1. "Peccato che un buco nero non ti abbia ucciso"

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Non abbiate paura di essere strani. "Strano" é sinonimo di particolare, di unico, di prezioso.

«Clarissa Evans si é licenziata.» Mio padre si lascia cadere con un sospiro sulla sedia in legno del suo ufficio.

Strabuzzo gli occhi. É la quinta persona che si licenzia in meno di due mesi. «Che cosa?!»

Papà si stropiccia gli occhi. Ha il viso stanco come mai prima d'ora. «A quanto pare c'è un problema con il resto del personale.»

Mi giro a guardare mio fratello gemello, Ethan, torva. So benissimo che cosa è successo. «Tutto questo non sarebbe successo se tu imparassi a tenertelo nei pantaloni.»

Ethan fa spallucce ed ho la voglia irrefrenabile di dargli uno schiaffo. «Era attraente.»

«Era fidanzata.» Ribatto a tono. «Da sei anni.»

La sottospecie di coniglio in calore sbuffa. «Non mi interessa granché.»

Mi porto una mano sulla faccia, sbirciando per vedere la reazione di mio padre. Ha gli occhi chiusi in due fessure e lo sguardo fisso nel vuoto.

Vedo quasi le rotelle girargli per formulare un pensiero.
Non è giusto che io debba essere l'unica sana di mente in questa famiglia. E, per farvi capire, il mio ex ragazzo mi voleva portare da uno psicologo.

«Non incominciate.» Mio padre si alza, guardando prima me e poi il mio gemello. Mi chiedo ancora mia madre come abbia fatto a crearci insieme: già mi rifiuto di essere imparentata con quel coso, figuriamoci essere la sua gemella. «Piuttosto create dei nuovi volantini dove avvisate che cerchiamo personale.»

«Nel volantino devo anche mettere "le persone di sesso femminili e attraenti girassero alla larga"?» Rispondo, ironica, alludendo al fatto che Ethan le scaccia tutte.

Chi va a letto con lui e poi viene scaricata, chi viene stalkerata, chi non vuole avere niente a che fare con lui e se lo ritrova casualmente nei turni. E non fa così solo con le indipendenti, ma anche con le mie amiche.
Per questo non ne ho più, e l'unica amica che considero è Arya, un'adorabile canguro femmina di quattro anni.

«Ah-ah.» Ethan mi dà una piccola spinta. «Molto divertente, Delilah.»

«Non era una battuta.» Ribatto, dandogli una spinta a mia volta. «Dovresti crescere e non fare più il ragazzino. Cavolo, hai venticinque anni Ethan.»

«Disse quella che ieri si è messa piangere guardando Il re leone. Non hai venticinque anni anche tu, cara sorellina?» Ethan prende i vecchi volantini, che erano dentro un cassetto, e li poggia con un sospiro sulla scrivania.

Ogni tot di mesi è la stessa storia: i dipendenti si licenziano, io e mio fratello litighiamo, e alla fine faccio solo io i volantini e li finisco alle tre del mattino perché voglio che siano perfetti. Peccato che, di perfetto, non abbiamo proprio nulla.

«Il re leone è un capolavoro.» Gli dico con voce sprizzante. «Se tu non lo capisci hai problemi mentali seri.»

«Almeno non parlo da solo con i canguri.» Questa volta è mio fratello a guardarmi torno, con un sopracciglio inarcato. Mio padre, capendo che la giornata finirà con una bella litigata, si alza e se ne va senza spicciare una parola.

«Dovrò pur socializzare con qualcuno.» Prendo uno dei volanti e glielo lancio contro, cercando di placare la mia rabbia. Solo che il volantino cade a terra prima, ondeggiando a destra e poi a sinistra. Sembra la metafora della mia vita.

«Sì beh... in genere le persone normali vanno a qualche bar o cose così. Non parlano con i canguri o i koala.» Ethan calca bene la parola "normali" solo per ricordarmi che lui pensa che io non lo sono.

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