01|| a year later.✔️

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Revisionato il 5/11/20.


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Il sole aveva appena iniziato a tramontare, il cielo si tingeva d'arancio e le luci della città, che circondavano il palazzo, cominciavano ad accendersi una dietro l'altra. Poggiata coi gomiti alla balaustra in vetro, coi capelli mossi da una leggera brezza, osservavo ammaliata la splendida vista che mi si presentava davanti, a cui non mi ero ancora abituata dopo tutto quel tempo; mi trasmetteva una pace che avevo provato poche volte in vita mia. L'orologio che tenevo al polso prese ad emettere un flebile 'bip', interrompendo quel momento di contemplazione e facendomi sobbalzare: pigiai distrattamente sul touch e l'ologramma di Shuri, in miniatura ovviamente, prese forma, così distolsi lo sguardo dall'orizzonte per puntarlo su di lei.
«Dove diavolo sei finita?» gridò, senza cattiveria, roteando gli occhi in una finta espressione disperata. Lanciai un'ultima occhiata al tramonto, poi tornai in camera e richiusi la porta-finestra alle mie spalle.
«Sto arrivando, lo giuro.» m'inventai, attraversando a grandi passi la stanza per raggiungere la porta.
«Ti aspetto nel Laboratorio Grigio, quello piccolo.» mi raccomandò lei, poi la connessione s'interruppe e io mi ritrovai da sola, nel bel mezzo del corridoio, terribilmente in ritardo per il mio controllo settimanale. Da quando avevo finito il lungo percorso di stabilizzazione intrapreso con Shuri al mio arrivo in Wakanda, quest'ultima aveva deciso di effettuare un controllo una volta ogni due/tre settimane, solo per essere sicura che tutto andasse per il meglio; era maniacale, nonostante fosse abbastanza chiaro quanto fossi migliorata in quel periodo. Certo, di tanto in tanto gli incubi mi tenevano ancora sveglia di notte, ma non avevo più avuto nessuna crisi, i ricordi erano tutti al loro posto, dove dovevano essere, e i miei poteri progredivano senza creare problemi.
Comunque, mi destreggiai tra i corridoio tutti uguali di quell'ala del palazzo, quella riservata agli alloggi della famiglia reale, e raggiunsi il Laboratorio indicato da Shuri; lei mi attendeva con le mani sui fianchi e un'espressione da finta arrabbiata dipinta in volto. Alzai le mani, in segno di resa, e il tintinnio dei bracciali che portavo ai polsi rimbombò nella stanza.
«Se arriviamo in ritardo a cena mia madre ci ucciderà.» si lamentò lei, indicandomi subito dopo il lettino su cui avevo passato centinaia di ore, a soffrire in silenzio. Obbedii senza fiatare, lei adagiò con gesti gentili delle ventose alle mie tempie e poi sparì dalla mia vista, probabilmente a trafficare coi computer, o qualcosa del genere; capivo di tecnologia quel tanto che mi bastava per sopravvivere nel mondo moderno, perciò molto poco.
«Hai visto tuo fratello?» domandai, mentre una lieve scarica mi attraversava il cranio, facendomi sobbalzare; non vedevo T'Challa da tutto il giorno, il che era strano.
«Scusa.» mormorò Shuri, che aveva notato lo scatto improvviso, poi sospirò, e io non capii il motivo di quel sospiro finché non tornò a parlare. «T'Challa non è in Wakanda.» disse, e io mi tirai leggermente su, nel tentativo d'individuarla con lo sguardo per poterla guardare in viso. Che significava che T'Challa non c'era? Non partiva mai senza avvisare.
«Stai giu!» mi ordinò, apparendo nel mio campo visivo, poggiandomi dolcemente le mani sulle spalle, senza esercitare nessuna pressione; obbedii ancora, anche se un po' confusa.
«E dov'è?» domandai, mentre lei spariva di nuovo, evasiva come non mai.
«In America, credo. Lo sai che a me queste cose non le dice, e che soprattutto io non faccio domande.» spiegò, e io sospirai. Shuri riapparve di nuovo, e con la gentilezza che la contraddistingueva, staccò le ventose dalle tempie, poi mi sorrise a labbra strette.
«Non posso effettuare l'esame se sei così sconcentrata, Beth. T'Challa sta bene, e poi sta tranquilla, stasera ti aiuterò io con la mamma.»scherzò, per sdrammatizzare. Lasciò perdere le ventose e mi aiutò a tirarmi su, mentre un sonoro sospiro rassegnato mi sfuggiva dalle labbra. Che la Regina Madre, Ramonda, non nutrisse per me un alcunché tipo di simpatia, per non parlare di affetto, era noto, soprattutto a me; negli ultimi mesi, poi, la cosa era alquanto peggiorata. Anzi, era peggiorata così tanto che ormai ne erano a conoscenza quasi tutti, al palazzo.
«Rimandiamo a domani, ti va?» domandò Shuri, riportandomi alla realtà. Mi prese sotto braccio e mi trascinò quasi fuori dal laboratorio, dirette verso la sala da pranzo.
