LEI
3.30 • SPREGIUDICATAMENTE FOLLE
3.31 • CENTOVENTOTTO
3.32 • IL RASTRELLATORE MANGIA BAMBINI
3.33 • POLLICE VERSO
3.34 • UN'ULTIMA VOLTA SOLTANTO
3.35 • IL MOMENTO DI METTERE TUTTE LE CARTE IN TAVOLA
3.36 • LA GRANDE CASCATA
3.37 • IL DETENTORE DEL BRACCIO DELLA BILANCIA
3.38 • DISPENSATORI ARBITRARI DI SOFFERENZA E MORTE
3.39 • SED UT NULLO
3.40 • IL SOGNO PIÙ BELLO CHE ABBIA MAI FATTO
EPILOGO
RINGRAZIAMENTI
ALBERO GENEALOGIO

2.30 • DI DISPERAZIONE E DI SETE

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By AppleAnia

La notte in cui avevo scoperto di Enea e del nostro rapporto di parentela, sia mia madre che Rei mi avevano intimato di non rivelare a nessuno quell'informazione, e io avevo ubbidito. Tuttavia, mi ci erano voluti alcuni anni per rendermi conto appieno del perché fosse così importante mantenere il segreto.

Enea, il fratello di mia madre che, nel frattempo, aveva preso il nome di Alastor, era diventato il genio più ricercato della storia. Disponeva di un esercito mai visto prima con il quale aveva sferrato innumerevoli attacchi ai danni dell'Impero. E sarebbe riuscito ad annientarlo, se i Reazionari non avessero schierato i loro eserciti al fianco di quelli di Tibur.

Ma Enea era stanco. Anche se l'avevo incontrato una sola volta, durante i sette anni successivi avevo continuato ad avvertire quasi costantemente il suo stato d'animo. L'esercito che aveva radunato, composto principalmente da Creature degli Inferi, stava andando fuori controllo. Si erano verificate molte aggressioni ai danni dei mortali che lui, di sicuro, non aveva preventivato.

Alcune volte, soprattutto di notte, quando mi mettevo a letto nella mia stanza avvolta nel silenzio, avvertivo la sua prostrazione. Ma nessuno, oltre me, poteva sapere. Alastor era diventato il nemico da fermare. Per fortuna, però, ucciderlo pareva quasi impossibile, tanto che chiunque avesse provato a fronteggiarlo in battaglia era stato brutalmente ucciso.

E più Umani uccideva più gli Umani lo odiavano e desideravano la sua morte e più lui diventava forte. Sette anni dopo quella notte, quando io ne avevo dodici, Alastor era ormai diventato imbattibile. L'Impero, invece, era allo stremo delle forze. I Magi, che da sette anni annebbiavano i mortali per far sì che non si accorgessero delle tenebre in cui era piombata l'umanità dopo lo spegnimento del Fuoco, erano prosciugati.

Il giorno in cui Alastor sferrò il suo attacco finale, aveva la vittoria in pugno. E io, che avvertivo il suo stato d'animo, mi trovavo in uno stato di agitazione incontenibile, tanto da non riuscire a stare ferma. Volevo andare da lui. Dovevo andare da lui. Perché, ne ero assolutamente certa, c'era una parte di Enea, sepolta da qualche parte nella coscienza schiacciata dal troppo potere di Alastor, che voleva essere fermato. Che desiderava qualcuno che gli dicesse che, nonostante tutto, c'era ancora una via d'uscita. Che, forse, una risoluzione pacifica era ancora possibile.

E quindi, dopo essere saltata alla cieca nella vasca mezza ghiacciata del Pecile, fidandomi solo del ricordo confuso che avevo della conversazione a cui avevo assistito quando avevo cinque anni, ero arrivata alla Grotta delle Sirene, in una Villa Gregoriana in piena guerra, stracolma di Venatores, Magi e soldati. Quindi, mio malgrado, avevo dovuto rinunciare all'idea di raggiungere l'acropoli ed ero stata costretta a rifugiarmi dove a nessuno sarebbe mai venuto in mente di andare a cercarmi.

La Grotta di Nettuno.

