14; Piccoli problemi di cuore

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«Quindi si è dichiarata lei.» annuisco, ripetendo le parole appena dette da mio fratello, prendendo l'ennesima boccata di fumo e guardando le nuvole minuziosamente.
«Già, chi l'avrebbe mai detto.» conclude Michele, passando una mano tra i miei capelli.
Alla fine ci siamo chiariti, urlandoci addosso sui colli. Ora siamo in un parco allungati per terra a fissare il cielo, uno dei nostri tanti rituali, mentre ci raccontiamo tutta la nostra vita.
«Io l'avrei detto.» sbotto, alzandomi a sedere di scatto.
«Margi, siete sempre state le Jo March della situazione.» mi rimbecca, sedendosi anche lui.
Sbuffo ed alzo gli occhi al cielo: è vero. Tralasciando il fatto che Jo March è uno dei mille personaggi fittizi che mi ha formata durante la mia adolescenza, proprio come lei siamo sempre state delle ragazze molto indipendenti, con delle aspirazioni concrete che non hanno mai incluso la presenza di un uomo.
«D'accordo, d'accordo.» alzo le mani in mia difesa, passandole poi tra i fili d'erba che mi circondano. «Per me non è così sorprendente.»
«Perché è una delle tue migliori amiche, è normale — sbuffa, cercando di farmi capire il punto della questione— anche io riesco a prevedere degli atteggiamenti di Dome o Dio che ti lascerebbero sorpresa.»
Gli do ragione, sbuffando per l'ennesima volta ed iniziando a strappare dei fili d'erba da terra per tirarglieli contro.
Ridiamo e scherziamo finché il cielo non diventa più scuro, in quel momento, Michele si alza da terra e mi da una mano a fare lo stesso.
«A che ora hai il treno?» mormoro contro la sua spalla, non appena mi abbraccia.
«Alle sette e un quarto, scricciolo.» sussurra, accarezzandomi la schiena con la punta delle dita. «Conviene che mi riaccompagni in stazione.»
Annuisco, ed usciamo velocemente dal parco, raggiungendo il motorino che ho comprato appena tornata, un piccolo regalo che mi sono fatta con i risparmi che ho messo via durante questi anni.
Lo lascio guidare e non appena arriva il momento di salutarlo sul serio, ho le lacrime agli occhi e un groppo in gola che mi impedisce di respirare e deglutire normalmente.
«Salutami tutti.» borbotto, sistemandogli la camicia e i capelli.
«Smetti di piangere Marghe, ti si arrugginiscono le guance.» cita una delle nostre canzoni preferite e scoppio, stringendolo a me più forte che posso, mentre parte l'annuncio del suo treno. «Fai la brava, scrivimi non appena sei a casa.»
Annuisco, passandomi in fretta e furia le mani sul viso, e salutandolo per l'ultima volta con la mano, mentre lo vedo scomparire tra la folla.
Decido di non rientrare subito, ma di concedermi il lusso di un giro per Bologna al tramonto, senza una meta precisa, per pensare bene a questa giornata.
Ho visto di nuovo Riccardo, mi sono resa conto di essere una stupida, ho abbandonato il lavoro su due piedi, ho confessato a Cesare di essere innamorata di lui, mio fratello si è fatto Roma-Bologna per risolvere la discussione, abbiamo fatto pace e l'ho appena lasciato andar via.
Una giornata del tutto normale, quando ti chiami Margherita Martinelli.
Una volta finito il mio giro di sfogo, parcheggio il motorino nel cortile di casa Cantelli ed esco di nuovo per comprare le sigarette.
«Margherita Martinelli.» sobbalzo, facendo cadere il pacchetto di sigarette che tengo tra le mani. Mi ritrovo ad un palmo dal naso il viso di Nelson, e mi porto subito una mano al petto.
«Sei un idiota.» raccolgo il pacchetto a terra e lo scarto, accendendone subito una. «Che ci fai da queste parti?»
«Ti vengo a trovare, mi sembra ovvio.» replica, mettendomi un braccio attorno alle spalle e stringendomi a se. «Non ci vediamo da un mese.»
«Vero, sono una persona pessima.» borbotto, abbracciandolo stretto. «Resti a cena da Cesare?»
