1.7

26 4 10
                                    

Ilary Prescott's Goodbyes Day
Mrs Fluffy the cat

Mi svegliai alle 5 AM, assonnata, come era prevedibile. Infilai gli abiti che mi ero preparata con una lentezza ben studiata, camminando per la stanza a passo di zombie e tenendo gli occhi socchiusi dalla stanchezza, che non voleva saperne di andare via. Mi allacciai la collana con il mio nome dietro al collo con una lentezza disarmante. Fui pronta in una ventina di minuti e mi sedetti ai piedi del letto, ondeggiando sopra di esso mentre osservavo la stanza attorno a me. Aprii la finestra ed ispirai l'aria frizzante del mattino: il sole non era ancora sorto, ma si poteva vedere una piccola scia di luce che rendeva il cielo più chiaro e indicava che esso si trovava appena sotto la linea dell'orizzonte ed era pronto a sorgere per illuminare e riscaldare la Terra. Il Giorno degli Addii della donna di cui ci aveva parlato Azrael - Ilary Prescott - sarebbe stato alle 6.30 AM, come mi aveva comunicato Atlas tramite un messaggio. Avevamo deciso di incontrarci alle 6 AM a Villa Phoenix, per recuperare gli oggetti che Azrael ci aveva procurato. Sbuffai e mi diressi in bagno, decisa ad uscire il prima possibile. Fui tentata di lasciare un biglietto a Felix, in cui gli spiegavo in poche parole quello che stava per succedere, ma le parole di mio padre continuavano a rimbombare nelle mie orecchie e mi avvertivano di non compiere uno sbaglio del genere. E, per quanto mi dispiacesse, non volevo compromettere la riuscita dell'operazione. Quando mi chiusi la porta alle spalle, provai una sensazione mai provata prima alla partenza: tristezza e nostalgia. Tirava un leggero venticello che, mischiato all'aria ancora non riscaldata dal sole, mi faceva venire dei piccoli brividi di freddo, oltre che la pelle d'oca, nonostante la felpa calda. Gli unici suoni presenti erano il canto degli uccellini che precedevano l'alba e il soffio del vento nelle mie orecchie e sulle foglie degli alberi. Arrivai dieci minuti prima a Villa Phoenix, ma Atlas era già lì. Mi fece un silenzioso cenno della mano - questa volta purtroppo non accompagnato da uno dei suoi sorrisi - e aspettò che lo affiancassi. Aveva un aspetto tranquillo, nonostante le borse evidenti sotto gli occhi. Teneva le mani dentro le tasche con nonchalance e le spalle rilassate, ma il tic nervoso che aveva al piede tradiva le sue vere emozioni, non permettendogli di apparire tranquillo. Mi chiesi perché le persone ci tengano così tanto a nascondere la paura, quando è uno dei più importanti sentimenti umani. Essa non si può evitare, fa parte di noi, e nessuno potrebbe mai giudicarti per questa. Mi ripromisi che glielo avrei chiesto. Io probabilmente non avevo uno sguardo terrorizzato, ma perlopiù stanco: non avevo bevuto del caffè perché temevo di poter svegliare Felix, dunque non ero ancora del tutto sveglia. Inoltre il mio incarnato color avorio faceva risaltare ancora di più le occhiaie, dunque mi immaginai di assomigliare a un cadavere che camminava. Non proprio sinonimo di bellezza mattutina, insomma. Non che fosse importante avere un bell'aspetto, considerato quello che dovevano fare. Ma il fatto che Atlas assomigliava tutt'altro che a uno zombie mi dava fastidio. 

"Andiamo?" gli sussurrai, nonostante non ci fosse nessuno. Il mio cervello aveva deciso di non spezzare il silenzio. Lui annuì e si diresse verso il retro dell'edificio, dove io aprii la porta con l'aiuto della chiave che ci aveva consegnato Azrael. Afferrammo velocemente gli zaini - grande borse da campeggio, che per fortuna non erano troppo pesanti - e ce le infilammo in spalla. Lasciai la chiave sotto lo zerbino come mi aveva ordinato mio padre e accostai il cancelletto alle mie spalle quando uscimmo e ci addentriamo nuovamente per la strada, nonostante il carico più pesante che portavamo sulle spalle. Atlas deviò in direzione di una macchina blu notte parcheggiata al lato di una strada. Lo osservai confusa, non avevo valutato l'idea che potesse avere un'automobile. "Hai una macchina?" chiesi, non riuscendo a mascherare la sorpresa. Alzò un sopracciglio e tirò fuori le chiavi dalla tasca.

"Perché non dovrei?" ribatté a sua volta. Non trovai assolutamente nulla da dire per controbattere. Il ragazzo cliccò il tasto di accensione e il veicolo rispose al comando con un sonoro clic, accompagnato da una rapida accensione delle luci. Presi posto sul sedile del passeggero, mentre il corvino si mise al volante. Accese il motore e girò il volante, infilandosi nella strada deserta. Lo osservai guidare per qualche minuto, mentre lasciava scivolare le mani sul volante, scostandole solamente per cambiare la marcia, per grattarsi il naso o per strofinarsi gli occhi stanchi. Accostammo circa mezz'ora dopo, mentre il sole faceva capolino all'orizzonte e iniziava ad illuminare l'ambiente. I lampioni erano ancora accesi, ma con la luce solare, seppur ancora debole, riuscivo a scorgere alcuni tratti della verde foresta che si trovava davanti a me. Gli alberi erano sistemate in simmetriche file - probabilmente era un bosco artificiale - e a una cinquantina di metri di distanza scomparivano, lasciando il posto a una piccola pianura. Il parcheggio nel quale Atlas aveva lasciato la macchina era gremito di altre veicoli e le persone che avevano trasportato si trovavano nella radura, dove erano allestiti una serie di tavoli a cielo aperto con tovaglie rosa pesca e un gazebo dello stesso colore sotto il quale si trovavano i tavoli del buffet. L'acqua di un laghetto scintillava in lontananza e una serie di panchine bianche erano disseminate nello spazio, sopra un'erba verde brillante a causa della pioggia del giorno precedente. Una ventina di persone si aggirava nella radura e chiacchierava allegramente tra loro. Visto da fuori sembrava spaventosamente il pranzo di un matrimonio. 

Pluto's LeagueWhere stories live. Discover now