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By AppleAnia

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✨🏆WATTYS 2023 WINNER🏆✨ | migliore ambientazione | «... ma furono i nuovi decreti del 391 a inasprire le pr... More

MAPPE
PERSONAGGI
✤ Parte prima • L'OMBRA DELL'EREDE ✤
0 • PROLOGO
1.1 • TIBUR SUPERBUM
1.2 • LA GIURIA
1.3 • IL GENIO
1.4 • DEVON
1.5 • OBUMBRATI
1.6 • PRECIPIZIO
1.7 • INNOMINABILI
1.8 • DEMONE
1.9 • CONTROLLO
1.10 • IL PROCESSO
1.11 • L'AMULETO
1.12 • RADICI
1.13 • LA PROFEZIA
1.14 • CATABASI
1.15 • CREATURE
1.16 • SACRILEGIO
1.17 • L'ESSENZA STESSA DEL REGNO
1.18 • FIAMMA
1.19 • INIZIAZIONI
1.20 • NESSUNA PAROLA D'ORDINE
1.21 • TRADIMENTO
1.22 • VILLA TECLA
1.23 • LA SETTA
1.24 • CORVO
1.25 • LA VENDETTA NON È GIUSTIZIA
1.26 • SETE
1.27 • SPECCHIO
1.28 • LA FERITA INCANDESCENTE
1.29 • IL POTERE LOGORA IL GENIO
1.30 • LA TERZA REGOLA
1.31 • UNA SETTA NON È UNA DEMOCRAZIA
1.32 • LA PENULTIMA SIBILLA
1.33 • ANIMUS BELLIGERANDI
1.34 • LO SBRACATO
1.35 • LA PIETRA NERA
1.36 • AZOTO LIQUIDO
1.37 • MASCHERA SENZA OCCHI
1.38 • CHI VIOLERÀ QUESTO LUOGO SIA MALEDETTO
1.39 • ENEA
Extra: riassuntoni
✤ Parte seconda • LA CONDANNA DELLA MEMORIA ✤
2.1 • POIS
2.2 • BLACKOUT
2.3 • COME SE SI ASPETTASSE L'APPLAUSO
2.4 • IL COLLEGIUM
2.5 • UN DETTAGLIO ASSOLUTAMENTE IRRILEVANTE
2.6 • INCONTRI FORTUITI E BRUTTE NOTIZIE ANNUNCIATE
2.7 • GEMELLI
2.8 • TAKESHI WATANABE
2.9 • BIGLIETTO DI SOLA ANDATA PER GLI INFERI
2.10 • TUTTO FUORCHÉ SNELLA
2.11 • QUALCOSA DI VAGAMENTE AZZURRINO
2.12 • DOMINA
2.13 • UN LAVORO DI FINO
2.14 • VISIONE SUPERIORE
2.15 • L'IMPORTANTE È CHE TI PIACCIO ANCORA
2.16 • CANCELLI DISCHIUSI
2.17 • CORVINA
2.18 • RAMI
2.19 • TIZIO, CAIO E HARPASTUM
2.20 • ASSETTO DA GUERRA
2.21 • GRANDE PUFFO BEVE IL GIN
2.22 • UN VERO GENIO
2.23 • TORMENTO E VENDETTA
2.24 • VORAGINE
2.25 • CONTO ALLA ROVESCIA
2.26 • SNEBBIAMENTO
2.27 • REIJIRO
2.28 • IMPRESE ILLEGALI
2.29 • CONDIZIONE NON SODDISFATTA
2.30 • DI DISPERAZIONE E DI SETE
Extra: riassuntone II
PERSONAGGI pt. 2
✤ Parte terza • LE BAMBOLE DI GHIACCIO ✤
3.1 • PARLAMI DI CONSTANTIN
3.2 • MALEDETTE COSCE SECCHE
3.3 • SE TI AVVICINI TROPPO FAI MALE AL NASO
3.4 • RITRATTO DI FAMIGLIA
3.5 • MOLTO AMICHEVOLE
3.6 • IL SIMBOLO DELLA NOSTRA OPPRESSIONE
3.7 • SBAVATO E SBIADITO DAL TEMPO
3.8 • GRAPPA DELL'ACROPOLI
3.9 • PEGGIORE DELLE PIÙ NEFASTE PREVISIONI
3.10 • DI LÀ
3.11 • PUR SEMPRE UN GENIO
3.12 • NOTTE DI LUNA CALANTE
3.13 • QUELLA VOLTA A TOKYO
3.14 • CONTINUAMENTE E PER FUTILI MOTIVI
3.15 • SENZA STARE A FORMALIZZARSI PIÙ DI TANTO
3.16 • INCANTAMENTUM
3.17 • BELLICREPA
3.18 • LA VIGILIA DI NATALE
3.19 • DECISIONI DRAMMATICHE
3.20 • BAMBOLE DI GHIACCIO
3.21 • INFRACTUS
3.22 • E et C
3.23 • URLA CHE INVOCANO VENDETTA
3.24 • UNO PER OGNUNO DEI SETTE
3.25 • ESSERE UN GENIO È BELLISSIMO
3.26 • UN TERZO DELLO SPIRITO
3.27 • L'OMBRA DI ALASTOR
3.28 • MACERIE
3.29 • PER LEI
3.30 • SPREGIUDICATAMENTE FOLLE
3.31 • CENTOVENTOTTO
3.32 • IL RASTRELLATORE MANGIA BAMBINI
3.33 • POLLICE VERSO
3.34 • UN'ULTIMA VOLTA SOLTANTO
3.35 • IL MOMENTO DI METTERE TUTTE LE CARTE IN TAVOLA
3.36 • LA GRANDE CASCATA
3.37 • IL DETENTORE DEL BRACCIO DELLA BILANCIA
3.38 • DISPENSATORI ARBITRARI DI SOFFERENZA E MORTE
3.39 • SED UT NULLO
3.40 • IL SOGNO PIÙ BELLO CHE ABBIA MAI FATTO
EPILOGO
RINGRAZIAMENTI
ALBERO GENEALOGIO

