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earthquake in progress.
intensity: 6.6

Erano trascorsi altri quattro giorni dal mio primo giorno di lavoro, facendo di quel giorno un venerdì. Giorni in cui trovai il mio equilibrio e mi impegnai per dare il meglio di me. Le domande continuavano ad infestare la mia mente, tenendomi sveglia per qualche ora ogni sera, una volta coricata a letto. Ma la loro influenza su di me non era ancora così forte dal convincermi di chiedere a qualcuno le risposte, il mio orgoglio si ostinava a voler rimettere insieme i pezzi da solo, nonostante questo volesse dire imparare a convivere con i miei dubbi.
La sensazione di aver trovato il mio equilibrio, invece, era del tutto nuova: in quanto viaggiatrice, non ero mai stata una persona statica e cambiavo spesso lavoro, in modo da poter sostenere le spese dei viaggi e della permanenza in un determinato luogo - che comunque non durava mai più di qualche mese. Negli ultimi mesi, ero riuscita a trovare un buon lavoro da ufficio, a Delhi, e mi ero finalmente decisa ad uscire dal periodo 'anno sabbatico' ed iniziare finalmente a frequentare un college. La mia improvvisa e inaspettata morte aveva provocato una leggera falla nel mio programma, il che mi innervosiva e non poco, visto che avevo lavorato per mesi chiusa in un ufficio - cosa che andava decisamente contro i miei ideali lavorativi.
Era così strano poter dire che finalmente avevo trovato il mio posto nel mondo, così strano che quasi non ci credevo. Inoltre, il fatto di essere stata raccomandata non mi andava affatto a genio, nonostante la mia carta di credito che si stava riempendo a vista d'occhio - Felix stava sfruttando questa cosa, infatti aveva deciso che avrei pagato io le bollette, mentre lui avrebbe contribuito prendendosi cura della spesa.
Mi alzai svogliatamente dal letto, strusciando i piedi fino allo specchio e facendo una smorfia fissando il mio riflesso. Avevo i capelli legati in uno chignon molto disordinato sopra la testa, ma diverse ciocche erano sfuggite alla morsa dell'elastico e cadevano irregolari lungo la mia faccia. Avevo inoltre delle grosse borse sotto gli occhi, perché la sera prima mi ero attardata per ricontrollare un fascicolo e sembravo addirittura più pallida del solito, ma pensai che fosse perché mi ero appena svegliata. Decisi, gettando un'occhiata all'orologio da polso appoggiato sul comodino, di andarmi a fare una doccia, dopo aver constatato che avevo ancora ben due ore prima di dover andare a lavoro - perché purtroppo dovevo lavorare anche di sabato. Recuperai dunque il mio accappatoio nero - con ricamato in alto a sinistra il simbolo della Pluto's League - e il beauty case impermeabile dove tenevo i flaconi di sapone - avevo infatti imparato che a Felix non piaceva quando questi venivano lasciati in bagno. Mi liberai velocemente della maglia-pigiama, dopo essermi assicurata che la porta fosse chiusa con un giro di chiave - volevo evitare incidenti imbarazzanti. L'acqua tiepida mi ravvivò all'istante. Rimasi per qualche minuto ferma con gli occhi chiusi, godendomi il rumore sordo del getto d'acqua che si schiantava sulla mia testa e sulle mie spalle e il leggero massaggio che mi faceva, nel momento in cui le gocce si posavano sulla mia pelle, facendo poi a gara a chi raggiungeva per prima la pianta dei piedi. La magia, comunque, durò ben poco: ben presto, infatti, mi riscossi dal silenzio che si era formato attorno a me, coperto dal suono ovattato dell'acqua, e ripresi a fare ciò che era il vero scopo per cui mi ero infilata sotto la doccia: lavarmi. Dieci minuti dopo, ne uscii in una nuvola di vapore - avevo leggermente alzato la temperatura dell'acqua - e mi infilai nel morbido tessuto dell'accappatoio, mentre avvolsi i capelli in un asciugamano. Rientrai velocemente nella mia stanza e indossai un paio di jeans strappati neri e un top rosso che mi aveva donato Clio, - in realtà mi aveva praticamente costretta a prendere metà del suo armadio, quello che apparteneva alla sua età giovanile, ma dovevo ammettere che i suoi gusti alla mia età erano particolarmente affini ai miei - sopra il quale indossai una giacca di jeans - sempre nera - sulla quale era ricamata una rosa rossa su un taschino, posizionato a destra. Asciugai frettolosamente i capelli, lasciandoli ancora umidi, nonostante sapessi che il clima non era ancora perfettamente stabile e rischiavo di beccarmi un'ondata di aria fredda e con essa la febbre. Osservai dunque nuovamente il mio riflesso allo specchio, mentre mi allacciavo un paio di converse rosse ai piedi. I capelli ora cadevano in onde imperfette e il mio volto, a causa del calore dell'asciugacapelli, aveva recuperato un po' di rossore, appena accennato sulle gote. Non mi truccai - fatta eccezione per un po' di mascara - e, infine, scesi al piano inferiore.

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