13; Lo so

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Riprendere a lavorare, dopo più di due settimane di ferie meritate, è davvero devastante.
Grazie al cielo Rita è stata clemente, e mi ha spostato i turni durante l'orario di pranzo, mentre Gigi mi fa lavorare soltanto durante i fine settimana, affermando che ha bisogno della sua migliore barlady nei turni più duri e pretenziosi. A me sta bene, lavorare nel weekend significa avere dalle 300 alle 500 euro di mancia a serata, ciò significa avere praticamente uno stipendio in più oltre al fisso che ricevo già da parte sua.
Quando mi sono trasferita pensavo di impazzire dietro a tre lavoretti più l'università, invece sono riuscita a carburare tutto al meglio, complice anche il lavoro di post produzione che più che essere un lavoro, per me è un hobby.
Sto pulendo il bancone del caffé letterario, quando due mani piuttosto familiari entrano nel mio campo visivo, interrompendo il flusso dei miei pensieri.
«Buongiorno, cosa vuole ordinare?» chiedo, abbozzando un sorrisetto di circostanza.
«Un cappuccino con molto cacao e una brioche al cioccolato.» risponde, assottigliando lo sguardo. «E comunque, Daisy, puoi anche evitare di fare questa facciata, è tutto okay.»
Riccardo continua a starsene lì sorridente, come se nulla fosse, mentre io lo guardo come se avessi appena visto un fantasma. L'ho lasciato io, okay, ma c'è da dire che lui non voleva che ci lasciassimo, quindi credo che la mia reazione nel vederlo tranquillo dopo così poco tempo, sia più che lecita.
Senza contare, che aveva ragione, quando mi ha detto che sotto sotto provo qualcosa che vada ben oltre l'amicizia e il senso di complicità nei confronti di Cesare. Ma questa è un'altra rogna a cui non voglio pensare, perlomeno non prima di aver risolto tutti gli altri problemi che ho.
«Arriva subito.» riesco a dire, ancora stralunata, mentre sistemo un piattino con su la brioche. Rita mi osserva a sua volta, da dietro la cassa, alternando il suo sguardo da me a Riccardo come se stesse seguendo un interessantissimo match di tennis.
«Ecco qui.» accenno un sorriso, servendogli anche il cappuccino.
«Come ti va la vita?» chiede con nonchalance, intingendo la punta della brioche nella schiuma del cappuccino.
«Bene, sono stata da Manuel per un po' e sono tornata a Roma per il compleanno di Michele.» racconto, atona.
«Oh, sì.» borbotta, con la bocca piena. «Lui e Melissa stanno molto bene insieme.»
Il mio cuore perde un battito, e poi altri dieci.
Sono tornata a Bologna da più di una settimana e Michele non mi ha ancora contattata in alcun modo. Mi sono scambiata molti messaggi con Melissa, invitandola più di una volta a salire su a Bologna non appena il nostro appartamento fosse di nuovo agibile.
«Tu lo sapevi?» chiedo, meravigliata.
«Certo, lo sapevano tutti.» risponde, lasciandomi ancora più frastornata.
In quel momento, mi rendo conto di quanto io effettivamente sia stata egoista.
In un secondo, mi passano davanti agli occhi tutti i mesi precedenti. Da quando mi sono trasferita, ormai è quasi un anno, sono talmente presa da me stessa e dalle mie cose da non considerare più quello che mi sono lasciata alle spalle.
Se davvero anche Riccardo, che vive fisso a Bologna sapeva della relazione tra Michele e Melissa, significa davvero che sono una persona di merda.
Michele aveva ragione.
Non appena realizzo il tutto, inizio a respirare affannosamente e mi tolgo via il grembiule, iniziando a borbottare cose senza senso a Rita, prendendo tra le mani la giacca e la borsa, completamente persa nei miei pensieri.
La donna, mi chiede se mi sento bene e se sia successo qualcosa al di fuori del lavoro. Riccardo continua a fissarmi stranito, mangiando come se nulla fosse, totalmente insofferente alla scena.