L'insenatura naturale più inospitale di tutta la villa. Per raggiungerla era necessario oltrepassare due inquietanti statue che, pur non essendo lari, sembravano essere state messe lì appositamente per scacciare i visitatori molesti, e poi arrampicarsi su ripidissimi scalini di roccia liscia. Durante l'ascesa, il crollo repentino della temperatura mozzava il respiro.

Il fiume fuoriusciva impetuoso dalla montagna e abbandonava la grotta saltando giù nella valle con un rumore fragoroso, inseguito da una corrente d'aria ghiacciata.

Avevo poggiato la schiena alla parete gelida e iniziato a piangere. Era stata un'idea stupida. Non sarei mai riuscita a raggiungere Alastor. Non sarei mai riuscita neanche a uscire viva da quella situazione, probabilmente. Perché, purtroppo, percepivo che qualcuno si stesse avvicinando. Non avrei mai potuto udirne i passi o le voci, visto lo scrosciante frastuono del fiume, ma percepivo altro.

Percepivo la loro sete.

Mi ero rannicchiata contro la roccia sperando di scomparire quando lui, con un tonfo sordo, era improvvisamente comparso davanti ai miei occhi.

Enea.

Debole, ferito. Sconfitto. La sua apparizione mi aveva terrorizzata. Ero letteralmente pietrificata. Dal sangue, dal freddo, dai rantolii di quel genio che avevo visto una sola altra volta in vita mia ma al quale mi sentivo legata in maniera viscerale, tanto da fare mio tutto il suo dolore.

Tanto da aver assolto alla funzione di genio di riferimento da raggiungere con la psicocinesi.

«Mia madre può aiutarti» gli avevo detto, carezzandogli i capelli. «Dobbiamo andare subito da lei».

«No» aveva risposto. «Arianna non deve sapere. Arianna non deve schierarsi».

E poi era successo tutto troppo in fretta.

Rei, visione atroce e dolorosa come un pugno in pieno stomaco nella sua uniforme bianca da Reazionario, era arrivato per primo. Mi aveva trovata china su di lui.

«Ania, che fai qui?» aveva detto, agitato, guardandosi nervosamente alle spalle. «Devi andartene subito».

Ma sapeva bene che non me ne sarei mai andata. Piuttosto mi aggrappai a lui con tutte le mie forze, implorandolo di aiutarmi.

Enea era rimasto a guardarlo incredulo e sofferente mente Rei, Rei il Reazionario, tentava di fermargli l'emorragia.

«Stanno arrivando, dovete andarvene» aveva detto, infine.

Ma, anche se Enea non fosse stato troppo debole, non avremmo fatto in tempo comunque. Una ventina di Reazionari, con i loro elmi bianchi, erano comparsi ai piedi della scalinata. Uno dei loro Magi, con uno schianto, aveva lanciato un incantamentum ed Enea si era ritrovato immediatamente incatenato alla roccia.

«Cercavamo un mostro e ne abbiamo trovati due» aveva riso qualcuno.

Ero congelata e atterrita. Dai Reazionari, dalla morte che avvertivo aleggiare sul copro di mio zio e da Rei, vestito da Reazionario e ricoperto di sangue dalla testa ai piedi.

Non c'era assolutamente niente che potessi fare per salvarci.

Quella considerazione mi portò, di punto in bianco, al punto di rottura. Esplosi. Così violentemente che tutte le persone intorno a me, esclusi Enea e Rei, erano finiti scaraventati nel fiume.

Mi ero risvegliata. E poi ero caduta sulle mie stesse ginocchia sbucciate e dolenti. Quei Reazionari non erano più un problema. Ma Alastor stava morendo.

Gilbert era arrivato in quel momento. Aveva risalito la scalinata, si era chinato su Alastor, aveva imprecato. Non avevo capito cosa fosse successo così, quando Gilbert aveva cercato di trascinarmi via dal corpo esanime di mio zio, mi ero ferocemente opposta.

Poi, però, lo avevo visto con i miei occhi. L'alone blu intenso di Alastor era schizzato fuori dal suo corpo. Aveva rimbalzato contro le pareti della grotta, disintegrando la roccia e proiettando frammenti da tutte le parti, anche contro di noi.

Non ero stata in grado di comprendere come fosse stato possibile, ma avevo capito lo stesso. Alastor non era morto. Il suo alone, il suo essere di genio, la sua stessa essenza, aveva lasciato il suo corpo in tempo.

