Capitolo 4- Cari detective...

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L'hotel si chiamava "Fluo Flamingo".
Un nome orrendo per un motel orrendo.
Posizionato sulla strada, con gruppi interminabili di macchine che passavano di continuo, facendo un rumore insopportabile anche di notte, era il classico motel americano di uno squallore difficile da descrivere.
I muri delle stanze, sottili come ostie, di certo non aiutavano.
Mulder non aveva spazio in casa ed erano le otto quando Zelda e Xavier erano usciti dalla casa del detective.
Avevano deciso di restare nei paraggi per la notte.
Così, il giorno prima di capodanno, si trovavano nell'unico motel nel raggio di miglia, con un'insegna a forma di fenicottero luccicante e le pareti sommerse dalla muffa.

Ora Zelda stava seduta sul bordo del letto, guardando le scure crepe nel muro con celata preoccupazione.

«Saranno tutte così le stanze?» chiese Xavier, mentre squadrava la camera.

Zelda lo guardò rassegnata.
«Se vuoi, controlla pure. Tutte le camere d'hotel sono libere e a tua disposizione» sentenziò sarcastica, poi si lasciò cadere sul letto, cospargendo di ciocche scarlatte una breve porzione di lenzuola.

Xavier sospirò alzando le sopracciglia, evitando la provocazione della sorella.
«Io esco un attimo, vuoi che ti porti qualcosa dal bar?» domandò lui, prendendo il cappotto.

«No, non voglio nulla. Passami solo le sigarette, prima di uscire.»

Lui prese il pacchetto, in silenzio, e lo portò verso il letto.
Zelda, senza alzarsi, stirò il braccio per prendere le sigarette, poi lo riappoggiò sul materasso.
Disse solo un «Grazie» incolore, poi si zittì, come ad aspettare che Xavier dicesse qualcosa.

Lui la guardò con un sorriso dolce tra i denti.
«Allora, vado.»

Zelda lo osservò uscire, poi espirò profondamente, guardando il soffitto grigio.
E un unico pensiero tornò a frullarle in testa.

Devo riavere il mio lavoro. Devo buttarmi su quel caso, senza pensare a nient'altro.
Si disse, tenendo tra le dita pallide e tremanti una sigaretta in attesa di essere accesa.

Il freddo era arrivato anche lì, nel nulla.
Xavier teneva le mani nelle tasche del cappotto e gli sembrava di inspirare del ghiaccio pungente.
Guardò la strada e le ombre create dai lampioni sfarfallanti, che venivano proiettate sull'asfalto.

Perché non mi parla?
Si chiese, senza preavviso.

Perché Zelda preferiva il distacco più totale al confronto?

Se lo chiedeva da tanto tempo.
Da quando lei aveva iniziato a rispondergli con brevi e fredde frasi senza nessun tono reale, monotone.

Pensava che fosse finito tutto due anni prima, quando Zelda era riuscita addirittura a chiedergli scusa.
Scusa per essere stata così fredda, scusa per tutto.

Se ci ripenso ora, si disse Xavier, mi sembra surreale.

Non parlargli, non fargli intendere nulla se non che c'era qualcosa che non andava, lo faceva sentire inutile.
Anche se provava ad approcciarsi con lei, era tutto vano.

La verità è che non so veramente come risolvere le cose.

Era per quello che lei non prendeva mai sul serio le preoccupazioni e le domande di Xavier. E preferiva rispondere con disinteresse e stare notti insonne piuttosto che cercare il suo aiuto.

Lui sapeva solo pregarla di dormire almeno qualche ora, sapeva solo domandarle un "come va?" ogni tanto.
Ma era terrorizzato all'idea di parlarle veramente a crudo.

Un disperato senso di impotenza lo massacrò all'improvviso.
Si trovò a dover inspirare più spesso, cercando con il respiro di districare le mente da tutti i pensieri che erano nati in un attimo.

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