capitolo 17

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Questa mattina quando il sole non aveva ancora incominciato a bagnare di luce la città ho lasciato per sempre il centro di addestramento e i miei alloggi, Titus non ha neanche avuto una reazione esagerata nel momento in cui ha visto i pacificatori portarmi di peso giù dal tetto, probabilmente si é abituato alla mia testardaggine e ha perso le speranze con me.
Mentre mi infilano il localizzatore nel braccio che gli permetterà di rintracciarmi una volta nell'arena stringo i denti cercando di ignorare la fitta acuta di dolore mentre l'ago inserisce il dispositivo metallico sotto la pelle.
Clarke Clarke Clarke Clarke Clarke.
Possibile che anche in un momento come questa la mia testa non riesca a pensare a nient'altro che a quella ragazza.
E quel tetto, quelle stelle, quei momenti che ora non si verificheranno più.
Mai più.
Sono stata felice per un attimo, un interminabile istante che in realtà si è rivelato essere più effimero di un soffio di vento.
L'hovercraft su cui ci fanno salire è gigantesco, non ho mai visto nulla di simile, enormi porte in metallo si aprono nel momento in cui ci fermiamo davanti, ci fanno sedere su dei comodi sedili e dopo aver allacciato le cinture mi guardo intorno per studiare i tributi.
Non sono tutti, ci hanno divisi a metà, cerco con gli occhi Clarke e la trovo con lo sguardo rivolto verso il basso, si mangia nervosamente le unghie e come se l'avessi chiamata si gira di scatto verso di me e mi fissa.
Stiamo così, verde mischiato con il blu, per un paio di secondi poi la scossa che ci segnala la partenza dell'hovercaft mi fa sbilanciare e perdo il contatto visivo.
Passo tutto il viaggio a pensare a cosa farò una volta entrata nell'arena, quale sarà la mia strategia? Scapperò? Mi nasconderò? Farò alleanze di fortuna? Oppure deciderò di non combattere aspettando che qualcuno termini la mia sofferenza?
Succede tutto molto velocemente.
Una volta scesi veniamo scortati da una dozzina di pacificatori che dopo averci divisi ci conducono in una stanza piuttosto piccola dove ognuno di noi dovrà salire sulle rispettive pedane per entrare definitivamente all'arena.
Rimango da sola nella stanza con Titus, le voci nella mia testa sono miliardi, le sento cercare di consigliarmi soluzioni, alcune urlano in preda alla paura e altre implorano di trovare un piano per gestire la situazione.
Le ignoro tutte, come vorrei fare con quella di Titus che però imperterrita continua a martellarmi i timpani.
< Non sembri avere paura. Non avevo dubbi>
Il fatto che faccia notare di conoscermi così bene mi irrita, non sa nulla di me.
< Se vuoi sopravvivere devi rifl...> Lo interrompo subito.
Non ho la minima intenzione di sentirmi gli ennesimi consigli che adesso, nella luce accecante dei neon artificiali sembrano quasi intimidatori
< Non mi interessa Titus >
< Non ti interessa sopravvivere o non ti interessa quello che sto dicendo? >
Rimango in silenzio con il mento sollevato mentre lo fisso con un sorriso divertito negli occhi.
< Entrambe le cose >
Il suo volto assume un'espressione adirata, la stessa espressione che ho già visto mille volte quindi so perfettamente cosa mi starà per dire, e di chi starà per parlare.
< Si tratta ancora di lei?>
Annuisco rendendomene conto davvero solo ora di cosa sto dicendo.
< Ancora di lei?> Ripete furioso < perché? Cosa ha di speciale?> Smette di parlare e mi fissa.
< Morirà la dentro ne sei consapevole? Non potete sopravvivere entrambe>
< Questo significa che morirò>
Mi ha tradito. Mi ha mentito. Si è finta chi non é. Questo è vero, questo é ciò che é accaduto e ciò che la mia mente continua a ripetere e se volessi essere coerente con me stessa dovrei entrare in quella arena con il solo scopo di vendicarmi nei suoi confronti.
Ma le parole di mia madre tornano prepotenti nella mia testa zittendo tutte le altre mille voci che mi stavano mandando in confusione.
"É il cuore che ti dice sempre la verità, è il cuore di cui ci si deve fidare"
Mio padre avrebbe riso di me esattamente come rideva di lei, anche Titus lo farebbe, e Janus, forse persino Hayden come probabilmente tutti gli abitanti di Capitol City, ma loro non sanno niente di me.
Non sanno del fuoco che lei é riuscita ad appiccare nel blocco di ghiaccio che ero diventata, ha fatto qualcosa che avrei ritenuto impossibile succedesse, mi ha riacceso una speranza che credevo di non avere mai avuto.
