0.1

30 10 11
                                    

heaven or hell
angels or demons
alive or dead
welcome, Ker Phoenix

La prima cosa che percepii fu una luce dall'altra parte della sottile membrana delle mie palpebre. Poi, a poco a poco, anche l'udito tornò a funzionare. Prima captai un fastidioso ronzio che successivamente si trasformò in un chiacchiericcio sommesso. Iniziai a riprendere coscienza dei miei sensi e il ricordo di ciò che era appena successo mi folgorò la mente, rendendo il mio fiato corto. Ero morta? Su quello non vi erano dubbi, avevo sentito il battito del mio cuore rallentare fino a scemare del tutto e la vita si era allontanata da me con il sottofondo dei veloci bip del macchinario legato al mio corpo e le urla dei miei genitori. Ma non osai aprire gli occhi, nonostante consapevole di avere nuovamente pieno controllo sul mio corpo e dunque la capacità di muovermi. Un brivido mi percorse la spina dorsale e mi costrinsi a immaginare tutti gli scenari possibili. Potevo essere in Paradiso e quelle voci sommesse che sentivo appartenevano agli angeli, oppure allo stesso modo potevo essere all'Inferno e, in questo caso, il chiacchiericcio apparteneva ai demoni - anche se reputavo alquanto improbabile questa opzione, vista la forte luce bianca che sembrava fatta apposta a costringermi ad aprire gli occhi; avevo sempre immaginato l'Inferno come un posto molto tetro, ma potevo comunque sbagliarmi. Oppure potevo essere nell'ospedale, con la mia famiglia accanto in lacrime per il miracolo appena avvenuto. Un cuore si può fermare, ma non è troppo insolito che riparta, perché il cervello è tutto ciò che conta. Immaginai di aprire gli occhi e vederli, seduti al mio capezzale. Mio padre teneva una mano attorno alla spalla di mia madre con fare protettivo, mentre con l'altra stringeva la mia, abbandonata inerme accanto al mio corpo. Immaginai di allungare quel braccio, dopo essermi liberata dalla presa dolce ma ferrea dell'uomo, verso il volto della donna, asciugandole una piccola lacrima ribelle che le era sfuggita al controllo, lasciandole poi una piccola carezza e nel mentre posizionandole una ciocca dei suoi capelli ramati che le era ricaduta sulla fronte dietro l'orecchio. Immaginai di spostare lo sguardo sul mio fratellino, più piccolo di due anni, scompigliargli i capelli neri come quelli di papà, come ero solita fare con lui, e di fissarlo a lungo nei suoi profondi occhi neri, velati da qualche lacrima che si impegnava a trattenere. Ma quando aprii gli occhi, nulla di tutto ciò accadde. Uno scroscio di applausi si divagò per una stanza che mi sembrò molto grande, studiandola con il solo udito, infatti vi era uno strano rimbombo. Non c'era nessuno accanto a me. Osservai con una lentezza disarmante il mio corpo, tentando di capire prima di ogni altra cosa se ero viva e nel mio corpo, oppure questa era solo la mia anima. Purtroppo però non avevo mai seguito un corso per distinguerle l'una dall'altra. Notai solo dopo qualche secondo che non indossavo più il camice bianco con i piccoli pois blu dell'ospedale, ma avevo una maglietta nera e un paio di jeans chiari. Sulla maglia era stampato in alto a sinistra - sopra al cuore - un simbolo in bianco che mi sembrava vagamente familiare. Sembrava uno scettro, o forse una torcia? Ero sdraiata su un lettino bianco posizionato al centro della stanza e, senza ragionarci troppo, mi misi a sedere, scivolando poi sul lato di esso e lasciando le gambe penzoloni. Mi osservai intorno, mentre cercavo il coraggio per muovere il passo successivo e toccare nuovamente terra. Mi trovavo in una stanza circolare dal pavimento a mattonelle grigie. L'illuminazione era composta da barre LED che percorrevano tutta la superficie del bordo tra il muro e il soffitto. I muri erano fatti da mattoni bianchi sul quale, lasciando solo pochi centimetri di scarto, era posizionato uno specchio che occupava tutta la circonferenza, permettendomi di osservare il mio riflesso pallido in qualunque punto mi girassi. Si accese un'altra luce alle mie spalle che mi fece voltare di scatto, ma dovetti coprirmi gli occhi con una mano per impedire all'ulteriore bagliore di ferirmi. Anche se tecnicamente ero già morta. Fissai perplessa quello che sembrava essere uno schermo da stadio, che adesso stava proiettando una parola all'infinito, mostrando solo cinque lettere alla volta di essa e costringendomi in questo modo ad aspettare per leggerla nella sua interezza. Quando riuscii a decifrarla, il mio sguardo si fece più confuso. 'Viaggiatori', recitava infatti. Nel frattempo, il rumore degli applausi in sottofondo si era affievolito fino a scomparire completamente e, girando in tondo per qualche secondo quasi in panico, alla fine notai un'interruzione dello specchio per lasciare lo spazio a una porta anonima bianca che a malapena si notava. Mi avvicinai lentamente, muovendomi silenziosamente sul grigio pavimento gelido e raggiungendo la porta. Mi bloccai a pochi passi da essa, guardando verso lo specchio e osservando frastornata il mio corpo. Sembravo incredibilmente viva. I miei capelli neri mettevano ancora più in risalto l'incarnato color avorio che aveva sempre caratterizzato il mio volto, anche se spesso era ravvivato da due piccole chiazze rossastre sulle gote. I miei occhi azzurro ghiaccio e gli zigomi ben definiti contribuivano a dare sembianze spaventose al mio corpo, soprattutto sotto questa luce accecante che accentuava ogni singolo tratto, rendendolo più affilato di quanto fosse in realtà. Con una mano sfiorai la maniglia e al contatto un ulteriore brivido mi percorse il corpo, con un respiro profondo la abbassai e varcai la soglia. Dall'altra parte vi era raggruppato un capannello di persone, che quando mi vide iniziò a fare un gran rumore che mi destabilizzò per qualche lungo secondo, in cui sentii tutto ovattato. Mi ripresi quasi subito, tornando violentemente alla realtà in cui il gruppo di uomini e di donne mi lasciava pacche di approvazione sulla schiena che non riuscivo ad interpretare, mentre mi dicevano frasi di congratulazioni che non capivo. Notai, quando la mischia si dileguò lentamente, lasciandomi uno spazio per respirare, che tutti indossavano dei completi eleganti neri, sui quali in bianco era stampato lo stesso logo che si trovava sulla mia maglietta. Curiosai inoltre con lo sguardo lungo la stanza, non molto grande, che scorreva in modo circolare attorno a quella dove mi trovavo in precedenza, era una sorta di anello. Capii anche che quelli che avevo erroneamente chiamato specchi in realtà erano vetri riflettenti e che quindi queste persone avevano assistito a tutto quello che avevo fatto nella stanza.

Pluto's LeagueWhere stories live. Discover now