26. "Non è mai troppo tardi per chiedere scusa"

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«Eccoci qua.» Ethan infila le chiavi nella serratura e apre la porta, facendomi segno di entrare. Non entro in questa casa da anni, più o meno da quando abbiamo finito il liceo e ci siamo trasferiti permanentemente a Kangaroo Island. «Vecchia e dolce casa.» Il borsone che ho a tracolla mi urta la gamba quando cammino, per cui faccio una smorfia, ma di fatto sono felice di essere qui. C'è un'aria pesante e fresca al tempo stesso, quell'aria di una casa  che è rimasta chiusa troppo tempo e che finalmente viene riaperta. Con ancora il buio intorno a noi mi metto ad osservare il salotto, il passa vivande che collega il soggiorno con la cucina e il corridoio che porta alla nostra camera. A casa, a Kangaroo Island, abbiamo due camera separate, qui invece la condividevamo. Da piccola non mi dispiaceva, non molto per lo meno, potevamo studiare insieme e parlare quando uno dei due aveva difficoltà a dormire per l'ansia da scuola.
Anche adesso non mi dispiace che dovremo dormire nella stessa stanza. Almeno penserò di meno a Greyson o a Garrett.

«Posa il borsone in camera e poi vieni qui. Ho portato le birre da casa. Domani sarà il primo gennaio e avremo a che fare con la prima sbronza.» Mi dice mio fratello, dandomi una pacca affettuosa sulla spalla prima di superarmi e accendere tutte le luci. Sono già le dieci di sera, il che vuol dire che tra meno di due ore sarà un anno nuovo. Mamma e papà erano un po' restii a farci andare via così tardi a Capodanno, ma Ethan non ne ha volute sentire di Santa ragione. Li ha rassicurati, ha promesso che non avremmo fatto sciocchezze, mi ha preso la mano e siamo partiti, con i borsoni appena fatti già caricati in macchina.

Annuisco e faccio ciò che mi dice. Appena entro in camera nostra quasi mi metto a piangere dalla nostalgia. Il nostro letto a castello ha ancora il piumino e le lenzuola sono un po' sgualcite, evidentemente ci eravamo accomodati lì prima di andarcene, la scrivania con le due sedie è mezza vuota, perché ci siamo portati quasi tutto nella casa di adesso, e l'armadio bianco è più grande di quel che ricordavo. Ci sono ancora tutte le foto che io e mio fratello abbiamo messo, in alcune ci siamo solo noi due, in altre siamo con i nostri vecchi amici o con i nostri genitori. Mi si stringe il cuore a vedere tutti quei volti sorridenti che una volta consideravo i miei migliori amici e che adesso non sento da anni.
Decido di non pensarci, perché il mio umore già adesso non è dei migliori, e torno da Ethan. Lo trovo mezzo steso sul divano, con due bottiglie di birra sul tavolino e che fa zapping tra i canali, probabilmente per trovarne uno che ha il conto alla rovescia per quando sarà l'ora dei fuochi d'artificio. A Kangaroo Island nessuno li spara, perché spaventano troppo li animali e danneggiano l'ambiente, ma qui in città sì. Non come a Sydney, ma si vedono bei fuochi d'artificio anche qui.

«Eccomi.» Mi siedo di fianco a lui, appena mi lascia un po' di spazio, e prendo le due birre. Ne passo una a mio fratello e bevo subito un sorso dall'altra. Ethan ha cercato di parlarmi per tutto il viaggio fin qui, probabilmente per non farmi pensare a quello che è successo tra ieri ed oggi, eppure adesso non posso farne a meno. Greyson sarà a casa sua con Sophie, magari a baciarsi e tenersi la mano proprio come facevamo noi due qualche giorno fa, mentre Garrett starà da solo, nella sua casa gigantesca, e tutto per colpa mia. Mio fratello, neanche sentisse i miei pensieri, mi circonda le spalle con un braccio. Intanto nel mio cervello c'è solo un'idea che voglio proporgli. «Ethan...» Aspetto che si giri verso di me per continuare. «Vieni a New York con me?»

Sbatte lentamente le palpebre, forse assimilando il pensiero, e poi corruga la fronte. «Sei sicura che vuoi andarci con me, tuo fratello, quando dovevi andarci con il tuo ragazzo? Puoi sempre annullare il viaggio.» Adesso mi sento una grande idiota, non come stamattina, certo, però mi sento una stupida lo stesso. Mi sono fatta ferire, ho ferito e adesso non so come ritornare a stare bene. Tra il dolore in sé ed i sensi di colpa mi chiedo se arriverò mai a febbraio.

«Ma è New York. E comunque sì, sono sicura. Greyson ha fatto la sua scelta, Ethan, e io voglio andarci lo stesso. Ma se tu non vuoi, è okay. Magari posso chiedere a mamma o a papà di accompagnarmi.» Mi sfilo le scarpe e mi porto le ginocchia al petto, ma Ethan non sposta mai il braccio dalle mie spalle. Di fatto, mi stringe di più a sé.

Son of greyHikayelerin yaşadığı yer. Şimdi keşfedin