Capitolo 30- Il peggio deve ancora venire

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Avevano osato pensare che niente potesse andare peggio, eppure Detroit, beffarda, si era concessa un ultimo sgarro nei loro confronti.

Nel caos della situazione nessuno si era domandato, nemmeno per un istante, perché da casa di Wilson fosse tornato solo un agente, ammettendo terrorizzato di averne perso le tracce.
Nessuno si era chiesto dove potesse essere l'altro, e dove potesse essere la sua auto.

Semplice.
Della vettura nessuna traccia, ma in compenso avevano ritrovato il corpo quella mattina nel River Rouge, con tre pallottole nello sterno e una, più insicura, nell'addome.
Allora erano iniziate a fluire le domande, allora i dubbi avevo iniziato a formarsi e serpeggiare con vipere.
Per quale motivo l'agente sopravvissuto non aveva avvisato della morte dell'altro... e forse nemmeno ne era a conoscenza?

«Quel bastardo semplicemente non era lì.» Mulder uscì dalla sala interrogatori, sul volto un'ombra fatta di rimorsi e pure preoccupazioni.

«Non era lì...» ripetè Liza, guardando oltre Mulder, mentre spiava l'uomo appena interrogato giacere con le braccia sul tavolo.

«Si era assentato e aveva costretto l'altro a coprirlo. Quando non è riuscito più a mettersi in contatto con lui ha iniziato a preoccuparsi e ha avvisato Carter. Ma non ha avuto il coraggio di dirgli che lui sul posto non c'era.»
Oscar incrociò le braccia, sbuffò, osservò attento se Liza lo stesse guardando.
Fece infinite cose, infiniti piccoli gesti prima di sciogliersi in un sospiro rabbioso, colmo di una frustrazione sommessa.
«Come cazzo è possibile?» chiese a se stesso, non riuscendo a capacitarsi del surreale incubo che stavano vivendo.
Eppure lui, in fondo, lo sapeva.
Sapeva come cazzo era possibile.
Semplicemente non erano stati all'altezza di Enigma.

Liza volse il mento dall'altra parte, trovandosi a osservare la caffetteria quasi vuota, illuminata dalle luci limpide dell'alba.

«Come sta?» Mulder si avvicinò, osservando lo spettacolo davanti a loro come si osserva lo svolgersi di un funerale.

Lei non rispose, continuando a guardare Zelda e Xavier.
Erano seduti vicini, mentre tra di loro regnava un silenzio turbato e inquietante.
Una calma fragile come il vetro di una lampadina, pronta a spezzarsi appena sarebbe aumentata la tensione esercitata.

«E poi

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«E poi... aspetta, e poi...»

L'agente vicino all'uomo che stava parlando lo interruppe, scuotendo la testa, sorridente.
«Non ci credo, cazzo.»

«Aspetta, arriva la parte migliore... legge la lettera» l'uomo imitò la scena, davanti al gruppo di poliziotti radunati in caffetteria, «poi l'irlandese del cazzo spacca la cabina a colpi. Ti rendi conto? A colpi.
Completamente squilibrato.» Aggiunse, sconcertato e appagato da quella ricostruzione impeccabile della sera prima.

«Io l'ho sempre detto, che quei due erano malati. Ah, no, aspetta... com'è che dice Bennie?» chiese l'agente di fianco a lui, pregustando la risposta.

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