«Sì, l'ho chiamato poco fa.» annuisce, riprendendo a camminare. «Tone mi ha detto che era da lui e sapevo ci fossi anche tu.»
Alzo gli occhi al cielo all'ultima affermazione: adoro vivere con Cesare, perché si respira un'aria familiare che a me mancava da morire qui a Bologna.
Ma non mi fa spendere un soldo, che sia per la spesa, per le bollette o qualsiasi altra cosa serva in casa, e la cosa non mi va per niente a genio.
«Già, ma tra poco torneremo ad essere vicini di casa!» esclamo, alzando la voce di un paio d'ottave ed aprendo il cancello pedonale del condominio.
«Beh, anche se non ci saremo tutti, va bene così.» fa spallucce, tirando fuori la videocamera e iniziando a chiamare Chewbe e Polpetta non appena si affaccia alla tromba delle scale.
«In che senso?» domando, seguendolo lentamente.
«Tra poco te lo spiego, tanto devo dirlo anche ai ragazzi.»
Qualche ora dopo ci ritroviamo spaparanzati sul divano, assieme a Bea, Denia e il resto dei ragazzi, più i vari animali domestici.
«Ho due notizie.» si alza in piedi Nelson, parlando solennemente, come se stesse presentando i nuovi regnanti d'Inghilterra. Io e Claudio ci scambiamo uno sguardo e ridacchiamo senza contegno.
«Spara.» dice Dario, mentre Tone si porta due dita alla tempia e mima il gesto di uno sparo. Un coro di lamenti si avvia al suo gesto, e Nicolas gli tira contro un cuscino.
«Ho trovato uno studio dove possiamo trasferirci.» annuncia, allargando le braccia.
«Non è vero.» Nicolas è il primo a parlare, mentre i restanti membri di Space Valley si guardano perplessi.
È da un po' che li sento lamentarsi del salotto di Nelson, si sta troppo stretti, ogni volta devono smontare, rimontare, cambiare questo e quest'altro. Insomma, una tragedia.
«Ho parlato con il proprietario.» spiega, sedendosi di nuovo accanto a Bea su una poltrona. «Il posto è totalmente vuoto, ha abbastanza spazio da poter avere due set fissi, una cucina, un tavolo grande dove lavorare e addirittura uno spazio relax.»
«Dovremmo vederlo.» ragiona Cesare, continuando ad accarezzarmi i capelli. Ho la testa sul suo stomaco e continua ad accarezzarmi il viso, le spalle, i capelli e le braccia da quando ci siamo sistemati in salotto.
«L'ho già fermato.» conclude Nelson, scatenando un coro di dissensi e una discussione vera e propria.
Dopo almeno dieci minuti di urla insensate, alzo la mia testa dallo stomaco di Cesare, e fischio, portandomi indice e pollice in bocca.
Tutti restano a fissarmi, sconcertati.
«Uno: sembrate un liceo alla prima assemblea di classe.» elenco, alzandomi in piedi. «Due: non state risolvendo la cosa; tre: chi ce penza, resta senza.»
«Cosa?» domanda Bea, aggrottando le sopracciglia.
«Ha fatto bene raga.» sbuffo, alzando gli occhi al cielo. «Non l'ha mica comprato, l'ha solo fermato per un mese dando un anticipo, che male c'è? Avete tutto il tempo di ragionarci su, vedere gli spazi, eccetera. Ao e poi, finché dura, verdura.»
«Ma ti hanno drogata?» mi domanda Frank, osservandomi in modo sospetto.
«A Roma se dice così: finché una situazione resta favorevole, approfittatene.» faccio spallucce. «È inutile che vi incazzate.»
«Ha ragione.» interviene Denia. «Potete sempre spostarvi in un secondo momento o rifiutare l'offerta qualora non dovesse andarvi a genio.»
La indico con un cenno, e mi getto a peso morto sul divano, stavolta appoggiando la testa sullo schienale. Le mani di Cesare afferrano subito la mia spalla, una muta richiesta di farmi rimettere nella posizione in cui ero.
Beatrice, Claudio e Denia mi lanciano un'occhiata significativa.
«Detto questo, direi che sia il caso di lasciarvi scannare come se non ci fosse un domani.» dico, alzandomi di nuovo dal divano. «Io e la restante parte degli intrusi, andiamo via.»
