22; Abitudini

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Quando apro di nuovo gli occhi, è certamente notte. Un lenzuolo mi copre le cosce e parte della pancia, dalle tapparelle della mia stanza entrano soltanto le luci dei lampioni.
Uno sbuffo pesante mi fa notare che Polpetta deve essere qui, sicuramente Denia lo ha riportato dalla passeggiata ed ha riaperto la porta per farlo entrare.
Mi rigiro nelle lenzuola e scopro, senza darmi alcun pizzicotto, che tutti gli avvenimenti di qualche ora fa non sono frutto di un sogno di cattivo gusto o di una bevuta particolarmente devastante: Cesare se ne sta rannicchiato dall'altro lato del mio letto matrimoniale, con un braccio che gli copre gli occhi e il lenzuolo aggrovigliato adosso. Dei graffi rossastri gli segnano il petto e mi fanno accennare un sorriso.
Mi alzo, cercando di far meno rumore possibile e prendo dalla mensola la mia istantanea, per scattargli una foto che, fortunatamente, non lo sveglia.
Tutta sorridente mi stendo di nuovo sul letto, non prima di aver aperto la finestra per far passare un po' d'aria e di aver recuperato le sigarette dalla scrivania.
Non mi copro con il lenzuolo, resto nuda a fissare prima il soffitto, poi Cesare. Quando l'aria che viene da fuori mi fa rabbrividire recupero la maglietta a maniche corte che indossava il mio ragazzo e la infilo lesta.
Soltanto quando ho fumato metà della sigaretta, due braccia mi si aggrovigliano attorno al busto e delle labbra mi si appoggiano sul collo, prima delicate, poi sempre più fameliche.
«Sono le tre di notte, che ci fai sveglia?» mi sussurra nell'orecchio.
Scuoto la testa restando silenziosa. «E tu?»
«Mi ha svegliato la puzza di sigaretta.» sbuffa e me la toglie dalle labbra, spegnendola nel posacenere che tengo sul comodino.
«Che palle, io le pago per fumarle, non per buttarle.» sbuffo, stiracchiandomi come un gatto.
Cesare mi fa il verso, mentre si rinfila i boxer, poi mi si stende sopra, togliendomi il respiro.
«Pesi come un bue, spostati.» ma a nulla servono le mie proteste. Se ne sta lì per un tempo che mi pare infinito, poi si alza, mi tira a sedere prendendomi le mani e mi toglie via la maglia, gettandosi a capofitto sul mio corpo.
Lo accarezza con le mani, con la bocca, non riesco a stargli dietro, mi muovo a rallentatore, sopraffatta dalle emozioni e dall'eccitazione.
Gli graffio di nuovo la schiena e il petto, di graffi sempre più rossi, lunghi e profondi.
Quando finiamo di nuovo di fare sesso - o forse, dopo essersi detti ti amo, è amore? — aspettiamo abbracciati l'alba. O almeno, io resto sveglia, Cesare si addormenta non appena Polpetta gli si getta addosso per farsi fare due coccole.
Quando l'alba fa capolino nella stanza, sono le cinque e trenta del mattino, dopo che Cesare si è spostato via dal mio corpo, l'ho coperto con il lenzuolo e mi sono rivestita. Ho acceso il pc, postato una storia su instagram e mi sono messa a lavorare a delle fotografie che mi hanno chiesto di editare.
Continuo a lavorare e fumare senza sosta, mi alzo soltanto quando sento Denia trafficare in cucina. Lascio un bacio sulla fronte di Cesare, ancora profondamente addormentato, e la raggiungo in cucina con passo felpato, stringendomi nella maglia enorme del ragazzo che dorme nel mio letto.
«Allora?» non mi da neanche il buongiorno.
Gli occhi tondi e grandi mi fissano a metà tra il curioso e l'assonnato. I capelli castani sono legati in una crocchia tutta arruffata e scomposta, e sulla pelle del viso c'è ancora il segno del cuscino.