1.40 • VIVERE INSIEME O MORIRE DA SOLI

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By AppleAnia

Arrivai a pensare che quell'informazione le fosse sfuggita, per errore, in un momento di confusione mentale. Perché, nonostante le avessi posto la stessa domanda a ripetizione per due giorni interi, mia madre non si era più lasciata sfuggire mezza parola in proposito.

«Ah, Melania. Finalmente» mi disse quando, trafelata, raggiunsi l'ingresso della domus di Manlio Vopisco. «Dobbiamo affrettarci».

«Yumi e Kumiko?» domandai.

«Sono andate avanti» mi rispose la Di Pietro. «Coraggio, andiamo».

Il sentiero era stato ripulito dalla neve ma il buio e il gelo rendevano la scarpinata fino all'acropoli una pericolosissima trappola mortale.

«Sei riuscita a estorcerle qualche altra informazione su tuo padre e Gilbert?» mi chiese Devon, stringendosi la toga nera tra le mani.

Ognuno di noi aveva dovuto indossarne una.

«No. È muta come una tomba».

«E le hai detto quello che hai visto? Di Nerissa con i Reazionari, intendo»

«Sì, certo. L'ho detto a lei e anche alla professoressa. Ma pare che nessuno mi abbia dato retta».

«E della visione che hai avuto di Immanuel Vanhanen durante l'attacco dei lemuri

«No, quello non l'ho raccontato a nessun altro» sussurrai. «Non sono neanche sicura che fosse davvero lui. E, comunque, non ho visto praticamente niente».

«Fate silenzio, ragazzi» ci redarguì la signora Petrocchi, che camminava davanti a noi insieme a mia madre, mio fratello e la professoressa Di Pietro.

Ubbidimmo. Non eravamo i soli a precorrere il sentiero, quel giorno. Anzi. Sembrava che tutti i Superbi, nessuno escluso, si fossero messi in fila per raggiungere l'acropoli, formando quell'enorme serpentone che si snodava lungo tutta la mulattiera.

Il cancello era aperto e l'acropoli affollata come mai avrei pensato di vederla.