Non che mi importi molto, in fin dei conti, ma vedere con di sfuggita un ragazzo, fissarti stralunato mentre fa colazione, non fa che aumentare il senso di disagio che mi attanaglia il petto.
Esco dal caffé letterario quasi correndo, i polmoni che mi scoppiano, la bocca asciutta e le lacrime che mi scorrono sulle guance.
Senza rendermene conto, sono in casa Cantelli.
Al mio ritorno da Roma, Claudio mi ha regalato un mazzo di chiavi per poter entrare ed uscire da casa loro a mio piacimento durante la mia permanenza lì. Ho anche avuto l'occasione di conoscere il padre, che mi ha subito accolta con un sorriso e delle parole di conforto, cosa del tutto inaspettata.
«Non dovresti essere a lavoro?» la voce di Claudio, interrompe il flusso dei miei pensieri, salvandomi da decisioni avventate.
Esce dalla cucina con in mano un croissant e Chewbe che gli scodinzola dietro, indossa una maglia della Juventus che sono certa sia mia e un paio di calzoncini corti. Lo ringrazio mentalmente e mi passo le mani sul viso, esausta.
«Sono andata via prima, è venuto Riccardo a fare colazione, mi ha parlato di Michele e Melissa e sono andata nel panico.» confesso, rilasciando un sospiro. Il moro mi sorride, passandomi una mano sulla spalla, per poi afferrarmi una mano e condurmi nella sua stanza, finendo la sua colazione in un unico boccone. Subito mi offre una sigaretta e ci fermiamo a fumare stesi sul suo letto a una piazza e mezzo, affiancati da Chewbe e Polpetta, che sorprendentemente vanno molto d'accordo.
Inizio a parlare a ruota libera di come io mi sia resa conto di essere un'egoista cronica da quando mi sono trasferita qui, e Claudio mi ascolta in silenzio, intervenendo ogni tanto e dispensando consigli utili che mi aiutano a creare un piano d'azione che non comprenda prendere il primo treno per Roma senza avvertire nessuno.
«Cesare è da Nels?» domando a fine discorso, sbuffando una boccata di fumo dell'ennesima sigaretta che ho acceso.
«Da Sofia.» replica, girando la testa verso di me, probabilmente per osservare la mia reazione alla notizia.
Sento un vuoto all'altezza del cuore, senza riuscire a darmi delle spiegazioni che abbiano un senso compiuto. In questi momenti avrei davvero bisogno di parlare con Michele, per cercare di sciogliere i nodi intricati che ho per la testa; o parlare con Cesare, per sentirmi più tranquilla. Mi ritrovo senza l'uno e l'altro, perciò mi accoccolo al petto di Claudio, imponendomi di mantenere la calma e di non piangere.
Sola.
Mi sento di nuovo sola a Bologna, dopo aver passato due settimane a convincermi del contrario, una chiacchierata al bar con Riccardo ha sconvolto tutti gli equilibri che avevo ripristinato, facendomi sentire di nuovo persa, sola e fragile. Mi alzo a sedere, sentendomi ancora più pesante.
La porta d'ingresso si apre, la voce di Cesare riecheggia in casa.
«Cla?» entra nella stanza, ci scambiamo uno sguardo e mi alzo velocemente, dandogli una spallata per uscire.
Il solo pensiero di lui e Sofia che si rivolgono la parola, mi fa arrivare il sangue al cervello.
Prendo di nuovo il mazzo di chiavi, la mia borsa ed esco sbattendo violentemente la porta, infischiandomene delle grida di Cesare e del fatto che mi stia seguendo.
Dovrei fermarmi, parlare con lui delle intenzioni che ho con Michele, tranquillizzarmi, fare pace con mio fratello e smettere di fare impazzire Cesare dietro ai miei continui sbalzi d'umore. Ma tutto ciò che riesco a fare è tirare dritto e camminare lungo la strada, senza una meta ben precisa.
