09|| coordinates.

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Mi ci volle qualche secondo per acquisire la lucidità necessaria per capire che qualcuno stava rumorosamente bussando alla porta della mia stanza nel bel mezzo della notte. Balzai in avanti, momentaneamente accecata per lo scatto improvviso, e voltai la testa verso sinistra, orientandomi col rumore; dovetti sbattere parecchie volte le palpebre per riacquistare una vista abbastanza lucida da permettermi di riprendermi e così rispondere.
«Avanti!» urlai, per sovrastare il rumore dei tonfi, che squarciavano il silenzio rimbombando come colpi di pistola, col tono di voce ancora roco e intriso di sonno. Chiunque ci fosse dall'altra parte non se lo fece ripetere due volte: i colpi si assestarono e la maniglia girò, facendo scattare la serratura. La testa spettinata di Tony fece capolino dal piccolo varco aperto dalla porta, l'espressione scocciata e insonnolita, le maniche della camicia azzurra arrotolate fino ai gomiti, l'aria sfatta.
«Bella addormentata, ci sono novità!» disse, e io compresi immediatamente di cosa stava parlando. Da quando era arrivato, ormai due giorni prima, si era chiuso in laboratorio insieme a Shuri, in una collaborazione forzata che però sembrava funzionare, con l'obiettivo di allargare il raggio d'azione del suo speciale cerca-persone. Voleva potenziarlo, nel caso in cui qualcuno della squadra si fosse allontanato troppo e non rientrasse più nel raggio, non riuscendo così a contattare il resto dei compagni. Non c'erano stati, però, grandi miglioramenti... fino a quel momento.
«Cos'è successo?» chiesi, scalciando via le coperte. Lasciai il letto, indossai il primo paio di scarpe che trovai sotto mano e poi afferrai la veste da camera che avevo abbandonato sulla testiera del letto; la infilai e allacciai la piccola cinta ben stretta in vita. Tony finì di aprire la porta per permettermi di uscire e poi mi seguì lungo il corridoio, richiudendola dietro di sé.
«Qualche ora fa io e il genietto abbiamo trovato un modo per espand...» si fermò e mi lanciò uno sguardo titubante, poi sembrò prendere una qualche decisione «Siamo riusciti a potenziare il segnale e a trasmettere le Coordinate del Wakanda con un piccolo messaggio cifrato, e finalmente abbiamo ricevuto delle risposte.» spiegò, svoltando a sinistra, nel corridoio dove si trovava il Laboratorio. Fremetti, e la sorpresa m'immobilizzò per un secondo, lasciandomi indietro di un passo; lui sembrò notare la cosa, ma non si fermò né mi guardò, continuando dritto per la sua strada, perfettamente conscio di quello che stavo provando in quel momento.
L'attimo sfumò e io ripresi a camminare dietro di lui, con la vestaglia che mi svolazzava intorno alle gambe, i bordi che rimbalzavano contro le ginocchia... la perfetta immagine di chi è appena stato trascinato giù dal letto.
«Chi ha risposto?» chiesi, in un impeto che non riuscii a controllare, ma lui non rispose e il Laboratorio fece capolino oltre l'angolo, Shuri sull'uscio ad attenderci, col pigiama indosso e i capelli tenuti su da un foulard dai colori del tramonto, i piedi scalzi.
«Quell'affare sta impazzendo!» quasi gridò, nonostante fossimo nel pieno della notte, poi ci precedette all'interno della stanza ben illuminata; fui accecata dal bianco, quando varcai la soglia. I computer erano tutti accesi, un "bip" costante squarciava il silenzio della notte e al centro, sotto forma di ologramma, un'enorme mappa terrestre, sui cui lampeggiava un puntino rosso. Tony raggiunse spedito una delle scrivanie centrali, dove capeggiava lo schermo più grande: fissò per qualche secondo scritte che non riuscivo a leggere, poi aggrottò le sopracciglia e, poggiando le mani sullo schermo, prese a digitare velocemente mentre gli occhi saettavano da un punto all'altro; pochi secondi, e un secondo puntino apparve sull'enorme mappa. Poi un altro.
«Thailandia!» disse Shuri, avvicinandosi alla mappa «E la Francia.» continuò, indicando il secondo punto apparso «Si trattano bene...» mormorò, ma non capii se dicesse sul serio o se quello fosse soltanto un vano tentativo di stemperare la tensione, mal riuscito. Un altro punto apparve sulla mappa, e io archiviai la questione, puntando lo sguardo su quel piccolo cerchio rosso, con una strana speranza che mi nasceva dentro, diramandosi come una rampicante. Il rumore prodotto dai polpastrelli di Tony che cozzavano la superficie dello schermo cessò e me lo ritrovai di fianco, con le sopracciglia aggrottate in un'espressione pensierosa e le mani sui fianchi.
«Messico.» mormorò, indicando il punto interessato; lo fissai, non comprendendo fino in fondo il suo tono ombroso.