«Andiamo, coraggio» mi disse mia madre, acchiappandomi per il braccio.

Sgomitando tra la folla, riuscimmo a raggiungere il tetro tempio della Sibilla ed entrammo. Il vociare della moltitudine di persone che affollava il piazzale rimase fuori dal portone, lasciandoci in un silenzio carico di angoscia, rotto solo dal rumore dei nostri passi.

«Copriti la testa» mi ordinò mia madre.

Yumi e Kumiko erano già lì. Sedute sulla prima di una lunga serie di file di panche di legno.

Percorrendo quella che sembrava la navata di una chiesa, ebbi modo di guardarmi intorno. Non conoscevo nessuna di quelle persone. Eppure, pensai, dovevano essere tutti i familiari stretti degli altri Equites. I gemelli Vanhanen, però, non c'erano. Prendemmo posto accanto a Kumiko e Yumi che sedevano immobili e in silenzio come due statue, avvolte nelle loro toghe nere.

Loro, gli Equites, erano tutti in piedi intorno all'altare. C'era anche lui. Rei era così giovane, rispetto a tutti gli altri. Così triste. Così solo.

Una musica malinconica, un canto funebre, una melodia carica di disperazione si diffondeva nell'ambiente.

Un uomo anziano, vestito con una semplice toga bianca ornata in argento, si avvicinò al corpo di Kento e tutti gli Equites si fecero indietro.

«Chi è?» sussurrai a mia madre.

«Il Pontifex» rispose.

Dovetti nascondere lo sgomento. Quello era il Pontifex? Quel vecchiolino rinsecchito con il viso rugoso e i capelli tagliati male?

«Fratelli» esordì, e la sua voce tonante rimbombò anche al di fuori del tempio, come se fosse stata amplificata. «Siamo qui per celebrare il funerale di Kento Nakamura».

Non riuscivo ad alzare lo sguardo dal corpo di Kento, steso sull'altare infiorato al centro del tempio. Era così alto, così bello con i lunghi capelli neri sciolti sulle spalle. Non sapevo praticamente niente di lui eppure le parole pronunciate dal Pontifex mi parvero del tutto prive di sentimento.

Coraggioso. Di buon cuore.

Per carità, potevano essere cose vere. Ed erano vere anche per mio padre, per esempio, o per Rei. Non per Immanuel Vanhanen, magari. Sperai che qualcuno, tra gli Equites, prendesse la parola e piangesse la perdita di Kento con ricordi e parole sentite. Qualcuno che avesse il coraggio di ricordare quell'uomo per quello che era stato e non per quello che aveva fatto. Per me, per esempio, era stato il padre dei miei amati Yumi e Rei, e questo mi era sufficiente. Non mi importava niente della sua carica da Eques, delle sue imprese eroiche o delle sue impavide gesta.

Però non avvenne niente del genere. Il Pontifex terminò il suo discorso freddo e impersonale e poi tacque e tutti noi rimanemmo in silenzio finché il corpo di Kento non si autoincendiò davanti ai nostri occhi, ardendo per pochi secondi in lucenti fiamme argentee, prima di sparire per sempre.

Yumi singhiozzò al mio fianco e io le strinsi la mano.

Ma accadde qualcosa, proprio in quel momento. La temperatura sembrò salire tutto d'un colpo, le fiaccole appese ai muri si spensero; il tempio, però, rimase illuminato. Come se fossero le mura stesse a sprigionare luce e calore.

Mi voltai per guardare fuori dalla porta, e la vidi. La luce del giorno. Una luce calda, rossa e avvolgente. La luce del tramonto.

«Con il sacrificio di Kento Nakamura il Fuoco Sacro si è finalmente riacceso e, d'ora in avanti, ognuno di noi sarà libero di ricominciare a vivere come faceva prima» disse il Pontifex.

Dalla folla si levò un applauso e delle grida di gioia e approvazione. Il Pontifex attese di avere di nuovo l'attenzione di tutti, prima di parlare.

