1.9

5 3 3
                                    

Atlas the poker boy
honey moon law

Furono i tre giorni più lunghi della mia vita: a bordo della nave non c'era mai nulla da fare, se non fermarsi ad osservare gli iceberg che il traghetto mancava di pochi metri e i tre adulti che giocavano a poker nella sala comandi. E il fatto che Atlas si fosse per forza dovuto unire a loro come quarto giocatore - i primi attimi si era detto interdetto, ma oramai sembrava addirittura divertirsi - non contribuivano a rendere le giornate piacevoli. Poi, finalmente, intravedemmo la costa. Il comandante - il cui nome era Karim - ci spiegò che si trattava della costa orientale dell'isola. Ma non attraccammo, infatti il traghetto prese la rotta attraverso un canale che sfociava nel mare - il Waimakariri River, sempre secondo le informazioni datoci da Karim. Rallentammo l'andatura, ma alle quattro del pomeriggio attraccammo in un piccolo porto in mezzo al parco naturale che prendeva il nome dal fiume. Accanto al nostro, c'era un'altro traghetto uguale a quello su cui avevamo viaggiato. Atlas ebbe il tempo di perdere un'altra volta a poker prima di raggiungermi al piano inferiore, attraverso il quale saremmo scesi. 

"Ne hai abbastanza per questa vita?" chiesi, nel momento in cui arrivò accanto a me. Lui rise senza aggiungere altro e si mise in spalla lo zaino. Scesero al piano inferiore anche i tre che ci avevano gentilmente accompagnato.

"Cosa prevede il vostro protocollo adesso?" ci chiese Karim, mentre aiutava la signora Prescott a scaricare i suoi bagagli. Atlas, nonostante avesse speso il suo tempo giocando a carte, sembrava aver adoperato gli scarti che non aveva utilizzato per quella pratica per rendere le sue bugie verosimili e coerenti: infatti rispose quasi subito, mentre io tentavo di trovare una risposta esaustiva nella mia mente.

"Torneremo nel territorio con la stessa nave. Quando ripartite?" comunicò, porgendo poi la domanda in modo disinteressato. Kerim accese lo schermo del suo cellulare - nonostante gli ottant'anni sembrava cavarsela egregiamente - e lesse una serie di cose che io non riuscivo a vedere.

"Il 15 aprile." rispose poi. Il mio cervello iniziò a elaborare le informazioni. Era il primo pomeriggio del 10 aprile, il che ci lasciava quattro giorni e qualche ora per andare e tornare a Roma. Il che implicava un brevissimo tempo che potevamo utilizzare nel trovare mio nonno e parlarci. Fissai Atlas e capì che anche lui era giunto alla mia stessa conclusione: improvvisamente una punta di fretta aveva indurito i suoi lineamenti e iniziò a picchiettare impaziente sul suo zaino.

"Bene, allora," esordì qualche secondo più tardi, sfiorandomi il braccio per comunicarmi che aveva intenzione di uscire dal traghetto in quel preciso istante.
"Ci vediamo il 15 aprile. Io e Ker abbiamo intenzione di girare un po'.". Evitò di spiegare che il nostro concetto di poco era decisamente differente dal loro. Camminammo di fretta fino a terra e ci inoltrammo nel parco. Il Waimakariri National Park non è il tipo di posto che ti immagini quando ti viene nominato. Non è una distesa di erba lussureggiante, interrotta da caspugli ben potati e alberi dalle foglie colorate posti in modo simmetrico lungo le strade sterrate o cementate. È più l'esatto opposto: un'enorme tratto di natura sulle rive del fiume lasciato alla sua bellezza naturale e incorniciato dalle colline del territorio. Atlas ebbe il buonsenso di mettere il navigatore mentre io mi perdevo ad osservare la natura.

"Stavo pensando," dissi a un certo punto. "ma non ci possono rintracciare con il GPS dei nostri cellulari? Cioè, il mio è spento, ma il tuo lo stai usando ora.". Atlas fissò l'oggetto tra le sue mani con un cipiglio pensieroso, ma si riprese quasi subito.

"Credo che se le comunicazioni con la terra oltre il confine sono interrotte, lo stesso vale anche per i segnali del GPS. E probabilmente se esiste un modo Azrael se ne sta occupando. Considerando il modo in cui ha inserito tutto il necessario nello zaino, probabilmente ha anche calcolato tutte le eventualità. O almeno lo spero." rispose poi. Annuii, anche se non del tutto convinta, e lasciai nuovamente spazio al silenzio della natura. Camminammo per circa trenta minuti prima di iniziare a correre per prendere l'autobus che si era appena fermato allo stop. Viaggiammo su di esso per un'altra mezz'ora e, dopo altri dieci minuti di camminata, arrivammo finalmente all'aeroporto internazionale di Christchurch. Ci fiondammo alla biglietteria e saltammo metà della fila perché gli over sessantacinque ci cedevano stralunati il posto. La donna al desk battè le mani entusiasta quando ci fermammo davanti a lei. Aveva i capelli bianchi raccolti per metà dietro la testa, mentre l'altra metà cadeva morbida sulle spalle, il volto era rigato da rughe di espressione - le più accentuate erano quelle agli angoli della bocca e sulla fronte, segno che ridesse molto - e aveva una divisa blu sulla quale era appuntato il suo nome con una targa di metallo: 'Magdaline'.

Pluto's LeagueWhere stories live. Discover now