17|| black pearl. [MultiPov]

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Bucky

Gli occhi di Beth si rovesciarono all'indietro e il suo corpo si tese come una corda di violino: la schiena che s'inarcava, il respiro che le si incastrava in gola, quasi come se qualcosa di fisico la ostruisse; il volto le diventò paonazzo, un colpo di tosse le fece vibrare le spalle, zampilli di sangue schizzarono sulla neve, macchiandola di rosso scarlatto.
Natasha soffocò un singhiozzo mentre portava una mano sulla ferita e spingeva, nel tentativo inutile di fermare la copiosa fuoriuscita di sangue; lacrime silenziose le scivolavano sulle guance. Restai a fissare la scena inerme, il panico che mi stringeva la gola e lo stomaco, un fischio sordo che mi riempiva le orecchie sovrastando qualsiasi altro rumore; neanche il freddo della neve, che penetrava attraverso i pantaloni ormai fradici, sortiva in me un qualsiasi effetto. Era un incubo. L'impotenza, la rassegnazione, il dolore, il panico.
Non morire, Non morire, Non morire.
Era l'unica cosa a cui riuscivo a pensare.
«Dobbiamo fare qualcosa!» urlò, con voce spezzata, Natasha, riscuotendo tutti da una sorta di silenzioso oblio; i suoi occhi scattarono a me, poi a Steve, che chiuse e aprì i pugni, quasi fosse alla ricerca di una soluzione.
Una soluzione... doveva essercene una. Non potevamo tornare in Wakanda, il viaggio sarebbe potuto esserle fatale, ma cosa potevamo fare lì?
Ma il tempo passava e il sangue continuava a defluire, silenzioso e mortale, allargandosi sulla neve bianca, scacciando via ogni purezza da quel colore, macchiandolo di morte e orrore.
Poi un ricordo, lieve, che avevo inizialmente reputato inutile e fuori luogo in quel momento, scalciò per tornare a galla, combattendo ogni mia esistenza; non sapevo da dove venisse, cosa l'avesse risvegliato, ma capii immediatamente che era la risposta alla mia disperata chiamata.
Mi alzai di scatto e, in un battito di ciglia, presi a correre verso uno dei Quinjet, sbilanciato dalla mancanza di un braccio; rischiai di cadere, una, due, tre volte, ma ritrovai ogni volta l'equilibrio. Alcuni passi risuonarono alle mie spalle, pesanti e scoordinati tanto quanto i miei: Tony mi superò, stretto in una T-shirt e pantaloni decisamente troppo leggeri per il clima del posto; gli scarponi affondavano nella neve ad ogni passo. La sua armatura stazionava a qualche metro di distanza, una sentinella silenziosa, in caso di pericolo.
«Dove diavolo stai andando?» chiese, confuso, parandosi tra me e il Quinjet; ringhiai, profondamente, come un animale.
«Apri quel dannato aggeggio!» quasi urlai tra i denti, indicando col mento il veivolo alle sue spalle. Lui inarcò un sopracciglio, nei suoi occhi vidi l'indecisione, poi, come se avesse letto qualcosa nel mio sguardo, si voltò e tastò la superficie liscia alla ricerca di qualcosa. Si sentì un leggero 'click', poi il portellone si spalancò, lentamente, troppo lentamente.
«Anche l'altro!» ordinai, e lui fece come richiesto, inaspettatamente docile.
«Cosa stiamo cercando?» chiese, mentre mi arrampicavo oltre il portellone aperto più della metà, le gambe appesantite dai pantaloni fradici. Gli lanciai un veloce sguardo.
«Una perla, nera, striature blu.» spiegai, e lui saettò verso l'altro Quinjet, quello più veloce. Le luci all'interno del velivolo si accesero una dopo l'altra e io mi tuffai sulla miriade di cassetti, sportelli e scomparti; li aprii uno dopo l'altro, con l'unica mano che avevo a disposizione, il cuore che mi batteva all'impazzata. Sapevo che non avevamo tempo, che da lì a qualche minuto... No! Respinsi via quel pensiero, il panico che si celava dietro di esso. Non ero in grado di affrontarlo. Non sapevo come fare. Scossi il capo e tornai a concentrarmi sulla ricerca, ma le mie speranze si affievolivano ad ogni buco nell'acqua. Finché.
