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wax and water on the floor

the black folder number 13

Osservai l'orologio per circa due minuti, senza avere il coraggio di alzarmi dalla sedia. Era trascorsa una mattinata tranquilla all'Hermes, senza problemi vari dovuti all'amministrazione e senza intoppi al programma. Il detto 'liscio come l'olio' calzava a pennello con la descrizione della prima parte della giornata. Purtroppo però, sapevo che non sarebbe più andata bene nel giro di due minuti, massimo tre. E le vie del destino in questo caso erano due. Una catastrofica dove il nostro piano non andava a buon fine e una invece idilliaca, dove riuscivamo a recuperare la cartellina e sparire sani e salvi. Io avrei preferito la seconda, ma non riuscivo a fare a meno di avere dei piccoli flash in cui tutto andava storto. In genere ero una persona ottimista e sempre pronta a correre piccoli rischi. Ma se quello non fosse stato tanto piccolo? Mi alzai con le gambe molli e dovetti sedermi nuovamente. Mi sembrava di aver raggiunto un nuovo livello di ansia. Il giorno prima avevo pensato che non esistesse un nervosismo superiore ai sudori freddi che avevo provato, ma dovetti ricredermi. Era come se il mio corpo avesse già percepito l'arrivo di Atlas prima che accadesse e aveva deciso di limitare l'ansia che mi infondeva. Oggi invece, doveva essere il giorno. Almeno che non ci fosse stato un livello ancora più superiore, ma ne dubitavo. Mi misi in piedi nuovamente, sorreggendomi con l'aiuto della sedia e mi diressi con passo veloce - seppur traballante - fuori dalla stanza circolare. Il corridoio era affollato, perché la pausa pranzo era iniziata da pochi minuti e la maggior parte delle persone ancora doveva compiere il tragitto verso la mensa. Io, per quanto il mio stomaco sottosopra mi implorasse di rinunciare a quell'assurda idea, mi diressi verso la direzione opposta: l'ufficio di Plutone. Alla fine, il mio compito era pressoché inutile, ma Atlas aveva insistito nel dire che senza di noi - lui avrebbe fatto le mie stesse cose - il piano non sarebbe andato a buon fine. Io ne avevo i miei dubbi. I ragazzi erano tutti lì, ma non parlavano tra di loro ed erano posti a distanza di sicurezza, che non facesse capire i loro veri intenti. Cioè i nostri. Quando Jeremy mi vide arrivare fece un lungo e profondo respiro, poi si mosse con passo veloce verso la porta scura dello studio. Non potevo vederlo dalla mia posizione, ma il piano prevedeva che convincesse Plutone ad uscire per pranzo e parlare di qualunque sciocchezza gli venisse in mente sul momento. Atlas mi rivolse un sorriso e seguì il ragazzo, ma sapevo che lui sarebbe arrivato alla fine del corridoio per controllare il flusso di gente. Io avrei fatto lo stesso, ma da questo lato. Keysha invece avrebbe fatto la parte più pericolosa: si sarebbe improvvisata ladra. Immaginai per l'ennesima volta una serie di scenari disastrosi e li accantonai come al solito in un angolo della mente, sperando che quella sarebbe stata l'ultima volta in cui ci avrebbe pensato. Accesi e spensi il cellulare a ripetizione, controllando ogni volta l'orario, mentre tenevo il tempo dei secondi con un tic nervoso al piede. Come previsto, erano poche le persone che si aggiravano per i corridoi a quell'ora - questo perché la pausa pranzo durava circa quaranta minuti e la maggior parte degli impiegati preferiva impiegarli per mangiare e non per vagare nei corridoi dell'edificio - dunque dovetti fermare solo un nuovo arrivato che cercava il bagno - gli indicai la direzione giusta - e una ragazza che sembrava intenzionata a passare attraverso il corridoio - la feci desistere insistendo sul fatto che avevano appena passato uno strato di