«A questo proposito» riprese, «abbiamo delle novità sulle quali vorremmo aggiornarvi. Come tutti voi ben sapete, alla scorsa guerra è seguito l'obbligo di evacuazione delle abitazioni private di Villa Adriana. Ci rendiamo conto di aver arrecato dei seri fastidi a tutti, costringendo molte famiglie a trasferirsi, i ragazzi a lasciare la scuola, e i lavoratori interni ad alloggiare in dormitori pubblici. Il provvedimento è stato però necessario a garantire la sicurezza di ognuno di noi. Tuttavia, quest'oggi, non sarebbe più sufficiente. Troppe forze si stanno agitando nelle tenebre. Per i Superbi, risiedere fuori dall'Impero non è più una sicurezza. Anzi, è un rischio. Per questo, noi, Publio Cornelio Metello Dalmatico, Pontifex di Tibur, disponiamo che tutti i cittadini Superbi siano liberi, da oggi stesso, di rientrare nelle proprie abitazioni. Il Collegium, la scuola di Tibur, sarà riaperto. Qualunque cittadino desideri tornare a risiedere a Tibur non dispendendo di un'abitazione di proprietà a Villa Adriana, potrà fare richiesta di assegnazione di un appartamento interno al dormitorio».

Dalla folla si levò un vero e proprio boato, neanche fossimo stati allo stadio. Tutti noi, all'interno del tempio, ci voltammo per cercare di sbirciare cosa stesse accadendo all'esterno. Il Pontifex non si mosse. Aspettò che lo folla si fosse calmata un po' e poi disse:

«Vivere insieme o morire da soli».

«Vivere insieme o morire da soli» ripeterono tutti, in coro.

La folla aveva cominciato a disperdersi quando, mentre aspettavo Yumi all'ingresso del tempio, sentii tirarmi per la toga.

«Clio!» esclamai, chinandomi ad abbracciarla «Sono così contenta che stiate bene!»

«Il Pontifex ci ha graziate» rispose. «Ora che il Fuoco è di nuovo acceso potremo riprendere il nostro lavoro».

«E Flacara?» le chiesi.

«Non si nomina una nuova Sibilla finché la precedente è ancora in vita» disse. «Quindi Flacara resterà in carica provvisoria fino al processo di Dafni Zogkari».

Il processo. La signora Petrocchi lo aveva definito un 'formalismo'.  Salutai le Vestali e guardai Devon con apprensione. Non lo avrei più trascurato, da quel momento in poi.

Mi guardai introno alla ricerca di Rei. Lo avevo perso tra la folla e non riuscivo più a trovarlo da nessuna parte. Forse se ne era andato.

«Va' da lui» mi disse Yumi, comparendo sulla soglia.

«Se si è allontanato da solo forse ha bisogno di tranquillità» risposi. «Non voglio essere invadente».

«Onii-chan ha bisogno di te, baka. Va', per favore».

Ci misi un bel po' a trovarlo, nella Grotta delle Sirene. Aveva scavalcato il muretto, attraversato il ruscello semi congelato e si era seduto sulla sponda rocciosa con i piedi a mollo nel torrente che, solo un paio di metri più avanti, precipitava nella montagna.

Mi vide subito, non appena scavalcai il muro, e mi seguì con lo sguardo finché non mi fui seduta accanto a lui. A quel punto, però, tornò a guardare verso la cascata. Passò qualche minuto prima che aprisse bocca.

«Scusami» disse.

«E di che cosa?» domandai, stupita.

«Non sono dell'umore per parlare».

Neanche io avevo voglia di fare conversazione, a dire il vero. Anche perché non avevo la minima idea di cosa fosse opportuno dire in un'occasione del genere.

«Senti» dissi, stringendomi le ginocchia al petto, «se vuoi stare solo, io posso anche andare via. Sul serio».

Era troppo educato per dirmi di andarmene, non lo avrebbe mai fatto. Così mi alzai in piedi e gli feci una carezza sui capelli.

«Ci vediamo dopo al tempio, se vuoi» gli dissi.