Gilbert ci aveva trascinati via ed eravamo riusciti a lasciare la grotta un attimo prima che questa venisse invasa dai Reazionari. Ci aveva condotti a casa sua, all'interno di un CST praticamente blindato.

Lui mi guardava in modo strano.

«È molto importante che nessuno lo sappia» mi aveva detto, mentre io, stretta tra le braccia insanguinate di Rei, cercavo di scongelarmi davanti al camino.

«Sono disposto a fare un giuramento» aveva risposto Rei, prontamente.

«Dovrai sottoporti a uno iusirandum vitae» aveva tagliato corto Gilbert.

«Anche io lo farò» avevo detto.

«No, per te non sarebbe una garanzia sufficiente. La mente di un genio appena risvegliato non è un posto sicuro» aveva risposto. «Per un genio esperto alla ricerca di informazioni sarebbe molto facile da violare».

E, sulla base di quelle parole, con il solo scopo di tenere al sicuro il segreto di Enea, avevo accettato di mia iniziativa e senza opporre alcuna resistenza, di rinunciare alla mia memoria.

Lo sguardo di Kirk, però, mi faceva sentire trapassata.

«Non lo sapevo, non ricordavo» dissi, con la voce strozzata. «Credimi, ti prego. Te lo avrei detto, altrimenti. Sai che l'avrei fatto».

Non mi rispose. Non aveva mai mostrato un'espressione tanto seria in mia presenza, né avrei mai pensato che vedergliela mi avrebbe fatto così male.

«Devi credermi» ripetei.

«Ti credo» disse, infine. Poi si voltò verso Gilbert. «Tu, però, lo sapevi».

«Sì, lo sapevo» rispose Gilbert.

Avevo bisbigliato a pochi millimetri dall'orecchio di Kirk. La Clement e Agenore non avrebbero potuto sentire. Forse non era il caso che sapessero. Ma non ero sicura che Kirk fosse abbastanza lucido per giungere alla stessa conclusione.

«Dov'è?» mi chiese, in un sibilo.

«Non ne ho idea» risposi.

«Uscite da qui» ci interruppe l'altro leone, facendoci sobbalzare, poiché nessuno si era accorto del suo arrivo.

«Fuori infuria la battaglia» aggiunse. «Sono arrivati i Reazionari».

«Devi dirmi cosa è successo» ordinò Gilbert, fermandosi di colpo, bloccandoci prima che uscissimo in superficie, sul selciato nero.

«Dafni non era veramente Dafni» dissi, cercando di attingere a tutta la capacità di sintesi di cui però, sfortunatamente, non disponevo. «Era un mostro. Sembrava un genio ma il suo alone era instabile, poi le è spuntata una coda di serpente...»

«Dov'è adesso?» chiese, agitato, mentre la Clement si portava una mano alla bocca.

«L'ho uccisa» sussurrai, sentendo nuovamente lo stomaco annodarsi.

Mio fratello, a cavallo del leone, non mi stava guardando. Sperai che non scoprisse mai una cosa del genere.

«Hai ucciso una lamia?» mi domandò Gilbert, sconvolto.

«Mi dispiace» bofonchiai. «Non sapevo cosa fare, lei... ma cos'è una lamia

«Ma non dispiacerti» mi interruppe Kirk. «Sei stata grande. Ricordi la terza regola?»

«Il limite di un genio è il confine superato il quale egli cessa di essere genio per diventare demone».

«Brava. Una lamia è un genio che ha oltrepassato quel confine».

Deglutii. Quindi non mi ero sbagliata. Quel mostro era davvero un genio. O, per lo meno, lo era stato. Il pensiero mi attraversò la mente più rapido e doloroso di una stilettata: potrebbe succedere a qualsiasi genio, anche a me.

«Tieni Daniel al sicuro» disse Gilbert al leone. «Noi dobbiamo uscire a combattere».

Ciò che si presentò davanti ai nostri occhi una volta lasciato il Lapis Niger fu sconvolgente.

Fuori infuria la battaglia, aveva detto il leone.

Ma non era corretto. Non poteva esserci alcuna battaglia con quella disparità numerica. Quando la barriera energetica creata dagli scudi di mio padre e Rei avesse ceduto sotto il peso degli attacchi dei Magi, sarebbe stata una carneficina.

