Capitolo 43- Lo scrigno potrebbe aprirsi

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«Un brindisi alla padrona di casa!» annunciò Liza, alzando il suo calice in direzione di una donna di mezza età, sorridente e contornata da ospiti luccicanti.

Un'altra festa. Un altro brindisi.
Un'altra serie di sorrisi plastici, un'altra sfilza di conversazioni inutili.

Xavier si avvicinò al gruppo, prendendo il suo calice in ritardo, esclamando un esausto Complimenti ricoperto da una patina di finto rallegramento.

La padrona di casa, -una psichiatra di cui Liza era stata allieva- sorrise, ringraziò tutti, per poi prendere sotto la sua ala Liza ancora una volta, presentandole diverse persone che intendevano iniziare un percorso con lei.
Forse ancora non se ne accorgeva, forse ne era ben consapevole, ma quella donna stava facendo di tutto per rindirizzarla alla vita che aveva prima di Esther Cohen.

Solo in quel momento, davanti a quel crocchio adorante di ospiti, Xavier realizzò che nessuno, in nessuna occasione, aveva mai fatto riferimento al passato di Liza.
Forse si erano costretti a dimenticare, forse era per cortesia o forse erano più interessati al passato del nuovo arrivato, del detective di cui tutti sapevano qualcosa ma nessuno abbastanza per fidarsi, come gli aveva gentilmente ricordato un ospite.
La volta dopo non era stato invitato.
Ma non era il solo a pensarla così, semplicemente l'unico ad averlo detto.

Liza, seduta su uno dei grandi divani di velluto posti sotto alle tende di tela del salone, scoppiò in una risata fragorosa e divertita.
Poi prese a parlare in un francese concitato e velocissimo insieme a una donna dal caschetto biondo che le sedeva vicino.

Xavier finì lo champagne, quasi obbligandosi.
Alle ultime feste sembrava solo esistere champagne, e ormai il suo corpo aveva sviluppato un'istantanea repulsione per quell'alcolico, che regolarmente doveva reprimere per non risultare maleducato.

«Xavier! Xavier, vieni un attimo, per favore.»
Liza lo richiamò tra una risata e l'altra, con vivacità.

Lui si avvicinò, scivolando tra un tavolo e l'altro come un'anguilla contro corrente.
Simile a una corona d'aghi, paia di occhiate gli si infilzarono addosso, sul suo volto troppo magro e sul suo sorriso troppo cordiale.

«Vi siete già presentati, giusto?» Liza indicò prima Xavier, poi la padrona di casa.
Lei annuì. «Sì. Liza mi aveva già parlato molto di lei> ammise. Liza sorrise.

Lui le lanciò una mezza occhiata, mantenendo un filo di finto divertimento sui lineamenti, «davvero? Posso immaginare che cosa le abbia detto» scherzò, e tutti risero.

«In realtà cose positive, non si preoccupi» la donna scacciò via quella preoccupazione con un gesto della mano finemente ingioiellata.

«Sai, Liza» si rivolse poi a lei, appoggiandole una mano sull'avambraccio, «ora mi hai fatto tornare in mente di quella paziente di cui mi avevi parlato, ho finalmente collegato la cosa» prese a dire, sotto al suo sguardo sorridente. Dietro i suoi occhi il nulla.

«Zelda Lynch» indicò Xavier, «sì, è tua sorella, vero?»

Lui non disse niente.
Rimase immobile, il suo sguardo su Liza.

«Sì, vi avrò visti insieme sul giornale un'infinità di volte, vi fate riconoscere. Liza, potevi dirmelo prima che si trattava di lei.»
Lei fece per dire qualcosa, ma l'altra ricominciò a parlare.
«Sì, la somiglianza è davvero impressionante» diede un'altra occhiata profonda al viso teso di Xavier, «ansia, giusto?» chiese poi.

«Cosa?»

«Zelda. Soffre d'ansia, giusto?»

Liza annuì. «Ah, sì. Senti, ma tu, invece-» il suo tentativo di cambiare discorso sfumò quando la donna si rivolse a Xavier.
«Sarebbe interessante poterle parlare.»

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