Lui non mi rispose così mi tirai su la toga con le mani fino alle ginocchia per attraversare di nuovo il torrente gelido e tornare al muretto. Ma mi sentii trattenuta. Rei, con lo sguardo ancora fisso sulla cascata, mi aveva afferrata per la manica.

«Non te ne andare» disse, e il leggero tremolio della sua voce mi fece annodare lo stomaco.

Lasciai di nuovo andare la toga e mi inginocchiai accanto a lui. Non avevo idea di cosa fosse appropriato fare. La sua posizione non era mai stata chiara. Si era fatto baciare, una volta. Però poi mi aveva rifiutata.

Lo amavo follemente, ma non ero la sua ragazza. E, per quanto lo desiderassi, non avevo diritto di comportarmi come se lo fossi. Lui, però, voleva che rimanessi lì. E questo mi sarebbe bastato.

«Rei» dissi, e la voce mi uscì in un singhiozzo strozzato. «Non me ne vado. Rimango con te».

Gli buttai le braccia al collo e lo strinsi fortissimo. Avrebbe potuto rifiutarmi di nuovo. Non mi importava. Esisteva solo quel momento, non c'era nessun prima e nessun dopo. Rei mi strinse a sua volta e io inspirai il suo profumo sublime, col cuore che mi martellava nel petto.

«Temevo che mi odiassi» disse, dopo un po', allentando la presa.

Rimasi senza parole. Odiarlo? Odiare Rei? Mi sembrava una cosa troppo assurda per essere detta ad alta voce. Non solo non lo odiavo ma, anzi, non riuscivo più a trattenermi. Così, quando alzò lo sguardo su di me puntandomi addosso quei suoi lucenti occhi neri, gli presi il viso tra le mani e lo baciai. Di nuovo.

Non mi respinse. Anzi. Mi passò una mano dietro la nuca, tra i capelli, e mi attrasse ancora di più verso di sé.

«Mi dispiace, Ania» disse poi, guardandomi negli occhi. «Non avrei mai voluto farti soffrire. Non era mia intenzione».

«Non preoccupartene. Voglio solo stare con te...» risposi, sfiorando le sue labbra con le mie. «Non voglio altro».

Lui si allontanò un po' da me e mi scostò i capelli dal viso.

«Sei sicura?»

«Sì. Non sono mai stata così sicura di qualcosa in vita mia».

Rei mi guardò a lungo negli occhi e poi sorrise. E io pensai che se la mia vita fosse finita in quel preciso momento, non avrei avuto alcun rimpianto.

Eppure c'era un pensiero che continuava a tormentarmi mentre, con la mano stretta in quella di Rei, risalivo il sentiero alla volta dell'acropoli. Gilbert aveva detto che Rei sapeva.

«Sei pensierosa» mi disse, nella galleria del Miollis.

Non era proprio il frangente giusto per indurlo a stare in pena per me. Tornavamo dal funerale di suo padre. Il sole, appena risorto, era ormai tramontato di nuovo. Rei era stanco, avrei dovuto lasciarlo in pace.

«Sto impazzendo di felicità» risposi. «Ma ho un pensiero che mi tortura. Possiamo parlarne in un altro momento, però».

«No, figurati» rispose. «Puoi dirmelo, se vuoi».

«Gilbert... lui ha insinuato che tu sapessi...»

«So quello che ti è successo, perché ero con te quando è successo» rispose. «E quindi sì, so che ti è stata cancellata la memoria e so perché è stato fatto. Gilbert ti ha detto la verità».

«Ma...» balbettai.

Non mi aspettavo una confessione del genere. Non seppi cosa rispondere. Non seppi neanche cosa pensare. Avrei dovuto sentirmi tradita, forse. Ma, in realtà, fui solo sopraffatta dallo sconforto.

«Perché non mi hai detto niente?» domandai. «Eppure mi hai mostrato alcuni ricordi che...»

«Ho cercato di aiutarti come ho potuto. Ma credo anche che i tuoi genitori abbiano fatto la cosa giusta, cancellandoti la memoria. Per questo non ti ho detto niente al riguardo».

Si fermò, si voltò verso di me e mi prese anche l'altra mano tra le sue.

«Puoi fidarti di me, Ania?»