«Margerita Martinelli, porca di quella troia, ti vuoi fermare?» mi chiede, disperato, dopo essersi fatto almeno dieci metri di corsa dietro a me.
Mi fermo all'improvviso e sbatte contro la mia schiena, resto di spalle e prendo dei respiri profondi, provando ad organizzare un discorso che abbia un minimo di senso.
«Che cazzo è successo?!» è confuso, arrabbiato anche.
«Che ci facevi da Sofia?» chiedo, incrociando le braccia sotto il seno. Mio Dio, non riesco a capirmi da sola, che cosa diamine sta succedendo oggi? Dovevo dire qualcosa, qualsiasi cosa, tranne questo.
«Mi stavo riprendendo della roba.» risponde, vago.
«Oh no.» borbotto, lamentandomi. «Vi siete baciati?»
«NO!»esclama, alzando la voce di qualche ottava. «Aveva delle felpe e dei vestiti che volevo indietro.»
«Stai mentendo, ti conosco.» sbotto, e vorrei prendermi a schiaffi da sola, perché questa è una scenata di gelosia coi fiocchi, ed io non ho alcun diritto di farla.
«Anche se fosse, ti interessa?» gli occhi verdi brillano, non appena realizza che gli sto facendo una piazzata di gelosia bella e buona. Alzo gli occhi al cielo e ricomincio a camminare con passo spedito, scappando da questa situazione imbarazzante.
«Oh mio dio, Margherita, è una scenata di gelosia.» borbotta ridendo e raggiungendomi con un paio di falcate.
È accanto a me, ha un sorriso sfacciato stampato sulle labbra, che lo rende più bello del solito. Indossa una maglia verde petrolio e dei pantaloni corti di un color sabbia ed è bello da morire.
«Non è una scenata di gelosia, mi preoccupo per te.» rispondo, fermandomi di nuovo all'improvviso, lasciandolo camminare più avanti.
Si ferma anche lui e mi raggiunge, poggiandomi le mani sulle spalle e piazzandosi con quella faccia da schiaffi proprio sotto ai miei occhi.
«Sei gelosa.» afferma di nuovo, a un soffio dal mio viso.
«Ti piacerebbe.» ribatto, alzando il mento e sfidandolo con lo sguardo.
«Tantissimo.» sorride sincero, stavolta. Gli si addolciscono i tratti e gli occhi si fanno più liquidi e sereni.
«Lo so.» sussurro, trattenendo un sorriso spontaneo.
Mi piace questo gioco che c'è tra di noi, che ci proviamo spudoratamente, ma quando c'è da mettere le carte in tavola, ci tiriamo entrambi indietro come se fossimo due gamberetti che nuotano in direzioni opposte. È divertente, e mantiene viva la sintonia che abbiamo avuto fin da subito.
«Ti amo.» dico, senza pensarci due volte.
Lo sento che trattiene il fiato, è sorpreso e lo sono anche io, nonostante riesca a mantenere la facciata spavalda, sto tremando di paura.
Oggi è davvero la giornata degli imprevisti.
Chiudo gli occhi di scatto, realizzando cosa ho appena detto, e mi mordo la lingua. Sono una scema, ho fatto il passo più lungo della gamba.
«Lo so.» apro gli occhi, non appena lo sento sussurrare quelle due parole.
Lì per lì me la prendo, poi, ci rifletto su e mi torna in mente una cosa.
«Stai davvero citando Star Wars proprio adesso?» chiedo, scoppiando a ridere per sciogliere l'attenzione, sperando di aver ragione.
«Chi te lo dice che sto citando Star Wars?» replica, insinuando davvero il dubbio nella mia testa.
«Oh, per favore.» sbuffo, alzando gli occhi al cielo. «Me l'hai detto quando mi hai fatto vedere i film, hai detto che hai sempre sognato dirlo a qualcuna che avrebbe colto la citazione.»
Sorride, colto sul fatto.
«Potrei aver citato Star Wars, sì.» annuisce, accennando un sorrisetto sghembo e passandomi un braccio attorno al collo. «Resta comunque il fatto che sei stata tu la prima a cedere.»
