Capitolo 42

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1 gennaio;

Ieri notte Keith ha bussato alla porta della mia stanza. Voleva vedermi ma io l'ho mandata via. So cosa mi avrebbe detto se l'avessi fatta entrare, quindi ho preferito farle risparmiare quelle parole.

«Hai misurato la febbre?» Annuisco a mia madre quando entra in camera. Il termometro segna 38° da ieri mattina, la febbre non è scesa e, come minimo, ho consumato un'intera scorta di fazzoletti.

«Se stai così male stasera resteremo con te.»

«Non ce n'è bisogno», dico e mia madre sospira quasi rassegnata.

«L'altra notte sei stata malissimo. Se la febbre dovesse alzarsi così tanto, al punto da farti delirare di nuovo, saresti da sola e non ci sarebbe nessuno ad aiutarti.»

«Non c'era nessuno anche a St David's, eppure me la sono sempre cavata.»

Vorrei rimangiare queste parole subito dopo averle dette. So quanto lei stia male sapendo di essere stata da sola tutto questo tempo, lontana da loro e senza mai chiedere aiuto. Dal tono che ho usato e dalle parole che ho utilizzato sembra quasi che io voglia scaricare la colpa su loro.

Le chiedo subito scusa, lei annuisce semplicemente ed esce dalla mia stanza. Alla fine i miei genitori si convincono a lasciarmi da sola a casa e, quando è sera e devono recarsi dai Lawson, prima di andare via mi dicono di chiamarli in caso di necessità.

Un'ora dopo sto fissando il borsone a terra, accanto alla sedia della mia scrivania. L'ho riempito delle poche cose che ho portato con me l'ultima volta, sono sicura che alcuni vestiti li ho lasciati da Elijah.

Ho intenzione, domani, di prendere il primo treno disponibile e andarmene da qui. Secondo lui avremmo dovuto vederci a casa dei suoi, avremmo dovuto trascorrere la cena normalmente e, dopo di ciò, avremmo parlato così da cogliere la palla al balzo per lasciarmi. Ma non funziona così, non con me. Il fatto che non si sia fatto sentire stamattina, mi ha dato un'ulteriore conferma. Non c'era bisogno di aspettare quella cena per lasciarmi, di dirmi che mi avrebbe lasciato. Lo ha fatto nello stesso istante in cui mi ha chiesto di andare via, di prenderci una pausa. I problemi si risolvono in due, non da soli e con una fottuta pausa.

Vorrei urlargli contro in questo momento, lo farei davvero, soprattutto ora che è davanti a me, con le braccia lungo i fianchi che mi osserva con un'espressione impassibile. Prima di entrare ha bussato tre volte: una volta per quando ci siamo incontrati, un'altra per quando ci siamo amati, una terza per quando ha ferito i miei sentimenti.
Mi osserva mentre sono in piedi, appoggiata alla pediera di ferro del mio letto, e nel mio aspetto peggiore. Se non fosse lui, lo avrei cacciato già dalla stanza per non farmi vedere in queste condizioni. Ma lui è Elijah, mi ha vista persino nuda e non intendo solo fisicamente.

Sposta lo sguardo verso il borsone che stavo fissando, stringe i denti e sbuffa un sospiro profondo. Sfrega la mano sul viso e si pizzica il labbro inferiore, lo fa quando è nervoso e se fossimo in un'altra situazione, gli direi di smetterla.

«Perché non sei venuta alla cena?»

Quando sento la sua voce trattengo il fiato. Mi è mancata così tanto, lui mi è mancato così tanto e vorrei non essere così arrabbiata con lui in questo momento.

«Ho la febbre.»

«Perché non me lo hai detto?» Sbuffo una risata amara ascoltando quella domanda patetica.

«Non credevo t'importasse così tanto di me.»

«Che cazzo stai dicendo?» Alza la voce avvicinandosi a me. Io non mi muovo da quella posizione e aspetto che faccia una delle sue sceneggiate.

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