Capitolo 16 • Classico

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A distanza di un solo mese dal mio trasferimento, cominciai a trarre diverse conclusioni.

La prima era che la lontananza di Maddie mi faceva stare male e che non sapevo come dimostrarle che volevo rimanerle fedele nonostante tutto ciò che, dall'esterno, si potesse pensare.

La seconda era che il campus era esattamente il mio luogo ideale: fra persone mediamente intelligenti, mi sentivo a casa. E non la casa fredda in cui ero cresciuto, bensì una dimora di idee dinamiche, dove agli angoli dei corridoi si discutevano ipotesi in grado di cambiare significativamente la nostra vita quotidiana. Una casa fatta di giovani come me che stavano cercando il loro posto nel mondo, confusi ma determinati a trovarlo.

La terza era che avrei fatto meglio a stringere amicizia con persone come Sid e stare lontano da quelle come Flo. Quest'ultima aveva la parola "pericolo" scritta in fronte e cominciavo gradualmente a rendermene conto: trascinato da lei, avevo lasciato indietro i miei amici e tutto il resto, facendo sentire peggio che mai la mia ragazza. Mi torturai una mattinata intera sulla necessità di parlarle e, al tempo stesso, la paura di farlo perché sapevo di non esserne capace. Esprimermi non rientrava fra le mie abilità più sviluppate, anzi. Riuscivo solo a combinare disastri.

L'ultima era che non vedere i miei genitori tutti i giorni era un sollievo. Suonava perfido e, dentro di me, riconobbi una sfumatura ingrata in ciò, ma stavo meglio senza. Quella era una verità innegabile.

Decisi di fare ciò che mi veniva meglio: isolarmi. Mi buttai a capofitto nello studio e superai l'esonero con un voto molto alto, seppur non massimo. Subito dopo aver ricevuto l'esito, telefonai a Maddie.

«Ciao, Peter» salutò lei.

«Ho superato l'esonero, Maddie! Non sono stato il migliore in assoluto, ma sono molto contento del mio voto!» esultai, non sapendo contenermi.

«Ehm... Okay, sono contenta per te...»

L'esitazione con cui mi rispose, quasi a disagio, cancellò il mio entusiasmo.

«Ah... Be', pensa a non esserlo che risposta mi avresti dato...» commentai.

«Scusa?» si inacidì lei.

Sbuffai.

«Niente. Devo andare, ci sentiamo».

Attesi che mi rispondesse, ma non proferì parola, quindi riattaccai.

Era riuscita a distruggermi quel pizzico di buonumore che mi aveva rallegrato la giornata dopo settimane di pesantezza e preoccupazioni. Lei che, una volta, rendeva la vita facile come respirare.

Amarla era facile, allora. In quel momento, un po' meno.

In caffetteria, incrociai Jason e Flo.

«Ma guarda chi è riemerso dalle tenebre!» scherzò quest'ultima.

«Ciao, amico» mi salutò Jason.

Presi posto al loro tavolo non sapendo bene come mi sarei dovuto sentire, in realtà.

«V-voi avete passato l'esonero?» mi informai.

«A malapena...» fece Jason.

Flo annuì con convinzione, quindi non doveva essere andata tanto male.

«E... come state?» mi interessai, suonando bizzarro persino alle mie stesse orecchie.

Non tardarono, difatti, gli sguardi stupiti dei miei amici.

«Bene, direi. Possiamo dedurre lo stesso di te o...?»

Riconobbi nello scetticismo di Jason una sorta di messa alle strette: era come se mi stesse chiedendo di aprirmi e comunicare, risolvendo tutto ciò che di non detto c'era nel nostro tavolo, oppure di andarmene e smetterla di fingere che mi importasse qualcosa di quella nuova e fragile amicizia a tre.

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