Alzo gli occhi al cielo e mi limito a tornare indietro, spiegando l'idea che io e Claudio abbiamo partorito prima che lui arrivasse.
«E fai questa chiamata, dai.» mi incita, non appena ci ritroviamo nel cortile di casa sua.
Polpetta è qui, con mia grande sorpresa, visto che odia stare in giro, nonostante sia un cane di taglia grande, adora gli spazi d'appartamento.
«Daisy?» la voce titubante di Melissa risponde solo dopo due squilli.
«Ciao Meli.» sussurro, guardandomi le scarpe ed iniziando a calciare sassolini inesistenti, mentre Cesare gioca con Polpetta.
«Come stai, tutto bene?» domanda, e riesco quasi a vederla, mentre si toglie gli occhiali dal ponte del naso ed inizia a torturarsi il labbro inferiore con le dita.
«Sto bene, sì.» accenno una risata e guardo Cesare. «Oggi è successa una cosa, ma avrò tempo di raccontartela quando ci vediamo.»
«Oh, certo.» so che sta sorridendo, e lo faccio anch'io.
«Pensi di riuscire a trascinare Michele qua a Bologna con una scusa?» le chiedo, speranzosa.
«Dovrebbe essere già lì.» afferma, titubante.
«Cosa?» chiedo, e contemporaneamente mi sento richiamare da Cesare, accanto al cancello.
Vicino al cancello pedonale, ci sono Tonno e Michele.
«Meli, ti richiamo stasera, okay?» le dico, prima di riattaccare velocemente e restare a fissarmi con Michele.
«Ciao.» si rimette a posto gli occhiali con un gesto veloce e scattoso. Cesare e Tone ci lasciano soli immediatamente, il primo mi lascia un bacio sulla fronte, il secondo un abbraccio veloce.
Polpetta si fionda contro mio fratello non appena lo riconosce, ed iniziano a giocare allegramente.
«Polpetta!» la voce di Claudio arriva dall'alto, il cane si ferma subito e rientra in casa, sotto lo sguardo stupito di Michele.
«Come ha fatto?» chiede, ancora piacevolmente sorpreso.
«A Polpetta vanno molto a genio i Cantelli.» spiego, prendendo posto sulla panchina che c'è nel cortile. Mi accendo una sigaretta e gli faccio cenno di sedersi accanto a me.
«Quello era il ragazzo per cui hai lasciato Riccardo?» domanda, sfilandomi dalle mani il pacchetto di Marlboro e prendendone una.
Stavolta sono io ad essere piacevolmente sorpresa: Michele mi fa la paternale per le sigarette da quando ho iniziato a fumare, ha smesso soltanto perché stavam sempre a discutere e so per certo che non ha mai toccato qualcosa di simile ad una sigaretta.
«Questa cos'è, un'altra cosa che mi nascondi?» mi fa subito il verso.
«Non mi sono fatto Roma-Bologna per sentirmi fare il verso da una ragazzina, Marghe.» sbotta, ed io sorrido sorniona.
«Sappiamo entrambi che l'hai fatto.» gli faccio un occhiolino e sorrido. «Dai, alzati.»
«Dove andiamo?»
«In un posto in cui Claudio, Tone e Cesare non origlino dalla finestra.» alzo la voce, girandomi di scatto e cogliendoli con le orecchie sul vetro.
Tutti e tre sobbalzano, nascondendosi.
Sbuffo e scuoto la testa: tre fratelli più grandi, e in più vado a trovarmi anche gli amici iper protettivi.
«Come facevi a saperlo?» mi chiede, seguendomi.
«Miche, quando avevo degli appuntamenti tu e Marco vi appostavate dietro l'angolo di casa per controllare chi fosse il povero malcapitato.» lo guardo, sorniona.
Lui sbuffa e mi da uno spintone, facendomi ridere.

Margherita | Cesare CantelliWhere stories live. Discover now