«Credi sia una buona idea? Visto che T'Challa non c'è, lei potrebbe preferire che restassi nelle mie stanze.» mormorai, tirando leggermente su l'orlo della gonna, che continuava ad incastrarsi sotto ai sandali. Shuri liquidò la questione con un gesto della mano, quasi fosse un nonnulla che sua madre provasse per me un sincero odio di cui non avevo ancora capito l'origine.
«Mia madre si abituerà a te, Beth, devi solo avere... pazienza.» esclamò lei, e io annuii.
Poi, in silenzio, raggiungemmo la sala da pranzo; notai immediatamente la sedia vuota di T'Challa, quella a capo tavola, e la cosa non fece altro che innervosirmi. Ramonda sedeva alla sua destra, il posto al suo fianco spettava a Shuri, quello di fronte a lei spettava a me, e non perché lo dicessi io, era tradizione. Non appena varcammo la soglia, però, sia io che la ragazza al mio fianco notammo la figura sottile che se ne stava seduta come nulla fosse: Nakia sedeva con schiena rigida e si ergeva in tutta la sua bellezza da Dora Milaje, stretta in un abito verde dai ricami gialli.
«Nakia, quel posto...» provò a spiegare Shuri, ma sua madre si schiarì la voce, interrompendola.
«Siediti, Shuri!» ordinò, con voce dura, e la ragazza non potette far altro che annuire, anche se le lanciò un'occhiata di puro diniego. Un po' in imbarazzo, decisi che non potevo voltare le spalle ai presenti e ritirarmi nelle mia camera, che non potevo raccogliere quella provocazione, perciò attraversai la stanza in pieno silenzio, scostai la sedia che restava e mi lasciai cadere al fianco di Nakia, anche lei chiusa in un religioso silenzio che non riuscii a decifrare: imbarazzo, forse? O magari superiorità? Non potevo saperlo.
«Mamma, posso sapere perché Nakia è qui?» domandò Shuri, e nel suo tono potetti ben distinguere lo sforzo di non risultare scortese verso l'inatteso ospite; nel frattempo, la cena veniva servita in silenzio: Stew*, in sontuosi piatti di terracotta. Ramonda ingoiò un cucchiaio di stufato, poi si pulì leggermente le labbra con un fazzoletto di stoffa e si girò a guardare la figlia, che a sua differenza non aveva ancora toccato il piatto che le era stato messo davanti.
«È di ritorno da una missione in Kenya ed era venuta a fare rapporto a tuo fratello, ma lui non c'è, così le ho chiesto di restare.» spiegò, come nulla fosse, la donna. Buttai giù qualche cucchiaio di stufato in pieno silenzio, ancora in imbarazzo ma, allo stesso tempo, stanca di quell'astio ingiustificato, poi spinsi leggermente via il piatto.
«Col vostro permesso.» mormorai, facendo scivolare all'indietro la sedia. Nessuno osò obiettare per il mio abbandono, così lasciai la sala da pranzo per rintanarmi in camera e calmare così il battito accelerato del mio cuore, principalmente dovuto alla collera.
Al suo ritorno non avrei proferito parola dell'accaduto a T'Challa, lui e sua madre avevano già abbastanza problemi, e avrei chiesto a Shuri di fare lo stesso, ma quella situazione cominciava a starmi stretta, a far riemergere in me un senso d'inadeguatezza che non mi piaceva, che ero solita provare in passato; e poi metteva a dura prova la mia pazienza, che era già scarsa di suo. Una volta rintanatami in camera, chiusi bene la porta e uscii fuori al piccolo terrazzo che mi offriva una splendida vista su una parte della città: il cielo era ormai buio, le luci artificiali erano accese e illuminavano il tutto a festa; in lontananza, la luna si specchiava sul lago, attorniato da un fitto bosco. Tirai un lungo respiro di sollievo, poi mi lasciai cadere sulla sedia a dondolo che Shuri mi aveva regalato, sfilai i sandali e raccolsi le ginocchia contro il petto, poi vi poggiai sopra il mento. Non potevo fare a meno di chiedermi dove fosse andato T'Challa, ma soprattutto avrei tanto voluto sapere perché mi aveva nascosto quel viaggio improvviso. Non era da lui, partire senza avvisare.
Scossi il capo e provai a scacciare via la brutta sensazione che mi stava lentamente scivolando addosso, come un manto di seta pesante come cemento; lasciai perdere la sedia a dondolo, anche un po' infreddolita dall'umidità che cominciava a scendere, e raggiunsi il bagno. Riempii la vasca d'acqua calda, con l'intenzione di fare un lungo bagno, nella speranza che potesse portar via con sé la preoccupazione che cominciava a tormentarmi le tempie, poi sarei andata a dormire.
D'altronde, non avevo poi molto da fare.

Survivor. |Bucky Barnes Fanfiction.Où les histoires vivent. Découvrez maintenant