cera molto scivolosa sul pavimento. Circa due minuti dopo l'arrivo della ragazza, un rumore di passi, accompagnato dal suono di due voci mi fece scattare sull'attenti. Provenivano dal corridoio, dunque mi voltai di spalle come da protocollo e feci finta di smanettare con il mio cellulare. Sentii la voce di Jeremy allontanarsi, mentre parlava con un confuso Plutone di tramezzini dietetici a prezzi convenienti. Tornai a respirare normalmente solo quando ebbero svoltato l'angolo di un altro corridoio, diretti il più lontano possibile il ragazzo riuscisse a portare la conversazione. Probabilmente Plutone sarebbe passato dal confuso all'annoiato nel giro di due minuti e poi dall'annoiato all'arrabbiato in trenta secondi. Keysha doveva già essere dentro lo studio. Pregai con tutta me stessa che la cartellina non fosse ancora sotto chiave nel cassetto, altrimenti la ragazza ci avrebbe dovuto impiegare il doppio del tempo. E non tutti sanno come scassinare una serratura. Nonostante Plutone fosse lontano, la mia ansia non poteva fare a meno di crescere ancora di più, facendomi fremere dalla voglia di concludere 'l'operazione' e sgattaiolare fuori dall'edificio, per poter finalmente consultare l'interno della misteriosa cartellina e porre fine a quell'assurda situazione in cui mi ero infilata senza neanche pensarci e senza trovare il coraggio di tirarmi indietro. Perché, di certo non si può escludere che quello fosse un piano decisamente folle e pericoloso: poteva distruggere le nostre carriere e probabilmente anche le nostre vite. La chioma ramata di Keysha che mi vidi spuntare davanti mi fece sorridere all'istante e il sorriso si allargò quando vidi il bersaglio del nostro colpo ben stretto tra le sue braccia. Atlas arrivò poco dopo e ci incitò ad andare via con un silenzioso cenno della mano. Un'ombra girò l'angolo del corridoio, ma non fece in tempo a vederci: ci eravamo già nascosti dietro un'altra parete beige e ci stavamo muovendo lentamente in direzione dell'uscita. Anche il breve tragitto fu decisamente poco piacevole. Keysha si trovava davanti a me, con la cartellina ben protetta tra le sue braccia, mentre Atlas era dietro. Ci fermavamo ad ogni singolo rumore e aspettavamo con ansia che sparisse, poi constatammo che forse sarebbe stato più intelligente comportarsi normalmente, soprattutto quando avremmo raggiunto la parte più affollata dell'edificio, dove sarebbe stato impossibile nascondersi dalle persone. Keysha mi passò la cartellina ed io la nascosi rapidamente sotto la mia giacca, tenendola ferma con l'aiuto del braccio, saldamente ancorato al mio fianco. Potevamo avere un'aria un po' sospetta, ma nessuno badò veramente a noi: è questo il bello di nascondersi tra le persone, che nessuno si ferma a guardarti. Lo avevo capito anni prima, camminando per le strade di Los Angeles, durante uno dei miei tanti viaggi. Mi ero guardata intorno incuriosita e avevo osservato il grande numero di persone che scivolavano davanti ai miei occhi, mi era impossibile concentrarmi su ognuno di loro per più di un frammento di secondo. La folla è sempre stato un ottimo modo per mimetizzarsi e sparire. Uscimmo dalle grandi porte dell'Hermes e ci guardammo raggianti tra di noi, consapevoli di dover trattenere l'entusiasmo ancora per qualche minuto. Jeremy ci stava aspettando seduto su una panchina e osservava un piccione che cercava di mangiare la suola di una scarpa - decisi di non chiedermi come potesse essere finita lì. Quando ci notò si alzò in piedi e ci sorrise. I suoi occhi vagarono su di noi e si fermarono alla fine sulla posa rigida che mi permetteva di mantenere sotto il tessuto della giacca la nostra refurtiva.

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