5 . Cantina

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La parete su cui la mano di Astrid scivolò era ricoperta di muschio. I gradini erano scheggiati e sporchi di terriccio e calce sgretolata. I ciottoli scricchiolavano sotto la suola delle scarpe rotte di Jay-Jay e rotolavano tintinnando sempre più sotto, nel buio che il cono di luce eludeva. Astrid tastava il suolo con i piedi indolenziti riuscendo appena a trattenere mugugni di rabbia ogni volta che poggiava la pianta sopra qualcosa di appuntito. Quando il ragazzetto si fermò, era troppo intenta a cacciarsi i sassolini e lo sporco dalla pelle per rendersi conto che erano fermi davanti a una porta di un color mattone opaco, su cui la ruggine verdognola stava dilagando a chiazze smangiucchiandosela lentamente. Si distrasse quando il dorso della torcia di Jay-Jay batté sul metallo tre colpi ben distinti, ripetendo poi la sequenza altre due volte, come un codice. I battiti si propagarono nel corridoio e nella testa di Astrid, la quale cercò di impiantarsi il ritmo nella memoria, casomai sarebbe potuto tornarle utile. Il ragazzetto rimase fermo due scalini più in basso. Seguì qualche interminabile secondo di pesantissimo silenzio. Poi dall'altra parte parlò una voce di donna.

-Mi hai portato il pranzo?

Pranzo?, si domandò Astrid. Era sera. Quasi notte ormai. Avrebbe voluto dire "cena"?

-Tacos con salsa piccante. I tuoi preferiti.

Astrid capì che si era persa qualche passaggio, perchè stavano parlando di cibo, ma Jay-Jay aveva le mani vuote e lei non sentiva odori gradevoli in mezzo ad una folata di fogna esasperante. D'improvviso scattò una serratura e tintinnò un catenaccio che dal fracasso sembrò bello massiccio. La porta si aprì parzialmente e apparve una ragazza di bassa statura, giovane, gli occhi a mandorla, i capelli lisci e tirati indietro da una coda bassa e uno sguardo che se dapprima parve crucciato, si agghiacciò alla vista di Astrid. Poi si abbassò verso il ragazzino, il quale non ebbe nemmeno tempo per replicare e si trovò tirato dentro con una premura violenta e spaventata. 

Lo scossone della chiusura tremò nelle pareti e sollevò una nube di polvere e di calce. Ovattata e confusa, ma autoritaria, si poteva udire la voce squittente e allarmata della donna rimbombare tra le mura della cantina. Astrid rimase ad aspettare anche perché non aveva idea di che altro fare. Si sedette, ad un certo punto, dopo aver pulito accuratamente un gradino, stringendo la tunica per coprirsi le gambe, sotto la luce intermittente di un lampione che ronzava come un moscone, tra i ragni, le formiche e gli scarafaggi che passeggiavano attorno a lei con aria regnante. Si voltò per seguire il passaggio di un elicottero di cui riuscì ad intravedere solo le luci poiché il corpo era inghiottito dal cielo nero e si spaventò al gracchiare di un paio di corvi che spiccarono il volo, forse per scappare dall'inseguimento di un predatore. Strinse le mani tra le cosce, rannicchiandosi un poco, quasi a volersi chiudere a quel mondo di cui non aveva memoria.

Chiuse gli occhi, ad un certo punto. Non tanto per la stanchezza, quanto per visualizzare qualsiasi cosa avesse voluto proiettarle la memoria. Doveva ricordare per forza qualcosa. Si sforzò e si aggrappò alle prime immagini imprecise che le vennero in mente. Un palazzo d'oro, un giardino fiorito, calma, serenità, pace, gentilezza, tepore, una mano materna che spazzolava una lunga ciocca ramata, la melodia di una voce che non riuscì a tenere stretta perchè sparì quasi all'istante evaporando assieme ai colori e alle sensazioni che era riuscita a rianimare. Una ventata d'aria le colpì la schiena quasi per ricordarle quale fosse il mondo reale. Si portò dietro l'orecchio la ciocca di capelli volatale davanti al naso. Infilò le dita come un pettine nella chioma scorrendo fino alle punte come una spazzola, delusa che fossero così corti da non arrivarle nemmeno alle spalle.

Chi era quell'uomo all'ospedale e perché la conosceva e perché lei non riusciva a ricordare il auo nome? Sentiva di aver fatto un errore ad essere scappata, ma non aveva idea di come tornare indietro. D'un tratto pensò che sarebbe rimasta da sola e perduta per sempre, costretta a nascondersi in posti ostili, puzzolenti e dimenticati dall'umanità. Avrebbe vagato per l'eternità senza meta. Nessuno sarebbe riuscita a trovarla e lei non sarebbe mai riuscita a farsi trovare se fosse rimasta in un luogo segreto e abbandonato.

Avrebbe dovuto trovare il modo di farsi vedere, doveva cercare, doveva muoversi, uscire da quel buco, fare qualcosa. Aveva perso troppo tempo a stare dietro a un ragazzino, ad aspettare chissà che cosa. Non poteva stare lì. Le sue gambe avevano preso a ballare impazienti. Si guardò le spalle, dove il pallore della luna illuminava il suo regno. Nessuno avrebbe scoperto che era stata lì se se ne fosse andata in quel momento. Si alzò per seguire il pensiero, ma proprio nel momento in cui scattò in piedi, il catenaccio sbattè di nuovo. Un fischio risuonò tra me mura facendo uscire un omone dalle spalle larghe tanto quanto la porta. Astrid aprì la bocca per parlare, ma prima che potesse emettere un solo suono una puntura nel collo la fece trasalire. Dallo spavento mancò un gradino e si ritrovò con la faccia sul pavimento. Qualcuno la risollevò frettolosamente. Venne letteralmente spinta dentro.
Iniziò a girarle la testa ed era troppo sbigottita per porre qualsiasi domanda. Inoltre doveva fare attenzione a non inciampare perchè la sola la luce della torcia guidava il passaggio in modo approssimato e tremante. Forse per sbaglio, per un attimo la torcia svelò quelli che ad Astrid parvero volti di persone. Erano tutte rannicchiate, sedute per terra, alcune sdraiate, ma tutte strette l'una all'altra, accerchiate o qualcosa del genere. Qualcuno si coprì con una coperta, qualcun altro accartocciò i muscoli del volto alla luce violenta. Si sentii del vociare e poi uno ssshh conciso che fece calare di nuovo il silenzio. Un calcio la fece inciampare di nuovo.

Dietro di sé si chiuse un'altra porta con un tonfo deciso. Quattro mandate secche e meccaniche. Tutt'attorno l'oscurità e l'ignoto.

Nebbia E Tenebre | MARVEL ❷Where stories live. Discover now