20 . Infantile

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Nel cielo le stelle visibili erano poche. Qualcuna ammiccava tra le faville incandescenti e faceva capolino da dietro il fumo grigio che s'innalzava in una colonna bollente. Astrid non poteva vederle. Jay-Jay sotto di lei non si muoveva. Le macerie schiacciavano entrambi senza lasciare loro un soffio di ossigeno. Le sarebbe bastato alzare un braccio per farsi spazio, ma non osò per paura di far franare ulteriormente il cumulo dei cocci sotto cui erano bloccati. Non sapeva se la sua mano fosse stata abbastanza per proteggere la testolina ricciuta del bambino o se il suo corpo avesse ammortizzato il colpo attorno al suo corpicino. Una lacrima inumidì la guancia tonda mescolandosi con la polvere e il sangue che gli scendeva dalla fronte. Nel mentre le sirene dell'ambulanza assordavano le strade, l'elica di un elicottero faceva vibrare l'aria e i detriti attorno a lei. Il faro bianco dei soccorsi aerei li trovò rannicchiati in una bolla dorata, un attimo prima che quest'ultima scoppiasse in una nube di coriandoli e venisse trascinata via dal vento.

***

La stanza profumava di fiori e detersivo. Era luminosa e ordinata. Il soffitto era candido, il mobilio di colori tenui. Dalla finestra traspariva la luce diurna, chiara come la pace, forte come la resilienza. Astrid si fece tutt'una con la trapunta setosa. Non voleva alzarsi. Non voleva sapere. Non voleva vedere nessuno, né tantomeno parlare con qualcuno. Soprattutto se l'incontro avrebbe assicurato pressione alla sua memoria. L'unica cosa che contava era il fatto che fosse sola. Il terrore le contorse lo stomaco. Le gambe fecero da sole. Quasi non si accorse di essere in piedi. Doveva sapere. Ma prima che potesse dare soddisfazione alle sue domande, una voce metallica la fece sussultare.

-Buongiorno, signorina Sullivan. Oggi è il 23 Dicembre. La temperatura esterna è di 40°F. Il tempo è nuvoloso. Le sue condizioni vitali sono ottimali.

Astrid si guardò attorno per capire da dove provenisse il suono e non capendo corse via dalla stanza. La vista della città attraverso la parete di vetro le regalò un capogiro e si schiantò contro la porta trasparente che divideva il corridoio dall'anticamera convogliante alle scale e alla porta argentata. Nella sua testa rimbombò la parola "ascensore". Ad ogni modo preferì le scale. Si fece almeno quattro rampe correndo finchè non udì un borbottio. Si inoltrò nell'ufficio da cui arrivava e spalancò la porta. Un gruppo di persone era seduto ad un lungo tavolo davanti ad una finestra con le tende di un grigio cereo che riprendeva la tonalità del cielo dietro a loro. Tutti si voltarono verso di lei. Colui che era a capotavola vedendola si alzò in piedi. Qualcuno la accolse con un "buongiorno", qualcun altro con un "ben svegliata" o anche semplicemente pronunciando il suo nome con una nota di sorpresa. Astrid ignorò tutti e si rivolse all'unico volto che riteneva familiare.

-Dov'è Jay-Jay?

Steve, vedendola sbiancata in viso, sudata, ancora in pigiama, i capelli spettinati che le davano un'aria da spostata, capì che era nel panico. E non c'era da stare tranquilli se Astrid perdeva la bussola. Prima che lui rispondesse si accese un vociare.

-Chi è Jay-Jay?

-Di cosa sta parlando?

-Cosa è successo?

-Dov'è? - ripeté Astrid insistente, i pugni stretti, i muscoli rigidi, le iridi infuocate.

-Il bambino?

-Che bambino?

Le iridi di Astrid iniziarono a scintillare minacciose. I suoi pugni fumarono.

Nebbia E Tenebre | MARVEL ❷Where stories live. Discover now