Praticamente lo conoscevo appena, c'era una parte di me che ne era consapevole. Le volte in cui l'avevo visto o ci avevo parlato, da quando ero tornata a Tibur, si potevano contare sulle dita di una mano. Razionalmente, non capivo neanche perché lo amassi così tanto. Però così era. Lo amavo. E mi fidavo di lui più che di chiunque altro al mondo.

«Sì» risposi. «Sì, va bene. Mi fido».

Lui annuì e ricominciammo a camminare.

«Mia madre mi ha detto che riacquisterò i miei ricordi, quando avrò compiuto diciotto anni, comunque» dissi.

«Certo» rispose, «lo so».

«Cosa succederà dopo?» domandai, titubante.

«Non succederà niente» disse. «Ti prometto che il giorno del tuo diciottesimo compleanno starò con te. Una volta che avrai riacquistato la memoria risponderò a tutte le domande che vorrai farmi. Andrà tutto bene».

Sì, forse sarebbe andato davvero tutto bene.

Yumi ci stava aspettando al cancello, che nel frattempo era stato richiuso, chissà da quanto.

«Se ne sono andati tutti, vi stavo aspettando perché...»

Poi si interruppe, si accorse che stavamo camminando mano nella mano e corse ad abbracciarci.

«Devo raggiungere gli altri Equites» disse Rei, divincolandosi dall'abbraccio e battendole qualche colpetto sulla schiena.

Poi si chinò su di me, che avevo ancora le braccia di Yumi strette intorno al collo, mi diede un bacio sulla testa e si allontanò. Lo guardai accendersi una sigaretta e sparire dietro al cancello.

«Yumi...» dissi, quasi strangolata nella sua morsa.

«Puoi perdonarmi?» mi chiese, e mi accorsi con sgomento che stava piangendo. «Ho questo caratteraccio che... non volevo dire...»

«Non ti preoccupare, non sono arrabbiata con te» le dissi, e lei finalmente allentò la presa. «Non piangere, dai».

«Ho temuto che ti fossi invaghita di Kierkegaard» disse, tirando su con il naso. «Perché se fosse successa una cosa del genere, mio fratello...»

«Non succederà mai» la rassicurai. «Puoi dormire sonni tranquillissimi».

Quando rientrammo a casa della signora Petrocchi, ci stavano aspettando tutti.

«Come sta Rei?» mi domandò Kumiko, con un filo di voce.

Era così bella e così simile a Rei che mi levava il fiato.

«Sta bene» risposi. «Lui è molto forte».

«Di cosa parlavate?» domandò Yumi, mentre prendevamo posto intorno al tavolo, apparecchiato per la cena.

«Di ciò che faremo il prossimo anno» rispose la Di Pietro, sorseggiando del vino. «Avete sentito? Hanno deciso di riaprire il Collegium. E il Pontifex mi ha chiesto di tornare a insegnare qui».

«È fantastico!» esclamai. «E lei ha accettato?»

«Sì, certamente».

Era una cosa davvero bella. La Di Pietro era una professoressa molto conosciuta e influente, al liceo classico di Tivoli. Eppure, avendola vista troppe volte rinchiusa in quella biblioteca minuscola, sapevo con certezza che il suo posto non fosse quello. La scuola senza di lei, però, non sarebbe più stata la stessa. Se se ne fosse andato anche Mario, non avrei avuto più nessuno che potesse capirmi davvero.

«Sarà dura, senza di lei» sussurrai.

Ci fu un attimo di silenzio generale, in cui temetti di aver detto qualcosa di sbagliato, poi tutti si rilassarono in una risata.

«Melania» mi disse mia madre, «non dovrai fare a meno della professoressa. Il prossimo anno frequenterai anche tu il Collegium di Villa Adriana».

«Stai dicendo sul serio?» chiesi, saltando in piedi.

«Certo» rispose mia madre.

Non era possibile. Avrei potuto continuare a vivere lì. Andare a scuola con i miei amici.

«Yumi? Devon?» chiesi.

«Anche io verrò a scuola qui» disse Yumi.