«James!» gridò Tony, il rumore dei suoi passi furenti si riversò all'interno del Quinjet e fu al mio fianco in un battito di ciglia; tra le mani, strette come l'ultima speranza che erano, un bracciale di Perle Kimono brillava quasi contro la pelle pallida dei palmi. Lui sembrò leggermi la risposta nello sguardo e si rialzò con tutta la velocità e l'agilità di cui era capace, poi si lanciò in una corsa spezza-fiato; gli fui dietro senza neanche rendermene conto.
«Natasha!» gridai, attirando l'attenzione della donna su di me. «Taglia la tuta!» ordinai poi, quando eravamo abbastanza vicini. Scivolai sulle ginocchia, la neve che lasciava una scia al mio passaggio, mentre lei sfilava il pugnale nascosto nello stivale e, con le dita sporche di sangue viscido, si affrettava a squarciale la tuta di Beth, facendole scivolare il coltello sulla pancia, ma senza ferirla. Tony mi lanciò il bracciale, che afferrai con uno scatto del braccio, poi lo adagiai sulla neve e ne staccai una, facendo forza sulle dita abili dell'unica mano di cui disponevo. Quando quella cedette mi voltai immediatamente verso Beth e cercai di non perdere la concentrazione alla vista del colore cianotico della sua pelle, delle labbra che, ancora sporche di sangue secco, si tingevano di un leggero rosa. Pulii quanto più potevo la ferita, poi infilai la Perla nel foro lasciato dalla pistola, e il suono della pelle che si dilatava per accoglierla mi rimbombò nelle orecchie come una campana. Bastò un secondo. Le venature bluastre si diramarono sulle pelle come una ragnatela, come un fulmine che fendeva l'aria, e il respiro di Beth tornò regolare, il sangue cominciò a diminuire, il viso le si rilassò del tutto. Funzionava. Il sollievo fu un'ondata piacevole e, allo stesso tempo, disarmante: mi scosse scivolando lungo la mia spina dorsale, poi esplose in un tripudio di colori, un arcobaleno meraviglioso e caldo, accogliente. «Dobbiamo portarla in Wakanda.» mormorai, mentre la sua pelle tornava di un tenue colore rosa. Steve s'inginocchiò senza farselo ripetere due volte, infilò una mano sotto le sue ginocchia e una dietro al busto, poi la tirò su con se; il collo di Beth si reclinò pericolosamente, e per un attimo sembrò morta. Eterea. Supplizio e condanna, ma anche redenzione e amore. Fu tutto e niente. L'arcobaleno si spense, la paura tornò furente a divorare tutto, insieme a una consapevolezza, una certezza assoluta. Seguii Steve fin dentro al Quinjet più veloce, sussultai quando lui la ripose sui sedili e lei mugugnò per il dolore, arricciando per qualche secondo il naso.
«Vengo con te!» esclamai, senza che potessi farci niente; lui si girò a guardarmi, poi si raddrizzò e avanzò di un passo verso di me. Lo fissai senza sbattere le palpebre mentre poggiava le sue mani sulle mie spalle.
«No.» e quelle parole mi rimbombarono dentro. Non mi diede il tempo di controbattere. «Ho bisogno di qualcuno che sia lucido, Buck. Non...» la voce gli si incrinò. «Non posso gestire entrambe le cose.» continuò poi, e capii cosa intendesse. Capii quanto fosse preoccupato, quanto stesse soffrendo e quanto fosse bravo a nascondere il tutto dietro una maschera di calma apparente, incanalando quelle sensazioni nel talento naturale che aveva per il comando. Mi costrinsi ad annuire, nonostante una parte di me scalciasse e gridasse per opporsi a quella decisione, nonostante ogni fibra del mio essere volesse ribellarsi, e arretrai di un passo, poi di un altro, finché non fui all'esterno; Tony mi superò senza dire una parola, avvolto in un silenzio teso. Lanciai un'ultima occhiata a Beth, poi tornai con lo sguardo a Steve. «Tienici aggiornati.» pregai, la voce resa roca da qualcosa di primitivo, un istinto primordiale che non avevo mai provato, una paura feroce che mi artigliava lo stomaco. Lui si limitò ad annuire, negli occhi una promessa muta, poi il portellone si richiuse e Tony avviò i motori.

Survivor. |Bucky Barnes Fanfiction.Where stories live. Discover now