Capitolo 1 • Perso

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Mi ero innamorato di lei nell'istante preciso in cui aveva posato i suoi occhi su di me.

Alta, esile, con una cascata di ricci ramati, una spruzzata di lentiggini sul viso e un paio di occhi castani con le ciglia folte e nere: esattamente ciò che non sapevo di stare cercando.

Tendenzialmente, non cercavo nulla. Soltanto i miei appunti di scuola. Non ero ossessionato dal pensiero di entrare al liceo con la mano intrecciata a quella di una ragazza, e meno che mai a quella di una lunatica permalosa all'inverosimile come Madison Field che, oltre ai suddetti difetti, spiccava per la parlantina inesauribile, la risata acuta e l'insopportabile abitudine a prendere tutto sul personale, anche quando il mondo non girava attorno a lei. Eppure, qualcosa in lei, nello sguardo innocente e privo di difese che mi aveva rivolto quel primissimo giorno di liceo, mi aveva fatto capitolare come non mi sarebbe mai più successo nella vita.

Non aveva occhi da cerbiatta, i suoi puntavano anzi all'ingiù, né un nasino piccolo e alla francese, nessuno zigomo particolarmente sporgente e anche le labbra si potevano catalogare comunemente in una via di mezzo tra il carnoso e il sottile; forse soltanto l'arco delle sopracciglia era perfetto, eppure non riuscii a pensare ad un volto più bello di quello.

Feci ciò che avrebbe fatto qualsiasi altro adolescente inconsapevolmente cotto a puntino nei miei panni: la presi in giro. Cominciai con un'aria sarcastica, cercando un appoggio nella sua migliore amica nonché mia compagna di banco, poi persi la bussola e faticai a rendermi conto che ero davvero fastidioso. Probabilmente, più di lei quando interrompeva la conversazione di continuo per cambiare completamente argomento oppure attirare l'attenzione e basta.

L'astrusità di questo meccanismo era che, più risultava insolente e presuntuosa alle mie orecchie, più irresistibile la trovavano i miei occhi. Adoravo la decisione con cui si prendeva certe libertà, l'immediatezza con cui si intrometteva, senza aver paura di arrecare disturbo, il modo in cui decretava che doveva raggiungere un obiettivo e cominciava subito a lavorare sodo per arrivarci.

Col tempo, scoprii che uno dei suoi obiettivi ero proprio io.

Fino alla fine del terzo anno di liceo, non mi era mai passata neanche per l'anticamera del cervello l'idea che quello che provavo per Maddie fosse amore: convintissimo che lei mi odiasse, tentavo di rifugiarmi nell'indifferenza e nell'antipatia per nascondere i miei veri sentimenti nei suoi confronti.

Fu soltanto al ballo di fine anno che presi coraggio e le accarezzai il viso, le presi la mano e la giostrai fra le mie braccia, con delicatezza. Le sue ciglia si sollevarono come ventagli scuri a rivelare due pupille luminose di emozioni non dette, pensieri sconnessi ed esitazione pulsante.

Sembrava che volesse urlarmi "baciami". La ignorai, sebbene fosse esattamente ciò che volevo anche io. Le volevo donare tutto me stesso, prendendomi al contempo ogni singolo frammento della sua anima frastagliata. Avevo i guanti della delicatezza, non sarei rimasto ferito. O, almeno, così credevo.

Piroettò davanti ai miei occhi innamorati senza sapere neanche lei chi la stesse guidando, poi le sfiorai le labbra con gli occhi. Piene, luminose ed invitanti. Socchiuse, come la porticina che aveva lasciato per me. Infilai un piede per evitare che si chiudesse, feci un passo avanti e posai una mano alla base della sua schiena nuda. Ne percepii il brivido, la nivea innocenza, la passione vergine. E mi persi ancor di più in un amore che, fino a quel momento, ero stato convinto di provare soltanto io.