Mi faccio un caffé americano e lo allungo con un po' di latte di soya, lasciandola sulle spine finchè non mi siedo di fronte a lei; sigaretta tra le dita e tazza tra le labbra.
«Abbiamo chiarito.» sospiro, e dalle sue labbra si leva un gridolino emozionato. La zittisco immediatamente, sgranando gli occhi e ridendo assieme a lei, beandomi di una quotidianità che avevamo perso negli scorsi mesi.
«A parte che vi ho intravisti ieri sera, quando ho riportato Polpetta.» ammicca, sorridendo dietro la tazza colma di the. «E poi, lo immaginavo.»
Le rispondo con un sorriso malizioso, alzando di scatto le sopracciglia. Ridiamo e scherziamo per un'ora e mezzo e Denia si concede addirittura una sigaretta in mia compagnia.
«È strano stare senza Cecilia.» ammette dopo un po' lasciando un sospiro pesante. Io mi addosso violentemente al muro, sbattendoci ripetutamente la testa.
«Non lo so De.» sbuffo, concentrando il mio sguardo sulla superficie irregolare del muro color crema. «Ancora fatico a metabolizzare ciò che è successo, davvero.»
Scuote la testa e fa per replicare, ma la nostra chiacchierata viene interrotta da Cesare e Polpetta, che fanno il loro ingresso in cucina.
Il primo stiracchiandosi come un gatto, il secondo felice e scodinzolante per essersi ricongiunto ad un vecchio amico. Io e Denia li osserviamo divertite, la mia amica poi si dilegua in camera con la scusa di dover correre in università.
Peccato che siamo in agosto e le università hanno chiuso i battenti da tempo.
«Buongiorno zuccherino.» sorrido a Cesare, mentre si versa una tazza di caffé e prende posto davanti a me.
«Buongiorno a te pasticcino.» si allunga sul tavolo per darmi un bacio tra i capelli. Ridacchio e mi accendo l'ennesima sigaretta della giornata. «Non hai dormito molto, vero?»
Scuoto la testa per confermare la sua affermazione, stropicciandomi un occhio.
«Ammettilo che ti ho sfinita.» ride come un bambino, e gli lancio contro un tovagliolo usato per intimarlo di finirla.
«Direi piuttosto il contrario, visto quanto hai dormito tu.» rispondo con una linguaccia molto infantile e mi alzo da tavola per lavare i piatti della colazione. Gli squilla il cellulare ed inizio a sculettare a ritmo della suoneria, un vizio che ho sempre avuto e che ricordo, mi è costato una nota durante il terzo o quarto anno di liceo.
«Che programmi hai oggi?» mi chiede, dopo aver parlato al telefono con la sorella.
«Stasera devo lavorare al bar, sono di turno al lato ovest, ciò vuol dire che avrò il triplo delle mance e con solo quei soldi, riuscirò a coprire l'affitto.» sfrego le mani emozionata, i weekend di turni al lato ovest del bancone mi consentono di vivere di rendita e di togliermi tutti gli sfizi che voglio. «Poi ho da consegnare un lavoro entro le tre, ma devo soltanto esportarlo; per il resto, pensavo di passarla a letto.»
Annuisce e si stiracchia di nuovo come un gatto, mentre verso i croccantini di Polpetta nella sua ciotola.
Restiamo per un'altra oretta a chiacchierare del più e del meno, finché non annuncia di dover andare in studio a registrare dei video per il canale. Io metto su una scenetta tragica alla notizia, comportandomi come una dama medievale distrutta dall'abbandono del suo uomo, con tanto di gesti ampi per enfatizzare il tutto.
Lui ride, mi prende come un sacco di patate e mi porta in camera, dove dopo avermi gettata sul letto, mi bacia e mi accarezza come se facesse parte di una nostra routine già consolidata da tempo.
Quando gli do un ultimo bacio a stampo prima che vada via, penso che in fondo, potrei abituarmi davvero.

Margherita | Cesare CantelliDove le storie prendono vita. Scoprilo ora