Tutti i membri del corteo si erano rifugiati sotto le fondamenta esposte del rudere del tempio dei Dioscuri, lì vicino a quello di Vesta e noi, cercando di non essere visti, eravamo quasi riusciti a raggiungerli.

«Demoni!» si era sentito urlare nella notte.

Poi la situazione era precipitata. Una buona metà dello spaventoso esercito Reazionario si era voltata verso di noi e aveva iniziato ad attaccarci.

Gilbert e Kirk avevano sfoderato le fruste per primi. Avevo sentito declamare innumerevoli volte le capacità offensive degli Incendiari in battaglia, ma non le avevo mai viste con i miei occhi. Le loro fruste, lasciando scie di scintille rosse dietro di loro, fendevano l'aria sibilando, disintegravano i campi di forza con i quali i Magi tentavano di schermare i loro compagni.

E poi raggiungevano gli Umani.

Saettando rapida e sinuosa come un serpente, schiantandosi al suolo e sollevando polvere e scintille, la frusta si appropriava di quella collera che animava gli Umani in battaglia, rendendoli tanto aggressivi e temibili, piegandola al volere del genio che la impugnava. E così, valorosi soldati e impavidi combattenti divenivano fantocci e cadevano, privati di qualsiasi volontà.

Era quello il motivo per cui gli Umani avevano tanta paura dei geni. Avevano ragione.

Qualcosa passò vibrando al lato della mia testa, sfiorandomi l'orecchio.

«D-Devi stare attenta» mi disse Agenore. «Hanno d-dei... giavellotti m-magici».

«Dobbiamo coordinarci, altrimenti non ce la faremo» urlò Gilbert. «Abbiamo poco tempo».

Ci avvicinammo a lui, di fretta, in maniera scomposta.

«Genevieve, aiuta gli Equites con lo scudo, prima che cedano» disse Gilbert. «Io e Kierkegaard ci occupiamo dei Magi in prima fila. Agenore, i Magi nelle retrovie: sono loro che forgiano i giavellotti».

E io avrei preparato un rinfresco per tutti, come al solito.

«Tu devi occuparti di tutti gli altri» disse, infine, voltandosi verso di me.

«Cosa?» chiesi, con la voce stridula.

«Non appena i Magi saranno stati abbattuti» specificò. «Devi attaccare i sine imperio».

«No, aspetti» singhiozzai, aggrappandomi al suo mantello. «Sono in troppi, io non so se...»

«Non avere paura» disse, e intanto mi strattonò per un braccio trascinandomi dietro le maestose rovine delle fondamenta del tempio, prima che un giavellotto infuocato mi colpisse in pieno. «Non te l'avrei chiesto se non fossi stato sicuro delle tue capacità».

«Sì, ma...» piagnucolai.

Non ero pronta. Sconfiggere la lamia era stato orribile, nonostante lei fosse un mostro. Ma attaccare degli Umani, io...

«Guarda chi c'è» disse Gilbert, con un movimento della testa. «Aiutati con lei, se hai bisogno di trovare la motivazione».

Nerissa era proprio lì, tra le prime file, con una sacca piena di giavellotti luminescenti indossata tipo faretra, pronta ad attaccare. Era fiera, sicura di sé; sembrava quasi... divertita.

«È il momento» disse Kirk.

Non c'era più tempo. Lo scudo di mio padre e Rei stava per cedere. E, se avesse ceduto, tutti loro, incluso il Pontifex, sarebbero morti e l'Impero sarebbe caduto. Lanciai un'ultima occhiata a Rei, piegato e stremato e poi, imponendomi di non tremare, strinsi la mano intorno all'impugnatura della frusta.

Molti di loro erano assetati, ma a me era sufficiente Nerissa per saziarmi.

«Adesso!» urlò Kirk.

E così, con lo scudo protettivo degli Equites che si sgretolava davanti ai miei occhi mitragliando frammenti iridescenti contro il cielo nero della notte, roteai la frusta sopra la testa, poi davanti alle ginocchia e poi, trattenendo il respiro, la feci schioccare. Non ebbi bisogno di riflettere sulla gestualità da mettere in atto. La frusta, improvvisamente, era diventata un prolungamento del mio braccio e, con esso, danzava con disinvoltura disegnando un movimento fluido e naturale.

