52 . Ore Piccole

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La sera del Gala
Avengers Compound, struttura privata

In sala, la TV era ancora accesa su un cartone. Sul tavolino la ciotola dei popcorn era piena per metà. Jay-Jay aveva insistito per un'ora e poi non li aveva finiti. Adesso era assopito sul cuscino del divano, rannicchiato, con il game boy tra le braccia come un peluche, a bocca aperta e la bavetta che gli scendeva sul mento. L'orologio da polso segnava l'una. Stava iniziando a sentire la stanchezza anche lui. “Soldato, è l'ora del coprifuoco”. Spense la TV. Un rantolo fu la risposta che ricevette. “Ancora cinque minuti...”
Prese in braccio il bambino e lo mise a letto. Non ci fu modo per staccarlo dal game-boy. Le sue mani erano delle ventose. Lo coprì con le lenzuola così com'era, con ancora le calze antiscivolo ai piedi.
La casa era quieta. La porta della camera di Astrid era spalancata, ma lei non era tornata.
Si stese. Fissò il soffitto per una buona mezz'ora, le orecchie tese, aspettando che Morfeo lo chiamasse a sé o di sentire la porta d'ingresso aprirsi.
Lo schermo analogico della sveglia segnava l'una e mezza passata. Si sarebbe potuto addormentare in due minuti, come aveva imparato al militare, ma decise di pensare a lei ancora cinque minuti.

"Ti ho già scelto" gli aveva detto prima di andare. Che sciocco era stato a non fermarla sulla porta.

Lo aveva scelto.

Sorrise.

Lo stava scegliendo anche ora?

Non stava tornando perché si stava divertendo. Ne era certo. Non gli importava che fosse con Tony. Lei lo aveva scelto. E poi, si meritava un po' di svago. Il divertimento, d'altronde, lo riconosceva, non era la sua specialità. I loro momenti insieme erano più una comunione di istanti smaliziati, accompagnati da una punta di malinconica consapevolezza della fragilità e della brevità di essi. Vivevano la loro amicizia romantica nella calma apparente. Era come una concessione genitoriale e in questo caso i genitori erano i loro adulti interiori e la costante attentività nell'aspettarsi l'arrivo di qualcosa da cui difendersi da un momento all'altro. Era così per tutti, ma per due che si erano permessi poco l'uno all'altro e a sé stessi, era come seminare sulla terra riarsa dopo il lancio di una bomba. Con un po' di fortuna poteva nascere qualcosa, con pazienza, con costanza, con fiducia. Ma se solo quella fiducia fosse vacillata un attimo, ecco che sarebbe arrivata un'altra cannonata e avrebbe spazzato via il loro duro lavoro. Sperò che non fosse quello il caso.
Rotolò su un fianco. Tornò alla memoria di qualche giorno prima. Il cuscino destro sul suo letto matrimoniale era freddo e vuoto. Lo avvicinò e affondò il naso nella federa. Sapeva ancora di lei.

 Sapeva ancora di lei

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Qualche giorno prima...

Un'ombra era entrata nella sua stanza. Aveva bussato piano e si era introdotta senza aspettare una risposta, dato che la porta era aperta.
Accese la luce e trovò Astrid con lo sguardo perso nel vuoto che si torturava le mani. "Stai bene?". Non rispose. Abbassò il capo e camminò verso di lui finché non trovò il suo petto, schiacciando il naso su una maglietta che sapeva di pulito e di stabilità. Steve non poté fare altro che avvolgerla tra le braccia senza aggiungere una parola. Aveva fatto un altro incubo. Il fatto che finalmente stava ammettendo di avere bisogno di aiuto, significativa che non ce la faceva più.

Nebbia E Tenebre | MARVEL ❷Where stories live. Discover now