«Sì, anche io» aggiunse Devon. «Quest'anno, poi, sarò sicuramente bocciato, visto che a scuola non ci sono andato mai. Quindi staremo anche in classe insieme. Anche con Iulian e Nate».

Era tutto troppo bello per essere vero. Mi sarei svegliata da un momento all'altro nel sogno di qualcun altro.

«Però, Melania» disse la professoressa. «Sei anche tu a rischio bocciatura. Dovrai studiare sodo, da qui alla fine dell'anno».

«Certo, certo» mi affettai a rispondere. «Lo farò».

«Riprenderete possesso della vostra vecchia casa?» domandò Kumiko.

«No, penso che farò richiesta per averne una nuova» rispose mia madre. «Sto pensando anche di tornare a lavorare all'hospitium».

«Abbiamo una casa?» chiesi, incredula.

«Certo» rispose mia madre. «Alle famiglie degli Equites sono assegnate di diritto».

«Saremo compagne di classe e vicine di casa, quindi» mi sussurrò Yumi, eccitata dall'idea quanto me.

«E che cos'è l'hospitium?» domandai.

«L'ospedale di Tibur».

Dopo tutto il buio, il freddo, l'angoscia e la sofferenza dell'ultimo periodo, mi sembrò che tutto, d'improvviso, avesse preso a girare nel verso giusto.

«Melania» mi chiamò la signora Petrocchi.

Io, Yumi e Devon stavamo ancora lavando i piatti, mentre tutti gli altri si erano già ritirati.

«C'è Gilbert alla porta. Ha chiesto se puoi raggiungerlo a casa sua».

Mi asciugai rapidamente le mani, mi sfilai il grembiule e mi misi le scarpe.

«Vai da sola?» mi chiese Yumi.

«Sì» risposi. «Sì, credo sia meglio».

Quando bussai alla sua porta, venne ad aprirmi e mi fece cenno di entrare senza dire una parola.

«Sta bene?» gli chiesi.

«Sì, grazie» rispose.

Ero in imbarazzo. Lui, guardando me, vedeva la ragazza che aveva amato. Questo mi metteva a disagio. Neanche lui disse niente per un tempo che mi sembrò infinito. Mi sentivo stanca morta, non avevo ancora ripreso del tutto le forze.

«Posso... sedermi?» chiesi, titubante, indicando la poltrona.

«Certo» rispose, avvicinandomela.

Poi si chinò a ravvivare il fuoco nel camino e si mise a sedere per terra.

«Sarei curiosa di conoscere il prezzo che l'Impero ha pagato per la liberazione del Pontifex» dissi.

«C'è stato uno scambio di prigionieri» rispose.

«Capisco» sussurrai. «Questo prigioniero deve essere una persona molto importante, se la sua libertà vale come quella del Pontifex».

«Ascoltami» disse, senza guardarmi. «Ti ho mandata a chiamare per dirti che, se vuoi, puoi restituirmi il medaglione. Sei diventata molto forte. Per quel che mi riguarda, il tuo praticantato può terminare qui».

«Ah» risposi, stupita.

Non era quello che mi aspettavo. Temevo, e allo stesso tempo speravo, che volesse parlarmi di Elissa. Mi portai la mano alla catena e la tirai fuori dalla felpa, estraendo il medaglione. Poi me ne resi conto: non volevo farlo. Non volevo ridarglielo. Non ero ancora pronta a recidere quel legame.

«Senta» dissi, rinfilandomelo sotto i vestiti. «Non potrei tenerlo un altro po'? Almeno fino al mio diciottesimo compleanno? Mi farebbe sentire più sicura».

Si voltò, per la prima volta, a guardarmi. Nei suoi occhi severi scorsi quella tristezza che tanto abilmente mi aveva sempre celato. I suoi vestiti mi sembrarono più vecchi e infeltriti del solito. Tra i suoi capelli neri ce ne erano alcuni bianchi. Non ci avevo mai fatto caso.

Era triste. Era stanco.

«Va bene» rispose.

Sentii sopraffarmi da una stanchezza incontrollabile. Mi avvoltolai nella coperta e chiusi gli occhi.

