Capitolo 2- Cosa sarebbe peggio?

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Ombre e luci al neon si confondevano, si mischiavano e danzavano assieme in quelle vie troppo strette per contenere i pensieri di tutte le persone che le percorrevano.
Ogni tanto qualche insegna brillava più delle altre e rischiarava l'asfalto scuro con bagliori artificiali dai colori sgargianti, illuminando i volti in penombra di chi passava sotto a quei fasci di luce psichedelici.

Zelda e Xavier camminavano svelti, dovevano andare a passo veloce per non farsi catturare da tutte quelle variopinte attrazioni, tutti quei cartelloni fluorescenti che irradiavano con false promesse le menti di chiunque ci passasse vicino.
Locali e locali si fronteggiavano su tutta la via, ammassati tra loro in un turbinio di confusione.
Caos e squallido divertimento si contendevano il primato su quella notte appena nata.
Alle nove di sera in punto, la città mostrava il suo vero lato che aveva nascosto per tutta la giornata.

Zelda tagliò per un vicolo spoglio e trascurato in cui si era agglomerata tutta l'oscurità in fuga dalle illuminazioni.
Passò davanti a una saracinesca chiusa, poi tornò indietro di qualche passo per osservarla meglio.
Sopra a essa giaceva, spenta, una vecchia insegna dai caratteri retrò in stile anni ottanta.

"Miller's Club"

«Il Miller's ha chiuso» affermò Xavier, avvicinandosi alla scritta.
«Guarda l'insegna, è scrostata e rovinata. Deve aver chiuso da tempo» continuò lui, poi osservò i tavoli all'interno.
Non avevano ancora sgomberato il locale.

«Non sapevo avessero cessato l'attività.
È da molto che non passo da queste parti» mentì Zelda.
Poi, mettendosi le mani in tasca si voltò, nascondendosi nel buio.

Xavier si fermò davanti a un piccolo palazzo di calcestruzzo, rosa confetto e decorato su ogni lato con delle enormi e stilizzate foglie d'un verde brillante

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Xavier si fermò davanti a un piccolo palazzo di calcestruzzo, rosa confetto e decorato su ogni lato con delle enormi e stilizzate foglie d'un verde brillante.

Dal Lullaby, il locale schierato di fianco all'edificio, rimbombava un'assordante melodia Charleston che di sicuro sarebbe continuata ancora a lungo.
Zelda si soffermò a osservare i neon ronzanti dell'insegna.

«Andiamo a casa» la richiamò Xavier, aspettando che lei entrasse per prima dal portone.

L'entrata del palazzo era un lungo e spoglio corridoio che terminava con l'ascensore, tappezzato di cassette della posta azzurre e scrostate.
Xavier e Zelda, silenziosi, salirono sull'ascensore.
Lei premette il pulsante del quarto piano, poi si sistemò vicino al fratello.
Sopra di loro la luce sfarfallava a intermittenza, esalando gli ultimi bagliori che le rimanevano.

«Il tecnico dovrebbe cambiare le lampadine» mormorò più che a se stesso Xavier.

«Lo contatterò, poi.»

L'ascensore si fermò con un brusco impatto, stridendo, e Zelda scivolò repentina tra le sue porte.

«Domani mattina fatti trovare pronto. Dobbiamo partire presto» dichiarò la ragazza, mentre cercava le chiavi di casa.

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