Sollevai il suo volto con la sola forza di due dita poste sotto il mento e chiusi gli occhi, pregustando il momento in pochi frammenti di secondo. Morbida, morbida ed umida, ecco com'era. La adorai. E adorai ogni singolo bacio che venne dopo di quello.

Mi allontanai, osservai compiaciuto l'espressione sognante di Maddie. Pendeva dalle mie labbra.

Fu in quel momento che mi piombarono nuovamente addosso tutte le paure che il mio bagaglio emotivo del passato mi aveva procurato. Lo sentii come un peso schiacciante, talmente grande che rischiai di soffocare.

Maddie mi prese la mano e tirò fuori una fermezza che non sapevo avesse.

Dove stai andando?

Un'ondata di panico mi pervase tutto.

Avrei voluto vomitarle addosso tutta una serie di confessioni che non avevo mai avuto il fegato di pronunciare ad alta voce: "mi piaci, mi sono innamorato di te senza neanche rendermene conto, resta con me e amami, qualsiasi cosa io faccia, più o meno contraddittoria".

Invece scossi il capo, non dissi nulla. La attrassi tra le mie braccia e la cullai per un po', illudendomi che non fosse lei a prendersi cura di me. In realtà, lo era sempre stata: con una parola comprensiva, uno sguardo attento, un pensiero di riguardo per me... I suoi gesti dicevano più di mille parole. E io amavo l'immediatezza con cui li compiva, senza starci su a pensare tanto.

Amavo la sua generosità, quanto cuore mettesse in ogni cosa che faceva. Anche quando si trattava di prendersela con Chloe, ci metteva impegno, autenticità.

Mi ero immaginato più volte come sarebbe stato finire a letto con lei, con quella furia che a malapena riusciva a trattenere quando si arrabbiava. Una volta mi era successo a scuola e ringraziai di essere dovuto rimanere seduto ancora a lungo, altrimenti sarebbe stato problematico nascondere l'eccitazione che mi era salita all'idea.

Passai le dita fra i capelli accuratamente acconciati di Maddie, sicuro che non le dispiacesse, nonostante il lavoro e il costo del parrucchiere. Mi piaceva di più con la chioma sciolta e selvaggia, allo stato naturale. Come una marea di altre cose, mi ritrovai incapace di dirlo ad alta voce e mi limitai al gesto.

Improvvisamente, mi sentii come se nella sala da ballo ci fossimo solo io e lei. Non c'era nessun altro, nessun'altra, nessun amico e nessuna Chloe combinaguai. Non c'era il buffet piluccato qua e là da chiunque, non c'erano i docenti in giro, c'era solo una musica lenta e scanzonata, di quelle che cantano i ragazzini con una comunissima chitarra classica fra le braccia.

Avrei voluto suonarle qualcosa, cantarle la melodia che emetteva il mio cuore ogni volta che lei era nei paraggi. Avrei voluto non essere il riccio con la corazza piena di aculei che invece ero. Avrei voluto prenderla e portarla via. Tenerla solo per me, darle mille baci e sperare che bastassero a non farla più andare via.

Invece, ondeggiai insieme a lei per un po', odiandomi per essere così scontato.

Rimasi a fissarla per un'eternità, pensando che non la meritavo. Era troppo bella per me, troppo vivace, troppo sensibile, a volte così avanti che persino io mi chiedevo come fosse possibile.

Lei si perse in un mondo tutto suo, indossò una magia che la rese ancora più bella ai miei occhi, poi mi inchiodò con gli occhi di chi sa esattamente quello che vuole e non ha paura di andarselo a prendere. Io, invece, di paura ne avevo, eccome. Avevo il terrore che quello che lei voleva fosse ciò che volevo anche io, con la differenza che io non sapevo come andarmelo a prendere.

Quello perso ero io.

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Buongiorno e buon rientro a lezione!

Dico lezione perché c'è chi va a scuola e chi riprende a frequentare le lezioni universitarie invece 🙈

Come sta andando?

Vi è piaciuto questo primo capitolo?

Tutta la storia è dal punto di vista di Peter 🥰

Al prossimo capitolo!

Baci

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