«Melania! Non correre!»

Elissa chiamava una bambina piccola, di due, massimo tre anni. La bambina era caduta e si era sbucciata un ginocchio sul ruvido pavimento di travertino grezzo del tempio della Sibilla. Elissa la raggiunse e la prese in braccio.

«Non ti sei fatta niente» le disse.

Poi si avvicinò a Gilbert e lo guardò sorridente.

«Puoi tenerla un secondo?»

Gilbert non rispose e non si mosse. Elissa si avvicinò di più a lui, guardandolo incoraggiante. Dopo una lunga esitazione, lui stese le braccia e afferrò la bambina che, immediatamente, iniziò a giocherellare con una ciocca dei suoi capelli neri. Elissa rise.

«Non ti fa niente, stai tranquillo» gli disse, divertita. «È solo una bambina, non avere paura. Vedi? Le piaci».

Passò una mano sul ginocchio sbucciato e la ferita si rimarginò immediatamente.

«Anche lei mi piace» rispose Gilbert, imbarazzato. «Ti somiglia».

«Dici, vero?» domandò Elissa, carezzandole la testa. «Sembra anche a me».

Rimasero un po' in silenzio, poi Elissa parlò di nuovo.

«Non avrà una vita facile» disse. «Promettimi che la proteggerai».

Gilbert parve stupito e le ripassò la bambina. Elissa la prese tra le braccia e la baciò sulla testa.

«Da che cosa?» le domandò.

«Da se stessa, principalmente. Sarà molto potente. Molto. Ma non sarà in grado di ricordare».

«E perché non dovrebbe ricordare?» domandò lui, fissando la bimba.

Elissa si fece seria, gli carezzò il viso imberbe e lo guardò negli occhi.

«Perché tu le cancellerai la memoria, Constantin».

Molto, molto bene.
Siamo riusciti a giungere alla fine di questa prima parte. Molte domande hanno trovato finalmente una risposta (molte altre noperchédoveteleggereanchelasecondaparte).
E niente, ora potrei mettermi a scrivere cose strappalacrime per ringraziare tutti coloro che mi hanno seguita fin qui e dire loro addio, ma non lo farò. Per tre motivi.
Il primo è che questo capitolo continente già delle romanticherie e non vorrei che questa storia diventasse una melensaggine.
Il secondo è che, direttamente sabato prossimo, inizierò la pubblicazione del primo capitolo della seconda parte e quindi c'è poco da salutarsi perché tanto non vi libererete mai di AppleAnia.
Il terzo motivo è che non fregherebbe niente a nessuno perché mi è ormai chiaro che le poche persone che leggono i miei interventi sono inspiegabilmente interessate solo alle mie disgrazie personali. Quindi ve ne racconto subito una così il lettore poco attento, o che non legge l'angolo autrice, butta l'occhio e dice: oh ammazza quanto ha scritto, vedi sicuramente sta ringraziando tuttiEINVECENO.
Dunque, questa mattina ho preso coraggio e sono andata dalla parrucchiera, perché non mi potevo proprio più guardare (ho un capello bianco spesso come il tronco di un albero, che cresce in verticale. Non scherzo, sembra l'antenna di un insetto. Mi fa uscire letteralmente di senno).
Ho deciso di andare a piedi, perché sto cercando ancora di camminare per dimagrire (sì ok, seguiranno aneddoti anche su questo).
Sono quindi uscita di casa con i capelli di merda, tipo 12 gradi e il sole.
Poi, mentre ero lì con le stagnole in testa, qualcosa deve essere andato storto.
Perché sono uscita dopo tre ore e mezza col capello liscio e lucente, 4 gradi, la grandine e una bufera di vento e, in mezzo secondo, il mio capello liscio e lucente si è trasformato in un groviglio intirizzito di nodi ed elettricità statica.
Quindi, ricapitolando: sono uscita di casa con i capelli di merda e il bel tempo;
Sono tornata a casa con i capelli di merda e l'apocalisse in corso.
Buon fine settimana anche a voi, a sabato prossimo :*

AppleAnia ❧

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