«Non sei convinto?» chiesi, inarcando un sopracciglio; Shuri, in disparte, lanciò un veloce sguardo alla mappa, ma sembrò catturare tutti i dettagli di cui aveva bisogno per capire qualcosa che a me ancora sfuggiva.
«No, non dubito della veridicità delle Coordinate. Quello che mi preoccupa è quante poche risposte abbiamo ricevuto.» spiegò, scuotendo leggermente il capo con fare sconsolato; le sue parole furono per me una doccia gelata, ma provai ad aggrapparmi con tutte le forze che avevo a una vana speranza.
«Possiamo dar loro altro tempo, il messaggio è stato inviato da poco, forse...» blaterai, ma il suo sguardo rammaricato bastò a smorzare ogni mio tentativo, ogni mio entusiasmo.
«Chi ha risposto?» mormorai, e lui scosse il capo prima di fare spallucce.
«Non lo so, il segnale è debole, i messaggi devono essere brevi e concisi. Non hanno specificato, niente firma o cose del genere.» disse, gesticolando animatamente.
«E allora come facciamo a portarli qui?» chiesi, trattenendomi con un sopracciglio inarcato; mi sentivo improvvisamente esasperata, identica a quella che sembrava emanare lui da tutti i pori.
«Verranno loro da noi!» ribatté lui, indicando la mappa. «Ho inviato loro le nostre coordinate, hanno tutti i mezzi per raggiungerci.» spiegò poi, con l'espressione saccente di chi sa di aver ragione.
«Quinjet?» chiesi io, inarcando un sopracciglio.
«Ovvio!» quasi urlò lui, e io strabuzzai gli occhi, poi spalancai la bocca.
«E il GPS?» domandai, con voce stridula. Tony tirò un lungo respiro esasperato, poi si strofinò le palpebre coi polpastrelli e portò l'altra mano su un fianco.
«Mi credi davvero così stolto?» chiese, e io capii di esser stata davvero stupida. Se aveva dato loro dei Quinjet, doveva aver eliminato qualsiasi possibilità di essere rintracciati, e perciò la mia domanda era stata inutile, stupida, dettata dalle emozioni. Lui lo sapeva, e perciò dopo un altro lungo sospirò lasciò scivolare le braccia lungo i fianchi.
«Dobbiamo solo aspettare.» disse «E lo so che odi farlo, ma è tutto quello che possiamo fare in questo momento. Soltanto quando saranno qui, potremo avere le risposte a tutte le domande che ci tormentano, d'accordo?» chiese, annuendo in automatico, quasi ad indicare la risposta che avrei dovuto dare. Lo ascoltai, ed annuii, perché era tutto quello che potevo fare, poi mi strinsi nella vestaglia.
«Quando arriveranno?» chiesi, perché volevo almeno essere pronta all'incontro, mentalmente e non; Tony fece spallucce, poi fissò per qualche secondo la mappa, pensieroso.
«Non so, sono tutti abbastanza lontani. Non prima di cena, comunque, perché per quanto i Quinjet siano veloci non sono in grado di ricoprire una distanza del genere in poco tempo.» spiegò, facendo spallucce. Annuii, questo significava che avevo molte ore da occupare in qualche modo, per distrarmi e non passare così l'intera giornata in un'ansia dettata dall'attesa, anche se la sentivo già crescere dentro di me.
«Che cosa succede?» domandò, all'improvviso, una voce che conoscevo bene. Mi voltai di scatto, e i miei occhi incontrarono T'Challa, fermo sull'uscio della porta; lo fissammo per qualche secondo, poi Shuri si riscosse, gli si avvicinò e gli illustrò la situazione, utilizzando termini tecnici che con me avevano evitato.
«Sei preoccupato?» chiesi, sottovoce, a Tony mentre il Re e la Principessa del Wakanda continuavano a discutere degli ultimi avvenimenti, senza prestare troppa attenzione a noi. Lui infilò le mani nelle tasche del pantalone e si spostò di un passo verso di me, senza staccare gli occhi dai due; per un solo attimo, fugace e inafferrabile, mi sembrò di vederci dall'esterno: spalla contro spalla, a bisbigliare, come due cospiratori intenti ad organizzare il colpo del secolo. Ma la situazione era molto più grave: era un gesto di sfiducia, la prova palese che, per quanto stessimo collaborando, tra noi non era ancora presente quella fiducia totale di cui necessitavamo; neanche in me, che ero ospite in quel paese da più di un anno.
«Un po'.» mormorò Tony in risposta, trattenendosi dal scuotere il capo.
«Per?» domandai io di rimando, incrociando le braccia al petto per stringermi nelle spalle.
«Mancano troppe persone all'appello, Beth.» spiegò, schiarendosi leggermente la gola.
«Pensi possa essere successo qualcosa di grave?» chiesi, e lui si girò a guardarmi, nei suoi occhi una sola risposta: Si.
«Possiamo ottenere altre informazioni?» domandò all'improvviso T'Challa, interpellandoci durante la discussione per la prima volta da quando era entrato.
«Posso provare a comunicare di nuovo, ma non posso darti la sicurezza che rispondano.» spiegò, sfilando una mano dalla tasca che poi portò al pizzetto macchiato di bianco.
