Capitolo 12

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20 novembre;

Quando apro gli occhi mi accorgo che ho dormito tutto il pomeriggio. Elijah, invece, è steso accanto a me e sta guardando qualcosa all'interno della galleria della fotocamera. Alzo il busto e mi strofino il viso provando a svegliarmi.

«Elijah, quanto ho dormito?»

«Non so, sono le otto di sera», mi risponde ed io sbadiglio alzandomi dal letto.

Mi avvicino al tavolo e afferro il cellulare, come se aspettassi un messaggio da qualcuno che non arriverà mai.

«Oralee, sul tavolo c'è il mio badge universitario?»

«Sì», rispondo e lui mi chiede di passarglielo.

Prendo tra le mani la tessera e non posso fare a meno di notare qualcosa di strano. Su di essa ci dovrebbe essere scritto il nome di Elijah, ma in realtà non è così.
Elijah Edward Stevens.
Guardo confusa l'oggetto tra le mie mani e mi volto alzando lo sguardo verso il ragazzo seduto comodamente sul mio letto.
Lui alza lo sguardo confuso, probabilmente perché ci sto mettendo un bel po'.

«Che c'è?»

«Chi è Elijah Edward Stevens?», lui inizialmente resta lì senza fiatare. Poi sorride leggermente e si alza dal letto.

«Sono io.» Dice avvicinandosi piano ma io faccio un passo indietro.

«No, tu sei Elijah Lawson.» Preciso con tono ovvio.

«Non ti ha detto nulla tua sorella?» Chiede corrugando la fronte.

«Che dovrebbe dirmi?»

«I Lawson sono i miei genitori adottivi.» Schiudo la bocca restando sorpresa. Keith non me ne aveva mai parlato, né tanto meno i miei genitori. Effettivamente sono stata una stupida a non rendermene conto, lui è così diverso dal resto della famiglia.

Me l'ha detto con una tranquillità che quasi spaventa, non sembra un argomento così delicato, per lui.

«Non lo sapevo» dico dandogli il badge.

«Me ne sono accorto», ride leggermente mettendo l'oggetto nel suo portafoglio.

«Come mai non porti il loro cognome?»

«Perché ho riconosciuto i miei genitori biologici..» spiega poggiandosi al tavolo, «..mi hanno dato in adozione quando avevo pochi mesi, ma ho sempre saputo di non essere loro figlio. A diciotto anni mi sono messo in contatto con gli assistenti e, così, ho conosciuto i miei veri genitori.»

«Come si chiamano? I tuoi genitori biologici intendo»

«Mary e Peter.»

«Hai un bel rapporto con loro?»

«Sì, sono fantastici.» Risponde sorridendo.

Annuisco ascoltandolo. È fantastico che lui abbia una famiglia così allargata. Elijah è così apprezzato da tutti, e lui ricambia con la sua bontà d'animo. Non ho mai incontrato qualcuno così giovane e, allo stesso tempo, così pieno di vita; ha voglia di conoscere, di aiutare, di incoraggiare. Non potrei mai mettermi sul suo stesso piano, siamo poli totalmente opposti.

Lui è luce, io sono l'ombra che resta in disparte e che nessuno vuole notare.
Nessuno ha mai accettato il mio carattere così introverso e, contemporaneamente, così sfacciato. Forse neanche Seth, lui mi ha lasciato credere di essere compresa. Ma in realtà, nel profondo del mio animo, ho sempre saputo che non era così.

Seth ha preso una parte di me e l'ha rimodellata e riadattata al suo essere. Non lo sto incolpando perché, alla fine, sono stata io a lasciarglielo fare. Forse non mi perdonerò mai per ciò, questa è una delle tante cose che rimpiango.

«Oralee?», alzo lo sguardo quando mi richiama.

«Scusami»

«Smetterai mai di scusarti?» Abbasso lo sguardo sospirando e senza rispondergli.

I capelli che mi cadono sul viso nascondendomi come se fossero un muro protettivo, vengono spostati da mani che non sono mie.
Li porta dietro all'orecchio, poi mi accarezza delicatamente la guancia, la sfiora, così leggero che quasi mi sembra di non sentire la sua pelle a contatto con la mia.
Resto a guardarlo cercando di capire cosa stia cercando di fare.
Quando allontana la mano, posso finalmente tornare me stessa.
Ho il cuore che batte velocemente, che mi succede? Subito penso che io stia per avere un attacco di panico. Ma poi mi rendo conto che non è così, anche se lo speravo. Il mio cuore non può battere per qualcun altro e non proprio per Elijah. Lui è troppo per me, io troppo poco per lui. E, soprattutto, il suo cuore è di qualcun'altra.

Mi scosto di lato, allontanandomi. Lui sospira, anzi, sembra che stia trattenendo il respiro. Ha lo sguardo irrequieto che si sposta da un posto all'altro senza tregua.

«Forse è meglio ordinare qualcosa per cena.»

«Forse è meglio.»

Mi allontano tornandomene a letto, fingendo che ciò che è accaduto non mi abbia turbato. Mi giro dalla parte opposta, non voglio che mi guardi e non voglio sentire il suo sguardo su di me. Porto le coperte su, cercando di coprirmi il più possibile.
Poi chiudo gli occhi, sperando di dormire e dare pace a me stessa. 

Golden -Where stories live. Discover now