Sapevo cosa dovevo fare. Sapevo anche come farlo.

Si immobilizzarono tutti insieme e avvertii l'impeto della loro volontà che veniva meno ed entrava in mio possesso. Loro erano in mio possesso. Avrei potuto farne tutto ciò che avessi voluto. Avrei potuto costringerli a suicidarsi, a uccidersi uno con l'altro, o a scagliarsi contro i Magi. Il mio campo visivo si era come ristretto: non vedevo null'altro all' infuori di loro, degli Umani di cui mi ero appropriata, di quelle marionette di carne e ossa che avrei potuto manovrare a mio piacimento.

Un urlo di battaglia, però, attirò la mia attenzione e mi fece perdere il focus, anche se solo per un attimo. Erano arrivati i rinforzi chiamati da Yumi. Pretoriani, legionari. Un paio di Equites, forse. Magi. Venatores.

Un caos di urla, di bagliori confusi, di sangue, di disperazione e di sete.

«Geni in fase offensiva!» urlò qualcuno.

Persi la presa sulle loro menti.

No, no, no. Se la stavano prendendo con le persone sbagliate. Non eravamo noi il pericolo. Sarebbe stato sufficiente schioccare un secondo colpo di frusta per recuperare il controllo. Ma c'era qualcosa che dovevo fare più urgentemente.

«Kirk devi andartene!» urlai.

«Non posso lasciarvi!» gridò di rimando, disintegrando un giavellotto con un colpo di frusta.

Se lo avessero preso lo avrebbero imprigionato. Non l'avrebbero lasciato evadere un'altra volta, di sicuro; lo avrebbero ucciso.

«Dobbiamo andarcene tutti!» urlò la Clement e, nel farlo, schivò l'attacco di un Venator che aveva scagliato qualcosa di simile a un paio di manette rotanti contro di lei.

Quelli che avrebbero dovuto essere i rinforzi si erano rivoltati contro di noi. Ci stavano attaccando da tutti i fronti.

Gilbert, che aveva mandato a gambe all'aria tutti i Magi Reazionari delle prime file, fu improvvisamente accerchiato e attaccato da un gruppo di Venatores, tanto esaltati dal combattimento da avere la bava alla bocca.

Ne avevo già avuto un assaggio con Ionascu; i Venatores si muovevano al triplo della velocità di un Umano e avevo l'impressione che vedessero al buio. O forse non era la vista il senso che muoveva il loro predatorio: forse era il fiuto.

Non ero sicura di poter usare la frusta contro di loro così, in una frazione di secondo, quando mi resi conto che Gilbert era stato aggredito, sfoderai le zanne. Senza indugi. Senza remore morali nell'attaccarli alle spalle. Avevano scelto di attaccare il genio sbagliato.

In una manciata di secondi glieli avevo levati di dosso.

Mi voltai di scatto, cercando nello sguardo di Gilbert l'approvazione di cui avevo disperatamente bisogno. Lo trovai.

Fisso e sgranato.

Mi vide, puntò i suoi occhi nei miei, mentre un fiotto di sangue gli schizzava fuori dalla bocca.

«Gilbert!» urlai.

Mi aggrappai al suo busto, cercando invano di sostenerlo, tastandolo alla cieca alla ricerca della ferita.

Poi sentii ridere e il sangue mi si gelò nelle vene. Alzai molto lentamente lo sguardo e la vidi.

Nerissa.

Non erano stati i Cacciatori. Il torace di Gilbert era stato trapassato da un giavellotto. E quel giavellotto lo aveva lanciato lei.

Fece per scagliarne un altro ma la Clement si avventò su di lei con le zanne di fuori ed entrambe scomparvero dalla mia vista.

Il mio magister, grosso e forte come un gigante, si stava accartocciando su se stesso come una foglia secca, tanto fragile da rischiare di finire sbriciolata al minimo tocco. Non riuscii a sorreggerlo ancora. Il suo peso ci buttò entrambi a terra.

«Gilbert» lo chiamai, rotolando su di lui.

Gli passai una mano sul petto, vicino al foro di ingresso del giavellotto che era si era già dissolto e la ritrassi grondante di sangue caldo.