«Tentar non nuoce.» ribatté T'Challa, perciò Tony scattò verso la scrivania, lanciandomi un ultimo veloce sguardo prima di darmi le spalle.
Rimasta sola, lanciai uno sguardo a T'Challa, poi a Shuri, che si girò a guardare uno schermo, quasi volesse lasciarci privacy: il silenzio scivolò su di noi come un manto di cemento, adagiandosi pesante sulle nostre spalle. Non in grado di reggerlo, mi schiarii la voce e spostai il peso da un piede all'altro.
«Vado a vestirmi.» dissi, buttando fuori la prima cosa che mi venne in mente: effettivamente, ero ancora in pigiama, e sveglia com'ero non sarei mai potuta tornare a letto per riposare un altro po', e perciò era meglio vestirmi. Senza aspettare risposta, mi affrettai ad uscire dal Laboratorio, accelerando il passo una volta arrivata in corridoio.
«Beth!» chiamò all'improvviso T'Challa, e i suoi passi vicini e veloci mi arrivarono all'orecchio, facendomi fermare di scatto. «Possiamo parlare?» chiese, quando fu abbastanza vicino. Mi girai a guardarlo, lentamente, timorosa, ma poi mi costrinsi ad annuire: per quanto avrei potuto rinviare quella conversazione? Era arrivato il momento di tirare le somme. Lui mi esortò a seguirlo, e non mi perse d'occhio un attimo mentre mi guidava verso la sua stanza, quasi temesse sparissi all'improvviso; una volta arrivati, mi aprì la porta e mi fece entrare per prima, poi mi seguì e la richiuse dietro di sé.
Passarono alcuni secondi di silenzio assoluto.
«Che cosa ti ha raccontato Tony?» domandò, e io mi stupii, perché non era quella la prima domanda che mi aspettavo; il suo tono piatto, poi, mi destabilizzava.
«Mi ha raccontato che sono latitanti,» cominciai «che tu sapevi tutto,» continuai «che ti hanno pregato di non dirmi niente per non trascinarmi in una situazione più grande di me» mi strinsi nelle spalle «e che non abbiamo potuto dar loro una mano per colpa mia e anche per i tuoi rapporti con il Governo Americano.» conclusi, piegando leggermente il capo di lato. «Ma l'unica cosa evidente in tutta questa situazione è che mi hai mentito, che mi avete mentito tutti, ripetutamente, per un lungo periodo.» dissi poi, facendo spallucce.
«Immagino tu sia arrabbiata.» disse lui, voltandosi verso di me. Sospirai.
«No!» ribattei «In realtà sono delusa, ma non c'è tempo per esternare nulla, ci sono situazioni più grandi e urgenti da affrontare.» continuai poi, perché ne ero fermamente convinta.
«E tra noi, Beth? Questa è una situazione che possiamo affrontare?» domandò, con un leggero velo di rabbia ad avvolgergli la voce.
«Ho bisogno di tempo.» risposi, in automatico; lui restò a fissarmi, in silenzio.
«Ora sei tu che stai mentendo a me.» disse, e per me fu scacco matto. La verità era una soltanto: ero confusa. La possibilità imminente di rivedere Bucky aveva scombussolato l'equilibrio sentimentale raggiunto e messo in dubbio ogni certezza acquisita in tutto quel tempo, ma se da una parte c'era lui, dall'altra c'era T'Challa, che mi era stato vicino quando ne avevo avuto bisogno, ed era diventato così la mia spalla, un porto sicuro quando mi ero ritrovata sola, in mezzo al mare e in balia delle onde. Ferirlo avrebbe ferito me di rimando.
«Ti ha lasciato con una lettera...» mormorò lui «come puoi ancora essergli legata?» domandò poi, ma io non risposi. Puntai lentamente lo sguardo sul suo viso e sospirai.
«Ho bisogno di tempo, T'Challa.» dissi, scandendo bene ogni parola; il silenzio calò su di noi, avvolgendoci nelle sue spire, poi lui scivolò lentamente di lato e mi diede le spalle, invitandomi silenziosamente ad andare via.
Azzerai la distanza tra me e la porta, poi afferrai il pomello e feci scattare la serratura.
«Non posso assicurarti che mi troverai qui, quando deciderai.» mormorò, quasi non fosse del tutto sicuro delle parole che gli stavano uscendo dalla bocca.
«Lo so.» risposi soltanto, perché era tutto ciò che gli potevo dire, perché ero perfettamente a conoscenza di quella possibilità ed ero pronta ad affrontare le conseguenze delle mie azioni. Sapevo anche, però, che lui non meritava di essere la seconda scelta di nessuno, che dovevo essere corretta con lui e con me stessa.
Uscii dalla camera, richiudendomi la porta alle spalle, poi lentamente camminai per i corridoi semibui, col cielo fuori che cominciava a rischiararsi con le prime luci dell'alba, fino a raggiungere la mia stanza.

Survivor. |Bucky Barnes Fanfiction.Where stories live. Discover now