Subito i tre citati prima, mi seguono per le scale, assieme ai cani e ci rifugiamo in cortile per fumare e farci una chiacchierata.
Parliamo per almeno un'ora di tutto e di niente, osservando Polpetta e Chewbe che giocano assieme. Le urla dal piano di sopra si sentono fin qui, d'altronde la finestra del salotto è aperta, ma noi cerchiamo di ignorarle, per quanto ci è possibile.
«Che è successo tra te e il Cesu?» mi chiede Bea, calciando un sassolino.
«Ah sì, c'era una strana intimità.» ammicca Denia. Claudio si limita ad osservare la scena in silenzio, con sguardo consapevole: evidentemente Cesare deve avergli detto qualcosa.
«Nulla — dissimulo, scuotendo le spalle— abbiamo avuto un confronto oggi, prima che arrivasse Michele, nulla di chiaro.»; fortunatamente, nessuno dei tre fa in tempo a replicare in qualche modo, perché le figure dei ragazzi escono dal portone principale.
«Che si dice?» chiede Cesare, avvolgendo un braccio attorno alla mia schiena, che viene prontamente rimosso dalla sottoscritta con un gesto imbarazzato.
«Parlavamo di te, veramente.» ammette Denia, guadagnandosi una mia occhiataccia e una gomitata da parte di Bea.
«Ah!» esclama Dario, ridendo. «Ecco perché ti fischiavano le orecchie.» lo prende in giro, tirandogli uno scappellotto. Io mi nascondo il viso tra le mani, stranamente imbarazzata, mentre Nelson scaccia via Cesare e mi stringe in un abbraccio che riesce ad inglobarmi dentro la sua figura molto più imponente della mia.
«Perché arrossisci?» borbotta, contro la mia testa.
«Quando sei più grande ti spiego.» sbotto, iniziando a dimenarmi per sfuggire al suo abbraccio soffocante.
«Ma quindi ve ne state andando tutti fottutamente via da casa mia? Ma ce l'avete una casa?!» scherza Claudio, iniziando a spintonare Tone e Denia verso il cancello.
Rido, gustandomi la scena mentre Nelson mi tiene ancora stretta a sè, stavolta soltanto con un braccio.
«Dai, andate o mi si scazzano i padroni di casa e cacciano anche me.» do corda a Claudio, non appena si alzano le proteste per la sua affermazione.
«No, massimo caccio Cesare e tengo te.» urla, dal fondo del cortile.
«La chiamavano solidarietà tra fratelli.» dice Frank, prima di salire in macchina e caricarsi il resto della banda a bordo.
Se ne vanno via in gran caciara, lasciando me e i due fratelli soli in cortile, tutti sorridenti.
«Bene regazzetti, io esco.» annuncia Claudio, facendomi arricciare il naso.
«Regazzetti?» subito io e Cesare ci fissiamo, prima di scoppiare a ridere di cuore.
«Beh, che c'è?» sbuffa, abbassando lo sguardo imbarazzato. «È l'influenza di Daisy.»
«Cla.» Cesare lo guarda serissimo, appoggiandogli una mano sulla spalla. «Ghe non parla mai romanaccio.»
Claudio, se possibile, s'imbarazza ancor di più. Sono certa che se non fosse buio, riuscirei a vedere le sue guance scarlatte.
«Clau, mi nascondi qualcosa?» gli chiedo, dando una spintarella a Cesare per allontanarlo. «Sai che a me puoi dirlo.»
Il più piccolo in risposta si dirige a passo spedito verso il suo motorino, lasciandomi lì come un'allocca a fissare la sua schiena.
Incredibile, Claudio Cantelli vede una ragazza.
Sorrido sorniona, osservandolo uscire dal cancello con il casco allacciato male, cosa che mi premuro di fargli notare, urlandogli contro. Ovviamente, non mi da ascolto e sparisce dalla mia visuale.
«Sono piccoli problemi di cuore, nati da un'amicizia che profuma d'amore.» intono, ridacchiando come una scema.
«Sei brava.» ammicca Cesare, dirigendosi verso casa. «Ma stai parlando di Claudio o stai parlando di noi?»
Mi gelo sul posto, facendo cadere una sigaretta che avevo appena pescato dal paccetto di cartoncino.

Margherita | Cesare CantelliWhere stories live. Discover now