«Non si agiti» gli dissi, con la voce spezzata. «Mia madre la curerà. L'ha già fatto... andrà tutto bene».

«Devo dirti...» sussurrò lui, con un filo di voce tremante. «Devi assolutamente sapere...»

«Me lo dirà più tardi».

Gli scostai i capelli dal viso, con le mani scosse da irrefrenabili sussulti.

«Non piangere» bisbigliò. «Ascoltami... devo dirti di Enea... devo dirtelo prima di...»

«No, aspetti un attimo» lo interruppi, «non si sforzi a parlare. Ascolti me, perché anche io ho una cosa importante da dirle».

Lui sollevò appena la testa e tossì altro sangue.

«Ti ascolto» rantolò.

Guardai la ferita al centro del suo petto. Il medaglione stava risucchiando tutta la mia sete, lo avvertivo lavorare febbrilmente per tenermi ferma lì impedendomi di alzarmi e scagliarmi contro Nerissa con tutte le mie forze.

«Non mi importa se per lei sono solo un rimpiazzo di Elissa» dissi, carezzandogli il viso. «Io le voglio bene lo stesso».

«Tu...» sibilò, e io mi chinai su di lui, terrorizzata dall'idea di perdermi anche una soltanto delle sue parole. «Non sei un rimpiazzo di Elissa. Anche perché tu... non le somigli per niente».

«Cosa?» singhiozzai, stupita.

«Elissa era una persona... calma e riflessiva, lei... era... era tutto il contrario di te che... invece... parli e agisci quasi sempre a sproposito».

Scoppiai a ridere e a piangere insieme, in un singhiozzo incontrollato.

«Ma le pare il caso di rimproverarmi in una situazione del genere?» domandai, asciugandomi il naso e le lacrime con il dorso della mano imbrattata di sangue.

«Finché... finché ti rimprovero significa che ci tengo» sussurrò e accennò un sorriso.

Gli lanciai le braccia al collo e lo strinsi. Avrei dovuto farlo prima. Se lui non avesse rifiutato ogni contatto fisico con me... forse avrei potuto... forse lui...

«Constantin» singhiozzai.

Non l'avevo mai chiamato col suo nome. Non mi aveva mai invitata ad accorciare quella distanza e questo mi era stato sufficiente a non azzardarmi mai a fare un tentativo. Avevo sbagliato. Avrei dovuto... avrei potuto...

«Ah...» sussurrò, con la bocca affondata nei miei capelli, vicino al mio orecchio.

Poi lo sentii irrigidirsi.

Mi scostai da lui quel tanto che bastava per osservare il suo viso, segnato dal dolore, pallido a causa dell' emorragia eppure, in qualche maniera, stranamente addolcito.

«No!» urlai. «No, la prego!»

Alla vista del suo sguardo perso nel vuoto il mio cuore perse un colpo, poi accelerò e mi schizzò in gola, soffocandomi. Boccheggiai, tentai di portarmi le mani al collo. Muovendomi a scatti gli afferrai il polso, cercando il battito. Ma le mani mi tremavano troppo, non ero capace. Lo lasciai e, urlando, gli premetti una mano insanguinata sul collo e, intanto, mi chinai in modo da osservare anche il minimo movimento del suo torace.

Ma non c'era. Non respirava. Dal suo collo non proveniva alcun battito.

Il mio medaglione, di punto in bianco, aveva smesso di funzionare, trasformandosi in un gioiello freddo e ingombrante di cui, improvvisamente, avvertivo tutto il peso.

Gilbert era morto.

Una lucina rosata, appena visibile, lasciò la sua bocca, levandosi lentamente e faticosamente in aria come una lucciola morente. Avvertii l'irrefrenabile bisogno di catturarla: sapevo, perché lo sentivo potente come una conoscenza arcana che fino a quel momento avevo ignorato di possedere, che, qualunque cosa fosse, se l'avessi lasciata andare non l'avrei ritrovata mai più. Senza pensarci neanche per un secondo, poggiai le mie labbra sulle sue e la intrappolai nella mia bocca.

«Ania!» sentii urlare. «Sta' giù!»

Obbedii. Mi lasciai cadere sul corpo senza vita di Gilbert. Mi faceva male il petto. Non riuscivo più a respirare. Qualcosa mi passò appena sopra la testa, avvertii lo spostamento dell'aria. Mi aggrappai al torace martoriato del mio magister e chiusi gli occhi.

