43 . Dritto nel cuore

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L'orfanotrofio si presentava come un vecchio monastero ristrutturato. All'interno dei cancelli c'era un piccolo cortile che portava davanti ad uno spazio liminale. Un portone massiccio di legno dava su un chiostro e un giardino verdissimo, incorniciato da una siepe perfettamente tagliata, ferito solo dalle tegole e dai resti di colonne frantumate: una porzione di tetto aveva ceduto durante la battaglia.

Astrid girò tutto il loggiato verso una porta già aperta. Salì le scale di marmo chiamando per nome il bambino. Lo immaginava schiacciato sotto un macigno o nascosto per la paura. La sua voce echeggiò nelle lunghe stanze vuote. Trovò il dormitorio. Una serie di lettini erano disposti in due file contro le pareti. Le coperte erano state ripiegate. Gli armadi erano ancora pieni di vestiti, i giocattoli erano riposti ordinatamente, segno che la fuga era stata programmata e non era avvenuta all'improvviso.

Sopra un cuscino, era stato abbandonato un peluche a forma di coniglio la cui orecchia era stata ricucita alla buona. Nella stanza di fianco cadde un oggetto. Astrid seguì il rumore fino alla cucina. Jay-Jay era in piedi su una sedia con un cucchiaio in bocca e una mano nel freezer. Ne cavò un gelato in stecco e improvvisò un balletto vittorioso, mentre si leccava le labbra. Quando si accorse di Astrid si gelò esattamente dov'era. Stettero in silenzio per un lungo secondo, il primo perché era stato colto con le mani nel sacco, la seconda perché era senza parole.

-Cofa? - chiese Jay-Jay, il cucchiaio che gli schiacciava la lingua.

-Sei tornato indietro per il gelato? Ti ho rincorso perché volevi fare merenda?

-Lo vuoi anche tu?

Astrid fece un sospiro profondo per non arrabbiarsi.

-Scendi di lì. Dobbiamo andare.

Jay-Jay scese dalla sedia e la ripose sotto il tavolo, come se Sokovia non fosse in procinto di scoppiare da un momento all'altro e avessero tutto il tempo del mondo per mettersi comodi. Si rigirò l'involucro del dolce tra le dita per capire come scartarlo.

-Hai preso il game-boy?

Jay-Jay infilò la mano nella tasca del giacchetto e le mostrò il gioco esponendone un angolo.

-Andiamo. Quello te lo mangi dopo.

-Ma si scioglie.

Astrid fece fatica a trattenersi. Come poteva dire a un bambino di dieci anni che se non si fossero mossi per raggiungere le scialuppe sarebbero saltati per aria insieme all'intera città? Così. Glielo disse esattamente come lo aveva pensato. Jay-Jay spalancò le ciglia lunghe, lasciò il cucchiaio sul tavolo e si incamminò senza dire una parola.

Il suolo tremava mentre Sokovia si sollevava ancora. L'intero edificio minacciava di crollare da un momento all'altro. Il legno del soffitto scricchiolava e le murano erano franate in più punti. Mentre si infilavano nel corridoio, una parete rovinò sulle scale. Jay-Jay tirò Astrid da una manica per farsi seguire: potevano passare da un'altra parte. Attraversarono la sala mensa. Un lungo tavolo circolare occupava la stanza. Gli arredamenti erano scarsi e minimali, i colori neutri e annullavano ogni stimolo sensoriale. In contrasto, sulla parete più estesa era disegnata una gigantesca navicella spaziale e tutti i bambini dell'orfanotrofio le giravano attorno. Un unico bambino era in mezzo a loro. Jay-Jay puntò il suo volto: "Questo sono io! La maestra ha detto che potevo disegnarmi al centro".

Astrid rimase sconcertata dall'accuratezza delle proporzioni e dei dettagli. Nonostante rimanesse comunque un disegno acerbo, non sembrava fatto da un bambino di dieci anni. Jay-Jay si dimostrò molto soddisfatto mentre si atteggiava come un pittore modesto davanti al proprio miglior capolavoro: "Sì, dai. Si può migliorare".

Spinsero un portone massiccio che doveva trasferirli ad un'uscita posteriore. Stavolta si trovarono in un corridoio che proseguiva verso il cortile. A sinistra l'uscita, a destra una strettissima gradinata scendeva nel sottosuolo fino ad una curiosa porta zincata del tutto estranea allo stile del monastero del XIV secolo.

Nebbia E Tenebre | MARVEL ❷Where stories live. Discover now