Una speranza per una vita felice e non solo per una vita da vivere.
Una volta l'ho sentita dire che la vita dovrebbe essere molto più di semplice sopravvivenza e non era forse quello a cui anelavo io prima di conoscerla? Semplice e arida sopravvivenza.
Ora basta.
< Morirai? Per lei? >
< Per proteggerla > mentre lo dico gli occhi mi si illuminano, il sorriso mi torna perché ho di nuovo uno scopo, adesso sì che so cosa fare nell'arena.
< Come pensi di proteggerla se non siete nemmeno più alleate? >
< Troverò un modo>
< E invece troverai anche un modo per perdonarla del fatto che ti ha mentito?>
Rimango senza fiato.
< E tu come fai a saperlo?> Chiedo allibita e arrabbiata allo stesso tempo, mi sento come se abbia violato la mia privacy.
< Io so ogni cosa Lexa, e tu un'altra volta stai rischiando la tua vita per una ragazza che non ti merita>
Sono stanca, stanca di sentirmi dire queste cose così mi avvicino a lui e con una furia che non mi ero mai vista addosso gli afferro la giacca < adesso tu mi devi ascoltare. O mi dici per quale motivo ripeti continuamente "un'altra volta" come se tutto questo sia già successo oppure finisci di parlare. Non ho più intenzione di ascoltarti, di lasciare che tu la insulti, anche se mi ha mentito e non mi ama per me questo non cambia, io provo comunque qualcosa, qualcosa che non pensavo nemmeno di essere capace di provare, e se tengo a qualcuno non ho intenzione di lasciarlo solo, non come ho fatto con...>
Mi fermo confusa.
< Con?> Chiede lui.
Rimango ammutolita per un istante cercando di comprendere ciò che stavo per dire.
< Con? Con chi Lexa?>
< Io stavo per...> Mi mancano le parole.
< Cosa stavi per dire? Che nome stavi per pronunciare?>
Mi volto finalmente a guardarlo e noto nei suoi occhi una strana luce, sembra terrorizzato.
< Costia> sussurro <ma non ho idea di chi sia>
Appena pronuncio quel nome il suo viso si inscurisce, i suoi occhi si fanno vacui e i suoi pugni si stringono, fa dei grossi sospiri come per calmarsi e toglie la mia mano che ancora teneva stretta la sua giacca.
Quel nome ha provocato in lui una reazione è qualcosa mi dice che la conoscesse, anzi ne sono certa.
< Chi è Costia Titus?>
< Se non lo sai tu come posso saperlo io?> Risponde vago.
< Chi è Costia, Titus?> Ripeto < so che lo sai>
< Non ho idea di...>
< TITUS! SO CHE LO SAI! > gli urlo < non mentirmi>
< Pensavo che sarebbe andata diversamente>
< Cosa doveva andare diversamente Titus?>
Ancora non mi guarda così insisto < cosa?>
Per una volta vorrei una risposta, per una sola volta, ma pare che nessuno abbia intenzione di assolvere un mio desiderio.
< Da quanto mi risulta lo capirai presto, è solo questione di tempo>
< Cosa dovrei capire?>
< È solo questione di tempo>
< COSA TITUS?>
Tutto é inutile.
Una voce metallica fa partire un conto alla rovescia di un minuto, appena questo scade mi devo fare trovare sopra la pedana.
< Non c'è tempo, mettiti la tuta> mi porge un una maglia e dei pantaloni attillati, sono termici ed entrambi lunghi, sicuramente non farà caldo a giudicare dal tessuto.
Trenta secondi.
Mi infilo gli stivali e li allaccio.
Venti secondi.
Mi sistemo la cintura con attaccato un moschettone.
Dieci secondi.
Entro nella pedana.
Il conto alla rovescia continua e piano piano mi sale sempre più paura.
E se non la trovassi appena entriamo?
E se la uccidessero subito? Questo pensiero mi fa rabbrividire.
E se lei non mi volesse?
Cinque secondi.
Guardo Titus per quella che spero sarà l'ultima volta.
< Grazie per tutte le risposte che mi hai dato> commento ironicamente.
< Ti posso dare un ultimo consiglio da seguire, se vuoi >
La pedana inizia a salire, pochi attimi e sarò nell'arena.
< Non ne ho bisogno> rispondo freddamente.
Lui mi fissa, il suo sguardo è fiero, e anche se non glielo ho mai visto addosso mi sembra così... familiare, di nuovo questa parola.
< Lexa > mi chiama < l'amore è debolezza>

THE HUNGER GAMES- ClexaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora