21; Che ci fai qua?

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Deglutisco, la sigaretta mi scivola via dalle dita, non appena cade a terra, Denia si affretta a riprenderla.
Mi risveglio dal trance in cui sono caduta.
Gli occhi verde oliva mi fissano, enormi come lo sono sempre stati. I capelli hanno ancora delle striature più scure, ma stanno ricrescendo biondi e non le sfiorano neanche le spalle per quanto sono corti.
Per un attimo, mi sembra la stessa ragazza solare che ho conosciuto appena ho messo piede qui a Bologna, gli occhi rassicuranti in cui mi sono rifugiata molteplici volte e il sorriso amico che mi accoglieva ogni volta che tornavo a casa esausta dopo una lunghissima giornata.
«Che ci fai qua, Cecilia?» il tono è meno duro di quanto vorrei. «Hai una denuncia addosso e non puoi stare a meno di un chilometro da questo appartamento.»
Il suo sguardo, da che era speranzoso e pieno di aspettative, si fa più triste. Gli occhi color oliva s'inumidiscono e una lacrima le rotola via dallo zigomo.
«Sono venuta a scusarmi.» mormora. «Quando mi hai detto che sei una persona rancorosa, non pensavo fino al punto di ricorrere legalmente.»
Accenno un sorriso sarcastico.
Sebbene i suoi genitori abbiano sborsato soldi su soldi per insabbiare la questione, dopo una chiacchierata con la zia di Melissa — uno dei più abili avvocati che io abbia mai conosciuto— sono riuscita a rifilarle almeno un ordine restrittivo, che le impedisce di stare a meno di un chilometro di distanza da me, da Denia e dall'appartamento.
«Ti ricordi quello che ti ho detto il giorno che ci siamo conosciute, o l'hai dimenticato?» chiedo, mentre Denia può solo essere spettatrice.
Con la coda dell'occhio noto che ha tra le mani il cellulare e lo stringe compulsivamente.
«Come dimenticarlo.»

«Sei davvero dolcissima e molto disponibile, credo proprio che ci troveremo molto bene insieme.» sistema la spesa nei ripiani e mi sorride caldamente.
«Oh, tesoro, non lasciarti ingannare da questi occhioni azzurri.» accenno un sorriso guardando il vuoto. «Non sai cosa sono disposta a fare per essere serena e tranquilla.»

Riemergo dal ricordo e so che l'ha fatto anche lei, perché mi guarda con un sorrisino consapevole e triste.
«Ti do due minuti per essere ad un chilometro da qui, o chiamo la polizia.» ringhio, ritornando in me ed appianando i sensi di colpa nati nei confronti di quella ragazza.
Alza le mani ed indietreggia verso il portone d'ingresso, scuotendo leggermente la testa. I capelli corti si muovono assieme ai suoi cenni.
«Sei davvero brava, a manipolare la gente.» dice, mettendo le mani sulla maniglia del portone blindato. «Ci sei riuscita con tutti, anche Denia 'sta dalla tua adesso. Così come gli altri ragazzi. Ma sono davvero contenta che tu non possa avere l'unica cosa che desideri davvero, così capirai come ci si sente ad essere stati al mio posto.»
Uno scatto in avanti da parte mia la fa scappar via, il suo subconscio dev'essere consapevole delle stronzate che ha appena detto.
Denia è rimasta al suo posto, il suo viso è stravolto ed è diventata pallida come un cencio.
Mi volto e trovo Nelson, Tonno e Bea a fissarci, tutti e tre scossi.
Aggancio i miei occhi chiari in quelli altrettanto chiari di Francesco, stupendomi nel trovarli rossi e velati di lacrime.
Ingoio il groppo che mi si è formato in gola e mi affretto ad andare in cucina per preparare una camomilla corretta a tutti.
Mentre mi muovo frenetica, cerco di ragionare più lucidamente che posso, ma non mi riesce.
Nelle situazioni di panico di solito scappo via, ma qualche giorno fa mi sono imposta di non correre alla prima difficoltà e di smetterla con i viaggi spirituali.
Nello spostare il bollitore, urto una tazza che ho appoggiato sulla cucina con il gomito e cade, rompendosi in mille pezzi. Subito le mani mi si intrecciano nei capelli ed inizio a respirare affannosamente.
I suoni, i rumori e tutto ciò che mi circonda rallenta, come se qualcuno stesse girando un video in moviola per prendersi gioco di me. Mi lascio cadere a terra ed abbraccio immediatamente le ginocchia al petto.
Sento una voce che chiama il mio nome, imperterrita, ma non riesco a distogliere lo sguardo dalla tazza rotta in mille pezzi minuscoli, neanche quando questo qualcuno mi prende il viso tra le mani e mi costringe a guardare nella sua direzione.
Il trillo del campanello si aggiunge alla serie di rumori a rallentatore che sento, e subito la persona davanti a me cambia.
Lo sento dal modo in cui prova ad avere la mia attenzione, dal diverso approccio che studia nei miei confronti.
Poi, all'improvviso, boccheggio in cerca d'aria.
«Ghe.» il tono è allarmato, ma stavolta il richiamo ha effetto.
I miei occhi finalmente rispondono al richiamo e saettano verso quelli verdi di Cesare.
Dall'ultima volta che ci siamo visti, i suoi capelli sono più lunghi e ha tolto la barba lasciandosi soltanto i baffi.
Aggrotto le sopracciglia ed aggancio immediatamente le mani alle sue braccia.
Mi prende il volto tra le mani ed urla cose sconnesse, di cui riesco a cogliere si e no qualche sillaba sporadica.
Poi, all'improvviso, mi bacia.
Preme le sue labbra sulle mie e mi si mozza il respiro. Lo fisso con gli occhi ancor più sgranati, se possibile, e il cuore che sta cercando di uscire dalla cassa toracica.
Si stacca poco tempo dopo e si siede a gambe incrociate di fronte a me, con gli occhi ancora serrati e il respiro corto.
«E tu da dove sbuchi?» domando, con un fil di voce. Riesco di nuovo a respirare decentemente.
«L'importante è arrivare al momento giusto.» prova a sorridere, ma ne esce una smorfia tremenda.
Si alza da terra, si spolvera i jeans e mi da una mano ad alzarmi. Poi, inizia a raccogliere i cocci di quella che una volta, era la mia tazza preferita. Li getta nel cassonetto, mentre io continuo imperterrita a versare la camomilla ormai pronta, in quattro tazze.
Vedo subito comparire una quinta, in cui non metto la tisana. Con un sorriso accennato e le raccomandazioni di Doc, prendo una bottiglia di whisky dalla vetrina della cucina e ne verso un goccio in ognuna delle tisane, per poi riempire la tazza vuota che Cesare ha appena poggiato sul piano della cucina.
«Sono solo le cinque del pomeriggio.» dice, titubante. Incastro una sigaretta tra i denti e mi affretto a sistemare tutto su un vassoio.
«L'orario perfetto per il the.» con un ghigno ed un occhiolino, porto le tazze in salotto, lasciando la mia in cucina.
Cesare non mi segue, sa già che tornerò in cucina. Non mi piacciono le improvvisate né tantomeno le sorprese e sa benissimo che tra poco esploderò.
Con un sospiro chiudo la porta della cucina e mi abbandono sulla prima sedia che trovo, tenendo salda tra le mani la tazza colma di liquido ambrato.
Ne prendo un sorso abbondante e mando giù con una smorfia: nonostante il whisky sia al miele, bevuto tutto assieme ha comunque un sapore orrendo.
«Che cazzo ci fai qui?» chiedo, senza peli sulla lingua ed esasperata per il silenzio surreale che c'è in casa. Neanche Polpetta osa fare casino, probabilmente se ne sta in qualche stanza a sonnecchiare, il caldo lo uccide.
«Mi sei mancata anche tu.» ridacchia e prende il mio pacchetto di sigarette. Sa meglio di me che non sono arrabbiata e che riuscirò a tenergli il muso ancora per poco.
Ghigno e lo prendo tra le mani non appena me lo lancia, accendendone una con un gesto veloce.
Ci studiamo, attenti e guardinghi.
Nessuno dei due osa fare la prima mossa, nessuno dei due prova a parlare per primo. Entrambi sappiamo che è per paura, per timore di dire qualcosa che in realtà non pensiamo, che non ci viene dal cuore. Oppure per paura di dire finalmente cosa pensiamo.
Sento le labbra bollenti, lo spirito delle sue ci aleggia ancora sopra. Non riesco a togliermi dalla testa la sensazione di averlo avuto addosso, per la prima volta sul serio, senza essere rifiutata.
«Smettila di morderti le labbra.» mi ordina, guardandomi serio. Sobbalzo, mi ero persa nei miei pensieri.
Tiro dalla sigaretta e tolgo via la cenere con un gesto secco del pollice.
«Dobbiamo arrivare a un punto, Cesare.» lo guardo negli occhi per la prima volta dopo che mi ha aiutata a darmi una calmata.
«Sono qui per questo» annuisco. Mi alzo dalla sedia e gli faccio segno di seguirmi. Passando dal salotto invito anche Denia a seguirci, e le spiego brevemente che la rapisco per pochissimo tempo.
Non appena arriviamo davanti alla porta della mia stanza, entro e tolgo la chiave dalla toppa, rigirandomela tra le mani con un sorriso triste e lo stomaco che si restringe per l'agitazione.
La metto nelle mani piccole della mia amica e le spiego che deve chiuderci dentro e portare gli altri a farsi un giro. Mi guarda spaurita come un gatto abbagliato e mi da della pazza, iniziamo così una piccola discussione che viene subito interrota da Cesare.
«Fa' come dice, Dedì, vedi che c'ha ragione a fare così.» forse tranquillizzata dal suo tono mite, la mia coinquilina acconsente con un cenno della testa ed io prendo Cesare per mano, trascinandomelo dietro.
Sento la chiave fare due giri e la voce di Denia che richiama il resto dei ragazzi (e Polpetta) per fare un giro.
Gli abbai entusiasti del mio cane sempre più lontani, mi danno conferma che la casa è di nuovo immersa nella tranquillità.
Con un sospiro mi lancio sul letto e lo invito ad imitarmi. Non so per quanto tempo restiamo in silenzio a fissare il soffitto.
«Possibile che non riusciamo a dire nulla?» sussurro ad un certo punto, girandomi su un fianco per soffermarmi ad osservare il suo profilo.
«Sto pensando ad un discorso da quando ho sentito la chiave girare, ma mi sono resco conto che tutto quello che ho da dirti è riassumibile in due parole.» borbotta, restando a pancia in su. «E tutto il resto sono una serie di cose che mi piacerebbe fare con te.»
Striscio sul materasso fino ad avere il naso che sfiora la sua spalla. Inspiro a fondo e mi lascio inebriare dall'odore che emana.
«Ti amo da morire.» sussurro. «Ti amo da morire, forse da quella volta che ci siamo incrociati per le scale.»
«Ti amo anche io, da quando abbiamo dormito assieme la prima volta, il 12 febbraio.» sospira e si gira verso di me, sfiorando il naso con il mio e guardandomi come se stesse guardando il panorama più bello del mondo.
«Allora che si fa?» chiedo, un brivido mi percorre la schiena non appena sento la sua mano poggiarvisi sopra.
«Intanto questo.» è un sibilo quello che precede uno dei baci più belli che io abbia mai ricevuto.
È delicato, ma allo stesso tempo irruente, famelico. Ci divoriamo le labbra con una violenza strana, lenta, ma forte e vorace; mi morde le labbra, le lecca con la punta della lingua e torna ad incastrarle alle sue. Per ogni morso che mi da, ne riceve uno in cambio da parte mia, senza esclusione di colpi.
Pone fine al bacio quando capisce che sto per mettermi a cavalcioni su di lui.
«Non ci pensare neanche.» ha il fiatone, gli occhi lucidi di desiderio e le labbra un po' rosse. «Prima mi giuri che ci stiamo mettendo un punto, poi ti fai scopare.»
Alzo gli occhi al cielo e rotolo sul letto, fino al comodino. Apro un cassetto in fretta e furia e mi riempio le mani con una penna e un foglio di carta, dove scarabocchio un discorso più o meno serio che firmo solennemente sul fondo.
Glielo passo e lo legge scrupolosamente, sbuffando una risata ogni tanto e ridendo per la dichiarazione finale.
«Contento?» chiedo, strappandogli il foglio dalle mani, per gettarlo in un angolo della stanza e spalmarmi finalmente addosso a lui, che annuisce ridendo.
«Soprattutto la parte in cui mi autorizzi a fare di te ciò che più desidero senza tralasciare nulla.» dichiara, stringendomi i glutei tra le sue mani.
Scuoto la testa e fermo l'inizio della sua risata con un bacio.

Margherita | Cesare CantelliDove le storie prendono vita. Scoprilo ora