Capitolo 21- Il grande sonno

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«I suoi modi non mi piacciono.»

«I suoi non mi entusiasmano, ed è lei che ha voluto vedermi. Non m'importa se i miei modi non le piacciono. In confidenza, non piacciono neanche a me: ci piango su spesso, specialmente durante le lunghe sere d'inverno.»

«Durante le lunghe sere d'inverno» sussurrò Liza, nel momento in cui lo aveva esclamato Humphrey Bogart. Il grande sonno la divertiva sempre. Ogni volta che lo vedeva.
Si prendeva gioco di quelli come lei in una maniera schietta e al contempo raffinata.

Fece per alzarsi e andare in cucina per preparare un tè, quando un suono sordo e tintinnante la fece voltare.
Il ClearCircle stava squillando, illuminandosi di una luce azzurrina e fredda.

Liza abbandonò la tazza sul tavolo, mentre la stessa voce metallica di poco prima ripeteva:
«Ologramma in entrata da Xavier Lynch»

«Va bene, accetto.» Liza si sedette sul divano, mentre il film continuava a scorrere davanti a lei.
L'ologramma di Xavier si sovrappose allo schermo del televisore, facendo sembrare la scena dietro di lui lo sfondo di una fotografia.

«Liza» disse, appena si accorse che l'altra aveva accettato la chiamata.

«Adesso puoi spiegarmi che cosa è successo?» chiese impulsivamente lei, mentre toglieva il sonoro al film.

«Possiamo vederci da qualche parte? Così ti spiegherò tutto.» Sembrava la stesse implorando. Come se non avesse messo in conto l'ipotesi che non potesse parlarle.
Non era un atto d'egoismo, solo semplice tensione mischiata a qualche scheggia di speranza.

«Adesso dove sei?» Liza si sporse verso l'ologramma.
Vedeva, dietro di lui, delle luci indistinte e confuse.

Per un attimo Xavier si guardò intorno, vacillando nel rispondere alla domanda di Liza, «credo di essere a Mies Van der Rohe

«Perfetto» disse Liza, quasi sollevata, «allora sei vicino al mio palazzo. Cerca un grattacielo con l'ologramma di Louise Brooks sul tetto, è quello.»

Era entrato nell'appartamento con tranquillità, aveva accettato di accomodarsi su una delle poltrone e le aveva raccontato tutto. «Credo di essermi sentito morire, è così che si dice, vero?» aveva esclamato, tentato di ironizzare, mentre il bicchiere che teneva in mano tremava, «avrei voluto abbracciarla, fare o dire qualcosa di gentile. Ma le ho solo detto che le serviva una pausa.» Scoppiò in una risata amara, «ti rendi conto?»
«Poi ha esclamato che voleva parlare con te, così, di punto in bianco» disse alla fine.

«È una cosa positiva» aveva detto Liza, ma lui l'aveva guardata per un momento, alzando lo sguardo con fatica, «non diresti così se avessi visto in che stato era.»

«Sono rimasto almeno tre ore con lei, in silenzio, poi "voglio che tu vada" ha detto. Io le ho risposto che non ci pensavo nemmeno e sono rimasto un'altra ora. Quando me lo ha richiesto ho deciso di andarmene, perchè la situazione stava diventando insostenibile.» Non si era tolto il cappotto, e sembrava che non volesse farlo.
Come se continuasse ad avere freddo anche ora che la temperatura era mite.

«E dopo cosa hai fatto?» Liza si sedette nella poltrona speculare alla sua.

«Ho girato, non lo so. Però mi sono trovato davanti a un'erboristeria e ti ho preso questo.» Come se per tutto quel tempo se ne fosse dimenticato, estrasse dalla tasca del cappotto un pacchetto trasparente in cui erano visibili frutti e fiori secchi.

«È un infuso. Spero non ti dispiaccia.» Non sapeva precisamente perchè lo avesse comprato.
Ricordava solo che si era trovato davanti a quel negozio con l'insegna di legno e aveva voluto entrarci.
Forse solo per distrarsi un attimo, o perchè quella piccola sala colma di barattoli era l'unica cosa che avesse un senso in quel momento.
E quando aveva visto tutti quei contenitori di vetro e aveva sentito quei profumi forti aveva desiderato solo prenderne un po' per portare quel negozio, che l'aveva reso spensierato per un istante, con sè.
Ancora non sapeva per chi avesse comprato quel sacchetto trasparente, ma ora era certo che lo avesse fatto per Liza.
Anche se sul momento non se n'era reso conto.

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