«Ania!» disse la voce di prima, e mi sentii scuotere per le spalle. «Alzati, dai! Dobbiamo andare via!»

Iulian. Era la sua voce.

Non avrei lasciato Gilbert lì da solo. Non sarei andata da nessuna parte senza di lui.

Iulian si buttò sopra di me, costringendomi ad appiattirmi ancora di più su Gilbert e qualcosa di incandescente ci lisciò di nuovo, per un pelo.

«È troppo pericoloso per te rimanere qui!» disse ancora Iulian. «Ti prego! Andiamo via!»

Alzai lo sguardo. Lo vidi. Un fascio luminoso. Forse era un giavellotto, non avrei saputo dirlo con gli occhi pieni di lacrime e una visuale così terribilmente frontale. Correva a tutta velocità verso di me. Non mi sarebbe passato sulla testa. Non quello. Rimasi a fissarlo, immobile. Era finita. Un altro secondo. Ero morta.

Invece, purtroppo, ero viva.

Ero stata raggiunta al volo e acchiappata da Kirk un attimo prima dello schianto e, insieme, ci eravamo teletrasportati a casa sua, alla Setta. Il corpo di Gilbert, strettissimo tra le mie braccia, era venuto con noi. E ora giaceva sul tappeto davanti al camino.

«Ania» mi disse Kirk, barcollando. «Ania, è morto. Mi dispiace. È morto».

Non era vero. Non poteva essere morto. Lui non mi avrebbe mai lasciata perché io avevo ancora disperatamente bisogno di lui.

«Ania» mi chiamò Kirk, carezzandomi la schiena. «Ti prego, tirati su».

Mi afferrò delicatamente per le spalle e mi costrinse a sollevarmi. Mi vomitai immediatamente addosso.

«Non ti preoccupare» mi disse. «E la psicocinesi. È normale. Tra poco starai meglio».

Tutta la stanza stava girando vorticosamente e, con essa, anche pensieri e flash luminosi.

Chiusi gli occhi e portai la mano al medaglione con un gesto istintivo, anche se aveva smesso di funzionare. Gilbert mi aveva lasciata e, strangolata da quella consapevolezza ancora così dolorosamente irreale, non desiderai altro che morire a mia volta per potermi liberare di quel dolore per me assolutamente ingestibile.

C'è un altro modo per domare il dolore, balenò nella mia mente stanca e incurvata dalla sofferenza.

Attesi qualche attimo, poi riaprii gli occhi.

Io avrei continuato a vivre. E Nerissa sarebbe morta urlando.

Bene bene bene. No anzi, molto male ç_ç io non mi riprenderò mai più da questo capitolo comunque ve lo dico ç_ç
Però, pur sventolando la bandiera nera del lutto, devo abbandonare un attimo i sentimentalismi per sganciare un paio di comunicazioni di servizio (poi magari farò anche un capitolo a parte, vediamo D: )
Dunque, da questo momento in poi la storia è ufficialmente in revisione. Non andrò subito a modificare i capitoli perché sono ancora in ballo con un contest ma li aggiornerò tutti insieme quando avrò sistemato tutto. PURTROPPO dovrò fare qualche cambiamento. Lo so, è una cosa scocciante ma, anche se non sembra, ho fatto tesoro dei molti consigli che mi sono stati dati dai lettori in questi mesi e quindi ho intenzione di metterli in pratica. Non ci saranno cambiamenti nella trama, per questo potete stare tranquilli. Ma ho necessità di variare qualcosina e qualche nome qua e là. Non i nomi dei personaggi, ovviamente. Che ci manca solo che tornate a leggere la storia tra una settimana e vi ritrovate Ania che si chiama boh, Hope 🤣
Insieme alla revisione pubblicherò qualche extra qua e là quindi non spaventatevi se vedete capitare cose strane in giro.

Ps. Avete notato che le uniche cose importanti sono quelle sottolineate mentre tutto il resto della postfazione altro non è che una lunghissima inutile manfrina di nessun a significanza? Però mi volete bene anche per questo, io lo so ❤️

A presto ❤️

🏴AppleAnia 🏴

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